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Full text of "I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI; memorie storiche e documenti"

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I  GAGINI 

E  LA  SCULTURA  IN  SICILIA 


NEI  SECOLI  XV  E  XVI 


Volume  Primo  —  Testo 


I  GAGINI 


E  LA  SCULTURA  IN  SICILIA 


NEI  SECOLI  XV  E  XVI 


MEMORIE  STORICHE  E  DOCUMENTI 


PER   L  ABBATE 


GIOACCHINO    DI    MARZO 


Volume  Primo 


PALERMO 

TIPOGRAFIA  DEL   GIORNALE  DI  SICILIA 


MDCCCLXXX. 


Proprietà   letteraria 


A 

LUCIO  TASCA 

CONTE     DI     AL  MERITA 

DI    LETTERE    E    D'ARTI    SPLENDIDO    ED    INSIGNE    CULTORE 

CHE    CON    ESEMPIO    RARO    a'    DÌ    NOSTRI 

EROGÒ    TUTTA    DEL   SUO    LA   SPESA    NON    TENUE 

DE'    DISEGNI    AD    INTAGLIO 

DI    CHE    CORREDATA    È    QUEST  '  OPERA 

CON  GRATO  E  RIVERENTE  ANIMO 

SICCOME    A    PRECIPUO    SUO    MECENATE 

DEVOTAMENTE    OFFRE 

L'  AUTORE 


r:  *  -  K       > 


54 


PREFAZIONE 


LLA  SICILIA,  che  a  niun'altra  terra  italiana  andò  seconda 
per  altera  di  merito  artistico  e  sorprendente  fervore  di  attività 
nel  glorioso  periodo  del  risorgimento  delle  arti  del  bello  visibile 
dal  declinare  del  quattrocento  fin  oltre  alla  fine  del  seguente  se- 
colo, non  furon  mai  degnamente  fin  ora  rivolte  accurate  inda- 
gini per  adeguatamente  illustrarla,  secondo  che  richiedono  il 
numero  ed  il  valore  degli  artisti  in  essa  fioriti  e  la  multiplicità 
ed  il  pregio  delle  loro  ammirabili  opere.  Sia  per  l'assoluto  difetto  di  accurati  illustratori 
del  paese,  contemporanei  o  di  poco  posteriori  a  quei  felici  tempi,  o  per  l'estrema  topo- 
grafica giacitura  dell'isola  quale  ultimo  lembo  d'Italia,  e  per  la  costante  ed  imperdona- 
bile trascuratela  di  quanti  generalmente  delle  arti  italiane  trattarono  senz'avere  mai 
esteso  al  di  là  del  Faro  le  loro  ricerche,  non  mai  questa  terra  fu  tolta  all'uopo  ad 
oggetto  di  gravi  investigazioni,  uè  chiamata  a  partecipare  a  quell'altissima  gloria  e 
rinomanza,  onde  numerosi  e  spesso  insigni  scrittori  le  vicende  delle  arti  stesse  illu- 
strarono nelle  fioritissime  e  celebrate  scuole  di  terraferma.  Eppure  in  Sicilia  si  tro- 
vano di  quel  tempo,  comunque  trascurati  o  mal  noti  sovente,  artistici  tesori  in  gran 


Vili  PREFAZIONE 


copia,  i  quali  non  di  rado  per  preziosità  e  per  bellezza  son  degni  di  slare  a  paro  con 
tanti,  che  in  Roma,  in  Firenze,  in  Venezia  ed  altrove  si  additano  siccome  prodigi 
del  genio  italiano;  e  ciò  perchè  non  solo  in  quella  di  continuo  affluirono  artisti  in 
gran  numero  dalla  penisola,  che  spesso  grande  operosità  vi  spiegarono,  ma  ancora 
perchè  valentissimi  Siciliani  raggiunsero  nelle  diverse  arti  cotanta  eccellenza  di  merito 
da  non  temere  riscontro  co'  piii  famosi  maestri  di  ovunque.  Laonde  per  fermo  è 
da  tenere,  che  una  notabil  lacuna  non  sarà  mai  colmata  nella  storia  delle  belle  arti 
in  Italia  finché  lo  sviluppo  artistico  della  Sicilia  nei  vari  secoli  dell'  età  moderna  , 
non  nuiì  che  quello  di  Lombardia  e  di  Venezia  ,  di  Toscana  e  dell'Umbria  e  di 
altrove ,  non  sia  con  pari  studio  ed  amore  illustrato. 

Addettomi  io  pertanto  sin  dalla  mia  giovinezza  a  rilevar  nella  nativa  mia 
isola  le  vicende  delle  arti  in  quei  tempi,  e  datone  saggio  in  una  giovanile  o- 
pera ,  che  nulla  di  più  rivela  che  il  mio  buon  volere  in  simili  studi,  stimo  adesso 
in  età  piti  matura ,  che  a  far  cosa  meno  imperfetta ,  anziché  insieme  trattare  delle 
diverse  arti  ne'  vari  secoli,  fa  d'  uopo  limitarsi  a  più  ristretto  campo  e  trattare 
specialmente  di  mi' arte  in  un  dato  tempo,  facendo  poi,  che  da  varie  speciali  fatiche, 
con  la  maggior  cura  e  la  maggior  diligenza  condotte,  risulti  un  totale  e  complessivo 
lavoro,  che  possa  in  alcun  modo  apprestare  il  più  particolareggiato  ragguaglio  del 
gran  movimento  e  sviluppo  delle  arti  in  Sicilia  dal  medio  evo  a'  dì  nostri. 

j\ii  accingo  quindi  a  cotale  intrapresa,  facendo  oggetto  di  un  primo  studio 
I  Gagini  e  la  scultura  in  Sicilia  nei  secoli  XV  e  XVI,  laddove  appunto  da 
siffatto  argomento  nel  più  ammirabil  modo  risulta  il  grande  innalzamento  dell'arte 
nell'  isola  in  quel  tempo,  allorché  tanta  eccellenza  di  genio  e  così  alta  perfezione  di 
artistico  magistero  vi  risplendettero  da  attingerne  essa  a  ragione  non  minor  gloria 
e  grandezza  di  quella  delle  migliori  e  più  famose  scuole  d'  Italia.  Quivi  pertanto 
dalla  metà  del  quattrocento  insino  al  sorgere  del  secolo  appresso  si  trasferirono  in 
copia  scultori  dalla  penisola,  lombardi,  veneti,  toscani  e  di  altre  contrade,  fra'  quali 
ve  n'ebbero  di  tanto  valore  da  poter  gareggiare  co'  loro  più  insigni  contemporanei, 
che  acquistarono  in  patria  gran  nome.  Stabilitisi  quindi  essi  per  lungo  tempo  in  Si- 
cilia, vi  fondarono  una  fioritissima  scuola,  la  quale,  comunque  originata  da  valo- 
rosi artisti  di  altrove,  non  raggiunse  di  poi  la  sua  maggiore  eccellenza  se  non  dal 
genio  siciliano,  allorché  ^Antonello  Gagini,  nato  in  'Palermo  dal  lombardo  suo  padre 
'Domenico  di  'Bissone,  assunse  unico  e  sommo  la  sovranità  dell'arte  nell'isola  mercè 
l'altezza  del  suo  mirabile  ingegno,  la  squisitezza  del  sentire  e  del  gusto,  la  fecon- 
dità prodigiosa  de'  concepimenti  e  l'incomparabile  perfezione  dell'arte  in  sua  mano, 


PRIVAZIONE  IX 


essendo  sorto  a  capo  di  una  nuova  ed  detta  scuoia  di  artefici,  di  cui  soprattutto  i 
valorosi  suoi  figli  e  nepoti  serbarou  la  glorici  ed  il  vanto  fino  a  ben  tardi. 

cNLulla  però  fu  noto  ili  tutto  ciò  a  quanti  trattaron  la  storia  delle  arti  ita- 
liane, talché  neanco  nell'opera  pregiatissima  del  Cicognara  si  fa  motto  di  alcun  dei 
Gag  ini.  Perl  oche  non  è  dubbio,  che,  rimasta  affatto  ignorata  la  ini  mensa  operosità 
della  scultura  in  Sicilia  in  quei  secoli ,  nulla  si  seppe  de'  molti  artisti  della  peni- 
sola, che  a  lungo  vi  soggiornarono  e  talvolta  pel  lor  valore  vi  si  resero  meritevoli 
di  gran  fama;  e  niun  lavoro  d'illustrazione  fu  qui  degnamente  fu  fatto  a  rilevare 
il  merito  insigne  di  quel  gran  caposcuola  della  siciliana  scultura  ,  che  fu  il  detto 
Antonello,  il  quale  per  altera  di  genio  ed  invidiabile  maestria  di  scalpello  emulò 
nell'arte  i  più  sommi  e  lasciò  un'  eredità  gloriosa.  Qualche  utile  speciale  fatica,  è 
pur  vero,  fu  da  un  ventennio  iniziata  per  far  qualche  po'  di  luce  in  siffatta  ma- 
teria ,  che  pur  bisognava  di  estesa  e  compiuta  illustrazione  :  onci'  è ,  che  ,  oltre  ai 
noti  Preliminari  di  Melchior  Galeotti,  venivan  fuori  nel  quarto  volume  della  mia 
opera  Delle  belle  arti  in  Sicilia  alquante  memorie  e  documenti  da  me  rinvenuti, 
con  che  almen  cominciarono  a  dissiparsi  gli  enormi  errori,  che  imperiti  scrittori  da 
prima  eran  venuti  accodando.  Ma  fu  ciò  in  vero  ben  poco  rispetto  a  quanto  oggi 
si  richiede  ad  un  lavoro  soddisfacente  in  tal  genere  ;  ed  era  quindi  a  ripetere  più 
ampia  ed  assidua  fatica  di  studi,  di  osservazioni  e  d'indagini  per  rispondere  in  de- 
gno modo  al  soggetto. 

±A  ciò  mi  sembra  adesso  poter  provvedere  abbastanza  col  nuovo  lavoro ,  che 
imprendo  a  mandare  in  luce,  siccome  fruito  di  venti  anni  di  continue  investigazioni 
fatte  in  diversi  archivi  dell'  isola ,  donde  potei  raccogliere  all'  uopo  gran  copia  di 
nuovi  ed  inediti  documenti ,  che  pongono  nella  maggiore  evidenza  possibile  la  ma- 
teria ,  spargendo  su  tante  ignote  memorie  dell'  arte  e  degli  artisti  di  quel  tempo  il 
maggior  lume  di  storica  certezza-  Né  pure  generalmente  fui  pago  agli  altrui  rap- 
porti, trattandosi  d' illustrare  tante  artistiche  opere  sparse  dovunque  per  V  isola  in 
città  e  terre  diverse  ;  e  quindi  a  scorrerla  da  un  capo  all'  altro  non  perdonai  a 
spese  e  a  disagi  perché  fossero  parto  di  attente  osservazioni  i  miei  propri  giudizi  e 
non  patisse  equivoci  il  vero.  Propizia  fortuna  mi  arrise  intanto  in  avere  io  rinve- 
nuto nel!'  illustre  Lucio  Tasca,  conte  di  rimerita,  la  maggior  liberalità  in  prò 
del  presente  lavoro ,  venendo  esso  a  tutte  spese  di  lui  fornito  de'  numerosi  intagli 
ad  illustrazione  delle  principali  sculture ,  di  che  vi  è  discorso:  del  che  perenne  gli 
serberò  gratitudine ,  ancora  in  nome  dell'  arte  e  della  patria.  ISLc  mi  mancarono 
incoraggiamenti,  lumi  e  conforti  da  insigni  e  colte  persone  ed  affettuosi  amici,  il  cui 

2 


X 


PREFAZIONE 


concorso  mi  fu  sommamente  giovevole  spesso  all'ardua  intrapresa  (l).  Laonde  spero 
aver  fatto  costi,  che  torni  utile  a  rilevar  degnamente  cotanta  eccellenza  dell'arte,  che 
fu  sì  grande  in  Sicilia  nel  suo  rinascimento ,  colmando  quanto  vi  ha  di  manchevole 
per  questa  parte  nella  storiti  dell'italiana  scultura;  e  quindi  non  dubito,  che  i  cultori 
di  tali  studi  vorran  se  non  altro  perdonarmi  l'ardire,  almanco  per  la  novità  e  la 
importanza  del  soggetto. 


(  '  )  Mi  è  caro  fra  molti  almen  ricordare  qui  i  nomi  del  commendatore  Felice  Bamberg,  console  di  Ger- 
mania in  Messina;  di  Giulio  Benso,  duca  della  Verdura,  senatore  del  regno;  di  monsignor  Giovanni  Girino, 
vescovo  di  Derbi;  di  Maria  Antonietta  Grimaldi,  vedova  baronessa  di  Geracello;  del  professore  cav.  Antonino 
Salinas ,  direttore  del  museo  nazionale  di  Palermo  ;  del  barone  Raffaele  Starrabba  ;  del  professore  sacerdote- 
Bartolomeo  La  Gumina;  del  signor  Giuseppe  Gosentino  ;  del  cavaliere  Ignazio  De  Michele  da  Termini;  dei 
professori  cav.  Giuseppe  Polizzi ,  Michele  Stinco  e  canonico  Fortunato  Mondello  da  Trapani,  e  del  mio  ca- 
rissimo come  fratello  cavalier  Pietro  Maria  Rocca  di  Alcamo,  che,  da  me  avviato  a  frugare  nell'archivio  no- 
tariale alcamese,  vi  attende  con  sommo  amore  e  con  grandissimo  frutto. 


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CAPITOLO  I. 


RICERCHE    GENERALI    SUGLI    ARTISTI    IN    SICILIA    DAI    NORMANNI 


ALLA    I-INE    DEL    SECOLO    XV. 


N  fatto,  che  molto  importa  alla  storia  delle  arti  in  Sicilia 
e  che  in  tutta  evidenza  risulta  da'  documenti  del  tempo  e 
da'  più  attenti  studi  ed  indagini ,  é  appunto,  che  nella  se- 
conda metà  del  quattrocento,  specialmente  nella  scultura,  la  maggiore  arti- 
stica attività  è  sostenuta  nell'isola  non  già  da  artisti  di  essa  nativi,  ma 
bensì  da  non  pochi  da  terraferma  venuti ,  che  vi  stabiliron  soggiorno  e 
molto  operosamente  vi  lavorarono ,  fondatavi  una  scuola ,  che  poi  dall'alto 
ingegno  de'  lor  figliuoli  e  nepoti,  generati  e  nati  in  Sicilia,  fu  alla  maggiore 
altezza  condotta  nell'epoca  più  bella  e  felice  del  risorgimento.  Un  tal  fimo, 
che  si  tentò  finor  contraddire  o  attenuare  in  massima  parte  per  dar  risalto 
al  prestigio  dell'originalità  di  un'arte  tutt'affatto  siciliana,  nata  e  sviluppata 
in  Sicilia,  non  può  più  in  vero  rivocarsi  in  dubbio  al  presente,  quand'esso 
incontrastabilmente  risulta  dall'autorità  de'  molti  documenti  contemporanei 
novellamente  rinvenuti;  e  gioverà  in  vece  indagarne  le  ragioni  e  rannodarlo 
ad  altri  anteriori  fatti,  che  possano  in  alcun  modo  riuscire  a  spiegarlo.  Che 


I    GAGIN'I    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


se  alla  Sicilia  da  ciò  vien   meno  la  gloria  di  un'arte  tutta   originale  e  sua 

propria  sin  dalle  origini,  non  minor  vanto  per  fermo  le  proviene  dall'aver 
essa  apprestato,  mercè  le  sue  ricchezze  ed  il  grande  suo  amore,  il  miglior 
campo  agli  artisti,  che  vi  fermarono  stanza,  ad  esercitarvi  l'ingegno  al 
maggior  grado  di  operosità  e  di  sviluppo.  Oltreché  indi  apparisce  special- 
mente nella  scultura,  ch'essa  nell'età  avventurosa  del  suo  più  grande  innalza- 
mento non  sali  che  pel  genio  siciliano  a  quella  insigne  eccellenza,  che  con 
artisti  di  fuori  venuti  non  avea  mai  dinanzi  raggiunta. 

Facendo  capo  per  ora  da  quel  gran  movimento  artistico  destatosi  nel- 
l'isola per  opera  de'  conquistatori  normanni  nell'undccimo  e  nel  duodecimo 
secolo  ,  non  può  in  vero  negarsi,  che  l'elemento  musulmano  prevalga  ad 
ogni  altro  nell'architettura  di  quel  tempo,  la  quale,  siccome  osserva  l'Amari, 
pare  sia  stata  allora  esercitata  quasi  esclusivamente  da'  Siciliani,  sia  di  schiatta 
arabica  o  berbera,  sia  di  schiatte  indigene,  fatti  Musulmani  e  alcun  di  loro 
già  riconvertito  al  Cristianesimo,  da  senno  o  per  gabbo  (').  Comunque  mo- 
dificato dall'influenza  bizantina  come  ogni  stile  architettonico  del  medio 
evo  ,  ed  acconciato  alle  esigenze  del  rito  cristiano  ed  a'  nuovi  bisogni  e 
costumi  giusta  i  dettami  de'  prelati  e  de'  principi  fondatori ,  predomina  il 
carattere  dell'arte  arabica  cosi  in  San  Giovanni  degli  Eremiti ,  in  S.  Maria 
dell'Ammiraglio,  nella  Cappella  Palatina  di  Palermo,  nel  duomo  di  Cefalù 
ed  in  quello  di  Monreale  ,  come  nelle  ville  o  palagi  di  Favàra  e  Menàni, 
della  Zisa  e  della  Cuba,  e  in  tutti  più  o  meno  gli  edifici  religiosi  e  civili, 
che  la  normanna  magnificenza  produsse  ;  ed  ivi  dovunque  nelle  principali 
fattezze  è  uno  stile,  che  veramente  non  sembra  che  mera  specie  dell'arabico 
dell'Oriente,  diverso  affatto  dal  bizantino  predominante  nell'Italia  meridionale, 
benché  pur  essa  soggetta  a'  Normanni,  e  non  d'altrove  massimamente  pro- 
venuto se  non  dal  gran  numero  de'  siciliani  architetti  ed  artisti  di  ogni 
maniera ,  che  la  civiltà  musulmana  avea  prodotto  in  Sicilia  e  che  agevol- 
mente piegaronsi  a  servire  i  nuovi  padroni. 

Pur  tutto  ai  Musulmani  dell'  isola  non  è  certamente  da  attribuire  in 
quegli  edifici,  dove,  specialmente  nella  parte  decorativa,  concorre  evidente 
ancor  l'opera  delle  genti  cristiane,  che  con  la  corte  normanna  cominciarono 
a  dar  nuovo  indirizzo,  siccome  quelle,  ch'eran  certo  più  attevoli  alle  esi- 


(  '  )  Amari,  Storia  tifi  Musulmani  di  Sicilia.  Firenze,  Le  Mounier,  1K72,  voi.  Ili,  p.  II,  lib.  VI,  cip.  XIII, 
S56. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  1. 


genze  della  fede  e  del  culto.  Ammette  anco  l'illustre  Amari,  che  i  tipi  im- 
mutabili della  chiesa  bizantina  copiati  fedelmente ,  il  disegno  ,  i  colori ,  le 
epigrafi  in  greco  de'  bei  musaici  siciliani  del  duodecimo  secolo  rivelali  la 
mano  di  artisti  di  quella  schiatta,  sia  che  fossero  venuti  ap-posta  da  Levante, 
sia  degl'indigeni  di  Sicilia  e  della  Bassa  Italia:  né  pur  egli  ripugna  al  sup- 
posto, che  uomini  nati  di  schiatte  italiche  nell'una  o  nell'altra  regione  ab- 
biali preso  parte  al  lavoro  e  lasciatovi  per  segno  le  epigrafi  latine  (').  Havvi 
però  chi  ricisamente  oggi  nega ,  che  i  Bizantini  avessero  avuto  alcuna 
principal  parte  nel  Mezzogiorno  d'Italia  in  ogni  genere  di  arte,  cosi  nell'ar- 
chitettura che  ne'  musaici,  per  sostener  che  nel  medio  evo  tutto  ivi  si  fosse 
fatto  per  opera  d'indigeni  artefici,  e  che  senz' alcuna  estrana  influenza  si 
fosse  ivi  l'arte  originalmente  prodotta.  Ma  a  ciò  contende  l'aversi  indubbia 
certezza,  che  Desiderio  abbate  di  Monte  Cassino  (poi  papa  Vittore  Ili)  chiamò 
nelFundecimo  secolo  musaicisti  da  Costantinopoli,  non  men  che  peritissimi 
artisti  amalfitani  e  lombardi,  all'edificio  e  decorazione  della  sua  nuova  ba- 
silica: e  non  men  vi  contendono  un  notevol  numero  di  trittici,  dittici  e 
tavolette  dipinte  di  ogni  maniera,  sparsi  dovunque  in  Sicilia,  di  tipo  affatto 
bizantino,  eppur  di  gran  pregio  di  arte,  dello  stile  e  dello  sviluppo  mede- 
simo de'  musaici,  con  tipici  soggetti  e  figure  e  con  greche  epigrafi  e  ancor 
talvolta  co'  nomi  de'  greci  artisti,  che  le  dipinsero  (2).  Riprenderà  taluno,  che 
quei  dipinti,  ed  insiem  quell'  immensa  profusione  di  musaici  figurati  de'  tempi 
normanni,  non  sono  in  precipua  parte  che  opera  d'indigeni  di  greco  rito, 
i  quali  pretendesi  ancor  si  fossero  sviluppati  ed  esercitati  nell'arte  sotto  il  mu- 


(>)  Amari,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  II,  lib.  VI,  cap.  XIII,  pag.  860. 

(2)  Un  picciol  trittico,  esistente  in  Palermo  nel  1756  con  epigrafi  greche  e  col  nome  di  un  Cirillo  psen- 
domonaco,  così  voluto  appellarsi  per  ascetismo,  e  che  non  è  chiaro  se  ne  sia  stato  il  dipintore  o  chi  lo  fece 
dipingere,  venne  descritto  in  una  lettera  di  Jacopo  Gambacorta,  pubblicata  nelle  Memorie  per  servire  alla  storia 
letteraria  di  Sicilia  (Palermo,  1756,  tom.  II,  pag.  271  e  seg.).  Di  un  pregevol  quadretto,  figurante  il  Battista 
con  le  ali  alle  spalle  e  con  dappiè  una  greca  iscrizione,  che  chiaramente  il  denota  dipinto  di  mano  di  Pietro 
Lampardo,  si  ha  cenno  inoltre  ed  un  disegno  in  una  lettera  di  Domenico  Schiavo,  inserita  nelle  iSCeinorie  an- 
zidette (tom.  I,  p.  Ili,  pag.  17  e  seg.);  e  ne  fa  pur  menzione  il  professor  Giuseppe  Meli  nella  sua  relazione 
Dell'  origine  e  del  progresso  della  pinacoteca  del  museo  di  'Palermo  (pag.  48),  dove  or  quello  si  serba  insieme 
ad  altre  tavole  pure  dipinte  sullo  stile  de'  musaici  nel  secolo  XII.  Dell'arte  stessa  altresì  un  prezioso  trittichetto, 
che  rappresenta  in  mezzo  il  Cristo  in  croce  sul  Calvario  e  negli  sportelli  Mosè  e  Geremia  e  vari  misteri  del 
Nuovo  Testamento ,  esiste  nella  pinacoteca  della  maggior  chiesa  di  Castrogiovanni ,  dipinto  di  mano  di  un 
Emmanuele,  come  vi  si  legge  in  una  epigrafe  greca  non  ancor  pubblicata.  E  in  altre  dipinture  di  simil  ge- 
nere e  dell'epoca  stessa  è  dato  imbattersi  ovunque  in  Sicilia,  le  quali  ben  meritano  venir  tolte  ad  oggetto  di 
speciale  illustrazione. 


I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


sulmano  dominio,  e  che  poi  dopo  la  normanna  conquista  si  fossero  messi 
a  capo  di  quelle  vaste  artistiche  imprese  ,  siccome  i  più  valorosi  ,  che  far 
dovevano  l\a  maestri  a'  minori  artefici,  che  appena  si  concede  aver  potuto 
accorrere  come  semplici  aiuti  dalla  Grecia  e  dalla  terraferma  d'  Italia.  Ma 
io  non  so  affatto  intendere  come  sotto  i  Musulmani  e  nelle  condizioni  da 
essi  imposte  agi'  indigeni  loro  soggetti  1'  arte  cristiana  abbia  potuto  avere 
incremento  in  Sicilia,  quando  in  vece  la  più  general  trasformazione  politica 
e  religiosa  si  era  operata  da'  vincitori,  quando,  scemata  di  molto  la  gente 
greca  ed  italica,  e  le  città  indipendenti  fatte  tributarie  dopo  la  guerra  di 
Ibrahim-ibn-Ahmed,  e  infranto  ogni  legame  col  bizantino  imperio,  non  potè 
a  meno  Costantino  Porfìrogenito  nella  descrizione  delle  provincie,  che  con- 
fessar perduta  l'isola  di  Sicilia,  le  cui  città,  dic'egli,  parte  sono  abbandonate, 
parte  si  tengono  dagli  atei  Saraceni  (').  Vuoisi  ancor  forse  che  l'architettura 
e  la  pittura  cristiana  si  sien  tenute  in  operoso  esercizio  e  che  non  abbiano 
avuto  penuria  di  artisti,  allorquando  Ibn-Haukal  osservò,  che  Palermo,  ri- 
serbate le  debite  proporzioni  ,  aveva  più  moschee  di  ogni  altra  città  mu- 
sulmana alla  metà  del  decimo  secolo  ,  e  che  la  stessa  primaria  chiesa  dei 
Cristiani  non  era  che  divenuta  la  gran  moschea  del  venerdi  de'  dominatori  (2)? 
E  si  potrà  poi  pretendere  ,  che  il  conte  Ruggero  abbia  trovato  in  Sicilia 
fra'  Cristiani  architetti,  pittori,  musaicisti,  scultori  e  d'ogni  maniera  artefici 
di  alto  merito ,  che  abbiano  assunto  primaria  parte  nelle  ingenti  artistiche 
opere  da  lui  e  da'  re  suoi  successori  promosse,  mentre  in  vece  è  certezza 
dal  Malaterra  ,  eh'  egli  rinvenne  il  greco  arcivescovo  di  Palermo  scacciato 
dalla  sua  chiesa  e  ridotto  a  mantenere  a  stento  e  timidamente  in  una  mi- 
sera chiesa  di  campagna  ancor  qualche  avanzo  di  culto  (3)?  Laonde  indub- 
biamente sostengo,  che  in  tutto  ciò  ,  dove  non  ebbero  parte  i  musulmani 
artefici  di  Sicilia  di  qualunque  schiatta  si  fossero,  bisognò  avesser  concorso, 
specialmente  nella  parte  decorativa  e  in  tanta  copia  di  musaici  figurati  nei 
sontuosi  edifici  de'  tempi  normanni,  artisti  cristiani  di  Grecia  ovvero  del 
Mezzogiorno  d'  Italia  ,  uscito  da  poco  di  mano  de'  Bizantini  e  che  ancora 


(')  Constantini  Porphyrogeniti,  De  thcmalilms,  lib.  II,  them.  X,  Sicilia,  nella  raccolta  del  Banduro, 
Imperium  orientali'  etc.  Venetiis,  1729,  toni.  I,  p.  I,  pag.  22. 

( 1  )  Vedi  nella  Biblioteca  arabo-sicn/a  raccolta  da  Michele  Amari;  versione  italiana.  Torino,  1880,  voi.  I, 
pag.  11  e  17. 

O)  Gaufredi  Monachi,  lib.  II,  presso  Caruso,  'Bibliolb.  hist.  Panormi,  1723,  toni.  I,  pag.  201. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.   1. 


seguiva  la  civiltà  loro.  Può  ben  darsi,  che  valorosi  artisti  ci  avessero  fra  gli 
Agostiniani  di  Bagnara ,  a'  quali  la  chiesa  ed  il  chiostro  di  Cefalù  affidò 
re  Ruggero,  e  non  meri  poscia  ira'  Benedettini  di  Cava,  che,  richiesti 
da  re  Guglielmo,  vennero  in  numero  di  cento  in  Monreale  allorché  co- 
struivasi  il  tempio ,  e  che  gli  uni  e  gli  altri ,  ed  insieme  i  Basiliani  ,  o- 
vunque  introdotti  neh'  isola,  si  fossero  maestrevolmente  adoprati  a  decorar 
con  l'arte  allevata  alla  fede  i  nuovi  sacri  edifìci  eretti  dalla  munificenza  dei 
principi,  quando  nel  clero  e  nel  monachismo  risiedeva  la  maggiore  cultura 
artistica  del  Cristianesimo.  Può  ancor  darsi,  ed  anzi  è  a  tener  per  termo, 
che  indigeni  cristiani  insiem  non  mancarono  di  dedicarsi  all'  arte  in  tanta 
multiplicità  ed  in  tanto  fervor  di  lavori,  come  non  può  dubitarsi,  che  i  Mu- 
sulmani avessero  altresi  avuto  gran  parte  a'  musaici  ornamentali  delle  chiese 
e  degli  altri  edifìci  del  tempo,  siccome  quelli,  che  anco  eran  molto  versati  in 
siffatto  genere  di  arte.  Ma  ciò,  che  fa  mestieri  bene  osservare  si  è,  che,  come 
il  conte  Ruggero  sin  da  principio  adunò  da  ogni  parte  cementar ii,  al  dir  del 
Malaterra,  ad  ergere  in  Troina  il  primo  tempio  cristiano  (!),  cosi  nell'ope- 
rosità somma  sviluppatasi  poscia  e  tanto  a  lungo  durata  ad  ergere  e  deco- 
rare un  sì  gran  numero  di  sontuosi  edifici,  a'  quali  per  tutto  il  duodecimo 
secolo  fu  dato  opera,  dovette  la  Sicilia  divenir  centro  di  attività  e  di  lavoro 
a'  molti  artefici  in  essa  venuti  non  men  da  tutta  Italia  che  dall'Oriente,  ai 
quali  soprattutto  è  dovuta,  si  ne'  musaici,  che  nelle  sculture,  ogni  opera  e 
rappresentazione  figurata  di  cristiani  soggetti,  dove  l'arte  de'  Musulmani, 
comunque  convertiti,  non  potè  certo  avere  avuto  gran  parte. 

Per  la  qual  cosa,  venendo  alla  scultura,  non  so  in  tutto  esser  d'  ac- 
cordo col  chiarissimo  Amari,  che  non  sia  alcuna  ragione  di  negare  ai  Mu- 
sulmani di  Sicilia  il  lavorio  degli  ornati  in  alto  e  basso  rilievo  ed  in  parti- 
colare de'  capitelli  elegantemente  scolpiti ,  che  ammiriamo  in  vari  monu- 
menti dell'epoca  normanna,  massime  nel  chiostro  di  Monreale  (2).  Consento, 


(  ')  Gaufredi  Monachi,  hb.  Ili,  presso  Caruso,  tom.  I,  pag,  213.  Ed  eccone  il  testo: 

Ccementarios  conducens,  undecumque  aggregai. 
Templi  jacit  fondamenta  in  urbe  Trainica, 
Ad  quod  perstans  avo  brevi  superai. 
Laquearia  tectorum  ligantur  ecclesia. 
Parietes  depinguntur  diverso  bitumine. 
Consecratur  in  honore  Virginis  Puerpera,  etc. 

(2)  Storia  dei  Musulmani  di  Sicilia,  voi.  Ili,  p.  II,  lib.  VI,  cap.  XIII,  pag.  826. 


I    GAGIXI    li    LA    SCULTURA    IN'    SICILIA 


che  nelle  nuove  condizioni,  in  che  quelli  trovaronsi,  mal  si  allegherebbe  in 
contrario  il  supposto  orrore  d'  ogni  fedel  Musulmano  contro  le  imagini 
d'uomini  e  d'animali  ;  e  stimo  anzi,  che  nelle  sculture  decorative,  anche  con 
imagini  di  fantasia  ,  a  decorazione  degli  edifici  da  loro  eretti  siansi  essi 
talvolta  adoprati.  Ala  ne'  capitelli  del  cennato  chiostro  ed  altrove,  dov'è  tanto 
sfoggio  di  rappresentazioni  bibliche  e  di  simboli  cristiani  con  latine  epigrafi, 
anziché  l'arte  musulmana,  sembra  a  me  veder  l'opera  di  artisti  nati  di  schiatte 
italiche,  che,  subendo  anche  in  Sicilia  inevitabili  influenze  da  quella,  con- 
giunse principalmente  alla  rozza  espressione  dell'arte  figurativa  religiosa  un 
tal  sistema  di  barbara  imitazione  dell'  antico  ,  ossia  de'  ruderi  ornamentali 
degli  antichi  romani  edifici,  che  vuole  il  Selvatico  avesse  cominciamento  in 
Lombardia  non  più  tardi  della  metà  del  nono  secolo,  e  continuasse  pei  tre 
susseguenti  nel  Piemonte,  a  Genova,  a  Parma  e  Piacenza,  a  Modena  ed  anche 
in  molte  altre  contrade  della  Romagna,  e  che,  misto  alle  influenze  orientali,  si 
distendesse  poi  da  una  parte  nel  mezzodì  della  Francia,  dall'altra,  trascorrendo 
la  Svizzera,  si  fermasse  in  Normandia,  e  si  allargasse  sul  Reno  e  penetrasse 
in  Inghilterra  con  le  influenze  normanne,  ed  egualmente  colle  stesse  influenze 
si  portasse  a  modificare  l'arabo  e  bizantino  stile  della  Sicilia  (J).  A  tal  si- 
stema di  arte  pertanto ,  per  opera  soprattutto  d'  italiani  artisti  venuti  dalla 
terraferma  neh"  isola  ,  sembra  appartengano  i  capitelli  del  duomo  di  Cefalù 
con  le  fantastiche  loro  figure  in  relazione  al  simbolismo  de'  Bestiarii,  cosi 
in  voga  in  quel  tempo.  Né  pare  altrimenti  sia  del  candelabro  marmoreo  del 
duodecimo  secolo  nella  Cappella  Palatina  di  Palermo  ,  avendo  nella  base 
quattro  leoni  con  varia  preda  (rappresentazione  simbolica  la  più  comune- 
mente adoprata  dinanzi  le  porte  delle  chiese  nel  medio  evo  ,  specialmente 
nell'alta  Italia),  ed  ove  fra  foglie  di  acanto  e  vario  intreccio  di  volatili  e 
quadrupedi  e  figure  umane  imitate  dall'antico  sta  in  mezzo  espresso  in  forme 
ancor  molto  imperfette  il  re  Ruggero  a'  piedi  del  Cristo ,  il  qual  siede  in 
trono  fra  un  nimbo  sorretto  dagli  angeli.  Né  differente  stile  rivelali  gli  or- 
nati co'  simboli  degli  Evangelisti  ncW ambone  della  real  Cappella  medesima, 
e  non  men  le  sculture  di  egual  tempo  nel  chiostro  di  Cefalù,  dove  ancor 
leoncini  accovacciati  si  vedon  posti  a  base  di  alcune  delle  colonne,  men- 
tre poi  al  maggiore  sviluppo  dello  studio  delle  antiche  sculture  ornamentali 


(')  Selvatico,  Sui  simboli  e  sulle  allegorie  delle  parli  ornamentali  nelle  chiese  cristiane  del  medio  evo  dal- 
l'VUI  al  XFIl  secolo;  nel  volume  di  Scrìtti  d'arie  del  medesimo  (Firenze,  1859,  pag.   100). 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAI'.  1.  J 


si  unisce  alcun  miglioramento  di  forme  e  di  espressione  altresì  ne'  sog- 
getti biblici  e  simbolici,  di  che  tanto  innesto  é  nei  marmi  del  chiostro 
monrealese  ,  essendo  ivi  più  che  altrove  congiunte  all'  imitazione  delle  an- 
tiche forme  degli  ornati  pagani  le  rappresentazioni  religiose  del  Cristiane- 
simo con  un  sistema  di  fantastico  ibridismo  ,  naturalissimo  in  artisti ,  che 
non  esercitavano  l'arte  secondo  regole  fisse  e  secondo  tipi  prestabiliti. 

Nell'assoluto  difetto  di  notizie  del  gran  numero  di  scultori,  che  fu  me- 
stieri lavorassero  allora  in  Sicilia ,  qualche  lume  dà  oggi  un'  epigrafe  testé 
primamente  pubblicata  dal  professore  Antonino  Salinas,  egregio  direttore  del 
museo  nazionale  palermitano,  la  qual  così  vedesi  incisa  nella  nona  colonna 
del  lato,  che  guarda  mezzogiorno,  nel  chiostro  di  Monreale  :  EGO.  ROMA- 
NVS.  FILIVS.  CONSTANTINVS.  MARMVRARIVS.  Costui,  siccome  osserva 
quel  dotto  archeologo,  non  sembra  pertanto  sia  da  ritenere  scultore  di  quel 
solo  capitello,  perchè  in  tal  caso  ci  attenderemmo  di  trovare  altri  nomi  di  ar- 
tisti negli  altri,  specie  poi  in  quelli  di  fattura  più  gentile  e  difficile;  e  quindi 
deve  essere  stato  l'artista,  che  avrà  fatto  eseguire  nella  sua  officina  tutti  quei 
capitelli,  o  un  buon  numero  de'  medesimi,  partecipando  con  lo  scalpello  o 
con  la  matita,  non  sappiamo  in  quanta  misura,  al  lavoro  de'  suoi  commessi  ('). 
Pare,  che,  poco  forte  in  grammatica,  egli  abbia  posto  al  caso  retto  il  nome, 
che  dovrebbe  esser  paterno,  di  Costantino,  con  un  errore  non  infrequente 
nei  monumenti  medievali,  quando  la  declinazione  latina  per  l'uso  del  vol- 
gare perdeva  presso  il  popolo  la  sua  efficacia.  Vi  ha  poi  chi  sospetta ,  che 
quel  Romaiuis  possa  più  che  ad  altro  accennare  alla  patria  dell'artefice,  forse 
appartenente  alla  scuola  fiorcntissima  de'  Cosmati  romani.  Ma  le  opere  di 
costoro,  riprende  il  Salinas  ,  non  sono  per  lo  più  che  del  seguente  secolo 
XIII  (2),  laddove  in  vece  il  nome  di  Romciniis  fu  comunissimo  nel  duodecimo 
e  più  tardi  qual  nome  di  famiglia,  ed  inoltre  la  forma  màrmurarius  per  mar- 
morarius  neh1'  epigrafe  monrealese  sembra  per  sé  stessa  escludere  la  proba- 
bilità dell'  origine  romana  dello  scultore.  Comunque  però  ciò  sia  (giacché 
da  quella  sola  non  credo  aversi  elementi  bastevoli  a  precisar  qualche  cosa 
in  proposito),  stimo  soltanto  evidente,  che  nulla  per  fermo  in  esso  si  trovi 


(  '  )  Salixas,  Due  iscrizioni  ce/aiutane  del  secolo  XIII.  Estratte  dall' '^Archivio  storico  siciliano;  nuova  serie, 
.u1..  IV,  Palermo,   1880. 

(2)  Vedi  la  Storia  della  pittura  in  Italia  dal  secolo  II  al  secolo  XVI  per  G.  B.  Cavalcaselle  e  ].  A. 
CaowE.  Firenze,  1875,  vo!.  I,  cap.  Ili,  pag.  150  e  seg. 

3 


I    GAGINT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


di  musulmano,  e  che  in  vece  nel  nome  di  lui  e  nel  paterno  vi  sia  tanto  da 
farlo  sospettare  fondatamente  oriundo  da  italica  schiatta. 

Poi  ci  pervien  sicura  ricordanza  di  due  italiani  fonditori  di  bronzo,  che 
fecero  le  due  porte  del  duomo  di  Monreale,  contemporanee  e  pur  di  molto 
diverso  stile,  nell'una  delle  quali  si  legge  il  nome  di  Bonanno  da  Pisa  con 
l'anno  1186,  nell'altra  quel  di  Barisano  da  Trani.  Non  è  qui  luogo  a  discu- 
tere la  ragione  della  cennata  differenza  di  stile  e  di  artistico  sviluppo  di  esse, 
la  qual  si  dovrebbe  ricercare  anzi  tutto  nelle  diverse  condizioni ,  in  che  i 
due  artefici  si  trovarono;  né  giova  entrare  in  minuziose  disamine  fin  dove 
l' influenza  dell'  arte  ornamentale  musulmana  sia  da  avvertir  nella  porta  di 
Bonanno,  siccome  in  vece  quella  dell'arte  figurativa  bizantina  nella  porta  di 
Barisano.  Notevole  però  più  che  ogni  altro  nel  caso  nostro  è  la  certezza  del 
finto,  che  quei  due  artisti,  di  cui  ci  pervennero  i  nomi  fra'  molti  altri  ignoti, 
che  lavorarono  in  Sicilia  nel  duodecimo  secolo,  indubbiamente  appartengono 
l'uno  all'alta  e  l'altro  alla  bassa  Italia,  porgendo  ciò  maggior  fondamento  ad 
osservare,  che  artisti  italiani  della  terraferma  ebbero  fin  d'allora  a  venir  da 
ogni  parte  nell'isola  a  parteciparvi  a  quell'operosità  singolare  ed  ammirabile, 
che  la  monarchia  de'  Normanni  vi  sviluppò  nelle  arti.  Del  che  in  conferma 
giova  pure  soggiungere  la  certezza  di  vive  relazioni  durate  fra  la  Sicilia  ed  i 
fonditori  pisani  nel  corso  del  seguente  secolo  XIII,  avendosi  ricordo  di  una 
campana  di  già  esistente  in  Ccfalù,  fusa  da  prima  da  un  Lotoringo  da  Pisa 
nel   1263,  siccome  appariva  da  un'epigrafe  in  essa  (J). 

Fa  poi  molto  peso  quanto  osserva  il  Selvatico  dell'ibrido  cennato  sistema 
di  sculture,  strano  accozzamento  d'imitate  classiche  forme  ornamentali  e  di 


(  '  )  Cotale  epigrafe,  pubblicata  dal  prof.  Salinas,  ricavatala  da  alcuni  appunti  intorno  a  Cefalù  raccolti  in 
una  miscellanea  manoscritta  dell' Auria,  conservata  nella  Comunale  di  Palermo  a'  segni  Q.q  D  166,  è  la  seguente: 

Dcmonis  et  venti  vitti  pelle,  cantoque  landes, 

Corpora  viva  voco,  mortila  voce  fico. 

Christus  vincit,  Chrìstus  regnai, 

Christus  imperai. 

Francisca  vocor. 

Lotoriugbus  de  Pisis  vie  feci t  anno  Dui.   126}. 

Matteus  Arcua  me  refeci t  anno   iji>. 

«  Parole  della  campana,  ch'è  nella  chiesa  di  S.  Antonino  de'  padri  di  S.  Francesco  della  Scarpa  in  Ce- 
falù; la  quale  campana,  perchè  si  ruppe,  si  fonde  di  nuovo,  ch'è  la  terza  volta,  a  20  di  febbraio  1649,  e  fu 
battezzata  da  monsignor  D.  Marco  Antonio  Gussio  da  Nicosia ,  vescovo  di  Cefalù,  e  le  fu  posto  nome  di 
Francesca  Antonina.  » 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  I. 


simboli  e  rappresentazioni  cristiane,  quale  non  può  negarsi  avere  altresi  non 
lieve  riscontro  in  que'  secoli  ne'  sacri  edifici  del  Settentrione  d'Italia  ed  in 
quelli  della  Sicilia,  dove  più  prevalga  all'  elemento  musulmano  l' elemento 
religioso  e  latino.  Che  se  cotal  sistema  già  notasi  prevalere  in  Lombardia 
insino  dal  nono  secolo  e  poi  a  grado  a  grado  estesamente  diffondersi ,  non 
sarà  strano  il  sospetto,  che,  sparse  per  ogni  dove  industriose  colonie  di  Lu- 
ganesi  e  di  Comaschi,  che,  discendendo  direttamente  da'  maestri  comacini  dei 
tempi  dei  re  longobardi,  vivevano  del  mestiere  di  muratori  e  di  scarpellini  fino 
da'  primi  secoli,  ancor  non  pochi  di  costoro  si  fossero  trasferiti  in  Sicilia 
ad  applicarvisi  specialmente  in  lavori  di  ornamentale  scultura,  quando  l'opera 
loro  dovea  tanto  più  essere  ricercata  ed  accetta  in  ragion  della  somma  at- 
tività allor  bisognevole  in  qualsiasi  genere  di  arte,  e  quando  più  frequenti 
e  numerose  immigrazioni  avean  luogo  dall'Italia  di  sopra  in  Sicilia,  e  spe- 
cialmente di  genti  lombarde. 

Colà  (siccome  a  ragione  osserva  l'Amari),  contrariamente  che  nella  bassa 
Italia  soggetta  ai  Normanni,  la  feudalità  si  disfaceva  appunto  in  quel  tempo, 
senza  che  fossero  per  anco  assettati  i  Comuni  :  donde  i  membri  infermi  del- 
l'uno e  dell'altro  ordine  sociale,  agitati  da  mille  rivolgimenti  d' indole  iden- 
tica e  di  apparenze  diverse,  volentieri  tentavano  la  fortuna  in  paesi  nuovi, 
e  senza  ostacolo  vi  si  trasferivano  (I).  E  noto  in  fatti  siccome  fin  da  prin- 
cipio i  cinquecento  Normanni  acconciatisi  agli  stipendii  di  Salerno  e  di  Monte 
Cassino,  avanzo  de'  tremila  passati  in  Italia,  non  crebbero  che  insiem  per 
gente  di  lor  sangue,  che  cercava  oltralpe  fortuna,  e  per  uomini  facinorosi 
arruolati  nella  Lombardia  propria  e  nell'Italia  inferiore,  i  quali  ne  prendevano 
i  costumi  e  la  lingua.  Non  v'ha  poi  chi  ignori  le  grosse  colonie  lombarde, 
le  cui  spicciolate  ma  numerose  emigrazioni  si  assegnano  fra  gli  ultimi  ven- 
ticinque anni  dell'  undecimo  secolo  e  i  primi  venticinque  del  duodecimo  : 
colonie  di  genti  affatto  diverse  da  quelle  dell'Italia  meridionale,  che  Longo- 
bardi si  appellarono,  dacché  i  Bizantini,  ripresa  ivi  parte  de'  Ducati,  ne  avean 
fatto  un  tema,  detto  Longobardia.  Per  la  qual  cosa  Pietro  Diacono  evidente- 
mente distingue  Lombardi  e  Longobardi;  e  non  men  chiaramente  il  Falcando 
denota  gli  uni  abitatori  della  Sicilia,  gli  altri  di  provincie  continentali  d' Ita- 
lia,   dissipando  il  supposto  di  molti  eruditi,    fra'    quali   anche  il  Gregorio, 


(')  Amari,  Storia  dei  Musulmani  di  Sicilia,  voi.  Ili,  p.  I,  lib.  V,  cap.  Vili,  pag.  222. 


5©  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


che  i  Lombardi,  non  men  che  dalle  sponde  del  Po,  fosser  venuti  in  Sicilia 
dal  Mezzogiorno  della  penisola.  Rileva  intanto  l'Amari  le  strette  relazioni 
avutesi  allora  fra  la  Marca  aleramica  e  la  Sicilia  per  cagion  di  Adelaide,  ultima 
moglie  del  conte  e  madre  del  re  Ruggero,  laddove  anche  un  Arrigo,  fratel 
di  lei,  ricordato  nei  diplomi  siciliani,  al  par  che  nei  piemontesi,  ebbe  poscia 
alto  stato  nell'isola,  e  molta  nobil  gente  vi  dovè  quinci  esser  venuta.  La- 
onde, benché  non  ancor  si  sia  giunti  a  determinare  esattamente  i  tempi  ed 
i  luoghi  dell'emigrazione,  di  cui  qui  è  discorso  (il  che  molto  è  a  sperare 
dal  maggiore  sviluppo  degli  studi  comparativi  della  linguistica  a  rilevar  le 
strette  attinenze  esistenti  fra  il  dialetto  monferrino  e  il  lombardo  con  la 
parlata  ancor  viva  de'  comuni  di  lombarda  origine  in  Sicilia ,  e  non  meno 
da'  nomi  propri  e  topografici  e  dalla  illustrazione  di  maggior  copia  di  an- 
tichi documenti),  si  può  ben  fin  da  ora  fermamente  posare  il  fatto,  che 
nei  tempi  normanni  numerose  colonie  mossero  a  mano  a  mano  dall'Italia 
superiore  e  qua  e  là  vennero  a  stanziar  soprattutto  nelle  interne  regioni 
della  metà  orientale  dell'  isola,  dove  tuttavia  Piazza,  Aidone,  Nicosia  e  San- 
fratello  ne  serbano  nel  parlare  le  più  evidenti  vestigia. 

Di  artisti  di  tal  gente,  venuti  allora  con  essa,  mancano  però  affatto  fin 
ora  documenti  e  memorie  del  tempo ,  siccome  generalmente  mancano  di 
ogni  maniera  di  artefici ,  che  sì  operosamente  attesero  in  Sicilia  a  tanto 
immensa  quantità  di  lavori.  Ma  che  ne  fosser  venuti  è  ben  agevole  sospet- 
tarlo in  riguardo  a'  paesi,  da  cui  mossero  quelle  colonie,  dove,  siccome 
cennammo,  fu  antico  nido  di  muratori  e  scarpellini,  che  poi  sempre  in  gran 
numero  e  per  varie  generazioni  in  vari  tempi  per  tutta  l'Europa  si  diffusero, 
avendosi  più  tardi  certezza  del  lor  predominio  sull'arte  in  quest'isola  dal 
mezzo  allo  scorcio  del  quintodecimo  secolo.  Certo  è  però,  che  ancor  nei 
famosi  edifici  eretti  da'  re  normanni  o  nel  loro  tempo,  in  mezzo  all'im- 
mensa profusione  di  ornati  di  gusto  e  lavoro  musulmano,  è  d'uopo  altresì 
talora  notare,  specialmente  nelle  opere  di  ornamentale  scultura,  quel  diverso 
elemento  di  sentire  e  di  gusto,  il  qual,  non  avendo  riscontro  con  l'arte  a- 
rabica,  sembra  che  non  derivi  se  non  dall'  influenza  dell'  arte  settentrionale, 
la  qual  di  leggieri  le  molte  genti  venute  dall'alta  Italia  poterono  ben  allora 
avere  quaggiù  introdotto. 

Xon  mancò  poi  per  fermo  cotale  influenza  di  vivamente  seguire  e  svilup- 
parsi nell'arte  sotto  gli  Svevi,  allorché  tanto  più  crebbero  i  rapporti  col  Setten- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  I.  I  I 


trionc,  e  la  corte  di  Federico  in  Sicilia  fu  aperta  al  fiore  della  civiltà  di  Europa, 
onde  ancor  di  quei  tempi  fu  detto,  che  «  la  gente,  eh'  avea  bontade,  veniva 
«  a  lui  da  tutte  le  parti,  perchè  l'uomo  donava  molto  volentieri  e  mostrava 
«  belli  sembianti;  e  chi  aveva  alcuna  speciale  bontà  a  lui  venivano  :  trova- 
dori,  sonatori  e  belli  parlatori,  uomini  d'arti ,  giostratori,  schermitori,  di 
«  ogni  maniera  genti  (*).  »  Laonde  di  artisti  di  fuori  venuti  non  ebbe  anche 
allora  ad  esser  penuria  nell'isola.  Ben  è  vero,  che  al  dileguarsi  delle  popo- 
lazioni musulmane  l' architettura  generalmente  rimaneva  in  mano  a  Sici- 
liani, che  forse  da  quelle  discendevano  o  erano  stati  in  intimi  rapporti  con 
esse;  e  però  1'  eminente  carica  di  preposito  degli  edifici  non  vediamo  affidata 
dall'imperator  Federico  che  ad  un  Riccardo  da  Lentini,  che  diede  opera  al- 
lora a  gran  numero  di  costruzioni  militari,  come  i  castelli  di  Agosta  ,  Si- 
racusa, Caltagirone,  Milazzo  e  Catania  (2).  Vero  è  altresì,  che  nel  carattere 
dell'architettura  di  Sicilia  insino  al  cadere  del  decimoquarto  secolo  rimane 
ancor  molto  de'  tempi  anteriori,  giacché  le  tracce  dell'arte  musulmana  non 
poteron  di  un  tratto  venire  colà  cancellate,  dov'  essa,  fondendosi  a  tutt'altri 
elementi  e  sopra  tutti  ognor  prevalendo  ,  avea  tenuto  si  lungo  ed  esteso 
dominio.  Ma  nella  parte  decorativa,  e  specialmente  negl'intagli  e  nelle  scul- 
ture architettoniche  ornamentali,  non  mai  vien  meno  quella  maniera  diversa 
di  arte,  la  quale,  anziché  discendere  dall'orientale  profusione  degli  arabeschi, 
dimostra  ben  altre  origini  ed  assoluta  differenza  di  carattere  e  d'indole,  non 
avendo  riscontro  se  non  col  sistema  d'ibrido  simbolismo  e  di  barbara  imi- 
tazione del  classico,  che  si  prevalse  in  Lombardia  nell'epoca  stessa,  e  che, 
sempre  più  innestatosi  alle  forme  teutoniche  e  settentrionali,  si  propagò  e 
diffuse  dovunque.  A  cotale  arte  appartiene,  attribuita  da  alcuni  ad  opera  di 
Federico  di  Svevia,  la  sontuosa  decorazione  marmorea  dell'arco,  che  servi 
di  maggiore  ingresso  al  duomo  insino  al  1734,  indi  al  palazzo  comunale, 
ed  or  dal  1750  adorna  la  porta  della  chiesa  del  Santo  Carcere  in  Catania. 
Quell'arco  é  singolare  esempio  del  sesto  a  pieno  centro  in  un  tempo,  in 
che  da  per  tutto  in  Sicilia  ancor  dominava  l'acuto,  e  mostra  in  tal  caso  il 
prevalere  di  un'arte  ornamentale  diversa  sopra  il  sistema  architettonico  ge- 


(  1  )  Nella  ventesima  delle  Cento  Vovelle  lAntiche. 

(2)  Vedi  Huillard-Bréholles,  Historia  diplomatica  Friderici  scarnili  (Parisiis ,  1857,  toni.  V,  p.  I,  an. 
1239,  pag.  509)  e  Di  Marzo,  T)elle  belle  arti  in  Sicilia  dai  Normanni  alla  fine  del  secolo  XIV  (Palermo,  1858, 
voi.  I,  lib.  IV,  pag.  309  e  seg.). 


12  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


neralmentc  invalso  nell'  isola  :  oltreché  quel  congegno  concentrico  e  pro- 
spettico di  quattro  ordini  di  stipiti  a  scena  con  colonnine  faccettate  a  qua- 
dretti, ovvero  striate  a  ^4r-^r,  su  cui  nel  modo  stesso  svolgesi  l'arco  al  di 
sopra  fra  varie  simboliche  figure  per  lo  più  di  animali  dall'un  lato  e  dal- 
l'altro  ricorrenti  sull'architrave,  rivela  uno  stile  in  gran  parte  conforme  a 
quello  di  non  poche  analoghe  decorazioni  di  edifici  di  quel  tempo  nel  Set- 
tentrione d'Italia. 

Indi  al  total  dileguarsi  di  ogni  elemento  musulmano  e  bizantino  nei 
sacri  e  civili  edifici  dell'  isola  ne'  tempi  posteriori  acquistan  sempre  più 
campo  le  forme  decorative  settentrionali.  Il  fregio  ad  angoli  salienti  e  rien- 
tranti, usato  in  Francia  ed  in  Inghilterra  col  nome  di  chcvron  o  \ig-zag  e  già 
comparso  in  Sicilia  insili  da'  tempi  normanni,  primeggia  in  essa  al  trecento 
negli  archi  delle  porte  dei  templi  e  delle  finestre  dei  baronali  palagi  con 
altre  parti  accessorie  ,  che  apertamente  dimostran  le  nuove  influenze.  Le 
occidentali  facciate  delle  chiese  presentano  di  frequente  fra  la  porta  ed  il 
frontispizio  le  magnifiche  rose  caratteristiche  dello  stile  lombardo ,  di  che 
specialmente  la  chiesa  di  S.  Agostino  in  Palermo  appresta  bellissimo  esem- 
pio. Rivelasi  ad  un  tempo  nella  sua  maggior  profusione  di  ornati,  con  molte 
figure  e  bibliche  e  simboliche,  lo  stile  acuto  o  composto  nella  porta  mag- 
giore del  duomo  di  Messina,  opera  sontuosa  di  epoca  aragonese,  conti- 
nuata più  tardi  e  fornita  sul  teutonico  stile  di  quella  del  duomo  di  Napoli 
con  tanto  sfoggio  di  decorazioni  marmoree  da'  lati  e  con  quella  stupenda 
piramide  sull'arco,  dov'è  pure  evidente  il  lavoro  d'italiani  scalpelli.  Gli  orna- 
menti però  a  trafori,  a  frastagli,  a  viticci  di  gusto  settentrionale  non  mancano 
di  aver  luogo  nell'  alto  de'  vani  delle  porte  e  delle  finestre  ,  binate  queste 
sovente  ed  anche  talor  divise  in  tre  vani  da  lunghe  e  sottili  colonnine  in- 
termedie, mentre  poi  l'arco  acuto  a  grado  a  grado  finisce  per  cedere  affatto 
il  campo  all'  arco  scemo ,  e  non  meno  agli  archetti  a  modanature  e  fuse- 
ruoli  molteplici  nelle  decorazioni  esterne  degli  edifici.  Ne  danno  fra  gli 
altri  esempio  gli  avanzi  del  magnifico  campanile  della  maggior  chiesa  di 
Piazza  Armerina ,  antica  colonia  de'  Lombardi  nell'  isola ,  e  parimente  nel 
duomo  di  Palermo  il  sontuoso  portico,  eretto  nella  seconda  metà  del  quin- 
todecimo secolo  dall'  arcivescovo  Simone  Bologna ,  dove  nell'  ampia  su- 
perficie del  frontispizio  centrale  è  grande  sfoggio  di  ornati  a  finti  trafori 
in   basso  rilievo,  che  han  molto  riscontro  di  stile  co'  reali  trafori  della  gran 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.   I.  13 


finestra  archiacuta  a  vani  geminati  dell'  epoca  stessa  ,  unico  più  notevole 
avanzo  del  contiguo  palazzo  arcivescovale.  Ed  è  poi  ammirabile  esempio  del 
passaggio  dalle  scadenti  forme  archiacute  al  nuovo  stile  italiano  del  risorgi- 
mento la  chiesa  di  S.  Maria  la  Catena  in  Palermo  col  suo  bellissimo  por- 
tico rettangolare  ad  archi  di  sesto  scemo,  che  ancor  prevalgono  nella  nave 
al  di  dentro  ,  essendovi  1'  acuto  soltanto  serbato  alle  tre  absidi  ,  laddove 
nelle  diverse  grandi  arcate  del  santuario  è  una  gradazione  notevole  del  pro- 
gressivo ampliarsi  del  sesto.  Ivi  ,  nelle  eleganti  decorazioni  ad  intaglio  del 
portico,  de'  muri  laterali  e  degli  ornatissimi  emicicli  della  parte  posteriore 
all'esterno,  comunque  si  deturpata  dal  vandalico  addossamento  di  altre  fab- 
briche, appare  già.  il  gusto  dell'arte  italiana,  che  sempre  più  tende  a  scio- 
gliersi e  svilupparsi  dalle  forme  medievali ,  e,  benché  molto  ancora  parte- 
cipe del  teutonico  stile  negli  ornamenti,  riesce  nel  tutt'  insieme  degli  edi- 
fici ad  una  originalità  singolare  di  effetto.  Lo  stesso  dicasi  de'  sontuosi 
palazzi  Abatelli  ed  Aiutamicristo  in  Palermo  e  di  tanti  altri  edifici  del  quat- 
trocento in  Sicilia,  dove  in  confronto  a  quelli  dell'età  precedente,  come  son 
gli  altri  due  grandi  palagi  eretti  altresì  in  Palermo  al  trecento  dalla  feudale 
potenza  de'  Chiaramonte  e  dello  Sclafani,  si  vede  un  essenzial  mutamento 
nello  sviluppo  di  nuove  forme,  che  scemano  e  poi  tolgono  affatto  il  pre- 
dominio allo  stile  acuto,  fin  dianzi  tenuto  in  onore,  e  mostrano  un  saisto 
ed  un'indole  di  arte ,  la  quale  ,  partecipando  delle  forme  lombarde  e  delle 
tedesche,  non  men  che  delle  tradizioni  architettoniche  speciali  della  Sicilia, 
non  è  un'  architettura  in  tutto  propria  di  essa  ,  ma  sembra  aver  sovente 
sentito  vive  influenze  dalle  superiori  contrade  d'Italia.  Sostengo  quindi  so- 
prattutto non  esser  lungi  dal  vero  il  pensare  ,  che  la  Lombardia ,  da  cui 
tante  colonie  immigraron  nell'  isola  insin  da'  tempi  della  normanna  con- 
quista, e  da  cui  (siccome  sarà  chiaro)  architetti,  intagliatori  e  scultori  in 
gran  numero  è  certo  aver  fatto  passaggio  in  essa  nel  quattrocento,  non  sia 
mai  cessata  di  aver  più  o  meno  influito  in  Sicilia  sull'arte,  siccome  quella, 
che  fu,  com'è  noto,  la  culla  delle  associazioni  de'  liberi-muratori,  l'opera 
dei  quali  per  ogni  parte  si  estese  dove  la  chiesa  latina  esercitò  la  sua  morale 
potenza,  dalle  sponde  del  Baltico  a  quelle  del  Mediterraneo. 

Non  dico  io  già,  che  dal  tredecimo  a  tutto  il  quintodecimo  secolo 
fosser  mancati  in  Sicilia  architetti  e  scultori  indigeni,  de'  quali,  non  ostante 
la  scarsità  ed  incertezza  di  artistiche  memorie  di  que'  tempi,  ci  è  traman- 


14  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


dato  ancor  qualche  nome.  Laonde,  dopo  il  Riccardo  da  Lentini  dianzi  ac- 
cennato, preposito  degli  edifici  del  regno  al  tempo  di  Federico  di  Svevia,  dà 
il  Fazello  notizia  di  un  Perribono  Calandrino  da  Corleone,  architetto  abi- 
lissimo ,  vissuto  verso  la  metà  del  trecento  e  che  dalle  fondamenta  eresse 
la  fortezza  detta  de'  Patitari  (')  :  oltreché  parimente  da  antiche  croniche 
sappiam  di  un  Alberto  milite,  che  nel  1328  fu  incaricato  della  costru- 
zione di  baluardi  e  di  muraglie  in  Palermo,  e  poi  di  un  Andrea  Altilia  , 
cui  simigliarne  incarico  fu  poco  appresso  attribuito  nel  1335  (2).  Pur 
non  si  ha  certezza  alcuna,  che  questi  due  ultimi  sieno  stati  nativi  dell'  i- 
sola.  Parimente  non  rimane  indizio  della  patria  di  un  Antonio  Gambara, 
che  nel  1426  scolpì  ad  Ubertino  de  Marinis,  arcivescovo  di  Palermo,  con 
gran  profusione  di  ornati  e  sullo  stile  del  tempo,  la  gran  decorazione  mar- 
morea della  porta  meridionale  del  duomo,  lasciandovi  encomiato  il  proprio 
nome  in  una  iscrizione  ancora  esistente  (3);  né  pur  ci  è  nota  l'origine  di 
un  Francesco  Miranda,  il  quale  sci  anni  appresso,  nel  1432,  intagliò  con 
assai  pregevol  lavoro  le  imposte  in  legno  di  quella  porta  medesima  ,  sic- 
come due  distici  latini  vi  accennano  (-+).  È  però  innegabile,  che  alla  Sicilia 
appartenga  un  architetto  Anastasio  siciliano  ,  del  quale  con  lor  decreto  del 
26  ottobre  del  1470  il  governatore  e  gli  anziani  di  Genova  concedevano 
a'  padri  del  comune  facoltà  di  valersi  pei  lavori   di  quel  molo,  mercè  una 


(')  T)e  rebus  siculis.  Panormi,  1560,  dee.  II,  lib.  IX,  cap.  V,  pag.  546. 

(2)  Ne  è  ricordo  in  un  manoscritto  miscellaneo  di  I^Loti^ie  varie  di  Talermo,  di  mano  del  Mongitore, 
nella  Biblioteca  Comunale  palermitana  a'  segni  Q.q  C  3,  nel  quale  a  pag.  26  si  legge:  Nel  i}2S  ^Alberto  mi- 
lite statuto  per  la  fabrica  delle  mura  e  bastioni  (Chron.  ms.  cavata  da'  libri  del  Senato).  Nel  i}j;  Andrea  Al- 
tilia deputato  per  ristorare  le  mura  della  città  del  quartiere  di  Siralcadi  (Ex  ms.  cit.). 

(  5  )  Tale  iscrizione,  compresa  in  otto  esametri  latini,  è  notissima,  e  non  giova  qui  riportarla.  Credo  utile 
in  vece  aggiungere  uno  strumento  da  me  trovato  negli  atti  di  notar  Giacomo  Randisi  nell'archivio  notariale 
palermitano  (an.  1459-63,  ind.  VIII-XI,  num.  1552),  dov'è  memoria  di  un  muratore  maestro  Giovanni  Gam- 
bara, che  molto  probabilmente  appartenne  alla  famiglia  stessa  di  Antonio.  Ed  ecco  pertanto  :  Die  xxvj  ejus- 
mensis  lectehbrii  (Vili  ind.  1459).  Magister  Johannes  de  Ganbara,  civis  Tanormi,  fabrìcator,  presati  co- 
rani nobis,  sponte  promisit  et  se  sollemnìter  obligavit  venerabili  domino  Chicco  de  la  Torta,  canonico  panormitano, 
presenti  et  stipulanti  ab  eo  prò  parte  et  nomine  reverendissimi  domini  archiepiscopi  panormitani,  prò  quo  de  rato 
promisit  etc,  Jacere  et  fabricare  quamdam  feuestram  bene  et  magistraliter  ad  modum  et  formavi  proni  facit  quam- 
dam  aliarti  feuestram  magnifici  Joannis  librerà  prò  unciis  qualuor  et  tarerai  xv  p.  g.  etc. 
(  4  )  Jam  quadringenti  ter  deni  mille  duobm 

cNJata!em  cedunt  post,  pie  Christe,  tuum, 
[Miranda  pruderli,  Franciscus  nomine,   Castris 
xAd  mare  cum  cultas  edidil  arte  fores. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  I.  Ij 


annua  retribuzione  di  lire  200  in  250,  oltreché  indi  a'  31  del  mese  istesso 
destinavan  quattro  soggetti,  che  insieme  a'  detti  padri  prendessero  ad  esa- 
minare i  disegni  già  presentati  a  tal  uopo  (!).  Né  guari  innanzi  coltivò 
in  patria  1'  architettura  il  dotto  frate  Salvo  Cassetta  de'  Predicatori ,  paler- 
mitano, il  qual,  peritissimo  nello  studio  delle  matematiche,  architettò  l'antica 
chiesa  di  S.  Domenico,  di  cui  nel  1458  fu  gittata  la  prima  pietra  dall'arcive- 
scovo Simone  Bologna,  essendo  provinciale  dell'ordine  Pietro  Ranzano,  sic- 
come attestava  in  quella  un'  iscrizione,  serbataci  dal  Cannizzaro  e  dal  Pirri, 
dov'è  memoria  del  frate  architetto  (2).  Ma  non  pare,  che  indi  egli  abbia  più 
avuto  occasione  di  esercitare  quell'arte,  giacché,  trasferitosi  in  Roma,  dove 
le  più  alte  incumbenze  gli  affidò  il  pontefice  Sisto  IV,  vi  mori  nel  1483, 
quando  già  stava  per  conseguire  la  porpora  (3).  Né  più  rimane  vestigio 
della  chiesa  da  lui  costruita  in  Palermo,  giacché  posteriormente  venne  rifatta 
di  pianta.  Certo  però  allora  primeggiò  molto  in  Sicilia  fra  gli  architetti  costrut- 
tori e  decoratori  un  Matteo  di  Carnevale  ,  di  cui  primo  il  barone  Raffaele 
Starrabba  pubblicò  un  documento  in  data  di  Palermo  il  2  giugno  del  1490, 
onde  Giovanni  Casada,  Niccolò  di  Galizia,  altrimenti  di  Palazzolo,  ed  An- 
tioco di  Cara ,  maestri  fabbricatori ,  si  obbligarono  al  magnifico  Guglielmo 
Aiutamicristo ,  barone  delle  terre  di  Calatafimi  e  di  Misilmeri ,  di  eseguire 
e  far  eseguire  ogni  opera  d'intaglio  in  pietra,  che  lor  verrebbe  da  lui  stesso 
affidata,  ovvero  dall'onorevole  Matteo  de  Carnilivari,  capo  maestro  dell'e- 
dificio in  costruzione  della  gran  casa  di  quello  nella  via  di  porta  di  Ter- 
mini, dovendo  essi  specialmente  tutta  intagliarne  la  facciata  principale  e  le 
altre  facciate  ,  e  non  meno  le  porte,  le  finestre,  gli  archi  ed  ogni  opera,  a 
volontà  e  richiesta  del  detto  magnifico  e  del  cennato  suo  capo  maestro  (•*). 
È  chiaro  pertanto  essere  stato  costui  l'architetto  del  sontuoso  palazzo  Aiu- 
tamicristo, laddove  ognun  sa,  che  col  semplice  nome  di  capi  maestri  insino 
a  tempi  non  lontani  si  addimandavano  gli  architetti  in  Sicilia;  ed  inoltre  da 


(')  Ne  è  contezza  da  un  Elenco  dei  documenti  artistici  raccolti  per  cura  del  prof.  Santo  Varni.  Geno- 
va, 1861,  pag.  19  e  20. 

(*)  Anno  Tini.  MCCCCLVIII,  XVII  kalendas  januarii,  pont.  max.  Pio  II,  rege  divo  Joanne, prorege  Lupo 
Ximenio,  magistro  ordinis  Praed.  f.  Michaele  ^iuribcllo,  provinciale  f.  Petro  Iraniano,  Simon  'Bononius,  panhor- 
mitanus  antistes,  jecit  primum  huius  aedificii  lapidem;  architectus  f.  Salvili  Ca\epta. 

(  3  )  Mongitore,  Bibliotheca  siculo.  Panormi,  1 708,  tom.  I,  pag.  207  e  seg. 

(4)  Vedi  il  cennato  documento,  riguardante  II  palalo  Aiutamicristo,  né!' Archivio  storico  siciliano  (Pa- 
lermo, 1874,  an.  II,  pag.  89-94). 


l6  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

altri  documenti  or  da  me  rinvenuti  risulta ,  ch'egli  era  Siciliano,  nativo  di 
Noto,  e  che  parimente  eresse  in  Palermo  i'  altro  non  mcn  sontuoso  palazzo 
Abbatelli  (poi  convertito  nell'odierno  monastero  di  S.  Maria  della  Pietà)  (*), 
rimanendo  fra  gli  altri  un  atto  in  data  del  6  febbraio  del  1488,  per  cui  Ga- 
briele di  Battista  ed  Andrea  Mangino  ,  marmorai  lombardi ,  vendettero  al 
detto  Matteo  non  men  che  cinquantaquattro  colonne  di  marmo  con  lor 
capitelli  e  basi  ed  ornamenti  opportuni ,  da  servire  alla  fabbrica  della  gran 
casa  del  magnifico  Francesco  degli  Abbatelli,  maestro  portolano  del  regno  (2). 
E  dopo  il  detto  Carnevale  dovetter  seguire  a  mantenersi  in  onore  nella 
città  stessa  di  Noto,  che  fu  sua  patria,  le  gloriose  tradizioni  dell'arte,  com- 
mendando altamente  il  Littàra  un  Giovanni  Manuella ,  architetto  netino, 
venuto  in  gran  rinomanza  nel  declinar  del  XV  e  nel  sorger  del  secolo  ap- 
presso, allorché  i  molti  edifici,  alla  cui  erezione  fu  egli  preposto,  destarono 
universale  ammirazione  in  Sicilia,  e  che  diede  opera  in  patria  a  decorazioni 
elegantissime  di  cappelle,  e  specialmente  di  una  del  Crocifisso,  non  meno 
che  alla  fabbrica  di  una  gran  torre  di  campanile,  fornita  nel  15 14,  la  qual 
da  un  lato  vedevasi  poggiar  su  di  un  ponte  con  modo  di  struttura  vera- 
mente arduo  e  mirabile  (>).  Ma  indarno  a'  dì  nostri  si  cercherebbero  si 
notevoli  opere,  giacché  dell'antica  Noto,  dopo  i  tremuoti  del  1693,  non 
rimasero  che  miserande  ruine,  ed  ora  in  altro  sito  sorge  l'odierna  città  di  tal 
nome  :  né  altrove  alcun  edificio  vien  oggi  indicato  come  sicura  opera  di 
quel  valente  artefice  fra'  tanti,  che  pure  è  certo  aver  egli  architettato  in  più 
luoghi. 

Nondimeno ,    per   quanto  vivamente   avesser   concorso    gli    artisti  del 


(!)  Nel  registro  di  num.  1160  bis,  contenente  gli  atti  di  notar  Giacomo  Randisi  degli  anni  1490  e  91, 
indiz.  VIII-IX,  nell'archivio  de'  notari  defunti  in  Palermo,  è  uno  strumento  del  di  14  giugno  Vili  indiz. 
(1490),  per  cui  Honorabilis  magistér  SMatheus  de  Carnilivari  de  terra  'Notisi  vendette  ad  un  giudeo  Giuseppe 
Bonet ,  cittadino  palermitano,  una  mula  di  pelo  morello  pel  prezzo  di  onze  cinque,  di  cui  la  metà  il  detto 
Giuseppe  dovea  pagargli  a  semplice  richiesta,  e  l'altra  metà  si  obbligava  scontare  ad  portcìndum  arenavi  bonam 
ad  electionem  dirli  magistri  Malhei  cimi  illius  bestiis  ad  fabricam  doiiius  magistri  portolani,  prope  grancliiam  Sancte 
Marie  de  Jesu ,  etc.  E  parimente  nello  stesso  registro  è  un  altro  atto  del  io  febbraio  Vili  indiz.,  onde  un 
maestro  Antioco  di  Cara,  fabbricatore,  cittadino  palermitano ,  si  obbligò  al  detto  maestro  Matteo  de  Carnili- 
vari, de  terra  Nothi,  ad  fabricandum,  intaglandum  et  muranàum  sub  eo  et  ami  ipso,  tamquam  capiti  magistrorum 
infrascripte  fabrice,  in  domo  magna,  quam  de  novo  construit  et  edificat  magnificus  dominus  Giiiìlelinus  de  Ayu- 
tamichristo ,  et  in  alia  quavis  fabrica,  anno  uno  continuo  et  completo,  etc. 

(2)  Trovasi  tale  atto  nel  citato  registro  di  num.  11 60  bis  di  notar  Giacomo  Randisi,  ed  ha  luogo  pure 
in  appresso  fra  gli  atti,  che  riguardano  i  detti  due  marmorai  o  scultori,  fra'  "Documenti  di  quest'opera. 

(!)  Littarae  (Vincentii),  T>c  rebus  netinis  liber.  Panormi,  MDXCIII,  pag.  149. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  I.  17 

paese  all'operosità  ed  all'incremento  delle  arti  in  quei  secoli,  non  è  da  porre 
in  dubbio,  che  la  Sicilia,  siccome  centro  e  capo  di  relazioni  politiche  e  com- 
merciali con  tutti  gli  altri  stati  d'Italia  e  di  Europa  nell'alta  sua  condizione 
di  regno  e  di  stato  autonomo ,    fu   aperta  ad  artisti   in   gran  numero  ,  che 
non  sol  da  ogni  parte  della  penisola,   ma   ancor  da  più  lontano   venivano 
a  farvi  soggiorno,  spinti  dalla  copia  di  lavori,  che  vi  trovavano,  e  da  mi- 
gliori fortune  che  altrove.  Né  poteva  essere  altrimenti  in  terra  siffatta,  dove 
i  più  vivi  sentimenti  di  fede  religiosa    e    di   amore    ed    orgoglio   di  patria, 
energicamente  sostenuti  dall'autorità  somma  del  clero  e  dalla  potenza  del- 
l'aristocrazia feudale,  tenevan  sempre  alle  arti  dischiuso  un  campo  ben  op- 
portuno ad  esercitarsi    e   progredire   co'  più  splendidi  mezzi    e    la   più  alta 
estimazione  ,  non  men  che  dinanzi  era  stato  sin  da'   Normanni.  Sciagura- 
tamente  però   per   tutto   il   tempo   della   dominazione   degli   Svevi ,   e   poi 
anche  di  quella  dell'Angioino,  non  altrimenti  che  per  l'età  anteriore,    è  da 
lamentare    un    quasi  assoluto  difetto    di    documenti    contemporanei  intorno 
alle  arti  ed  agli  artefici,  sien  essi  indigeni  o  stranieri,  che  più  si  distinser 
nell'  isola,  giacche,  tranne  del  mentovato   architetto  Riccardo   da  Lentini  e 
di  un  Pagano  Balduino  messinese  ,    maestro    della    zecca    di  Brindisi  sotto 
l'imperator  Federico  nel  1221,  ed  anche  di  un  Giovanni  Panittera,  il  cui  nome 
con  l'anno  1240  è  stato  testé  scoperto  nella  facciata  del  duomo  di  Cefalù  (J), 
non  trovasi  di  altri  ricordo.  Par  tuttavia  evidente,  che  un  Leone  Cumier,  di 
straniero  cognome,  non  so  se  francese,  o  provenzale,  o  mon  ferrino,  o  veneto, 
o  lombardo,  abbia  nel  tredecimo  secolo  costruito  a  dodici  arcate  in  Randazzo 
la  sontuosa  chiesa  di  S.  Maria,  siccome  appare  da  una  coeva  iscrizione  in  e- 
sametri  latini  ivi  apposta,  che,  letta  e  illustrata  dal  Buscemi,  lascia  discutibile 
e  incerta  la  data  dell'  anno,  ch'egli  a  ragione  inclina  a  credere  il  1222,  laddove 
un'  altra  iscrizione   pur  ivi  esistente ,    benché   non  da  lui  riportata ,    afferma 
poi  compiuta  quell'opera  nel  1239  (2).  Ma  del  cennato  Leone,  che  par  sia 


(')  Chi  sale  sul  portico,  che  sta  innanzi  alla  detta  facciata,  trova  scolpita  nell'  ordine  inferiore  di  archi 
della  medesima,  e  propriamente  nella  seconda  arcata  a  destra  del  finestrone  centrale,  l' iscrizione  seguente,  la 
quale  assai  probabilmente  si  riferisce  a  notevoli  restauri  allora  colà  compiuti:  anno  dominice  incamacionis  MCCXL 
mense  augusti  XIII  indictionis,  per  manus  Jobaunis  Panicterae.  Ed  è  stata  essa  teste  primamente  pubblicata  dal 
professore  Antonino  Salinas  nella  nuova  serie  dell'  Archivio  storico  siciliano  (Palermo,  1880,  an.  IV,  pag. 
333  e  seg-)- 

(2)  Cosi  legge  il  Buscemi  la  prima  iscrizione  in  un  suo  scritto  Sopra  una  lapide  della  maggior  chiesa  di 


l8  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

stato  l'architetto  di  quella  chiesa  ed  uno  probabilmente  de'  vari  stranieri  ve- 
nuti dal  di  fuori  ad  esercitar  l'arte  in  Sicilia,  non  rimane  più  oltre  notizia. 
Difettano  all'uopo  non  meno  documenti  e  memorie  dell'epoca  aragonese, 
o,  per  dir  meglio,  verun  accurato  e  paziente  lavoro  d' indagini  fu  praticato 
fin  ora  negli  archivi,  che  forse,  interrogati,  risponderebber  con  frutto.  Pe- 
rocché non  può  dubitarsi ,  che  vivi  rapporti  col  di  fuori  in  fatto  di  arti  e 
di  artisti  abbia  avuto  anche  allor  la  Sicilia,  e  specialmente  regnando  quel  Fe- 
derico secondo  Aragonese,  il  qual  fu  tenuto  in  Italia  siccome  capo  e  principale 
sostegno  de'  Ghibellini ,  talché  i  Pisani  offerirongli  la  signoria  della  città 
loro  ,  ed  in  altro  tempo  quelli  di  Genova ,  avendo  egli  avuto  pressoché 
sempre  a  sé  uniti  i  Ghibellini  di  Lombardia,  di  Toscana  e  degli  altri  stati. 
Notevole  nondimanco  é  di  quei  tempi  il  fatto ,  che  mentre  tutt'altri  nomi 
di  scultori  allora  fioriti  in  Sicilia  andarono  in  preda  all'obblio,  il  solo,  che 
rimane,  segnato  nella  marmorea  tomba  dell'arcivescovo  Guidotto  de  Tabiatis 
nel  duomo  di  Messina,  non  é  che  quello  di  maestro  Gregorio  di  Gregorio 
da  Siena,  che  la  scolpi  con  molta  ricchezza  di  lavoro  e  con  buona  pratica 
nel  1333  (:)>  e  che  non  é  dubbio  sia  stato  il  medesimo  che  quel  Goro 
di  Gregorio,  senese,  il  quale,  giusta  il  Cicognara  (2),  seguendo  le  migliori 
tracce  dell'arte,  dato  avea  compimento  dieci  anni  innanzi  all'urna  di  S.  Cer- 
bone  nella  cattedrale  di  Massa  in  Maremma,  e  par  che  poscia  si  sia  trasferito 
nell'isola,  giacché  d'allora  non  si  conoscono  altre  sue  opere  in  terraferma. 
Similmente  é  da  sospettare  venuto  dall'alta  Italia ,  stando  al  cognome  del 
casato,  un  inagiskr  Tctnis  Tignoso,  di  cui  in  tal  guisa  era  intagliato  il  nome 


Randarrp,  nel  volume  secondo  della  biblioteca  sacra,  ossia   Giornale  letterario-scientifico-eccìesiaslico  per  la  Si- 
cilia (Palermo,  1834,  pag.  273  a  276): 

Mille  DUCENTA  DECE;»  Q.uinQjie  SEPTENA  fluebant 
TEMPORA  Fost  GENITUM  SAncta  DE  VIRGINE  VERBUM 
CCvRUIT  UT  TECTI  LAPIDUM  SUBNIXA  COLUMNIS 
VIRGINIS  haec  AULA  BIS  SENIS  ARTE  POLITIS 
ARCUBUS  ILLUSTRAT  LEO  CUMIER  ART*.-  miranda 
Hoc  Opus  EGregium  Christi  VENERABILE  TEMPLUM. 
De'  vari  modi  di  lettura,  cui  può  dar  luogo  la  forma  qQ.  della  quarta  parola  del  primo  verso,  egli  pertanto 
preferisce  deccm,  quinque,  septena,  cioè  ventidue.  E  par  ne  dia  conferma  l'altra  iscrizione,  che  pur  ivi  si  vede  e 
forse  vi  fu  aggiunta  al  total  compimento  dell'edificio:  ANNO  DNI.  M  CC  XXXIX  ACTVM  EST  HOC  OPVS. 
(')  Vedi  la  mia  opera  Delle  belle  arti  in  Sicilia  dai  Normanni  alla  fine  del  secolo  XIV    (Palermo,  1859, 
voi  II,  pag.  299  e  seg.). 

(2)  Storia  della  scultura  .  .  .  in  Italia.  Prato,  1823,  voi.  Ili,  cap.  V,  pag.  297. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  I.  19 


in  pietra  arenaria  nell'antico  magnifico  campanile  della  cennata  chiesa  di 
S.  Maria  in  Randazzo,  da  lui  probabilmente  cretto  nel  decimoquarto  secolo, 
ma  poi  modernamente  rifatto  in  gran  parte.  Aggiungi,  che  il  nome  stesso 
trovasi  poi  con  curiosa  coincidenza  segnato,  siccome  quello  del  possessore, 
in  un  prezioso  quadretto  di  una  Nostra  Donna  con  molti  santi  ed  angeli, 
oggi  esistente  nella  pinacoteca  del  museo  nazionale  di  Palermo,  unica  forse 
dipintura,  che  ora  rimanga  in  Italia  col  nome  di  Turino  di  Vanni  pisano, 
valente  pittor  di  quel  tempo,  ed  ove  al  di  dietro  di  antica  mano  si  legge  : 

TAVLETA    DI    PIERO    DEL    TIGNOSO    FATA    ADI    PRIMO  DI  MAGIO  (:).    Laonde    non 

è  improbabile,  che  l'architetto  medesimo  del  campanile  di  Randazzo  sia  stato 
il  possessore  di  sì  pregevol  dipinto,  e  ch'egli  stesso  l'abbia  fatto  eseguire  al 
giottesco  pennello  di  Turino,  di  cui  anzi  facilmente  nasce  il  sospetto,  che 
fosse  anch'egli  venuto  in  Sicilia. 

Imperocché  del  resto  nella  pittura,  non  men  che  nelle  arti  sorelle,  si 
han  chiari  argomenti  di  una  viva  influenza  esercitata  neh'  isola  da  artisti  di 
diverse  contrade  d'Italia,  de'  quali  ancor  segnate  de'  nomi  vi  rimangono 
molteplici  opere.  Tal  vedesi  ora  in  fatti  nella  cennata  pinacoteca  palermitana 
una  Nostra  Donna  col  bambino  ,  che  Bartolomeo  da  Camogli  dipinse  nel 
1346  ai  Genovesi  residenti  in  Palermo  (2).  Non  altrimenti  un  pregevole  trit- 
tico di  una  S.  Anna  con  la  Vergine  ed  il  bambino  ed  altri  Santi ,  pur  ivi 
esistente  nella  chiesa  dell'arciconfraternita  dell'Annunziata ,  reca  il  nome  del 
dipintore  Iacopo  di  Migcle  o  di  Michele,  detto  Gera  di  Pisa,  noto  al  Da  Mor- 
rona ,  al  Ciampi  e  ad  altri  illustratori  di  memorie  degli  antichi  artisti  toscani. 
Da  incerto  pittore  veneto,  di  cui  il  tempo  e  l'incuria  sciaguratamente  invo- 
larono il  nome,  lasciandone  sol  la  certezza  della  patria,  fu  decorata  inoltre 
di  pregevoli  dipinture  nel  1388  la  tabella  della   serie   de'    confrati    defunti, 


(  '  )  In  un  listello  di  tavola ,  trovatosi  inchiodato  dietro  al  quadretto  a  guisa  di  sbarra  e  che  assai  pro- 
babilmente da  prima  ne  formava  1'  estremità  inferiore,  tuttavia  si  vede  scritto  in  antichi  caratteri  dorati:  .  .  . 

RIXUS  VANNIS  DE  PISIS  PINSIT  A E  non  dubito  punto  sia  da  legger  TURINUS,  di  cui  altre 

tavole  con  quasi  identiche  iscrizioni  accenna  il  Da  Morrona,  esistenti  in  Pisa  al  suo  tempo  (Tisa  illustrata. 
Livorno,  1812,  tom.  II,  pag.  428  e  seg.). 

(2)  Ne  è  pubblicato  un  disegno  nella  mia  opera  "Delle  belle  arti  iti  Sicilia  (Palermo,  1859,  voi.  II, 
lib.  V,  pag.  172  e  seg.),  dove  io  già  stimai,  che  il  magister  Hartolomeus  de  Camulio  piutor,  segnato  in  essa 
tavola,  fosse  un  artista  siciliano.  Ma  vien  egli  ora  in  vece  chiarito  nativo  di  Camogli  per  uno  strumento  con- 
temporaneo trovato  in  Genova  e  pubblicato  dal  chiarissimo  professor  Santo  Varni  in  un  accurato  suo  opu- 
scolo di  Appunti  storici  sopra  Levatilo,  con  note  e  documenti  (Genova  ,  1870,  nota  37,  pag.  46  e  seg.). 


20  I    GAGIKI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


qual  rimane  anco  in  Palermo  nella  sacrestia  dell'arciconfratcrnita  di  S.  Niccolò 
di  S.  Francesco,  generalmente  ora  intesa  di  S.  Niccolò  lo  Reale;  e  non  guari 
dopo,  nel  1402,  un  Nicola  di  Magio  da  Siena  dipingea  pure  un  trittico  per 
l'antica  chiesa  di  S.  Cristina  la  Vctcrc,  il  qual,  segnato  del  suo  nome  e  del- 
l'anno, serbasi  guasto  nella  pinacoteca  anzidetta  (').  Né   si  può  dar  luogo 
a  dubbio  che  un  tal  senese  dipintore  non  abbia  lavorato  in  Sicilia,  avendosi 
un  pubblico  atto  in  data    di  Palermo  a    18  febbraio  del    1405,  ond'egli  si 
obbligò  eseguire  una  icona  o  trittico  di  una  Nostra  Donna  con  S.  Caterina 
e  S.  Niccolò,  simile  negli  ornati  ad  un'altra,  che  il  medesimo  avea  già  di- 
pinto per  la  chiesa  di  S.  Domenico  in  Trapani  (2).  Laonde  certamente  fu 
ancor  egli  un  de'  molti,  che  dal  continente  italiano  emigraron  nell'isola,  e 
che  da  altri  più  tardi  furono  in  pari  emigrazione  seguiti,  fra'  quali  ebbe  a 
primeggiare  non  poco  nel  quattrocento  un  Guglielmo  de  Tisaro,  probabil- 
mente pesarese  ,    di  cui  vari  contratti  s' incontrano  in  Palermo  per  diversi 
lavori  di  dipinture,  del  pari  che  più  tardi  nel  sorger  del  secolo  appresso  il 
napolitano  Mario  de  Laurito  e  fors'  anco  il  celebre  Vincenzo   detto  il  Ro- 
mano, e  poscia  in  Messina  Polidoro  da  Caravaggio  ed  ovunque  molti  altri. 
Ma  de'  dipintori  venuti  in  diversi   tempi  e  in  gran    numero  da  tutta  Italia 
avrem  per  altro  lavoro  non  poca  materia  di  studio. 


(  '  )  Vedine  l'intera  iscrizione,  adesso  mutila  alquanto,  nella  mia  opera  "Delle  Ielle  arti  in  Sicilia.  Paler- 
mo, 1862,  voi.  II,  lib.  VII,  pag.  57. 

(2)  Stimo  far  cosa  grata  recando  qui  un  tal  documento  da  me  rinvenuto  nell'archivio  de'  notari  defunti 
in  Palermo  in  un  registro  di  atti  di  notar  Gabriele  Vulpi,  segnato  di  num.  1134,  e  propriamente  in  un  quin- 
terno inseritovi  degli  atti  di  notar  Niccolò  de  T^ainaldo  dell'anno  della  XIII  indizione  1404-5.  Ed  ecco  per- 
tanto: xviij".  frebuarii  xiij.'  ina.  (1404)  (1405).  OtCagister  Nicolaus  de  Scnis,  pictor,  e.  p.,  presens  corani  nobis, 
sponle  vendidit  et  assiemare  prontisti  ad  onines  suas  expensas  Antonio  de  Machono,  Friderico  de  Ruberto  et  Johanni 
de  Chusa,  preseutibus  et  in  solidum  ab  co  ementibus,  yconam  imam  magnani  cum  scandio,  longitudinis  palmorum 
sex,  cum  altitudine  correspondenti  longitudini  predicte  ac  cum  figuris  iufrascnptis,  videlicet:  in  medio  conc  figura 
gloriose  Virginis  diarie  ;  in  dextra  parte  cotte  figura  Saucte  Katarine  ;  in  sinistra  vero  figura  Sancti  Nicolai;  et 
in  aìiis  tribus  partibus  superioribus  in  medio  figura  Salvatoris  et  in  aliis  duobus  'hLunciata  cum  angelo;  et  ex 
pacto  cum  illis  intaglis,  floribus  et  laboribus  prout  est  quedam  ycona,  guani  fecit  d'ictus  magisier  Nicolaus  ad  opus 
ecclesie  Sancii  'Dominici  de  Trapani,  facta  per  cuindem  magistrum.  Et  hoc  prò  predo  et  integro  pagamento  un- 
ciarum  auri  quinque  et  tarenorum  quindecim ,  de  quo  predo  prcscncialiter  recepit  unciam  imam  et  tarenos  xviij. 
Et  reslaus  predi  diete  ycone  promiserunt  dicti  emptores  eidem  magistro  venditori  et  quilibet  eorum  in  solidum  dare, 
solvere  et  assignare,  completa  dieta  ycona  incontinenti.  Quam  quidem  yconam  finitimi  et  completarli,  bonitatis  et  la- 
boris  ut  supra  et  illitis  cone  de  Trapani,  d'ictus  magistcr  promisit  et  convenit  eisdem  emptoribus  dare  et  assignare 
bine  per  totum  mensem  junii  anni  presentis  proxime  venturum,  sine  aliqua  exceptione.  Que  omnia,  etc. —  TtStes  : 
frater  Aloysitu  de  Regali,  frater  Petrus  de  Palma  ordinis  Eremitarum  et  Pascalis  de  Simone. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.   I.  21 


Importa  qui  osservar  soprattutto,  che,  non  appena  si  è  tentato  indagare 
alquanto  di  proposito  negli  archivi  palermitani  intorno  a  memorie  artistiche 
del  decimoquinto  secolo  in  Sicilia ,  ne  son  venuti  e  ne  vengon  fuori  co- 
piosi documenti  a  provare  il  fatto  di  una  prevalenza  notevole,  che  allor  vi 
acquistarono  artisti  venuti  in  gran  numero  dalla  penisola ,  e  più  che  d' al- 
trove dalle  parti  di  Lombardia,  ad  esercitarvi  specialmente  architettura  e  scul- 
tura ne'  gradi  più  o  meno  elevati  di  pratica  di  dette  arti,  conforme  all'in- 
gegno ed  al  valore  di  ognuno.  Laonde,  oltre  una  vaga  notizia  de'  maestri 
fabbricatori  Giovanni  Lombardo  e  Donato  di  Como,  ricordati  in  Palermo  in  un 
atto  del  3  dicembre  II  indiz.  1468  (1469)  ('),  abbiam  del  13  marzo  VI  indiz. 
1472  (1473)  una  protesta  spinta  contro  il  vescovo  di  Cefalù  Giovanni  de'  Gatti 
da  un  Antonio  di  Como,  figlio  ed  erede  universale  di  un  maestro  Ambrogio 
di  Como,  ch'erasi  un  anno  prima  obbligato  pel  prezzo  di  once  novantacinque 
a  murare  ed  intagliare  il  portuale  o  portico  di  quella  maggior  chiesa  nel  sito 
della  porta  principale  di  essa,  con  dover  farvi  un  arco  nel  modo  stabilito  in 
precedente  contratto  col  procuratore  e  rappresentante  il  capitolo  della  chiesa 
medesima,  ch'era  allor  priva  di  vescovo.  Imperocché,  morto  indi  Ambrogio  in 
corso  dell'opera,  e  venuto  novello  vescovo  il  De'  Gatti,  non  ostante  che  già 
costui  si  fosse  in  prima  accordato  col  figlio  Antonio  per  la  continuazione  e 
compimento  di  quella ,  intendea  poscia  affidarla  ad  altro  maestro ,  provo- 
cando perciò  la  protesta  anzidetta,  di  cui  non  é  altronde  ulteriore  contezza 
del  risultato  (2).  Di  altri  fabbricatori  della  famiglia  stessa,  o  almen  della  stessa 
patria,  dimoranti  anco  allora  in  Palermo,  non  mancano  intanto  memorie,  a- 
vendosene  a  14  giugno  del  1476  di  un  Giovanni  di  Como  e  di  un  Mar- 
tino di  Minorca  per  la  fabbrica  di  una  stalla  in  casa  del  magnifico  Luca  di 
Bellacera  (3),  e  meglio  ancor  di  un  Cristoforo  di  Como,  il  qual  per  pub- 
blico atto  in  data  del  9  dicembre  del  seguente  anno  fé'  dono  di  una  sua  casa 


(  '  )  Dichiarano  aver  ricevuto  la  somma  di  once  quattro  e  tari  ventiquattro  ad  istanza  di  Antonio  di  Ferro, 
canonico  palermitano,  per  pubblico  atto  in  un  volume  di  frammenti  di  notar  Gabriele  Vulpi  degli  anni  1455- 
70,  indiz.  V-III,  segnato  di  num.  1135,  nell'archivio  de1  notari  defunti  in  Palermo. 

( 2  )  Vedi  fra'  TDocumenti  di  quest'opera,  num.  I. 

(  5  )  Eodem  die  xiiij  junii  viiij  ini.  eiusdem  (1476).  Magister  Joannes  de  Conio  et  magister  Martinus  de  3(i- 
norca,  fàbricatores,  habitatores  Talloniti,  preseutes  corani  nobis,  sponte  et  sollemniter  in  solidum  promisentnt  et  se 
sottemniter  obligaverunt  magistro  Johanni  de  Spagna,  civi  Tallonili,  ....  fabricare  et  de  novo  facere  in  domo  ha- 
bitacionis  magnifici  Luce  de  'Bellachera  ....  unum  stabulimi  etc.  Dal  registro  di  num.  11 56  degli  atti  di  notar 
Giacomo  Randisi  (an.  1474-76,  ind.  VIII-IX)  nell'archivio  suddetto. 


22  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

a  pian  terreno ,  esistente  in  contrada  Divisi ,  a  Gabriele  di  Battista ,  fratel 
suo  carissimo  in  arte,  siccome  scultor  di  marmi,  cui  egli  era  tenuto  di  molti 
servigi  e  onoranze,  che  aveane  sempre  avuto  con  vivo  affetto  (J).  Per  la  qual 
cosa,  venendo  egli  stesso  più  tardi  a  morte  nel  1492,  lasciò  per  testamento 
suo  erede  universale  Giovan  Geronimo  suo  figliuolo,  nato  da  lui  e  da  Tad- 
dea  sua  consorte ,  ed  ancor  generale  procuratore  dell'  eredità  de'  suoi  beni 
e  crediti  in  Palermo  il  suo  diletto  fratel  Gabriele,  mostrando,  che  nel  lungo 
esercizio  dell'arte  avea  ben  egli  dovuto  cumulare  qualche  fortuna  (2).  Né  pur 
questi  soltanto  sono  i  comaschi  fabbricatori,  de'  quali  di  quel  tempo  è  certezza 
essersi  trasferiti  in  Sicilia,  mentre  ancora  in  un  atto  del  16  agosto  del  1475 
vien  ricordato  un  maestro  Tomaso  de  Vultimo  della  città  di  Como,  fabbri- 
catore, che  allogò  l'opera  propria  ed  i  servigi  di  sua  persona  al  nobil  Pe- 
rico Baili,  palermitano  (3);  e  poi  non  mancan  notizie  di  altri  Lombardi  del- 
l'arte stessa,  che  lavoravano  allora  in  Palermo.  Vengon  fuori  fra  gli  altri  un 
Giovan  Pietro  Lombardo,  abitatore  della  città  medesima,  il  quale  insieme  ad  un 
Peri  Ferreri  palermitano,  per  pubblico  strumento  del  26  marzo  del  1473,  pro- 
mise al  magnifico  Antonio  di  Ventimiglia  costruirgli  una  casa  a  pian  terreno 
nell'edificio  di  sua  dimora  nel  quartiere  dell'Albergarla  (4);  un  maestro  Lo- 
renzo da  Milano,  che  pare  ricordato  in  qualità  di  capo  maestro  in  un  atto 
del  22  di  settembre  del  1474  (s);  un  Bernardo  di  Castellazzo,  fabbricatore 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  II. 

(2)  Ne  è  contezza  da  un  monco  inventario  de'  beni  del  detto  Cristoforo  da  Como,  in  data  del  14  no- 
vembre XI  ind.  1492,  da  fog.  236  retro  a  237  del  registro  di  num.  1173  degli  atti  di  notar  Pietro  Tagliante 
nel  sopraddetto  archivio  notariale  in  Palermo.  E  nello  stesso  registro  poco  di  poi  si  legge  a  fog.  245:  Die 
xvij.°  mensis  novembris  xj.'  ind.  14^2.  Presenti  scripto  publico  notum  facimus  et  tcstamur  qualiìcr  magister  Gdbrid 
de  Abbattista,  civis  Panormi ,  tanquam  frater  et  guberiiator  et  procurator  gcncraìis  quondam  magistri  Xpoferi  de 
Como,  sui  fratris ,  virtute  testamenti  ultimi  et  nuncupativi  celebrati  manti  mei  notarii  infrascripti,  omni  meliori 
modo,  via,  pire  et  forma,  qìiibus  potuit  et  potest  et  juxta  forviavi  juris,  constituit,  fecit  et  ordinavit  suum  verum, 
legitimum  et  indubitatum  procuratorem ,  quo  supra  nomine,  ^Antonimi  de  Battista,  eius  filiitm,  prescntem  et  oints 
presentii  procuracionis  in  se  voluntarie  suscipientem,  etc. 

(3)  Dal  registro  di  num.  11 56  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1474-76,  ind.  VIILIX,  fog/691,  nell'ar- 
chivio de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(4)  Dal  registro  di  num.  1 1 5  5  dinotar  Giacomo  Randisi,  an.  1472-74,  ind.VI-VII,  nell'archivio  medesimo. 
(s)  Da  un  atto  nel   registro  di  num.   11 56  di  detto    notar  Randisi,  an.   1474-76,  ind.  VIII-IX,  dove  si 

legge  a  fog.  40:  Eodem  (22  settembre  VIII  ind.  1474).  fMagister  Donatus  de  la  Cava,  fabricator ,  presens  co- 
ram  nobis,  presente  et  petente  ab  eo  magistro  Matheo  Leonessa,  fabricator  e ,  spante  est  confessus  se  ab  eodem  ma- 
gìstro  Matheo  Imbuisse  et  recepisse  tarenos  vj  p.  g.,  quos  tarenos  vj  idem  magister  Mathcus  soluit  cidim  magistro 
"Donato  prò  parte  magistri  Laurencii  de  DvCediolano  prò  certis  dietis  factis  in  maragmate  Nicolai  Calabrensis,  etc. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  I. 


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lombardo  ed  abitator  di  Palermo,    che  a  26  luglio  del   1475  si  obbligò  ad 
un  maestro  Narcisio  di  Finara  fabbricargli  di  pianta  una  casa  a  solaio  nella 
sua  vigna  (*),  e  parimente  più  tardi  un  Cristoforo  da  Bergamo,  già  cittadino 
palermitano,    che  a  22  di  novembre    del    i486  prometteva  e  solennemente 
obbligavasi  al  nobil  iMazullo  di  Savetta  far  tutta  quell'opera  di  muratura,  che 
egli  nelle  sue  case  volesse  richiedere  (2):  oltreché  pure  in  un  atto  del  di  8 
luglio  del  1472  è  menzione  di  un  Tedesco,  un  maestro  Giovanni  Grasso,  teu- 
tonico, abitante  in  Palermo,    obbligatosi  a  Gargano  di  Silvestro  per  la  fab- 
brica di  un  arco  ed  altre  simili  opere  in  sua  casa  esistente  in  ruga  verde  (3). 
Di  un  muratore  ferrarese  Alessandro  di  Robino,  anche  allora  in  Palermo  di 
soggiorno,  troviam  che  fu  pure  adoprato  dal  magnifico  Guglielmo  Aiutami- 
cristo  per   lavori  di  fabbriche,  sì  nella  sua  baronia  e  castello  di  Misilmeri , 
come  anco  in  città,  e  specialmente  nella  sua  gran  casa  o  palagio,  di  già  in 
costruzione,  a  porta  di  Termini  :  al  qual  uopo  si  obbligò  quel  maestro  per 
due  anni  in  servigio  di  lui  per  pubblico  atto  del  14  febbraio  del  1490  (-*). 
Imperocché  il  siciliano  Matteo  di  Carnevale,  architetto  di  quel  palazzo  ed  in- 
sieme dell'altro  non  men  sontuoso  dell' Abbatelli  e  non  sappiam  di  quanti 
altri  grandiosi  edifici  del  tempo,  dovè  naturalmente  essersi  avvalso  non  solo 
dell'  opera   di   artisti  indigeni ,  ma   ancor  di   quella    degli    stranieri  di  ogni 
paese,  spesso  abili  e  destri  nell'arte,  di  già  venuti  in  gran  copia  nell'isola. 
Oltre  in  fatti  del  Ferrarese  cennato,  ch'ebbe  a  lavorar  sotto  di  lui  nel  primo 
de'  detti  palagi,  si  ha  che  furon  opera  di  scarpellini  lombardi,  siccome  di 
sopra  è  cenno ,  le  numerose  colonne  di  quello  del  portolano,  mentre  anco 
a  lui  obbligavasi  per  lavori  di  fabbriche  in  esso   un    muratore  palermitano 
Bernardo  Vivilacqua  per  atto  del  14  giugno  del  1490  (5),  e  similmente  gli 
si  eran  obbligati  pel  palazzo  Aiutamicristo  addi  io  febbraio  dell'anno  stesso 
i  fabbricatori  Niccolò  Janduito  di  Noto,  Domenico  di  Giuliano  di  Messina 
ed  Antioco  di  Cara  pur  di  Palermo,  nominato  indi  ancora  quest'ultimo  in 
posterior   documento  con  altri   (6).  La  fabbrica   intanto  della  confraternita 
dell'Annunziata  in  Palermo  nella  parte  più  rilevante  della  facciata  esteriore 


(')  Dall'anzidetto  registro  di  notar  Giacomo  Randisi  di  num.   li  56. 

(2)  Dal  registro  di  num.  1161  di  detto  notar  Randisi,  che  comprende  frammenti  di  atti  dal  i486  al  1499. 

(  3)  Dal  registro  di  num.  11 55  dello  stesso  notar  Randisi,  an.  1472-74,  ind.  VI-VII,  nell'archivio  suddetto. 

(4)  Dal  registro  di  num.   11 60  bis  di  detto  notar  Giacomo  Randisi,  an.   1490-91,  ind.  VIII-IX. 

(5)  Dal  citato  registro  di  num.  1160  bis  di  notar  Randisi. 

(6)  Dal  registro  medesimo  di  num.  11 60  bis  di  notar  Randisi.  e 


24  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

e  delle  interne  arcate  delle  ali  troviamo  allogata  ad  un  maestro  Gabriele  di 
Roma,  fabbricatore,  cittadino  palermitano,  il  qual  convenne  a  ciò  co'  rettori 
Antonio  Imperatore,  Luciano  Valdaura  e  Giovanni  Enrico  Diana  per  pubblico 
atto  in  data  del  4  marzo  I  indiz.  1497  (1498).  Ne  certo  può  mettersi  in 
dubbio  la  romana  origine  del  medesimo,  espressa  insieme  al  suo  nome,  co- 
munque pel  suo  soggiorno  o  per  altro  godesse  già  egli  cittadinanza  in 
Palermo  ('). 

Aggiungevansi  artisti  nativi  di  vari  luoghi  della  bassa  Italia,  fra  cui  e 
la  Sicilia,  in  cui  avevan  fatto  passaggio,  eran  più  vivi  i  rapporti  di  vici- 
nanza ed  ove  dominava  non  poco  in  architettura  lo  stile  lombardo,  siccome 
un  tempo  vi  dominò  il  bizantino.  Ve  n'eran  soprattutto  di  Cava  nel  Na- 
politano, che  fin  dal  medio  evo  fu  sede  di  arti  e  di  lettere  per  quella  fa- 
mosa badia  della  Trinità,  i  cui  monaci,  fra'  quali  probabilmente  non  pochi 
erano  artefici ,  furon  chiamati  ed  ottenuti  in  gran  copia  da  Guglielmo  il 
Buono  per  la  sua  chiesa  di  Monreale.  Trovasi  quindi,  che  a  27  di  maggio 
del  1468  furono  stabiliti  solennemente  in  Palermo  ampli  capitoli,  patti  e 
convenzioni  della  fabbrica  di  una  torre ,  che  l' eccellente  e  magnifico  messer 
Pietro  Speciale,  regio  milite  ,  signor  delle  terre  di  Alcamo  e  Calatafimi  ed 
un  de'  maestri  razionali  del  regno  di  Sicilia  ,  intendea  fare  nel  suo  trap- 
peto  di  cannamele  in  contrada  Ficarazzi ,  e  che  dovea  fabbricargli  un  Pe- 
rosino  di  Giordano  della  città  della  Cava  nel  regno  di  Napoli  pel  prezzo 
in  tutto  di  once  seicentoventi  di  siciliana  moneta,  da  pagarsi  a  rate  men- 
suali    (2).  La  detta   torre  assai    facilmente   è  la  stessa,  che  tuttavia    esiste 


(  '  )  Vedi  fra'  "Documenti  di  quest'opera,  num.  III. 

(2)  Dal  registro  di  num.  il 54  bis  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1466  a  69,  ind.  XV-II,  nell'archivio 
de'  notari  defunti  in  Palermo,  dove  si  legge:  Die  xxvij."  may  prime  ind.  (1468).  Magnifica*  et  strenuus  vir 
dominus  Petrus  de  Speciali,  regius  miles,  dominus  terrarum  vAlcami  et  Calatafimi,  regnique  Sicilie  aìius  ex  ma- 
eistris  racionalibus,  civis  felicìs  urbis  Pai/ormi,  et  discretus  Peronnus  de  Jordano  de  civitate  Cave  regni  Nea- 
bólis,  presentes  corani  nobis,  sponte,  sollempnibus  stipolacionibus  bine  inde  inlerveuìeutibus,  finnaverunt  et  statue- 
ruut  iufrascripta  capitala,  leda  et  publicata  per  me  notariiuu  infrascriptum,  vidélicet: — -Li  capitali,  patti  et  con- 
vencioni  di  la  fdbrica  de  la  tane,  la  quale  lo  excelienti  et  magnifico  signuri  misser  'Peli  a  de  Speciali  intende  fare 
nel  uo  trappeto  nelle  Phccara^e,  sopra  la  rechetta,  appresso  lo  ditto  Irappelo;  la  quali  divi  frabicari  hi  hon.  Te- 
rmino de  Jordano  de  la  gitati  di  la  Cava  del  lu  regnu  di  Napoli,  Slitto  le  patti  et  condìcioni  fra  Ioni  fermati  de 
accordio,  juxla  la  forma  et  modo  iufrascripto,  ec.  —  Seguono  ben  trentanove  capitoli  per  la  fabbrica  di  detta 
torre,  di  cui  si  stabilisce  il  prezzo  in  once  seicentoventi  di  moneta  del  regno  di  Sicilia,  pagabili  di  mese  in 
mese  insino  alla  fine.  E  termina  poi  l'atto  coi  testimoni  seguenti  :  Testcs:  reverendissima  in  Xpo.  pater  et  do- 
minus Jo.  de  Burgio,  archiepiscopus  panormilanus,  presbiter  Jo.  de  Caldarone,  11.  Jo.  de  Campo,  m/  'Doiuiuicus 
de  Gassinis,  scultor,  et  clericus  Jacobus  la  Caldureia. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAI'.  I.  2j 

nella  cernuta  contrada,  dove  poi  sorse  1'  odierno  villaggio  di  quel  nome,  ad 
Oriente  dell'agro  palermitano:  ma  di  quell'  architetto  appaltatore  non  è  più 
ricordanza  di  altre  opere,  cui  dovè  certamente  dar  luogo.  Si  ha  però  inoltre,  che 
a  9  gennaio  VI  indiz.  1472  (1473)  Francesco  di  Aurilia  fabbricatore,  cavese 
anch'egli  ed  abitante  in  Palermo,  obbligossi  a  Gargano  di  Silvestro,  nominato 
pur  dianzi,  per  la  costruzione  di  un  arco  d'ingresso  alla  sua  casa  ('),  e  che 
non  guari  dopo  un  Donato  della  Cava,  dell'arte  medesima,  a  22  di  settem- 
bre del  1474,  fece  anco  in  Palermo  ricevuta  di  tari  sei  ad  un  altro  muratore 
Matteo  da  Leonessa,  pagatigli  da  costui  per  parte  di  un  maestro  Lorenzo  da 
Milano  per  certe  giornate  di  lavoro  nella  fabbrica  di  un  Niccolò  Calabrese  (2). 
Aggiungi  un  Luigi  Servi  a  Dio,  fabbricatore  di  Maida  nelle  parti  di  Calabria, 
il  quale  per  pubblico  strumento  del  di  8  luglio  del  1476  allogò  le  fatiche  e 
i  servigi  di  sua  persona  a  Niccolò  d'  Isolda,  cittadino  palermitano  (3),  ed 
indi  più  tardi  un  Marco  di  Gala  nel  regno  di  Napoli,  obbligatosi  a  30  di- 
cembre del  1496  ad  un  maestro  Niccolò  Cito  per  la  fabbrica  di  una  certa  torre 
nella  sua  vigna  in  contrada  di  Bagheria  (4).  Né  manca  pur  talvolta  d'im- 
battersi in  nomi  di  muratori  delle  parti  di  Spagna,  come  quelli  dinanzi  cen- 
nati  di  Martino  di  Minorca  e  di  Niccolò  di  Gallizia,  trovati  parimente  a  la- 
vorare in  Palermo  in  quel  secolo  ,  quand'  era  sì  facile  e  naturale  il  venirne 
da'  vari  stati  di  quell'  amplissima  monarchia,  di  cui  suo  malgrado  la  Sicilia 
era  divenuta  ancor  dipendenza.  Ma  certamente,  fra  tanto  affluire  in  essa  di 
artisti  di  ogni  paese  ed  in  tanta  operosità  di  lavori,  quelli  di  Lombardia  e 
delle  vicine  contrade  dell'alta  Italia  furono  i  più  fra  tutti  i  nuovi  venuti,  ed 
ancor  meglio  che  nell'  architettura  esercitaron  essi  nelP  arte  dello  scalpello 
un'azione  efficace  e  vivissima,  da  cui  ebbe  sua  prima  origine  in  Sicilia  quel- 
l'ammirabile scuola,  che  sali  poi  al  maggior  grado  di  perfezione  e  di  altezza 
mercé  la  potenza  di  un  genio  da  lei  partorito. 


(')  Dal  registro  di  num.  1155  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1472  a  74  ,  ind.  VI-VII  ,  fog.  339,  nel 
detto  archivio. 

(*)  Dal  registro  di  num.  11 56  di  detto  notar  Randisi,  an.  1474  a  76,  ind.  VIII-IX.  E  vedi  anco  di  sopra 
in  quest'opera  a  pag.  22,  nota   5. 

(?)  Dal  citato  registro  di  num.  11 56  di  detto  notar  Giacomo  Randisi,  dove  si  legge:  Eodem  vii/"  julii 
none  ind.  (1476).  Magister  ^Hoysius  Servi  a  T)cu,  fabricator  de  Mayda  de  partibus  Calabrie,  presens  corani  no- 
bis,  spante  ìocavit  opcras  et  servitici  persone  sue  hon.  Nicolao  de  Ysolda,  civi  Tallonili,  ec. 

(4)  Dal  registro  di  num.  11 62,  che  contiene  frammenti  di  atti  di  detto  notar  Giacomo  Randisi  dal  1496 
al  1 500,  ind.  XV-III,  nel  cennato  archivio. 


l6  I    GAGIN'I    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Fra  l'architettura  e  la  scultura  fu  allora,  siccome  sempre,  molta  prossi- 
mità di  condizioni  e  di  origine  ,  siccome  fra  due  arti  sorelle  ,  che  V  una  e 
l'altra  scambievolmente  si  prestarono  e  si  soccorsero,  e  spesso  insieme  tro- 
varonsi  ad  aver  campo  a  decorazione  degli  edifici.  Era  ben  naturale  adunque, 
che  ove  architetti  e  muratori  vennero  in  copia  di  Lombardia  e  d'altri  luoghi 
del  Settentrione  d'  Italia,  fosser  venuti  altresì  scultori  e  scarpellini  in  buon 
numero;  né  fu  altrimenti.  Provasi  in  fatti  da  contemporanee  scritture  ,  che 
pressoché  tutti  quanti,  che  in  Sicilia  maneggiarono  lo  scalpello  e  sostennero 
il  decoro  dell'  arte  dalla  metà  al  declinare  del  quintodecimo  secolo ,  non 
furon  che  gente  venuta  dalla  penisola  e  più  che  ogni  altro  Lombardi,  che, 
trovato  lavoro  e  fortuna  nel  nuovo  soggiorno,  di  leggieri  per  tutta  la  vita 
vi  si  fermarono,  ottenutavi  ancor  facilmente  cittadinanza,  sia  per  aver  tolto 
moglie  nel  paese,  o  per  non  interrotta  dimora  in  esso  e  per  lungo  esercizio 
dell'arte  medesima.  Quindi  è,  che  sovente  gli  stessi  artisti,  che  in  pubblici 
atti  di  data  anteriore  e  più  prossima  al  tempo  del  loro  arrivo  son  denotati 
espressamente  da'  luoghi  di  loro  nascita  ,  ossia  dalla  vera  lor  patria ,  e  sol 
come  abitanti  in  Palermo  ,  son  poi  ne'  posteriori  e  più  tardi  atti  general- 
mente appellati  cittadini  palermitani.  Lombardo  ei  fu  pertanto  Domenico 
Gagini,  di  cui  è  già  certezza  della  dimora  in  Palermo  insin  dal  1463,  prima 
di  ogni  altro  di  quella  numerosa  colonia  di  scultori,  eh'  egli  sorpassò  tutti 
per  merito  e  fama  d'  ingegno  e  di  magistero,  essendo  stato  in  Sicilia  sti- 
pite e  fondator  della  scuola,  che  poi  si  nomò  dal  gran  genio  di  Antonello 
suo  figlio,  e  che  indi  co'  figli  e  nepoti  di  lui  per  tutto  il  cinquecento  e  sino 
al  sorgere  del  seguente  secolo  serbò  le  tradizioni  del  suo  mirabil  primato. 
Non  meno  dalle  alte  regioni  della  penisola  vennero  circa  quel  tempo  Pietro 
di  Bontate  e  il  veneto  Francesco  di  Laurana,  scultori  e  statuari,  che  già  nel 
1468  si  trovano  in  Palermo  parimente  adoprati  in  lavori,  e  non  guari  dopo  i 
lombardi  Gabriele  di  Battista  ed  Andrea  Mangino  di  sopra  cennati,  ch'entrambi 
pur  essi  vi  formarono  scuola  e  famiglia,  e  un  Giorgio  da  Milano,  che  lavorò 
con  Domenico  Gagini  e  gli  sopravvisse,  ed  altri  fin  ora  d'incerta  patria  ed  ori- 
gine. Carrarese  poi  sembra  fosse  un  Antonio  di  Vanella,  de'  primi  venuti  in 
quel  tempo  dalle  parti  di  Carrara  e  di  Massa,  onde  co'  marmi  di  quelle  famose 
cave  ognor  vennero  appresso  scultori  e  scarpellini:  ond'é,  che  nella  scuola  del 
sommo  Antonello  Gagini  ebber  più  tardi  lavoro,  appartenenti  a  carraresi  fa- 
miglie, Giuliano    Mancino  e  più  d'  uno  de'  Berrettaro  e  non   pochi  altri  di 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAI'.   [.  2  7 


quelle  stesse  contrade,  mentre  assai  bella  fama  raccolsero  inoltre  in  Messina 
nella  prima  metà  del  cinquecento  l'architetto  Domenico  da  Carrara  e  lo  scul- 
tore pur  carrarese  Giambattista  di  Masolo  o  Mazolo,  ai  quali  colà  poi  succe- 
dettero della  medesima  patria  ad  esercitar  la  scultura,  l'architettura  ed  anche 
talor  la  pittura  le  famiglie  de'  Calamec  e  de'  MafTei.  E  ancor  sin  dallo  scorcio 
del  secolo  decimoquinto ,  insieme  a  vari  fabbricatori  del  regno  di  Napoli , 
troviamo  in  fine  fra'  marmorai  di  Palermo  un  Giacomo  di  Sirignano,  vil- 
laggio a  pie  della  montagna  di  Montevergine,  a  non  molta  distanza  da  A- 
vcllino  :  dal  che  sempre  più  chiaro  si  vede,  che  pure  artisti  di  quello  stato  in 
diversi  tempi  facevan  continuo  passaggio  in  Sicilia,  e  che  non  a  caso  e  non 
senza  precedenti  vi  si  trasferirono  in  seguito  i  fratelli  Francesco  ed  Aurelio 
di  Basilicata  ,  de'  quali  l'uno  poi  giunse  ad  esser  console  dell'  arte  de'  fab- 
bricatori in  Palermo,  e  l'altro,  fin  dopo  la  morte  del  gran  caposcuola,  coi 
figli  di  lui  ebbe  nome  nella  scultura. 

Un  fatto  però  più  notevole  per  le  arti,  di  cui  qui  è  discorso,  avveniva 
nella  metropoli  dell'  isola  verso  la  fine  del  quattrocento ,  e  propriamente 
nel  1487.  Molto  sviluppo  ed  ordinamento  avevan  già  in  essa  preso  ,  come 
in  tanti  altri  paesi  d'Europa,  quelle  corporazioni  di  arti  e  mestieri,  che  o- 
vunque  furono  necessaria  conseguenza  del  feudalismo,  e  che  nacquero,  vis- 
sero ed  indi  pcriron  con  esso  ;  quelle  ben  ordinate  aggregazioni  delle  di- 
verse classi  del  popolo,  che  sotto  il  nome  di  maestranze,  rette  con  propri 
capitoli  e  da  propri  consoli  e  dipendenti  dal  governo  del  Comune,  formaron 
come  una  feudalità  popolare  in  faccia  all'  aristocratica,  di  cui  in  modo  in- 
diretto temperavano  la  soverchiarne  potenza.  Sembra  però,  che  fra  tante  ancor 
fin  allora  mancasse  in  Palermo  una  maestranza  di  marmorai  e  fabbricatori  ; 
ed  era  tempo  di  fondarla  e  ordinarla,  giacché  sì  notabil  numero  di  artefici 
ed  operai  di  dette  arti,  benché  per  lo  più  venuti  dal  di  fuori  da  più  o  meno 
tempo,  godevano  pel  lungo  soggiorno  il  pieno  privilegio  di  cittadini  e  ben 
potevan  far  corpo  co'  nativi  del  paese,  che  in  minor  numero  coltivavan  le 
arti  medesime.  Laonde  si  uniron  essi  tutti  a  tal  uopo,  presentando  al  pre- 
tore e  ai  giurati  della  città  i  capitoli  della  lor  corporazione  per  averli  ap- 
provati. Furono  i  marmorai  o  scultori  i  maestri  Domenico  di  Gagini,  Pietro 
di  Bontate,  Gabriele  di  Battista,  Antonio  Pruni,  Giorgio  da  Milano,  Andrea 
di  Corso  ,  Jacopo  di  Sirignano  ,  Antonio  di  Verri ,  Stefano  di  Cascino  ed 
Antonio  di  Vanella.  Furono  i  fabbricatori,   con  a  capo  il  lor  capo  maestro 


28  1    GAGIN1    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

Niccolò  di  Grisafi  e  con  il  loro  console  Niccolò  Longobardo,  i  maestri  An- 
tonio Sasso,  Giovanni  il  Tedesco,  Tomaso  Guastapani,  Giovanni  Ferrante, 
Cristoforo  di  Bergamo,  Alessandro  del  Bono,  Benedetto  di  Salerno,  Pietro 
Maiorchino  ,  Cristoforo  di  Como  ,  Paolo  di  Avantaio  ,  Michele  di  Ragusi , 
Luca  1' Inzuccarato  ,  Giaimo  il  Francese,  Pietro  Birraia  ,  Pietro  di  Paolo, 
Pino  Tornabene,  Pietro  di  Granata,  Giovanni  di  Aiello,  Guglielmo  Lom- 
bardo ,  Giannello  del  Reame  ,  Giovanni  il  Gaetano  e  Giorgio  Gallo.  Vi  si 
aggiungevano  iperriatori,  ossien  picconieri,  Filippo  Galluzzo,  Niccolò  di 
Mazara ,  Michele  di  Naso,  Menico  di  Milito,  Lorenzo  Tominaro ,  Vin- 
cenzo Guerra ,  Giovanni  Labeso  ,  Amico  di  Micalo  albanese  ed  altri.  Non 
è  da  trascurar  di  osservare  siccome  in  tutti  questi  nomi  prevalgan  sempre 
quelli  di  artisti  affatto  stranieri  di  origine,  apparendone  ancor  d'un  Tede- 
sco, d'  un  Francese,  d'  un  Maiorchino  e  d'  un  di  Granata  tra'  fabbricatori  : 
segno  non  dubbio  della  continua  e  diversa  influenza  straniera  sull'  arte  in 
quel  tempo.  E  non  pertanto,  essendo  già  tutti  resi  cittadini  e  rappresentando 
in  Palermo  la  vita  ed  il  decoro  delle  arti,  ch'esercitavano,  prima  d'ogni  altro 
proposero  in  quei  capitoli,  che  per  imporre  buon  ordine  e  costume,  in  ogni 
anno  ,  il  di  della  festa  de'  Quattro  Santi  Coronati ,  loro  patroni ,  dovesse 
per  loro  tutti  insieme  procedersi  alla  creazione  di  un  console  e  due  con- 
siglieri de'  marmorai  ed  altrettanti  de'  muratori,  con  che  non  potessero  in 
ciò  dar  suffragio  se  non  i  cittadini  di  Palermo,  e  non  mai  i  forestieri,  e  non 
compreso  l' uffizio  ad  vitain  del  capo  maestro  de'  muratori  anzidetti,  spettan- 
done soltanto  1'  elezione  a'  giurati.  Seguivano  proponendo  ,  che  niun  dei 
maestri  o  de'  garzoni  potesse  lavorare  nel  giorno  festivo  de'  detti  Santi  a  8 
di  novembre,  pena  a  ciascun  de'  contravventori  una  multa  di  tari  tre,  di  cui 
metà  dovesse  applicarsi  alla  maramma  o  alla  fabbrica  della  maggior  chiesa, 
e  P  altra  in  beneficio  della  cappella  ossia  altare  ,  che  doveva  ancor  farsi  in 
laude  ed  onore  de'  Quattro  Santi  medesimi.  Aggiungevano,  che  niun  qual- 
sifossc,  o  marmoraio  o  muratore,  di  fuori  venuto,  potesse  tener  bottega  o 
murare  nella  città,  se  non  venisse  pria  esaminato,  se  marmoraio,  dal  con- 
sole e  da'  consiglieri  de'  marmorai,  ovvero,  se  muratore,  dal  capo  maestro 
e  da'  consiglieri  de'  muratori ,  e  ciò  sotto  pena  di  multa  di  onza  una  da 
spartirsi  nel  modo  anzidetto  ,  e  nella  quale  altresi  incorrerebbero  il  capo 
maestro  ,  il  console  ed  i  consiglieri,  che  avessero  ad  alcun  di  tali  maestri 
accordato  licenza  di  bottega  o  lavoro  pria  eh' egli  si  fosse  sottomesso  al  ri- 


NlìI    SI-COLI    XV    E    XVI.    GAP.  I.  2y 


chiesto  esame.  In  altri  seguenti  articoli  proponevano  inoltre  le  norme  per 
la  misurazione  o  l'apprezzamento  de'  lavori,  quando  ne  fosse  il  bisogno, 
da  farsi  da'  detti  lor  capi  d'  arte  ed  insiem  da  alcun'  altra  persona  ,  che  la 
corte  aggiunger  volesse;  regolavano  i  servigi  e  gli  obblighi  de'  garzoni  verso 
i  maestri  a  scanso  di  screzi  e  disturbi  ;  attribuivan  anco  al  lor  console  ed 
ai  consiglieri  l'incarico  di  visitare  e  soccorrer  gl'infermi,  potendo  pur  essi 
all'uopo  far  praticare  collette,  oltre  a  quella  annuale,  che  dovea  farsi,  giusta 
il  costume  ,  per  l'offerta  del  cerco  nella  festa  di  mezz'agosto.  Tali  capitoli, 
in  cui  venner  anco  in  fine  compresi  i  calcarai  ossien  fornaciai,  furon  per- 
tanto solennemente  approvati  e  confermati,  in  data  del  13  settembre  del  1487, 
da  Simone  di  Settimo,  pretore,  e  da  Jacopo  di  Bologna,  Pietro  Squarcia- 
lupo,  Luca  di  Pollastra,  Raimondo  di  Diana,  Perico  di  Bailio  ed  Antonio  la 
Capromi,  giurati  (:).  Cosi  nel  cadere  del  quintodecimo  secolo  in  tanta  ope- 
rosità sviluppatasi  nelle  arti,  la  quale  indi  nel  più  mirabil  modo  si  accrebbe 
ne'  tempi  appresso  ,  costituivasi  in  Palermo  con  espressi  legami  e  norme 
un  vero  corpo  sociale  de'  marmorai  e  muratori  di  qualsiasi  origine  e  patria, 
purché  già  forniti  della  naturalità  del  paese ,  e  le  cui  differenze  di  origine, 
non  men  che  di  merito,  fondevansi  nel  privilegio  a  tutti  comune  della  cit- 
tadinanza palermitana.  Né  sembra,  che  di  simili  corporazioni  più  o  meno 
tardi  abbiati  potuto  mancare  in  altre  delle  principali  città  dell'  isola ,  come 
in  Messina,  dove  più  attivamente  si  esercitavan  le  arti  ed  ove  ancor  dal  di 
fuori  giungevan  sempre  novelli  artefici  a  coltivarle. 

Queste  cose  non  è  superfluo  di  certo  aver  qui  premesso  prima  di  en- 
trare a  discorrere  più  di  proposito  della  scultura  in  Sicilia  nella  seconda 
metà  del  quattrocento,  e  ad  indagar  quanto  più  si  può  di  memorie  de'  detti 
artefici,  rimasti  fin  ora  oscuri  ed  ignoti  in  gran  parte,  fra  cui  su  tutti  pri- 
meggia il  lombardo  Domenico  Gagini,  siccome  primo  stipite  di  quella  scuola 
gloriosa,  che  rappresentò  nel  modo  più  degno  l'onor  dell'arte  per  lo  spazio 
di  circa  due  secoli.  Tale  scuola,  trapiantata  con  lui  da  Lombardia  mercè  il 
suo  passaggio  ed  il  suo  lungo  soggiorno  nell'isola  insieme  ai  molti  altri 
artisti  ancor  di  quel  tempo  venuti  da  quelle  parti  ,  non  lo  fu  certamente 
per  semplice  caso  o  fortuna  ,  ma  ebbe  ragione  ne'  tanti  anteriori  rapporti, 
che  sin  da'  primordi  della  conquista  normanna  tenner  con  la  Sicilia  le  genti 
delle  superiori  contrade  d'Italia,  e  specialmente  i  Lombardi ,  de'  quali  cosi 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  IV 


10  I    G  AGI  NT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


vive  ancora  rimangon  le  tracce.  Perocché  l'isola  stessa,  posta  fra  tre  mari 
e  quasi  centro  ai  commerci  dell'Oriente  e  dell'Occidente,  sorta  a  grande 
potenza  e  ricchezza  ne'  floridi  tempi  della  sua  monarchia,  quando  per  le  sue 
svariate  relazioni  con  tanti  diversi  stati  accolse  artefici  di  ogni  rito  e  di 
ogn'  indole  ,  che  tanta  varietà  e  ricchezza  di  artistiche  opere  vi  profusero, 
non  mancò  quindi  in  appresso  ,  benché  decaduta  dall'  antica  grandezza ,  a 
continuare  ad  accoglierne  altri  in  gran  numero,  che  seguirono  a  stabilirvisi 
da  ogni  parte  d'Italia  e  di  fuori,  attrattivi  dall'operosità  ognor  notevole,  in 
che  le  arti  vi  eran  tenute.  Da  quella  mano  pertanto  di  lombardi  scultori  e 
scarpellini,  passati  nel  quattrocento  ad  esercitar  l'arte  in  Sicilia,  e  che  molto 
probabilmente  da  altri  di  quelle  contrade  erano  stati  in  simil  passaggio  nei 
precedenti  secoli  preceduti,  la  scuola  famosa  de'  Gagini  s'inaugura  con  Do- 
menico, ch'é  il  primo  ad  esser  noto  di  tale  famiglia ,  e  da  cui  l'arte  senti 
primamente  nelP  isola  vivo  impulso  al  suo  maggiore  sviluppo  ed  innalza- 
mento. Laonde  di  lui,  che  sorse  allora  in  Palermo  a  capo  della  scultura  e 
non  si  tenne  dietro  a'  migliori  della  penisola ,  giova  seguire  esponendo 
quanto  è  dato  raccoglierne  di  memorie,  data  in  prima  alcuna  contezza  dello 
stato  della  Sicilia  in  quel  tempo ,  e  ben  pure  degli  altri  scultori  ,  che  con 
lui  vennero,  e  ch'egli  superò  tutti  in  merito  d'arte  e  d' ingegno. 


ì 


3* 


CAPITOLO  IL 


LA    SICILIA    ED    I    SUOI    SCULTORI    NEL    DECLINARE    DEL    QUATTROCENTO. 


DOMENICO    GAGINI. 


en  a  ragione  fu  detto,  che  un  singoiar  contrapposto  di  civiltà 
e  di  barbarie,  di  luce  e  di  tenebre,  di  fatti  in  apparenza  etero- 
genei e  discordi  formava  l' impronta  principale  della  Sicilia  in 
quel  tempo  (').  Gli  effetti  delle  guerre  angioine  durate  per  sessantanni  dallo 
scorcio  del  XIII  alla  metà  del  seguente  secolo,  non  men  che  de'  torbidi  e  delle 
guerre  intestine  indi  sopravvenute  e  che  si  protrasser  per  altri  sessantanni  al- 
l'incirca,  avean  lasciato  tracce  profonde  in  uno  stato  di  squallore  e  di  deca- 
denza visibile,  che  non  si  poteva  a  men  di  notare  nel  paese  per  tutto  il  quat- 
trocento. Aggiungevasi,  che  da  quando  il  ramo  cadetto  della  stirpe  de'  re  di 
Castiglia  era  riuscito  con  astuzia  e  raggiri  a  farsi  anche  accettare  nell'  isola,  avea 
questa  perduto  l'antica  sua  prerogativa  di  stato  indipendente  ed  autonomo,  en- 
trando a  far  parte  de'  domini  della  spagnuola  corona.  Tenevasi  nel  suo  pieno 


(  '  )  La  Lumia,  La  Sicilia  sotto  Carlo  V  imperatore,  nel  volume  secondo  di  Studi  di  storia  siciliana.  Pa- 
lermo, 1870,  pag.   81. 

6 


32  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


vigore  la  feudale  potenza  ;  e  la  proprietà  di  vastissime  estensioni  di  feudi  in 
mano  de'  privilegiati  baroni  ed  ancor  della  classe  più  elevata  del  clero,  che- 
tanta  dovizia  godeva  di  vescovadi ,  commende ,  abbazie  con  giurisdizioni  e 
vassallaggi,  facea  tanto  più  nello  stato  sociale  spiccar  notevole  ineguaglianza 
e  contrasto  ,  per  cui  era  nell'alto  ogni  splendore  e  opulenza ,  e  nel  basso 
miseria  e  abbandono.  Pure,  mercè  un  governo  per  delegazione  de'  monarchi 
spagnuoli  esercitato  nell'isola  da'  lor  viceré,  mantenendo  nel  pieno  suo  di- 
ritto l'antica  macchina  costituzionale  e  rappresentativa,  ch'era  rimasta  politi- 
camente al  paese,  duravano  ancora  in  esso  con  le  sue  preziose  guarentigie 
locali  i  segni  tutti  di  propria  nazionale  esistenza;  dal  che  la  potente  aristo- 
crazia aveva  ognor  campo  a  sfoggiare  di  autorità  e  di  grandezza  nella  corte, 
ne'  parlamenti ,  negli  alti  uffizi ,  passando  i  baroni  nelle  città  del  demanio, 
ed  a  preferenza  nella  capitale  del  regno,  il  tempo,  che  non  davano  all'abituale 
soggiorno  de'  feudi.  Perloché,  mentre  nella  più  parte  e  specialmente  nel- 
l' interno  dell'  isola  languivan  le  moltitudini ,  già  si  stremate  di  numero , 
in  preda  alla  desolazione  ed  alla  miseria ,  in  Palermo  ed  in  altre  città  pri- 
marie splendevan  quelli  tra  affini,  alleati,  aderenti,  servidori,  satelliti,  e  sulle- 
classi  inferiori,  sceme  di  commerci,  di  capitali,  d'industrie,  costrette  a  se- 
condare e  piaggiare  chi  pascevale  meglio,  prevalevano  colle  dovizie,  col  cre- 
dito, colle  infinite  clientele  (').  Il  clero  intanto,  assai  notevole  in  numero, 
toccava  a'  due  opposti  estremi  della  più  doviziosa  aristocrazia  e  del  popolo 
più  minuto  e  più  misero;  e  quindi  baroni  e  prelati,  per  molta  lor  comu- 
nanza d' interessi  e  di  mire ,  formavano  spesso  ne'  parlamenti  una  pluralità 
incontestata  nell'accordo  de'  loro  due  bracci,  che  bastava  a  prevalere  sul 
terzo,  ossia  quel  de'  Comuni.  In  questi ,  siccome  opportunamente  da  altri 
fu  rilevato  (2),  gli  ordini  di  municipal  reggimento  duravano  larghissimi  in 
pratica;  si  accrescevano  anzi  di  nuove  preminenze  ,  attribuzioni ,  esenzioni, 
concesse  a  questa  od  a  quell'altra  città;  tenevano  desto  ed  alimentavano  in 
pratica  un  ardore  di  attività  ,  di  vita  ,  di  orgoglio  locale.  Ma  più  che  ogni 
altro  importava  al  governo,  ai  nobili,  al  clero  mantener  sempre  vivo  lo  spi- 
rito della  fede  religiosa  nel  popolo,  e  vi  riuscivan  con  quanto  nell'esercizio 
del  culto  vi  ha  di  più  splendido  e  di  più  commovente,  di  più  tenero  e  di  più 
terribile  a  colpire    l'immaginazione  e  l'affetto,    mentre    il  monachismo  e  le 


(  '  j  La  Lumia,  op.  cit.,  pag.  64  e  seg. 
(2)  La  Lumia,  op.  cit.,  pag.  65. 


Nlil    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  II. 


òò 


fraterie  acquistavano  sempre  più  campo,  e  gli  Ebrei  venivano  espulsi,  e  l'In- 
quisizione spagnuola  sotto  Ferdinando  il  Cattolico  riusciva  a  introdursi  in  Si- 
cilia col  suo  assoluto  e  tremendo  potere. 

In  tale  stato  di  cose  mal  sarebbe  a  supporre  un  troppo  ampio  sviluppo 
d'intellettuale  cultura  nel  paese  ,  o  molto  fervore  di  studi  e  di  lettere.    Pur, 
sebbene  a  traverso  condizioni  non  prospere,  la  naturai  potenza  de'  siciliani 
ingegni  facevasi  strada,  ed  anche  fra'  disastri  della  feudale  anarchia,  che  avea 
messo  a  soqquadro  la  Sicilia  tra  lo  scorcio  del  XIV  ed  i  primordi  del  XV 
secolo,  parecchi  uomini  insigni  eran  sorti,  che  per  lor  somma  erudizione  e 
dottrina ,  non  men  che  per  grande  amore  al  sapere ,    vennero  in  fama    do- 
vunque nella   penisola,    dove   avean    fatto  passaggio  siccome   in  campo   per 
lor  più  opportuno.  Perlochè  fra  tutti  in  quel  secolo,  che  si  nomò  dagli  eru- 
diti in  Italia,  primeggiarono  i  nomi  di  Giovanni  Aurispa  e  di  Antonio  Cas- 
sarino,  di  Andrea  di  Bartolomeo,  detto  il  Barbazza,  e  di  Antonio  Beccadelli 
Bologna,  il  celebre  Panormita,   che  fé'  tanto  decoro  in  Napoli  alla  corte  di 
Alfonso.  Quest'ultimo,  siccome  è  noto,  venne  in  altissima  rinomanza  ed  acqui- 
stò soprannome  di  Magnanimo  qual  gran  mecenate  degli  studi,    che  intorno 
a  sé  accolse  e  colmò  di  carezze  e  di  onori  gl'ingegni  più  chiari  del  tempo: 
ma  le  sue  rare  e  momentanee  comparse  in  Sicilia  non  diedero  che  un  im- 
pulso ben  passeggiero   e   fuggevole ,  per  cui  l' università   degli  studi,  da  lui 
creata  nel  1444  in  Catania,  decadde  fra  breve  in  guisa,  che  nel  15 14  il  par- 
lamento esponeva  a  Ferdinando  il  Cattolico,  che  i  professori,  a  cagion  degli 
scarsi  stipendi ,    non  vi  adempivano  al  loro  uffizio ,    e    che  uomini  inetti  e 
dappoco  vi  eran  chiamati  all'insegnamento,  e  quindi  i  Siciliani  eran  costretti 
con  molta  spesa  e  disagio  a  recarsi  alle  università  di  oltremare.  Cosi  mentre 
generalmente  eran  tenebre  ed  ignoranza  in  ragione    del    molto    abbandono 
del  paese,  e  le  lettere  eran  volte  si  in  basso,  che,  smesso  affatto  l' illustre 
e  gentile  idioma,  che  suonò  già  nella  corte  di  Federico  e  di  Manfredi,  non 
più  scrivevasi  che  in  latino  e  nel  dialetto  natio,  il  culto  del  sapere  e  l'onore 
della  dottrina  divenner  quasi  esclusivo  pregio    di    uomini    delle    classi  più 
alte,  cioè  della  nobiltà,  del  foro,  del  clero.  Laonde  fra'  molti  magnati,  che 
in  vari  tempi  si  distinsero  per  cultura  nell'  esercizio  delle  eminenti  lor  ca- 
riche, spiccarono  Adamo  Asmundo,  Ruggero  Partita,  Giovan  Battista  Pla- 
tamone,  Niccolò  e  Pietro  Speciale;  fra'  giurisperiti,  oltre  il  Barbazza,  sorser 
Guglielmo  di  Perno,  Leonardo  di  Bartolomeo,  Giovan  Pietro  Appulo,  Gio- 


34  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA    [N    SICILIA 

van  Luca  Barberi  e  Paolo  Vipcrano  ;  fra'  chierici ,  oltre  il  famoso  Niccolò 
Tedeschi,  nomato  lucerna  del  dritto,  segnalaronsi  allevati  ne'  chiostri  Giovan 
di  Prima ,  Salvo  Cassetta  e  più  che  altri  Pietro  Ranzano,  oltreché  promo- 
tori di  lettere  e  di  arti  furon  indi  in  Palermo  e  in  Messina  gli  arcive- 
scovi Giovanni  Paterno  ed  Antonio  de  Lignamine ,  mentre  in  seno  alla 
chiesa  venivansi  pure  educando  e  crescevano  a  gravi  studi  Tommaso  Fazello 
e  Francesco  Maurolico.  Specialmente  in  Messina  giovò  alle  classiche  lettere 
il  soggiorno  di  Costantino  Lascari,  la  cui  fama  trasse  colà  alla  sua  scuola 
molti  e  fra  gli  altri  anche  il  Bembo ,  avendovi  colui  fatto  ancor  dono  della 
sua  biblioteca  preziosa ,  che  dopo  molti  anni  gli  Spagnuoli  poscia  invola- 
rono. Dallo  studio  di  Napoli,  dove  dettava  lettere,  era  stato  altresi  chiamato 
in  Palermo  a  spese  del  Comune  il  dotto  corleonese  Giovanni  Naso ,  che 
poi  curò  la  prima  stampa  delle  Consuetudini  della  città  nel  1478;  e  fu  sin- 
golare ornamento  della  sua  scuola  quel  Lucio  Marineo,  che  dall'  indigenza 
dell'umil  classe  del  popolo  venne  su  a  grande  sforzo  di  buon  volere  e  di 
ingegno ,  e  che,  lasciata  poi  la  Sicilia,  siccome  sempre  toccava  fare  a'  mi- 
gliori, raccolse  in  Ispagna  gran  vanto  di  dottrina  alla  corte  di  Ferdinando. 
Né  in  patria  si  rimase,  ma  é  certo  aver  posto  soggiorno  in  Napoli  prima 
del  1503  il  rinomato  Branca,  dal  Ranzano  encomiato  fra  tutti  i  cerusici  del 
mondo  prestantissimo,  e  che  il  figliuolo  Antonio  lasciò  erede  e  continuatore 
della  sua  mirabil  perizia  di  supplire  e  rifare  le  mutile  parti  de'  volti,  avendo 
entrambi  precorso  nell'arte  o  scienza  salutare  l'altissima  fama  dell'ingrassia. 
Valse  ancor  nella  medicina  il  mazarese  Giangiacomo  Adria,  che,  studiato 
avendo  in  Napoli  e  preso  laurea  in  Salerno,  acquistò  fama  di  valentuomo 
fra  gli  eruditi  dell'isola  e  diede  in  luce  opuscoli  assai  lodati  in  ragion  del 
tempo,  essendo  egli  stato  de'  primi  a  fruttuosamente  illustrare  la  patria;  e 
così  in  progresso  degli  anni  i  buoni  germi  ognor  meglio  attecchivano  e 
venivan  moltiplicando  i  lor  frutti.  Al  che  giovò  la  stampa,  la  quale,  intro- 
dotta in  Italia,  penetrò  fra  non  molto  in  Sicilia,  laddove  nel  1476  il  tede- 
sco tipografo  Andrea  di  Worms  apriva  officina  in  Palermo,  e  del  1478  son 
le  due  prime  sicure  edizioni  eseguite  in  Palermo  e  in  Messina,  avendo  nell'una 
città  e  nell'altra  ,  non  men  che  il  cennato  Andrea  ,  coltivato  con  successo 
quell'arte  l'alemanno  Enrico  Halding,  Guglielmo  Schonberger  di  Francfort, 
Andrea  e  Livinio  di  Bruges,  a'  quali  poi  sottentrarono  ad  esercitarla  nuovi 
e  bravi  tipografi  siciliani.  E  intanto  che  stranieri  portavano  l'arte  stessa  nel- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II. 


35 


l'isola,  a  Giovan  Filippo  de  Lignamine,  gentiluomo  ed  insigne  scienziato 
messinese,  medico  di  Sisto  IV  pontefice,  andò  debitrice  Roma  di  una  com- 
pleta e  famosa  tipografia ,  da  lui  fondatavi  a  proprie  spese  in  sua  casa, 
donde  dal  1464  al  i486  uscirono  stampe  di  perfezione  ammirabile,  fra  cui 
parecchie  pregiate  sue  opere.  Ma  era  sinistro  destino,  che  le  maggiori  glorie 
del  nome  siciliano  dovesser  fuori  e  non  in  patria  risplendere  ,  mentr'  essa 
nelle  sue  condizioni  non  liete  apprestar  non  potea  il  miglior  campo  alla 
loro  celebrità  ed  al  massimo  loro  incremento. 

Alle  arti  del  bello  visibile,  fra  le  lunghe  e  intestine  guerre  e  l'anarchia 
dell'età  precedente,  non  aveva  per  fermo  arriso  miglior  fortuna;  e  più  che 
ogni  altro  l'architettura  fu  vista  adoprarsi  in  costruzioni  militari  di  torri  e  di 
castella,  o  in  fabbriche  di  merlati  palagi,  cui  dava  opera  l'aristocrazia  feu- 
dale. Sacri  edifìci  di  chiese,  di  turriti  campanili  e  conventi  sorgevano  ancor 
talora  ad  opera    de'  baroni ,    del  clero  ,    de'  frati  :    ma  si  era  ben  lungi  dal 
fervore  di  un'operosità  continua  e  durevole,    cui    contendevano  le  infauste 
sorti  de'  tempi.  Di  pittori  e  scultori  siciliani,  che  lavorato  avessero  in  patria 
in  tutto  il  corso  del  tredecimo  e  del  quartodecimo  secolo,  non  trovasi  fin 
ora  alcun  nome  o  alcuna  sicura  memoria  ;  e  in  vece  dalle  parecchie  opere 
di  artisti  contemporanei  della  penisola  ,    segnate    de'  loro   nomi    e  tuttavia 
esistenti  in  Sicilia,  e  non  meno  altresì  dall'  autorità  incontrastabile  di  qual- 
che coeva  scrittura,  provasi  chiaro  il  passaggio    e    il  soggiorno  di  alquanti 
di  loro  in  essa,   eh' ebber    certo   nelle  arti  a  influirvi   a    qualche    sviluppo. 
Nulla  però  in  vero  vi  s' incontra    di   segnalato  e  notevole    nel  movimento 
artistico  di  quel  tempo,  ed  un  vero  e  singolare  destarsi  della  vita  e  dell'at- 
tività delle  arti  non    è    dato  avvertire    che    nella  metà  del  seguente  secolo, 
dalla  fine  del  regno  di  Alfonso  a  tutto  il  tempo  del  successor  Ferdinando. 
Allora,  avendo  non  pochi  de'  più  illustri  signori  dell'isola  usato  in  Napoli 
alla  splendida  corte  di  quel  Magnanimo,  e  sostenutovi  eminenti  uffizi,  non 
potè  a  men  di  avvenire,  che  da  ciò  in  lor  si  accendesse  alcun  amore  o  gusto 
delle  arti,  non  meno  che  delle  lettere,    e    che  per  loro    si  diffondesser  gli 
esempì  di  generosamente  promuoverle  ed  onorarle.  Ma  ciò,  che  soprattutto 
giovò  in  vantaggio  di  esse,    fu  quel  fervente  spirito   di   fede  e  di  religiosa 
pietà,  che  generalmente  era  in  tutti,  e  che  importava  al  governo,  a'  signori, 
al  clero  mantener  sempre  vivo  ed   acceso  nel   popolo,   mercè  la  maggiore 
sontuosità  e  splendidezza  del  culto.  Laonde  al  tempo  stesso ,   che  da  quella 


3 6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


opulente  aristocrazia  profusamente  spendevasi  in  edifici  di  baronali  palagi  , 
non  men  per  essa  (lavasi  opera  a  fondar  chiese,  cenobi,  cappelle,  ed  a  fare 
a  gara  in  ornarle  d'immensa  dovizie  di  dipinti,  di  sculture,  di  preziose  sup- 
pellettili, a  sfoggio  anche  della  propria  potenza  e  grandezza  ,    acquistandovi 
spesso  i  dritti  di  protezione  e  di  patronato,  ed  accogliendovi    in    sontuosi 
sarcofagi  le  ossa  de'  padri,  de'  congiunti,  degli  avi.  Spendevano  similmente 
a  decorazione  delle  lor  chiese,  delle  abbadie,  degli  episcopi  i  ricchi  e  gene- 
rosi prelati,  promovendo  in  un  che  il  sacro  culto  l'operosità  e  lo  sviluppo 
delle  arti  nel  loro  svariato  esercizio  ,  onde  ancor  prima  del  Paterno  si  eran 
distinti  in  quel  secolo  il  Puxades  e  maggiormente  il  Bologna  arcivescovi  a 
crescer  decoro  e  ricchezza  al  duomo  palermitano.  Monaci  e  frati,  cui  nelle 
corti  era  accesso,  e  di  cui  anzi  alcuni  eran  cadetti    del  sangue,  non  fu  mai 
che  indarno  implorassero  la  signorile  munificenza    in    prò    de'  lor  chiostri, 
che  quindi  mercè  le  generose  largizioni,  o  ancor  per  mano  de'  frati  stessi, 
che  furon  talora  artefici,  sempre  più  si  accrescevano  di  artistiche  ricchezze, 
concorrendovi  pur  generalmente  la  pietà  de'  fedeli  e  del  popolo  ,  che  nulla 
meglio  che  nella  fede  aveva  conforto.    Non  mancò  spesso    alcun  segnalato 
impulso  da'  locali  governi  delle  università  o  de'  Comuni,  e  soprattutto  nelle  pri- 
marie città,  dov'eran  maggiori  mezzi  a  promuoverne  con  patrio  orgoglio  il 
decoro:    e   quindi   a   notevoli  costruzioni  di  utilità  pubblica  veggiam  posto 
mano  ancor  di  que'  tempi  in  Palermo,  siccome  a  quella  di  un  molo  a  Pie- 
digrotta,  poi  sciaguratamente   portato  via  da'  marosi  appena  compiuto,  alla 
erezione  di  pianta  del  palazzo  della  città,  a  grandi  risarcimenti  delle  mura- 
glie all'  intorno,  alla  decorazione  sontuosa  di  varie  porte  e  ad  altre  pubbliche 
opere,  che  più  che  ogni  altro  onorarono  il  governo  di  Pietro  Speciale  pre- 
tore (').  Non  è  a  dir  poi  se  ben  volentieri  pretori  e  giurati  si  prestassero 
allorché  si  trattava  di  accrescere  alle  chiese  nuovi  ornamenti  e  magnificenze, 


(■)  Pregevoli  <XJo//'^/V  sull'antica  casa  pretoria  di  Talermo  e  sul  pai  ti  no  attuale  furono  date  in  luce  chi 
professor  Giuseppe  Meli  nelF  ^Archivio  storico  siciliano  (Palermo,  1876,  an.  Ili,  pag.  295  a  320).  E  fra'  di- 
versi documenti  da  lui  pubblicati  in  proposito  havvene  uno  del  22  dicembre  I  indi;:.  1467  ,  da  cui  si  rileva, 
che  un  maestro  Giacomo  di  Bonfante  era  in  que'  dì  capo  maestro  dell'arte  dell'architettura  della  città  di  Pa- 
lermo, e  quindi  ben  può  darsi,  ch'egli  abbia  architettato  quell'edificio.  Ma  punto  non  si  accenna  donde 
fosse  nativo,  come  neanco  e  motto  dell'  origine  di  un  maestro  Pagano  de  Arilchlono ,  che  più  di  un  secolo 
prima,  nel  1342,  era  stato  preposto  dall'  università  di  Palermo  all'  opera  della  fabbrica  del  nuovo  campanile 
del  duomo,  secondo  un  documento  contemporaneo  pubblicato  dallo  stesso  professor  Meli  nelle  crLuovc  Effe- 
meridi siciliane  (Palermo,   1875,  serie  III,  voi.  II,  pag.  299-306). 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  II.  37 

giacche  al  sentimento  della  religione  e  della  pietà  univasi  in  ciò  anche  quello 
dell'onore  e  della  dignità  del  paese,  e  quindi  pittori  e  scultori,  orefici  e  genti 
di  altre  arti,  non  meri  che  architetti  e  ingegneri,  erari  tenuti  in  conto  e  non 
difettavano  di  lavori.  Le  varie  classi  del  popolo,  distinte  in  maestranze  ed  in 
confraternite,  adoperavansi  anch'esse  ad  addobbar  nel  miglior  modo  cappelle 
ed  oratori,  in  cui  avevan  quasi  loro  esistenza  e  lor  centro  ;  e  più  che  altri 
sovente  assai  profondevano  ad  erigerne  ed  a  decorarne  le  varie  nazioni,  Ossian 
le  molte  genti,  che  a  cagion  di  commerci  e  d'industrie  traevano  in  Sicilia 
dagli  altri  stati  d'Italia,  o  dalle  Spagne,  o  d'altrove ,  fermandovi  soggiorno 
nelle  città  marittime,  e  soprattutto  in  Palermo  e  in  Messina,  ciascuna  sotto 
un  suo  console,  e  alcune  ancora  con  proprie  loggie  e  ospedali,  e  tutte  con 
chiese  o  cappelle  proprie,  a  loro  spese  erette  ed  ornate.  Era  sempre  lo  spirito 
della  fede  religiosa,  spesso  congiunto  ad  un  naturale  e  felice  sentimento  di 
orgoglio  a  sfoggio  di  proprio  fasto,  o  ad  onor  della  patria,  che  schiudeva  alle 
arti  il  sentiero  di  un'ammirabile  attività,  dond'  elle  dovean  fra  breve  levarsi 
alla  maggior  gloria  ed  altezza,  che  al  genio  umano  fu  conceduto  raggiungere. 
Si  avverte  però  appunto  allora  un'  assoluta  prevalenza  di  numero  di  ar- 
tisti ed  operai  dal  di  fuori  venuti  ad  esercitarsi  in  ogni  arte  in  Sicilia  sin 
dalla  metà  del  quattrocento,  qual  già  nel  precedente  capitolo  si  ebbe  luogo 
per  le  nobili  arti  a  cennare;  ed  un  tal  fatto  ha  ragione  non  solo  in  tanta 
attività  di  relazioni,  in  che  più  o  meno  continuò  ad  esser  l'isola  con  tutto  il 
resto  d'Italia  e  con  tanti  altri  stati  dell'Oriente  e  dell'Occidente  ne'  secoli 
posteriori  al  felice  dominio  normanno ,  ma  ancor  da'  cennati  disastri  ,  in 
che  le  guerre  e  l'anarchia  feudale  la  travolsero ,  allorché  certo  fra  tanti  scon- 
volgimenti  e  miserie  l'operosità  delle  arti  non  ebbe  campo  propizio.  Ag- 
giungi, che  dalle  popolazioni  indigene  di  quel  tempo,  e  specialmente  da  quelle 
delle  grandi  città  marittime,  par  che  generalmente  si  rifuggisse  dall'esercizio 
di  arti  e  d'industrie,  piacendo  forse  meglio  servir  nelle  corti,  o  languir  nella 
inerzia,  anziché  trar  partito  dal  lavoro  e  dal  traffico  e  mercé  i  propri  sudori 
campar  la  vita  o  avvantaggiarsi  in  fortuna.  Laonde  ,  non  altrimenti  che 
nelle  arti  del  bello,  ancor  nelle  meccaniche  ed  in  molta  varietà  di  mestieri 
(siccome  é  dato  rilevare  da'  pubblici  atti  insino  al  declinare  del  cinquecento) 
generalmente  appariscono  ben  più  numerosi  che  gli  operai  del  paese  i  molti 
venuti  da  oltremare  e  più  che  ogni  altro  dalle  diverse  parti  della  penisola 
senza  badare  a  maggiore  o  minor  distanza,  non  men  da  Genova ,  da  To- 


3 8  1    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

scana,  dal  Piemonte,  dal  Veneto  e  specialmente  da  Lombardia,  che  dal  Na- 
politano e  dalla  vicina  Calabria.  Troviam  fra  essi  i  calzolai,  i  sarti,  i  cardatori, 
i  carpentieri,  i  muratori,  i  coloni,  ed  insieme  i  pannieri,  i  bottegai  d'ogni 
merce,  gli  aromatarii,  i  canovai  o  bettolieri,  questi  ultimi  fino  a  non  guari 
comunemente  appellati  Lombardi  in  Sicilia  dal  maggior  numero  di  essi,  che 
in  vini  ed  in  grasce  vi  trafficavan  dovunque.  L'alto  commercio  tenevano 
intanto  in  lor  mano  banchieri  e  mercanti  genovesi,  fiorentini,  lombardi  ed 
ancor  catalani,  pe'  quali  la  Sicilia,  benché  caduta  si  in  basso,  era  sempre  un 
terreno  molto  opportuno  per  la  fertilità  e  1'  esportazione  de'  suoi  prodotti, 
come  i  frumenti ,  i  vini ,  i  formaggi  e  specialmente  gli  zuccheri ,  de'  quali 
duraron  vive  la  coltivazione  e  le  fabbriche  finché  non  andaron  poi  a  male 
per  le  concorrenze  transatlantiche,  e  che  molto  fruttavano  in  iscambio  dei 
generi  dal  di  fuori  importati ,  siccome  i  panni  di  Londra ,  di  Olanda  e  di 
altrove,  e  le  svariate  mercanzie,  di  che  era  notevole  spaccio  in  un  paese  di 
tanto  feudal  fasto,  eppur  così  privo  di  attività  di  lavoro. 

Non  dee  quindi  sorprendere,  se ,  destatisi  più  che  mai  nel  quattro- 
cento 1'  amore  ed  il  gusto  per  le  arti  del  bello  in  Sicilia  per  opera  soprat- 
tutto delle  ricchissime  classi  dell'aristocrazia  feudale  e  del  clero,  più  che  gli 
scarsi  artefici  del  paese  abbian  risposto  al  nobile  appello  i  molti ,  che  da 
ogni  parte  d' Italia  vi  accorsero ,  e  fin  dalle  più  alte  contrade  di  essa.  Da 
ciò  per  la  pittura,  come  di  sopra  è  ancor  cenno ,  precedono  insin  dal  tre- 
cento i  nomi  e  le  opere  di  Bartolomeo  da  Camogli ,  di  Turino  di  Vanni 
pisano,  di  Jacopo  di  Michele,  detto  Gera  da  Pisa,  di  Niccolò  di  Magio  da 
Siena,  di  cui  è  innegabile  il  soggiorno  nelF  isola  ne'  primi  anni  del  deci- 
moquinto secolo;  e  non  men  notevole  nella  seconda  metà  di  esso  é  la  di- 
mora in  Palermo  di  quel  Guglielmo  de  Pisaro,  assai  probabilmente  da  Pe- 
saro, di  cui  si  ha  certezza  avervi  molto  ed  a  lungo  dipinto,  comunque  fin 
ora  niun'  opera  sen  riconosca  esistente.  Precedetter  costoro  di  più  o  meno 
tempo  i  valentissimi  dipintori  siciliani,  che  sorsero  alquanto  più  tardi  a  ben 
più  alto  grado  di  merito  e  di  sviluppo,  siccome  Antonio  Crescenzio,  Tom- 
maso di  Vigilia ,  Pietro  Ruzulonc  ed  altri ,  de'  quali  non  può  ragionevol- 
mente negarsi,  che  abbian  sentito  1'  influenza  de'  loro  antecessori  ,  mentre 
dalle  insigni  scuole  di  Fiandra  e  di  Venezia  andava  a  coglier  gran  frutto 
Antonello  da  Messina ,  propagator  della  pratica  più  vantaggiosa  per  1'  arte. 
Cosi    ancor  da  si  attive  e  frequenti    relazioni  con  la  penisola  è  da  ripetere 


NEI    SECOLI    XV    li    XVI.   CAP.  II.  39 


quella  vera  colonia  di  architetti  e  fabbricatori ,  scultori  e  scarpellini  ,  che 
dalla  Lombardia,  e  pure  alcun  da  Venezia,  si  trovano  aver  fatto  passaggio  e 
fermato  stanza  in  Sicilia  e  specialmente  in  Palermo  dal  mezzo  allo  scorcio  del 
quattrocento.  Comunque  ivi  riputati  architetti  siciliani  non  mancassero  (di 
alcun  de'  quali  rimangono,  come  cennammo,  notevoli  edifici),  altri  scn  videro 
al  tempo  stesso  da  quelle  parti  arrivarne,  ed  anco  da  Roma  e  dal  vicino  regno 
di  Napoli,  ed  essere  stati  adibiti  in  molta  varietà  di  lavori,  soprastando  agli 
operai  o  manuali  dell'  arte  medesima,  che  pur  di  Là  e  da  ovunque  venivano 
in  copia.  II  che  più  segnatamente  ad  un  tempo  apparisce  nella  scultura,  di 
cui,  in  difetto  di  artefici  del  paese,  gli  scultori  e  marmorai  della  terraferma, 
e  più  che  altri  i  lombardi,  totalmente  occuparono  il  campo,  segnalatisi  al- 
cuni non  men  per  attività  che  per  merito  di  scalpello,  e  di  cui  la  più  parte, 
rimasti  nell'isola  e  resi  già  siciliani  per  lungo  soggiorno,  si  uniron  co'  fab- 
bricatori a  formar  quella  loro  corporazione  o  maestranza,  che  mostra  tutto 
in  lor  mano  l'esercizio  dell'arte  in  Palermo  nel  1487.  Né  sol  dall'arte  sovente 
traevan  essi  vantaggio,  ma  ancor  dal  commercio  e  dal  traffico  :  ond'  è  che 
sin  dal  1468  troviam  Domenico  Gagini  fare  incetta  di  zuccheri  in  copia 
ne'  magazzini  di  Pietro  Lo  Campo,  e  più  tardi  alcun  altro  scultore  legarsi 
con  commercianti  in  società  mercatantesca  ad  incettar  grani,  caci  ed  altri  ge- 
neri in  Sicilia  per  venderli  in  Carrara  o  nella  riviera  di  Genova,  e  colà  in 
vece  comprar  marmi  per  portarli  nell'isola  e  trarne  nuovo  guadagno.  Riu- 
scivan  essi  quindi  a  prosperar  di  leggieri  in  fortuna ,  e  ,  non  mancando 
di  attività  e  di  occasioni  continue  di  lavoro  ,  acquistavan  case  e  poderi  e 
formavan  famiglie,  crescendo  ed  educando  all'arte  i  figli  e  i  discepoli  e  be- 
nedicendo il  suolo,  che  li  ebbe  accolti. 

In  Lombardia,  da  cui  essi  in  gran  parte  provenivano ,  1'  architettura  e 
la  scultura  insin  dal  declinare  del  quartodecimo  secolo  per  tutto  il  quattro- 
cento vennero  a  un  grado  di  floridezza  e  sviluppo  ammirabile  ,  di  cui  la 
Certosa  di  Pavia  ed  il  duomo  di  Milano  co'  lor  sontuosi  marmi  sono  frai 
tanti  i  più  celebrati  esempì.  Notissimi  nell'arte  di  edificare  furono  intanto  in 
tutta  Italia  i  Lombardi  ed  i  Luganesi  in  ispecie;  e  basta  ovunque  lo  scorrere 
i  libri  di  fabbrica  ne'  vecchi  archivi  per  riscontrarvi  ad  ogni  momento  nomi 
di  capi  maestri  e  di  tagliapietre  venuti  da  Lugano,  da  Como  e  da'  circostanti 
paesi,  e  fino  dal  XIV  e  dal  XV  secolo  riconosciuti  i  più  abili  in  quelli  e- 
sercizi.  Erano  pur  fra  costoro  bene  spesso  marmorai  e  scarpellini,  ed  egli  é 

7 


40  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

ben  chiaro  (osserva  il  Cicognara),  che  molti  di  essi ,  conversando  con  ar- 
chitetti e  scultori  di  grido  ,  per  lo  svegliato  ingegno  loro  passassero  dalla 
classe  di  manuali  e  di  materiali  esecutori  a  quella  di  egregi  scultori  (').  Fa- 
cile è  pure,  che  avessero  alcuni  studiato  co'  bravi  maestri,  di  che  non  era 
penuria  in  Milano  ed  altrove  nelle  lor  patrie  contrade,  e  che  indi,  adulti  nel- 
l'arte, avessero  stimato  lor  prò  andar  lontano  a  migliorar  di  fortuna,  allorché 
le  limitate  condizioni  di  quel  natio  loro  ducato  non  potevan  dar  sempre  di 
che  occuparsi  e  da  vivere  a  sì  gran  copia  di  artefici,  e  le  vicende  politiche 
in  estinguersi  il  governo  de'  Visconti  esposer  quel  ricco  paese  a'  disastri , 
che  provengono  dalla  sfrenata  licenza  delle  armi  e  delle  milizie  prive  di  un 
capo  temuto ,  che  le  raffreni  (2).  Certo  poi  ancor  duravan  colà  di  quel 
tempo  fra'  tanti  artisti  e  operai  le  tradizioni  e  lo  spirito  di  quelle  associa- 
zioni famose  ,  di  già  originatevi  co'  Coincidili  insin  da'  tempi  di  Rotari  e 
degli  altri  re  longobardi  e  che  propagaron  dovunque  co'  liberi-muratori  la 
influenza  dello  stile  lombardo  in  architettura.  Sembra  quindi,  che,  volendo 
coloro  mutar  paese  in  cerca  di  fatica  e  di  miglior  sorte,  facilmente  in  parecchi 
al  medesimo  intento  si  unissero  ed  altrove  emigrassero,  chiamando  poi  altri 
con  l' esempio  del  buon  successo  a  seguirli,  stretti  non  solo  dal  vincolo  di 
una  medesima  origine,  ma  ancor  da  quello  dell'arte,  e  fors'anco  da  intimi 
doveri  di  fratellanza  e  di  aiuto  scambievole,  cui  eran  potuti  obbligarsi:  dal 
che  fra'  venuti  in  Sicilia  occorre  trovarne,  che  scambievolmente  col  nome 
di  fratelli  ne'  pubblici  atti  si  appellarono,  comunque  diversi  affatto  di  nome 
e  di  sangue.  Quivi,  siccome  a  lungo  fu  discorso  nel  precedente  capitolo,  è 
ben  da  credere  ,  che  altri  scultori  e  scarpellini  di  quelle  contrade  si  fosser 
del  pari  trasferiti  ne'  secoli  anteriori  a  cominciar  dal  tempo  dell'  immensa 
operosità  delle  arti  sotto  i  Normanni,  allorché  tanta  copia  di  genti  lombarde 
é  certo  aver  fatto  continuo  passaggio  e  stabilito  colonie  nell'isola;  e  quindi 
sembra,  che  le  tradizioni  della  lombarda  scultura  abbian  potuto  più  o  meno 
esservi  continuate  mercè  la  venuta  di  altri  artefici,  comunque  fin  ora  ignoti, 
infino  a'  molti,  che  poi  ne  vennero  nel  quattrocento.  Siffatte  tradizioni  fu 
anzi  agevole  avessero  animato  costoro  a  cercar  fortuna  fin  nel  più  estremo 
lembo  d'Italia,  dove  pur  v'era  e  vi  è  gente  ancora,  che  parlava  e  che  parla 
il  loro  stesso  dialetto  ;  e  certamente    altronde  a  tal  partito  ad  un   tempo  li 


(  '  )  Cicognara,  Storia  della  scultura in  Italia.  Prato,  1833,  voi.  IV,  lib.  IV,  cap.  VII,  pag.  374  e  sug. 

(2)  Cicognara,  op.  cit.,  voi.  IV,  lib.  IV,  cap.  I,  pag.  23. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  II.  41 


trassero  e  le  molte  e  frequenti  relazioni  commerciali  con  la  Sicilia,  e  le  a- 
derenze  e  i  rapporti  de'  suoi  ricchi  signori  e  del  clero,  e  quel  general  gusto 
ed  affetto,  che  in  essa  ognor  più  ridestavasi  nelle  arti,  promettendone  lieto 
avvenire.  Cosi  non  meno  per  la  molta  vicinanza  a'  Lombardi  fu  naturale 
l'averne  seguito  l'esempio,  passando  pure  nell'isola,  alcun  de'  tanti  scultori 
di  Venezia,  dove  le  imprese  militari  e  le  più  grandi  agitazioni  politiche 
non  contendevano  alle  arti  sommo  incremento  e  splendore  ;  e  di  leggieri 
alquanto  più  tardi  ne  vennero  da  Carrara,  come  cennammo,  a  cagion  delle 
cave  e  del  continuo  commercio  de'  marmi,  essendo  tutti  con  tal  favore  ac- 
colti nel  nuovo  soggiorno,  che  non  mai  quincinnanzi  si  furon  più  indotti 
a  lasciarlo. 

Ivi  però  essi  trovaron  1'  arte  in  molto  difetto  di  sviluppo ,  siccome 
chiaro  apparisce  dalla  precedente  scarsezza  ed  imperfezione  di  opere.  Di 
niuna  statua  in  marmo  é  notizia  ,  che  vi  sia  stata  scolpita  da  artisti  del 
paese  in  tutto  il  trecento  ,  né  di  alcun  nome  di  essi  riman  vestigio.  Scul- 
tura della  pisana  scuola,  allor  si  fiorente,  sembra  sia  in  vero  la  statua  pre- 
giatissima della  Madonna  di  Trapani ,  quivi  venuta  su  nave  pisana  negli 
ultimi  anni  del  secolo  XIII ,  siccome  di  più  probabile  si  rileva  fra  molta 
incertezza  e  contraddizion  di  leggende  (x).  E  servi  essa  poi  di  modello  per 
la  divina  bellezza  ed  espressione,  che  vi  si  ammira,  a  molte  altre  statue  di 
egual  soggetto,  di  che  ne'  secoli  appresso  dal  XV  al  XVIII  fu  la  Sicilia  ri- 
piena per  opera  spesso  di  lodati  maestri.  Ma  dal  semplice  arrivo  di  quel  sol 
simulacro,  per  quanto  esso  abbia  potuto  servire  di  esempio  e  d'incitamento 
al  progredir  dello  stile  e  del  gusto,  non  è  da  credere,  che  1'  arte,  ancor  si 
bambina,  si  fosse  ad  un  tratto  elevata  ad  eguale  sviluppo,  quando  nulla  di 
veramente  pregevole  può  in  simil  genere  affermarsi  allora  eseguito.  Frai 
rari  lavori  di  quel  tempo  esiste  la  figura  giacente  di  Federico  d'Antiochia, 
morto  nel  1305  ,  sopra  il  coperchio  del  suo  sepolcro  nel  sotterraneo  del 
duomo  di  Palermo  (2)  :    ma ,  oltreché  lo  sviluppo  di  magistero  e  di  stile 


(  '  )  Vedi  in  proposito  l'opuscolo  del  trapanese  p.  Fortunato  Mondello,  La  Madonna  di  Trapani,  me- 
morie patrio-stor'co-artistìcbe.  Palermo,  1878,  cap.  I,  pag.  9  e  seg.  Il  Dennis  ,  A  bandbook  far  travellers  in 
Sicily  (London,  1864,  pag.  158),  accennando  l'erronea  opinione  di  alcuno,  che  la  detta  statua  sia  del  Gagini, 
reca  pur  quella  di  altri,  che  meglio  l'attribuiscono  alla  scuola  di  Nicola  Pisano. 

( 2  )  Ne  è  un  disegno  nell'opera  del  canonico  Alessandro  Casano,  "Del  sotterraneo  della  chiesa  cattedrale 
di  Palermo  (Ivi,  1849,  pag.  28  e  seg.,  tav.  C,  2),  ed  anche  nella  mia  opera  Delle  belle  arti  in  Sicilia  dai 
Normanni  alla  fine  del  secolo  XIV  (Palermo,  1859,  voi.  II,  lib.  VI,  pag.  288  e  seg.). 


42  I    G AGI XI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


in  quella  dia  a  sospettar  eh'  essa  sia  posteriore  più  o  meno  a  quell'  anno  , 
nulla  fin  qui  ci  assicura  esser  lavoro  di  siciliano  scalpello.  Del  resto  le 
forme  umane,  che  raro  s'incontrano  in  qualche  bassorilievo,  in  qualche  or- 
nato di  architrave,  od  altrove,  non  mostrano  che  lo  stato  di  mera  infanzia 
dell'arte,  mentre  ad  esempio  dell'  imperizia  e  rudità  somma  di  essa  stanno 
alcune  informi  figurine  dell'Annunziata  e  dell'angelo,  intagliate  negli  stipiti 
della  porta  maggiore  della  chiesa  di  S.  Francesco  in  Palermo,  e  non  men  quella 
di  una  Nostra  Donna  fra  due  stemmi  del  regno  di  Sicilia  e  della  casa  real 
di  Aragona  in  una  brutta  scultura  del  1328,  avanzo  dell'antico  edificio  della 
badia  cistercense  del  Parco,  e  di  cui  si  ha  ora  in  gesso  un'impronta  nel  museo 
nazionale  palermitano.  Un  segnalato  impulso  allo  sviluppo  della  scultura  nel- 
l'isola avrebbe  potuto  dar  certamente  Goro  o  Gregorio  di  Gregorio  da  Siena, 
che  nel  1333  scolpì  in  marmo  pel  duomo  di  Messina,  dove  ancora  rimane, 
il  sepolcro  di  sopra  cennato  di  Guidotto  arcivescovo  :  ma  non  si  nota  nel 
fatto,  che  siansi  poi  più  rinnovati  gli  esempi  di  buono  stile  nella  scultura 
figurativa  in  quel  tempo,  né  che  quell'aura  di  buona  influenza  toscana  abbia 
prodotto  notevoli  effetti.  Maggiore  sviluppo  era  per  fermo  nell'ornamentale 
scultura,  non  mancando  in  ragion  del  tempo  esempì  di  gusto  nelle  moda- 
nature e  negli  ornati  della  porta  della  chiesa  anzidetta  di  S.  Francesco,  ovver 
di  quella  maggiore  del  duomo  palermitano,  o  in  altri  edifici  di  chiese  e  di 
palagi  in  diversi  luoghi:  ma  si  era  ancor  lungi  da  quella  soavità  ed  eleganza 
di  stile ,  in  che  l'arte  italiana  tanto  mirabil  si  rese  neh'  etcì  sua  più  felice, 
mentre  la  decorazione  sontuosa  della  porta  meridionale  del  duomo  stesso, 
scolpita  in  marmo  nel  1426  da  Antonio  Gambara,  della  cui  origine  e  vita 
nulla  fin  ora  ci  è  noto  ,  presenta  ,  oltre  a  molta  imperizia  nelle  figurine 
degli  apostoli  e  del  Dio  Padre,  che  ricorron  dattorno  e  di  sopra  all'arco  acuto 
tra'  fregi,  un  tale  affastellamento  di  linee  e  di  forme  e  tanta  profusione  di 
minuti  e  confusi  lavori  da  fare  avvertire  ancor  molto  i  difetti  dell'età  prece- 
dente. Faeea  quindi  mestieri ,  che  scultori  di  svegliato  ingegno  ed  allevati 
a  migliore  stile  fosser  sopravvenuti  come  maestri  di  espressione  e  di  forma, 
indirizzando  l'arte  pel  nobil  cammino,  ond'ella  in  Toscana,  in  Lombardia 
ed  in  Venezia  si  era  già  levata  a  gran  vanto.  Ed  un  tal  salutare  indirizzo 
diedero  appunto  i  più  abili  fra'  venuti  dalle  superiori  contrade  d'Italia  dopo 
la  metà  del  quintodecimo  secolo,  e  sopra  tutti  per  merito  di  scalpello,  non 
meno  che  per  priorità  di  tempo  e  per  lungo  esercizio  dell'arte,  il  lombardo 


xi:i  secoli  xv  li  xvi.  gap.  il.  43 


Domenico  Gagini,  da  cui  fa  capo  in  Sicilia  l'altissima  scuola  di  scultura, 
che  m' ingegnerò  di  venire  illustrando.  Ma  pria  che  trattar  di  lui  e  produrre 
le  alquante  notizie,  che  mi  è  venuto  fatto  raccoglierne,  gioverà  meglio  dir 
quanto  è  dato  indagar  degli  altri  suoi  contemporanei,  che,  da  oltremare  pur 
giunti,  con  lui  più  o  meno  concorsero  allo  sviluppo  ed  innalzamento  del- 
l'arte; e  ciò  perchè  ancor  riesca  a  più  avvicinar  le  memorie  di  sì  bravo 
artefice  a  quelle  ben  più  notevoli  del  sommo  Antonello  suo  figlio  ,  dal  cui 
genio  fu  di  poi  spinta  la  siciliana  scultura  al  maggior  segno  di  perfezione  e 
di  gloria. 

Non  si  può  tener  conto  gran  finto  di  un  Bartolomeo  Dallecima  o  Dan- 
lecima ,  il  cui  nome  ,  circa  quattro  anni  innanzi  alla  più  antica  memoria  di 
Domenico  Gagini  in  Palermo,  appar  segnato  a  capo  del  fusto  marmoreo  di 
una  pila  circolare  di  acqua  santa,  eh'  era  prima  in  San  Giacomo  la  Marina 
ed  ora  si  vede  in  Santa  Cita ,  con  la  seguente  epigrafe ,  che  nel  cognome 
sopra  le  lettere  al  ha  pure  un  segno  di  abbreviazione  :  -f  bartholomevs. 
dalechima.  me.  fecit.  a.  d.  m.cccc.lx  -f  (').  Costui  però  in  tal  marmo 
di  comuni  e  semplici  forme  non  va  certo  al  di  là  dal  merito  di  meccanico 
scarpellino;  né  di  altre  sue  rilevanti  sculture  si  ha  notizia.  Ma  insigne  opera 
fu  quella,  che  contemporaneamente  al  Gagini,  dopo  cinque  anni  della  prima 
certezza  del  soggiorno  in  Palermo  del  medesimo  ,  venne  affidata  agli  scul- 
tori Pietro  di  Bontate  e  Francesco  di  Laurana  ,  che  ivi  ancor  dimoravano 
(habitatorcs  Panonni),  godendovi  altresi  per  fermo  ben  degna  fama  nell'arte. 
Del  primo  di  essi,  ignoto  fin  qui  del  tutto,  ritorna  adesso  in  luce  la  prima 
volta  il  nome  dopo  oltre  a  quattro  secoli  di  un  obblio  immeritato,  mentre 
non  era  dell'  altro  più  rilevante  notizia  che  per  1'  ammirabil  sua  statua  di 
Nostra  Donna  nel  duomo  di  Palermo,  della  qual  fra  non  guari  sarà  luogo 
a  discorrere  (2).  Nonpertanto  quell'opera  di  maggior  pregio  e  momento, 
fin  ora  altresi  ignorata,  dove  unitamente  più  che  altrove  rifulse  il  merito 
de'  detti  due  artisti,  fu  la  fabbrica  e  la  decorazione  marmorea  di  un'  intera 
cappella  nella  chiesa  del  convento  di  S.  Francesco  in  Palermo  con  un  al- 
tare sorretto  da  quattro  colonne  ed  una  statua  al  naturale  e  maestrevolmente 


(  '  )  Legge  anche  così  il  Mongitore  nel  suo  manoscritto  sulle  Parrocchie  di  Palermo,  esistente  nella  Co- 
munale palermitana  a'  segni  Q.q  E  4  (pag.  589).  Sbaglia  però  il  cavalier  Gaspare  Palermo  nella  sua  Guida 
di....Taìermo  (Ivi,   1816,  giorn.  I,  pag.  272),  leggendo:  cBartholomem  de  la  Chiana  tue  fecit  anno  'Domini  1460. 

(2)  Vedine  il  disegno  nella  tavola  prima  della  presente  opera. 


44  !    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


scolpita  di  Maria  Vergine,  con  un  sepolcro  inoltre  sopra  colonne  di  marmo 
e  con  tutto  l'arco  esteriore  adorno  di  figure,  giusta  un  disegno  presentatone 
da'  due  scultori  e  segnato  di  mano  del  protonotaio  del  regno:  pel  qual  lavoro 
entrambi  essi  obbligaronsi  in  pubblico  atto  in  data  del  2  giugno  del  1468 
al  magnifico  Antonio  di  Mastrantonio,  regio  milite  e  cittadino  palermitano, 
pel  prezzo  di  once  duecento  (1.  2,550),  di  cui,  anticipate  già  cinque  al  Lau- 
rana  per  compra  di  marmi,  si  sarebber  pagate  indi  in  progresso  le  altre  ([). 
La  cappella  per  buona  sorte  tuttavia  esiste,  ed  è  la  quinta  del  lato  sinistro 
entrando  in  quel  tempio.  In  essa  insino  al  tempo  del  Mongitore  eran  pa- 
recchi sepolcri  della  nobil  famiglia  già  estinta  de'  Mastrantonio,  in  un  dei 
quali  notavasi  la  figura  giacente  di  un  uomo  in  armi  bianche  e  con  un 
cane  a'  piedi;  e  dinanzi  1'  altare ,  che  sorgeva  nel  fianco  sinistro  della  cap- 
pella ,  ricorrea  la  seguente  iscrizione  in  memoria  del  fondatore  :  Hoc  sc- 
pulcrum  et  sacellum  ipsum  sua  construxit  impensa  magnificus  ^Antonius  de  V\€agi- 
stro  ^Antonio,  equestris  dignitatis  vir  et  terrete  Jacis  dominus  (2).  Ma  benché  di 
siffatta  iscrizione ,  ed  insiem  dell'  altare  primitivo  e  degli  antichi  sepolcri , 
non  sia  colà  più  vestigio  (e  sembra  fossero  andati  a  male  ne'  molti  deva- 
stamenti da  quella  chiesa  patiti  a  cagion  del  tremuoto  del  1823),  rimangon 
però  quasi  intatte  le  più  rilevanti  opere  de'  due  scultori  nella  decorazione 
esterna  dell'arco  e  nella  statua  di  Nostra  Donna,  locata  or  questa  di  fronte 
sopra  un  moderno  altare  di  pietra.  Fiancheggian  quell'arco  due  ampli  pilastri 
assai  vagamente  scompartiti  con  preziosi  alti  rilievi  in  marmo  bianco ,  a- 
vendo  nelle  basi  due  putti  diversamente  atteggiati  con  cornucopie ,  ed  indi 
per  ciascun  lato  due  padri  della  Chiesa  ,  sedenti  insieme  ad  un  leggio  in 
meditazione  profonda,  e  più  su  i  quattro  Evangelisti ,  ciascuno  in  distinto 
scompartimento  in  atto  di  scrivere  il  Vangelo,  due  pur  da  ogni  banda,  mentre 
poi  al  di  sopra  dell'arco  seguono  ad  innalzarsi  isolatamente  i  pilastri,  dando 
luogo  a  due  scudi  con  le  armi  de'  Mastrantonio  e  terminando  con  due 
mezze  figure  di  profeti.  Siili'  arco  stesso  nella  parte  centrale  ricorrono  in- 
tanto da'  lati  in  due  tondi  1'  Annunziata  ed  il  Gabriello  in  figurine  di  al- 
quanto minor  bellezza  che  le  altre,  e  sta  in  mezzo  nel  vertice  in  piccola  e 
bella  mezza  figura  1'  Eterno  ,    laddove  poi   dal  di  dentro  l'arco  medesimo  è 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  V. 

(2)  Mongitori;,  Le  chiese  e  case  di'  regolari  di  Palermo,  parte  prima  ;    fra'  manoscritti  della  Comurale 
palermitana  a'  segni  Q.q  E   5  (pag.   510). 


NLI    SECOLI    XV    L    XVI.  GAP.   I!.  45 


tutto  adorno  di  dicci  leggiadri  rosoni,  alcuni  con  teste  umane,  fra  due  fasce- 
di  ornati  di  gusto  italiano  del  risorgimento  ,  benché  non  anco  pervenuti  a 
total  finitezza.  La  statua  cennata  inoltre  di  Nostra  Donna,  ch'é  sull'altare, 
la  rappresenta  in  piedi,  tenendo  sul  braccio  sinistro  il  divin  pargolo  in  atto 
di  prender  da  lei  una  mela  o  qualche  simile  frutto ,  eh'  ella  con  la  sua 
destra  amorevolmente  gli  porge  :  oltreché  nella  base  in  piccoli  bassirilievi  ri- 
corron  nel  centro  la  Nascita  di  Gesù  e  da'  due  lati  l'Annunziazione  e  l'E- 
pifania. Non  son  certamente  nella  statua  medesima  quell'  espressione  pro- 
fonda di  religioso  sentimento  e  quella  somma  eleganza  di  forme,  quai  furono 
in  appresso  prerogative  stupende  dell'arte  giunta  al  perfetto:  ma  vi  han  quel- 
l'attraente vaghezza  di  sembianze  e  quella  tal  naturalezza  soave  di  posa  e 
di  atteggiamento  ,  che  rivelano  in  ragion  dell'  età  un  merito  assai  notevole 
di  scalpello.  Il  che  poi  soprattutto  è  dato  osservare  nelle  cennate  figure  del- 
l' arco  ,  che  per  espressione  d'intima  fede  e  preziosità  somma  di  stile  son 
senza  fallo  da  enumerar  tra'  lavori  di  miglior  gusto  e  sviluppo  in  quel 
tempo,  siccome  specialmente  si  vede  da  uno  de'  migliori  di  quegli  scom- 
partimenti ,  dove  siedono  ad  uno  stesso  leggio  dall'  una  banda  e  dall'  altra 
San  Girolamo  e  San  Gregorio  Magno  pontefice  in  atto  di  meditazione  pro- 
fonda sopra  i  sacri  volumi,  mentre  su  loro  librato  sulle  ali  sta  un  angelo 
di  purissime  forme,  e  nel  fondo  in  bassorilievo  è  leggiadra  prospettiva  di 
una  basilica  e  di  una  parte  di  un  tempio,  con  ammirabile  e  classico  gusto 
condotta  (:).  Da  tale  scultura  quindi,  che  qui  rechiamo  in  disegno,  chiaro 
apparisce,  che  dal  loro  gran  merito  altissima  rinomanza  per  fermo  dovè  in 
Sicilia  provenire  a'  detti  scultori ,  a'  quali  certo  non  mancarono  frequenti 
occasioni  di  opere  nel  fortunato  loro  soggiorno. 

Nondimeno  di  Pietro  di  Bontate  non  son  fin  ora  note  altre  sculture 
in  Palermo  ed  altrove  nell'isola,  benché  sia  molto  probabile,  che  n'esistano, 
senza  che  pur  se  ne  sappia  l'autore ,  mentre  non  poche  statue  ,  sarcofagi, 
fregiature  ed  ogni  maniera  di  marmi  di  quel  tempo  rimangono,  spesso  per 
merito  d'arte  commendevoli ,  de'  quali  affatto  s' ignora  chi  li  scolpiva.  Né 
fin  qui  é  riuscito  poter  chiarire  di  che  paese  colui  propriamente  si  fosse, 
risultando  per  altro  evidente,  ch'ei  non  sia  stato  nativo  palermitano,  giacché 
abitator  di  Talermo  viene  in  pubblico  atto  col  Laurana  appellato,  di  cui  al- 
tronde é  sicura  la  veneta  origine.  Si  ha  però  inoltre  notizia  del  medesimo  in 


(  '  )  Vedi  la  tavola  II  della  presente  opera. 


46  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


altro  pubblico  strumento  in  data  del  21  di  aprile  del  1478,  per  cui  il  notaio 
palermitano  Giovanni  di  Terranova  e  Giacoma  sua  moglie  (vedi  fin  dove 
ancor  qualche  volta  non  ha  scrupolo  d'ingerirsi  la  storia)  ritirarono  una  loro 
accusa  e  relative  querele  di  buona  fede  lanciate  contro  il  Bontate  scultore  per 
attentato  alla  vita  di  Caterina,  sua  sposa,  loro  nipote,  non  meno  che  per  im- 
putazione di  stupro  di  una  Fimia  sua  serva  ed  altri  delitti  :  il  che,  comunque 
in  lui  alquanto  offuschi  la  fama  di  galantuomo,  ne  prova  dopo  altri  dieci 
anni  ancora  il  soggiorno  in  Palermo  e  l'avervi  egli  avuto  casa  e  famiglia  ('). 
Ed  indi  ne  segue  memoria  ancor  nove  anni  più  tardi ,  allorché  appare  il 
secondo  il  suo  nome,  immediato  a  quel  di  Domenico  Gagini,  ne'  mento- 
vati capitoli  della  maestranza  de'  marmorai  e  de'  fabbricatori,  approvati  a  18 
settembre  del  1487  (2):  oltreché  in  fine  la  Caterina  sua  moglie,  ancor  vi- 
vente il  marito  ,  die  luogo  ad  un  atto  di  procura  in  data  del  1 5  maggio 
del  1495,  quand'erano  almanco  ventisette  anni,  che  in  continuo  esercizio 
dell'arte  viveva  egli  in  Sicilia,  dov'è  a  tener  per  fermo  abbia  finito  la  vita  (3). 
Narra  poscia  il  gesuita  Giovanni  Amato  nell'ottavo  libro  della  sua  opera 
'De principe  tempio panormitano  (-*),  che  Paolo  di  Gammicchia,  arciprete  di  Erice, 
ossia  della  terra  di  Monte  San  Giuliano,  e  Paolo  Toscano,  tesoriere,  allo- 
garono per  la  lor  chiesa  madre  a  Francesco  Laurana  ,  scultor  di  Venezia, 
dimorante  in  Palermo,  una  statua  di  Nostra  Donna  a  simiglianza  dell'altra 
più  antica  nel  convento  dell'Annunziata  fuori  le  mura  di  Trapani,  pel  prezzo 
di  once  venticinque  (1. 3 18.75),  Pcr  pubblica  convenzione  fatta  pure  in  Palermo 


(  ')  Leggesi  quindi  nel  registro  di  num.  1158  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1477-81,  ind.  XI-XIV,  a  fog. 
82  retro,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo:  Eotlem  xxj."  aprilis  xj.°  ind.  (1478).  Cam  proviius  notarili* 

Johannes  de  Terranova,  civis  Panonni,  per  se  et  prò  parte  et  nomine  Jacobe  eius  uxoris,  criminaliter  accusaveril 
magistrum  Tetntm  de  'Bollitale,  sciti  torcili,  et  certos  alios,  de  nece  Catherine,  cornili  neptis,  uxoris  dicti  magistri 
Vetri ,  et  de  strupo  commisso  cimi  Fimia  eius  fatatila  et  aìiis  delictis  in  accusacione  contcntis  in  curia  magnifici 
domini  justiciarii  et  capitatici  fclicis  urbis  Panarmi,  ut  asseritili-;  bitte  est  quod  hodie,  prctituìato  die,  predittus  110- 
tarius  Johannes  et  Jacoba,  jugales,  presenta  corani  nobis,  sponte  agnoscentcs  bonain  fidem  accusacionis  predicte,  liti 
ecsscrunt  et  cediint  pcnittts  et  expresse,  rcnunciaverunt  et  rcnunciant ,  volcntes  et  mandali tes  didatti  accusacioncm 
,  l  omnia  alia  acta,  in  dieta  curia  actitata  et  fiacta,  fiore  et  esse  cassa  et  nulla  ac  si  minime  fiacta  fiuissent.  — Testes: 
notarius  Pasqualis  de  Messami  et  Michael  di  Contestabili. 

(2)  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  TV,  ed  anche  di  sopra  nel  precedente  capitolo  a  pag.  27, 
dove  però  con  errore  tipografico  si  legge  la  data  del  13  settembre  in  vece  che  del  18. 

(3)  Nel  registro  di  num.  1161  di  notar  Giacomo  Randisi,  contenente  frammenti  di  atti  dal  i486  ind.  VI 
al  1499  ind.  II,  è  il  citato  strumento  del  15  maggio  XIII  ind.  1495,  per  cui  Discreta  Catheriua  ,  uxor  ma- 
gistri Pelri  de  fìonilate,  e.  p.,  istituì  suo  procuratore  un  notar  Armanno  di  JVlunda. 

(1)  Panormi,   1728,  lib.  VIII,  cap.  I,  pag.   167  e  seg. 


NE]    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II. 


47 


agli  atti  di  notar  Antonio  di  Messina  (').  Però  avvenne,  che,  avendo  il 
Laurana  egregiamente  fornito  quell'opera,  gli  uffiziali  preposti  al  municipal 
reggimento  della  città  impedirono  afflitto  eh'  ella  ne  fosse  uscita,  e,  comin- 
ciatasi tosto  con  religioso  fervore  a  venerarla,  l'arcivescovo  Paolo  Visconti 
la  locò  incontanente  nel  duomo  col  titolo  di  S.  Maria  Maggiore,  o  di  Monte 
maggiore.  Perloché,  non  potendo  più  averla,  gli  Ericini  convennero  coli' ar- 
tefice per  un'altra  simile  statua  agli  atti  del  lor  notaio  Ruggiero  di  Sa- 
lute a  16  agosto  del  1469,  obbligandolo,  che  di  Palermo,  isgrossatone  il 
marmo,  la  portasse  e  finisse  in  Erice.  Del  che  è  detto,  colla  testimonianza 
de'  documenti,  in  un  manoscritto  di  storia  ericina  di  Vito  Carvini,  della  cui 
autorità  si  giova  l'Amato  (2).  Così  il  simulacro,  rimasto  in  Palermo  in  duomo 
e  posto  nell'abside  minore  del  destro  lato,  ebbe  indi  decoro  nel  1511  di  una 
elegante  custodia  in  legno,  eseguita  per  cura  di  Antonello  Gagini,  siccome, 
di  lui  trattando,  sarà  poi  luogo  a  vedere.  Ma  in  fine  per  gli  ultimi  vandalici 
rinnovamenti  di  quel  tempio  la  statua  medesima  andò  trasferita  in  una  delle 
cappelle  della  nave  minore  del  lato  istesso,  dove  comunemente  ora  è  nota 
col  titolo,  assunto  da  essa  per  un  cotal  breve  d'indulgenze  insin  dal  1576, 
di  Madonna  di  Libera  Inforni  (>).  Ed  ivi  è  prodotto  di  sentimento  e  d'arte 
preziosissimo,  scorgendosi  nella  Vergine  e  nel  vago  bambino  le  ingenue  ma- 
niere e  F  espressione  più  pia  ed  affettuosa  unite  a  molta  eleganza  e  mor- 
bidezza di  forme,  a  molta  scioltezza  di  pieghe  e  grazia  di  esecuzione  e  ad 
un'  aura  nel  tutto  di  soavità  celestiale ,  che  innamora.  Del  volto  di  essa  a 
ragione  da  altri  fu  detto,  che  chi  avvisa  ne'  quattrocentisti  un  che  di  squi- 
sitezza più  pura  e  più  verginale ,  che  cominciò  a  venir  meno  pel  soverchio 
studio  della  realtà  nel  secolo  appresso,  lo  preferirebbe  a  qualunque  altro  (4). 
Vi  eran  pure  da  prima,  al  dir  dell'Amato,  due  piccoli  bassirilievi  nella  base, 
figuranti  l'Annunziazione  e  la  morte  di  Nostra  Donna  :  ma  andaron  perduti 
affatto  allorché  quella  base  fu  rinnovata  (5).  Ben  però  la  cennata  statua  ancora 


(  '  )  Ma  sembra  che  tale  strumento  or  non  più  esista,  giacché  non  mi  è  riuscito  fin  ora  trovarlo  tra'  fram- 
menti de'  registri  del  mentovato  notaio. 

(2)  Reca  egli  l'intero  tenore  del  cennato  atto,  rogato  in  Monte  San  Giuliano  a  16  agosto  1469,  il  quale 
giova  altresì  riportare  fra'  Documenti  di  quest'opera  al  nura.  VI. 

(3)  Amato,  op.  cit.,  lib.  Vili,  cap.  I,  pag.  172.  Pirri,  Sicilia  sacra.  Panormi,  1644,  tom.  I,  pag.   183. 

(4)  Galeotti,  Preliminari  alla  storia  ài  sintomo  Gagini.  Palermo,  1860,  pag.  95.  E  qualche   idea  del 
tutto  di  tale  statua  può  aversi  dal  disegno,  che  ne  diamo  nella  tavola  prima  di  quest'opera. 

(5)  Leggesi  quindi  in  Amato  (op.  cit,  pag.  172):  «Epigrapbe  marmorei  slylobatae:  Santa  Maria  Ma  jury 

8 


48  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 

esistente  dimostra,  non  men  che  le  altre  sculture  della  suddetta  cappella  in 
San  Francesco  ,  che  artefice  abilissimo  fu  veramente  il  Laurana ,  e  degno 
del  numero  di  que'  veneti  illustri ,  che  ,  o  seguendo  le  orme  de'  grandi 
maestri  toscani ,  o  per  impulso  di  proprio  genio  ,  si  segnalaron  nell'  arte. 
Né  anzi  è  da  contendere  a  quel  simulacro  il  singoiar  pregio  di  capolavoro 
di  lui,  giacché  per  merito  di  espressione  e  per  finitezza  di  lavoro  ne  resta 
indietro  l'altra  sua  statua,  alquanto  maggior  del  vero,  la  quale  é  in  Erice,  es- 
sendo però  questa  da  stimare  ancor  preziosa  pe'  bassirilievi  di  purissimo  stile, 
che  tuttavia  ne  decorano  il  piedistallo,  com'eran  pure  da  prima  in  quella  di 
Palermo.  Havvi  di  fatti  espresso  nel  mezzo  il  Transito  di  Nostra  Donna 
con  la  figura  di  lei  giacente  morta  sul  feretro  ,  attorniata  dagli  apostoli  e 
da'  discepoli ,  con  al  di  sopra  il  Dio  Padre  in  atto  di  accoglierne  l'anima, 
mentre  dappiè  ad  un  tempo  un  angelo,  brandendo  una  spada ,  conquide  il 
demone  infido.  Ricorrono  intanto  da'  lati  l'Annunziata  ed  il  Gabriello,  ed  indi 
sei  piccoli  tondi ,  tre  per  ogni  banda ,  con  mezze  figurine  de'  Santi  Pietro 
e  Paolo,  di  S.  Giuliano,  di  S.  Niccolò  di  Bari  e  di  un  altro  Santo  e  di  una 
Santa,  che  non  é  agevol  discernere,  e  dietro  due  teste  di  serafini  agli  estremi. 
Nelle  quali  sculture  non  si  può  a  men  di  ammirare  quel  carattere  di  pu- 
rissima e  direi  verginale  espressione  e  quella  preziosità  di  lavoro,  che  furon 
pregi  allora  de'  più  valorosi  maestri,  comunque  pel  gran  numero  di  figure 
e  la  piccolezza  delle  loro  dimensioni  alquanto  di  affastellato  e  di  confuso  pur 
vi  si  avverta.  Di  tale  statua  intanto  accenna  altrove  il  Carvini  il  credere  di 
alcuni,  che  il  Laurana,  prevenuto  da  morte,  non  arrivò  a  finirla,  e  che  cani 
quidam  faber  urbis  Tanormi  indigena  exeoluit  (').  Ma  ciò  non  é  da  ammet- 
tere che  solo  nel  caso,  che  lo  scultore  per  qualsiasi  motivo  indugiato  avesse 
più  di  due  anni  in  quell'opera,  essendo  altronde  certo  (e  ne  ha  pure  ricordo 
il  Littara  a  pag.  6  del  suo  libro  De  rebus  netinis ,  stampato  in  Palermo  nel 
1 593)>  cne  ancora  un'altra  statua  di  Nostra  Donna  col  bambino  da  lui  fu 
scolpita  in  marmo  nel  1471.  Questa,  che  era  in  prima  nella  chiesa  del  Cro- 
cifisso nell'antica  città  di  Noto,  che  tutta  ruinò  pe'  tremuoti  del  1693,  fu 
poi  trasferita  nella  moderna  chiesa    del   medesimo  titolo    nella  nuova  città, 


a.  1469,  cadala  ubi  >Annunciatio  ac  Dormitio  Mariana,  teste  panormitano  presbytero  sacrae  Theologiae  doctore 
Onupbrio  Manganante.  Stylobatam  apponens  novum  Jacobus  Palafox,  archiepiscopi ,  hoc  lemma  sculpsit:  S.  Maria 
Majury  anno  1469:  rinovato  il  solo  zoccolo  1684.  » 

(  '  )  De  origine,  antiquitale  et  slatti  regiac  tnatricis  ccclesiae  civilalis  excclsae  ac  inexpugnahilis  Erycis ,  badie 
ZMontis  S.  Iuliani.  Panormi,  1687,  cap.  IV,  pag.  56. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II.  49 

dove  tuttavia  esiste  ed  è  conosciuta  col  nome  di  Madonna  della  Neve,  re- 
cando ancor  segnata  l'iscrizione  dappiè  nella  base  :  franciscvs  lavrana  me 
eecit  mcccclxxi.  Di  essa  fu  di  là  scritto  al  Galeotti,  il  qual  ne  die  primo 
notizia ,  che  sia  statua  inver  di  gran  pregio ,  «  tranne  che  sol  non  garba 
«  all'occhio  la  movenza  e  positura  delle  mani  della  Vergine,  le  quali  fanno 
«  l'effetto  di  star  li  a  disagio  e  senz'ombra  di  naturalezza  (')  ».  Il  che 
si  vede,  non  meno  che  in  molte  statue  de'  quattrocentisti,  nelle  altre  ancora 
di  quel  veneto  artefice,  del  quale  finalmente  si  può  dar  luogo  al  sospetto,  che 
fosse  morto  non  guari  dopo  quell'anno,  mentre  indi  il  suo  nome  non  ap- 
parisce affatto  con  quelli  degli  altri  scultori  ne'  capitoli  dell'arte  in  Palermo 
nel  1487,  e  non  avrebbe  potuto  sicuramente  mancarvi,  s'egli  insino  a  quel 
tempo  vi  fosse  durato  in  vita. 

Di  un  Gabriele  di  Battista ,  marmoraio  lombardo  ,  capo  in  Sicilia  di 
una  famiglia  di  scultori  di  ordine  secondario,  è  certo  poi  da  documenti 
il  soggiorno  in  Palermo  dal  1475  al  1504,  pel  lungo  spazio  pressoché  di 
trent'anni.  Prima  notizia  di  lui  si  ha  da  un  atto  di  donazione  ,  ancor  di 
sopra  cennato  nel  precedente  capitolo,  in  data  del  2  dicembre  del  1475, 
onde  maestro  Cristoforo  da  Como ,  fabbricatore ,  in  riguardo  d'  innato 
scambievole  amore  e  de'  molti  e  grati  servigi,  onori  e  rispetti,  che  aveagli 
prestato  e  graziosamente  seguiva  a  prestargli  il  detto  Gabriele  ,  suo  fratello 
carissimo,  siccome  scuìtor  di  marmi,  gli  donò  in  perpetuo  una  casa  in  contrada 
Divisi  :  oltreché  indi  il  lasciò  procuratore  di  tutta  l'eredità  de'  suoi  averi  per 
suo  testamento  nel  1492,  come  ancor  di  sopra  fu  cenno  (2).  Abbiamo  in- 
tanto, che  il  marmoraio  medesimo  Di  Battista,  per  pubblico  atto  a  20  agosto 
del  1485,  vendette  e  promise  consegnare  per  once  otto  (1.  102)  a  Giovan 
Martino  Vitale,  canonico  ed  arcidiacono  palermitano,  ciantro  della  cappella  di 
S.  Pietro  nel  regio  palazzo  e  beneficiale  della  chiesa  di  S.  Lucia  nella  terra 
di  tal  nome,  un  fonte  battesimale  ed  un  altro  di  acqua  santa  per  detta  chiesa, 
qua'  gli  aveva  commessi  Federico  Vitale,  antecessore  del  detto  Giovan  Mar- 
tino ,  e  ch'eran  di  già  scolpiti:  ma  non  so  poi  che  ne  fosse  (3).  L'ori- 
gine lombarda  dello  scultore  rilevasi  poscia  da  un  altro  strumento  in  data 
del  6  febbraio  del  1488,  per  cui  i  marmorai  Gabriele  di  Battista  ed  Andrea 


(  '  )  Galeotti,  Preliminari  cit.,  pag.  99,  in  nota. 

(2)  Vedi  a  pag.  22,  nota  2,  ed  anche  fra'  Documenti,  num.  II. 

(  3  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  VII. 


50  I    GAGINT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

Mangino,  detti  entrambi  lombardi  e  cittadini  palermitani,  vendettero  a  mae- 
stro Matteo  di  Carnevale  per  parte  del  magnifico  Francesco  degli  Abbatelli, 
maestro  portolano  del  regno  ,  quattordici  colonne  di  marmo  della  qualità 
stessa  di  una  recentemente  allor  posta  nel  nuovo  chiostro  del  convento  di 
San  Francesco,  costruito  a  spese  de'  Genovesi,  e  di  più  altre  quaranta  mi- 
nori colonne,  da  servir  tutte  per  1'  edificio  della  casa  o  palazzo,  che  allor 
costruivasi,  del  mentovato  signore  (:).  Né  dubito,  che  gli  artisti  medesimi 
abbiano  avuto  ancor  parte  in  simigliami  lavori  nell'altro  palazzo,  che  pure  in 
quel  tempo  si  fabbricava  in  Palermo  dal  magnifico  Guglielmo  Aiutamicristo; 
e,  benché  non  ne  sia  contezza  da  alcun  espresso  documento,  ciò  induce  a 
credere  un  atto  del  22  giugno  dello  stess'anno  1488,  per  cui  quelli  insiem 
dichiararono  ricevere  in  prestito  once  quindici  (1.  191.25)  dall'  anzidetto 
Guglielmo  (2). 

Di  Gabriele  poscia  e  di  un  altro  fin  ora  ignoto  scultore  Giovan  Do- 
menico Pellegrino  scguon  tali  notizie  da  non  potere  ad  essi  entrambi  con- 
tendere aver  goduto  neh"  arte  buon  nome.  Imperocché  ne'  registri  ,di 
notar  Matteo  Fallerà  in  Palermo,  in  data  del  30  agosto  del  1497,  é  tra- 
scritto il  solo  principio  di  un  atto,  onde  i  due  detti  scultori  si  obbligarono 
in  solido  ad  un  reverendo  Giovanni  Muzzicato,  vicario  ed  arciprete  di  Ni- 
cosia ,  per  una  notevole  opera  di  scultura  ,  che  di  lì  non  appare  quale  sia 
stata  perché  1'  atto  rimane  in  tronco ,  ma  che  da  un  altro  atto  posteriore  , 
aggiuntovi  due  anni  dopo  nel  margine,  rilevasi  fosse  una  custodia  di  mar- 
mo (3).  Risulta  però  indi  per  altro  pubblico  strumento  del  17  maggio 
del  1499  ,  che  ,  avendo  il  Di  Battista  di  già  venduto  al  detto  arciprete  di 
Nicosia  cotal  custodia  per  la  chiesa  maggiore  di  S.  Niccolò  in  quel  paese,  il 


(  <  )  Vedi  fra'  Documenti,  num.  Vili. 

(2)  Die  xxij  l'unii  viif.  imi.  (1488).  Magister  Gabriel  de  Battista  ci  magister  ^Andreas ^Cangino,  marmorarii  et 
cives  panormitani  ,  corani  nobis  eque  principaliter  et  in  ìolidum  dixerimt  et  confessi  sunt  se  habuissc  et  recepisse  a  ma- 
gnifico domino  Guillelmo  Jlyutamichristo  ,  domino  et  barone  terre  Calatafimi,  Musilmerii  etc,  presenti  et  stipulanti , 
uncias  quindecim ponderis generalis per  bancum  nobilis  Battiste  Lombardi,  gratis  prestitas  et  amore,  renuuciantes  excep- 
tioni  etc.  Quas  uncias  xv  ditti  m\  Gabriel  et  m'.  ^Andreas  in  solidum  promiserunt  solvere,  restituere  et  assignare  dicto 
domino  Guillelmo  stipulanti  Ine  'Panarmi  in  pecunia  numerata  ad  omnem  simplicem  requisicionem  dicti  domini  Guillel- 
mi,  sub  pactis  infrascriptis...  (Mancano  i  patti).  -  ■  Tesles:  Tomaus  de  Milia ,  Joanues  Baptist  a  %pso!minis.  —  Dal 
registro  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1488-91,  ind.  VII-IX,  num.  1160  bis,  nell'archivio  de'  notai  defunti 
in  Palermo. 

(  >  )  Eodem  xxx".  augusti  xv''.  ind.  1497.  Magister  Gabriel  de  cBaptista  et  magister  Joanncs  Domiuicus  de  Pelle- 
grino, scullores,  corani  nobis  in  solidum  promiserunt  et  sollemniter  convenerunt  ac  se  obligaveruiil  et  obliganl  reverendo 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II.  51 

pretore  e  i  giurati  di  Palermo  (non  altrimenti  che  dinanzi  avean  fatto  per  la 
statua  del  Laurana)  ne  impediron  l'uscita  dalla  città,  volendo  in  vece,  che  in 
questa  ne  avesse  decoro  la  cappella  del  Sacramento  nella  parrocchia  di  S.  Nic- 
colò l'Albergaria.  Per  la  qual  cosa,  essendo  ciò  stato  espressamente  ingiunto 
all'artefice,  di  nuovo  ci  vendette  a'  cappellani  di  essa  parrocchia  ed  a'  maram- 
mieri  ossien  deputati  della  fabbrica  della  cappella  anzidetta  la  custodia  medesi- 
ma, pel  prezzo  di  once  trenta  (1.  382.50),  onde  in  ragion  de'  tempi  rilevasi, 
che  doveva  esser  opera  di  non  tenue  artificio  (').  Al  Muzzicato  fu  d'uopo 
intanto,  a  17  agosto  del  medesimo  anno,  riprendersi  da'  due  scultori  once 
sedici  (1.  204),  ch'egli  in  conto  del  prezzo  aveva  già  loro  pagate,  e  scioglierli 
dall'obbligo  di  consegnar  quel  lavoro.  Ma  nulla  più  oggi  riman  di  esso  in  detta 
parrocchia  in  Palermo,  giacche,  rinnovata  questa  da  capo  a  fondo  nella  prima 
metà  del  passato  secolo  per  opera  del  paroco  Giuseppe  Tomaso  Castelli , 
affatto  vi  disparve  dalla  cappella  del  Sacramento,  insieme  a'  pregevoli  freschi, 
che  nell'anno  1500  vi  avea  nella  volta  dipinti  Pietro  Ruzulone,  insigne  di- 
pintore palermitano,  ancor  la  custodia  scolpita  da  Gabriel  di  Battista  e  da 
Giovan  Domenico  Pellegrino;  e  il  piccolo  tabernacolo  di  marmo,  che  or  vi 
si  vede ,  e  che  dinanzi  serviva  a  riporvi  gli  olii  santi ,  non  è  che  debol 
fattura  di  scuola  gaginesca  e  cosa  affatto  diversa  da  quella. 

Esiste  però  fino  al  presente  nel  duomo  di  Nìcosia  una  custodia  in 
bianco  marmo,  la  qual  certo  era  posta  in  prima  nell'antica  cappella  del  Sa- 
cramento ,  donde  al  rinnovarsi  di  essa  cappella  con  molta  profusione  di 
marmi  a  colore  ed  a  commesso  in  tempi  posteriori  fu  trasferita  in  quella  del 
fonte  battesimale,  la  prima  a  sinistra  del  principale  ingresso ,  dove  oggi  si 
vede,  recando  dappiè  nella  base  la  seguente  iscrizione:  m  d  iv  indicionis  me 


domino  Joanni  de  VvCuciicato,  vicario  et  archipresbitero  terre  Nicoxie,  presenti  et  stipulanti,  construerc  et  facere  bene 
et  magistraliter,  ut  dicitur,  ad  otnnes  expensas  dictorum  obligatorum,  de  marmore  albo  ....  Testes:  Jacobus  de  AmMeri 
et  Troyanus  de  ViCaffia.  —  Ed  in  margine  di  tale  atto ,  il  quale  rimane  in  sospeso,  è  aggiunto  quest'  altro:  Die 
vip.  augusti  i'f.  ini.  1499.  Quia  dictus  dominus  Joannes  de  Muc\icato  fuit  cortentus  sibi  capere  uncias  xvj  per  eum 
solutas  dictis  obligatis  et  cos  liberare  ab  assignacione  diete  custodie ,  quia  dieta  custodia  fuit  a  posse  ipsorum  obligato- 
rum  capta  per  spectabiles  dominos  officiales  ad  opus  ecclesie  parrochialis  Sancii  "Nicolai  de  ^Albergarla  Tanhormi,  ideo 
no.  Tetrus  la  Cava,  procuratorio  nomine  dicti  domini  Joannis  virtute  procuraciouis  celebrate  manti  notarli  SvCichaclis 
de  Donguida  die  xlH;0.  presentis  mensis,...  est  confessus  habuisse  dictas  uncias  xvj  a  dictis  obligatis  per  bancum  n.  Jbero- 
nitni  Sanches  et  Ambroxii  Levi,  renuncians  exceptìoni  etc;  et  dicti  prefati  fuerunt  contenti  desistere  a  dicio  opere,  a 
quo  dictus  procurato)-  cosdem  obligatos  llberavit  et  absolvit  etc. — Dal  registro  di  notar  Matteo  Fallerà,  an.  1496-97, 
ind.  XV,  num.  1757,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 
(  «  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  IX. 


52  I    GAG1NI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

fieri  fecit  franciscvs  sfventi.  In  detta  base  e  la  Cena  Eucaristica  in  pic- 
cole figure  di  molto  debole  stile,  e  poi  nel  mezzo  della  custodia  in  mag- 
giori dimensioni  e  sotto  baldacchino  il  Cristo  risorto,  che  accenna  il  calice 
e  l'ostia,  adorato  da  dodici  cherubini  genuflessi  in  due  schiere,  mentre  in 
una  sovrastante  cornice  si  legge:  hic  est  corpvs  domini.  Ricorrono  intanto 
divise  da'  due  lati  sei  storie  della  Passione  in  altrettanti  scompartimenti , 
terminando  al  di  sopra  con  figurine  di  S.  Pietro  e  S.  Niccolò  e  dando  luogo 
nella  parte  superiore  nel  mezzo  ad  altra  storia  della  Crocifissione,  sulla  quale 
in  un  semicerchio  è  anco  la  Nascita  a  compimento  della  custodia  stessa, 
oltre  parecchie  mezze  figurine  di  profeti  nella  base  ed  in  una  intermedia  cor- 
nice, e  due  angioletti  dall'una  e  dall'altra  banda  di  quella  in  atto  di  spie- 
garvi una  cortina  dattorno.  Ma  in  tutti  cotai  lavori  in  mezzano  rilievo,  che 
riescono  ad  un  generale  effetto  di  ricchezza  ,  inver  non  disgiunta  da  una 
certa  eleganza  del  tutto  ,  indarno  si  cercherebbe  sviluppo  di  espressione  e 
finitezza  di  forme  ,  giacché  appartengono  essi  ad  artisti ,  che ,  comunque 
dotati  di  gusto  e  di  buona  pratica  negli  ornati ,  non  ebbero  tempra  d' in- 
gegno da  levarsi  al  maggior  magistero.  Quali  essi  poi  fossero  non  appa- 
risce ancora  in  piena  evidenza.  Sembra  però  certo,  che  né  il  Di  Battista  né 
il  Pellegrino  ebber  più  parte  in  cotale  altra  opera,  avendo  essi  restituito  il 
danaro,  che  innanzi  avevano  avuto  in  conto  della  prima  custodia,  tostoché 
essa  fu  trattenuta  in  Palermo,  laddove,  sciolti  dall'arciprete  da  ogni  obbligo  di 
consegna  di  essa,  convenner  con  lui  di  affatto  desistere  dal  lavoro.  Un  mese 
dopo  intanto  della  vendita  di  quella,  fatta  dal  Di  Battista  alla  parrocchia  del- 
l'Albergarìa  per  ordine  del  municipio  palermitano,  e  due  mesi  prima  della  re- 
stituzione del  detto  danaro  al  Muzzicato,  si  ha  un'apoca  in  Palermo  del  17 
giugno  dello  stcss'  anno  1499,  onde  il  marmoraio  o  scultore  Andrea  Man- 
cino, così  per  sé  che  per  parte  del  suo  socio  scultore  Antonio  Vanella  as- 
sente, dichiarò  ricevute  once  sedici  (1.  204)  da  due  procuratori  dell'arci- 
prete medesimo  e  dell'anzidetta  chiesa  di  S.  Niccolò  in  Nicosia,  cioè  l'iden- 
tica somma,  che  gli  altri  due  artisti  avevano  avuta  in  prima  e  che  poi  re- 
stituirono fedelmente  (:).  Laonde,  benché  in  quell'apoca  non  ne  sia  espresso 


(*)  Eodemxvij'.junii  ij'.ind.  1499.  Magister  Andreas  Manchimi,  marmorarius,  corani  nobis,  tam  nomine  suo, 
quam  nomine  et  prò  parte  magistri  Jlnionii  Vanella,  eius  sodi  absentis,  prò  quo  de  rato  promisit  ad  istanciam 
n.  Mathei  de  Macinili  de  terra  Xicoxie  et  magistri  Vetri  la  Cava  e.  p.,  procuratorum  veti,  domini  Joannis  de 
Musicato,  archipresbiteri  Jiredicie  terre  Nicoxie ,  virtute  procuracionis   celebrale  manu  notarli  Nicolai   Donguida 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  II. 


53 


l'oggetto,  essendo  essa  soltanto  a  metà  trascritta  nel  registro  di  notar  Matteo 
Fallerà,  che  la  contiene,  può  darsi  adito  fondatamente  a  pensare,  che  dopo 
il  fatto  della  prima  custodia  un'  altra  ne  abbiano  allogato  al  Mancino  e  al 
Vanella  i  Nicosiani  e  eh'  essa  sia  quella  appunto  ,  che  venne  poco  dopo 
recata  a  termine,  siccome  dalla  riferita  epigrafe  vi  si  rileva,  e  che  colà  esiste 
fin  oggi. 

Del  Di  Battista  intanto  é  sicura  memoria  della  morte  avvenuta  in  Pa- 
lermo a  13  marzo  Vili  ind.  1504  (1505).  Nell'archivio  in  fatti  della  parroc- 
chia di  S.  Niccolò  la  Kalsa,  e  propriamente  in  un  antico  quaderno,  in  cui 
è  nota  di  quanto  fu  ivi  riscosso  di  oblazioni  de'  fedeli  nell'  amministra- 
zione lor  fotta  de'  sacramenti  dal  1504  al  1507,  in  detta  data  si  legge 
la  nota  seguente  :  Per  sepelìiri  et  oliar  i  a  mastra  Grabieli  mar  murar  u,  patri  di 
parrinu,  decti  caiuìiìi  rotai u  una.  E  che  ivi  di  lui  propriamente  s'intenda, 
benché  ne  sia  taciuto  il  cognome,  é  chiaro  soprattutto  dall'esservi  espresso, 
ch'ei  fosse  padre  di  prete  (patri  di  parrinu),  laddove  ad  evidenza  per  altri 
documenti  risulta,  che  furon  suoi  figli,  natigli  da  Giovanna  sua  moglie,  un 
prete  Battista  di  Battista ,  un  Antonio  ,  che  non  seguì  l'arte  paterna ,  ed  i 
maestri  Paolo  e  Pietro,  scultori  :  oltreché  poi  esercitarono  l'arte  stessa  più 
tardi  un  altro  Pietro  e  Luigi ,  bastardi  del  detto  prete  ,  del  secondo  dei 
quali  almanco  é  certezza  dell'esistenza  dal  1523  al  1552,  ed  un  Simone  di 
Battista,  scultore  in  legno,  che  insino  al  1561  attendeva  a  lavori  in  Pa- 
lermo. Ma  non  é  luogo  per  ora  ad  intrattenerci  di  essi,  bastando  osservar 
soltanto  siccome  da  padre  ed  avo  lombardo  figli  e  nepoti  siciliani  na- 
scessero e  si  educassero  all'  arte  nell'  isola ,  non  altrimenti  che  per  altri 
anco  avvenne. 

Nulla  poi  é  noto,  non  sapendosene  sculture  esistenti ,  del  valore  arti- 
stico dell'  anzidetto  Giovan  Domenico  Pellegrino,  che  assunse  nel  1497  con 
Gabriele  di  Battista  il  lavoro  della  prima  custodia  per  Nicosia,  la  quale  indi 
rimase  in  Palermo.  Sembra  però  sia  stato  egli  il  medesimo  che  lo  scultore 
Domenico  Pellegrino  ,  cittadino  palermitano  ,  il  quale  indi  a  30  dicembre 
del  1508  obbligossi  anco  in  Palermo  ad  un  nicosiano  Gaspare  di  Aliberto 


xiiif.  presentis,  presentimi  et  stipulantium  prò  dicto  archipresbitero  et  infrascripta  ecclesia  Sancti  Nicolai  diete  terre, 
est  confessus  Imbuisse  a  dictis  procuratoribus  uucias  xvj  per  bancum  magnificorum  Jberonimi  Sanches  et  <Ambroxii 
Levi  etc.  (Manca  il  restante).  Testes:  hon.  Jacobus  de  Mercanti  et  no.  xAntonius  %ptundus.  —  Dal  registro  di 
notar  Matteo  Fallerà,  an.  1498-99,  ind.  II,  num.  1759,  fog.  1223  retro  a  1224. 


54  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


per  la  scultura  di  un  deposito  in  marmo  ,  da  farlo  conforme  ad  un  altro  , 
in  cui  era  sepolto  in  San  Francesco  il  magnifico  Pietro  Bologna,  tranne  però 
il  coperchio  di  un  sol  pezzo,  dov'era  maestrevolmente  da  scolpir  la  figura 
di  un  Federico  Catanese  defunto  ,  col  capo  coperto  di  cappello  ,  con  libro 
in  mano  e  pianelle  a'  piedi,  dove,  giusta  il  costume,  era  pure  da  fare  un 
bracco.  Il  resto  del  deposito  dovea  lavorarsi  in  quattro  od  al  più  in  cinque 
pezzi,  da  poggiare  su  tre  figure  in  rilievo  delle  Virtù  Teologali  con  loro  sim- 
boli in  mano  e  dappiè  un  pìcciol  gradino  di  base.  Di  tale  opera  quindi  il 
detto  scultore,  pel  prezzo  di  once  quindici  (1.  191.25),  era  tenuto  far  con- 
segna di  li  a  tutto  il  1 5  maggio  dell'entrante  anno,  curandone  a  suo  rischio 
il  trasporto  sino  alla  marina  di  Tusa  ,  più  prossima  a  Nicosia  ,  dov'era  in 
non  so  qual  chiesa  a  collocarlo:  oltreché  aggiungeasi  per  patto,  che  per  cu- 
rare cotal  collocazione  dovesse  egli  di  persona  colà  recarsi,  o  almen  mandarvi 
in  sua  vece  alcun  altro  in  ciò  perito,  senz'altro  ripetere  che  la  vettura  ed  il 
vitto  (').  Trovasi  quindi,  che  in  progresso  dell'opera,  oltre  once  tre  (1.  38.25) 
ricevute  il  di  del  contratto,  ci  ne  riscosse  in  due  rate  la  più  parte  del  prezzò 
a  26  aprile  e  io  settembre  del  1509;  e  riman  poi  di  tre  anni  appresso  un 
documento,  donde  apparisce,  che  non  guari  dopo  aver  consegnato  il  detto 
deposito  lo  scultore  terminò  la  sua  vita.  Perocché  in  data  del  26  giugno 
del  15 12  fu  cancellato  il  contratto  medesimo,  cosi  per  volere  di  Margherita, 
vedova  già  dell'estinto  Pellegrino  e  tutrice  testamentaria  de'  figli  e  figliuole 
di  lui,  giusta  il  suo  testamento  agli  atti  di  notar  Antonio  Tagliarne,  come 
ancora  per  parte  di  Antonino  di  Aliberto,  figliuol  del  suddetto  Gaspare,  laddove 
la  vedova  stessa  confessavasi  soddisfatta  interamente  del  prezzo,  computato  il 
danaro  di  già  pagatone  in  parte  al  suo  defunto  consorte,  ed  il  mentovato  An- 
tonino attestava  in  vece  aver  lo  scultore  consegnato  a  suo  padre  il  monu- 
mento (2).  Il  quale  oscuro  artista  del  resto  dovè  per  fermo  esser  mancato  ai 
vivi  entro  l'anno,  che  corse  dal  6  giugno  del  1511  al  26  del  detto  mese  nel 
15 12,  giacché  dell'una  di  queste  due  date  é  un'altra  convenzione,  ond'egli 
ancor  vivente  si  obbligò  al  procuratore  ,  al  rettore  ed  a  due  confrati  della 
confraternita  di  San  Giovanni  Battista  in  Monte  San  Giuliano  pel  lavoro  di 
una  finestra  in  marmo  con  due  colonne  e  con  analogo  fregio   ed  epigrafe, 


(  '  )  Vedi  fra'  TDocumenli  di  quest'opera,  num.  X. 

(»)  Vedi  fra  gli  atti   aggiunti  in  margine  e  pubblicati    in  seguito  al  citato    strumento    del    30  dicembre 
XII  ind.  1508,  che  trovasi  al  num.  X  fra'  'Documenti  di  quest'opera. 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II. 


55 


giusta  il  disegno  già  innanzi  stabilito;  e  ciò  pel  prezzo  di  once  sei  e  tari 
venti  (1.  85)  (').  Ma  colà  non  più  oggi  riman  vestigio  di  tale  finestra,  che 
esser  doveva  in  una  delle  antiche  facciate  della  chiesa  di  quella  confraternita, 
e  forse  andò  distrutta  in  posteriori  rifazioni.  Il  che  parimente  è  a  dire  del 
sopraddetto  deposito  di  Federico  Catanese  in  Nicosia,  giacché  per  quante  in- 
dagini se  ne  sian  fatte  non  si  venne  fin  qui  neppure  a  capo  di  conoscere 
in  qual  chiesa  abbia  avuto  luogo.  Laonde  nulla  è  certo  intorno  al  merito 
dell'artefice,  non  essendo  ancora  notizie  di  sue  sculture  esistenti.  Né  anco 
alcuna  certezza  rimane  della  sua  origine,  giacché  sebbene  egli  sia  detto  cit- 
tadino palermitano  nel  mentovato  strumento  del  30  dicembre  del  1508,  é 
probabile  sia  ciò  non  per  altro  che  per  privilegio  di  cittadinanza  da  lui 
acquistato  in  Palermo,  siccome  di  altri  é  evidente ,  avendosi  del  resto  argo- 
mento a  sospettare,  ch'egli  sia  stato  oriundo  carrarese,  come  fu  al  certo  un 
maestro  Bernardino  di  Pellegrino  da  Carrara,  scultore,  cosi  ricordato  in  un 
altro  strumento  in  Palermo  in  data  del  19  marzo  I  indiz.  15 12  (15 13),  onde 
egli  si  dichiarò  in  debito  del  prezzo  di  quattro  palmi  di  velluto  nero  ad  un 
Antonio  Magro,  panniere  (2).  Sembra  quindi ,  che  della  stessa  famiglia  e 
forse  fratelli  sien  veramente  stati  Domenico  e  Bernardino,  e  che,  come  tanti 
altri,  venuti  in  Sicilia,  vi  abbian  trovato  lor  prò  fermarvi  il  loro  soggiorno. 
Ma  duole,  che  nulla  più  oltre  se  ne  conosca. 

L'altro  mentovato  lombardo  Andrea  Mangino  o  Mancino,  che  nel  1488 
insieme  a  Gabriele  di  Battista  attendeva  al  lavoro  delle  numerose  colonne 
pel  nuovo  edificio  del  palazzo  Abbatelli ,  sembra  che  allor  da  recente  fosse 
venuto  in  Palermo,  dove  indi  fermò  dimora,  giacché  di  lui  non  é  motto 
un  anno  innanzi  negli  allegati  capitoli  dell'arte  de'  marmorai.  Fu  inoltre  il 
medesimo,  che  pure  nel  1488  si  occupava  a  scolpire  una  statua  di  Nostra 
Donna  per  la  terra  di  Carini;  e  riman  documento  in  data  del  14  giugno, 
ond'egli,  a  conto  del  prezzo  di  tale  opera,  che  per  lui  lavoravasi,  dichiarava 
aver  già  ricevuto  once  due  (1.  25.50)  dal  magnifico  Guglielmo  Aiutamicristo, 


(  '  )  Vedi  fra'  T>ocumenti,  num.  XI. 

(2)  Eodem  (19  marzo  I  indiz.  1512)  (15 13).  Magister  'Bernardiuus  de  'Pellegrino  de  Carrara,  scultor , 
presetis  corani  nobis,  sponte  promisit  et  se  sollemniter  obligavit  et  obligat  dare  et  solvere  no.  ^Antonio  Magro,  pan- 
nerio,  absenti,  me  notarlo  stipulante  prò  eo,  unciam  imam  et  tarenos  novem  in  pecunia  numerata  hic  Panormi  bine 
per  totum  mensem  aprilis  proximo  futuri  in  pace  et  de  plano;  et  sunt  prò  predio  et  valuta  palmorum  quatuor  vii- 
luti  nigri,  per  ipsum  debitorem  habiti  et  recepti,  etc.  —  Dal  registro  di  num.  2246  di  notar  Francesco  Formag- 
gio, an.  15 12-13,  ind-  I>  f°g-  633  retro,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

9 


5  6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


signore  e  barone  di  Calatafimi,  come  tutore  del  magnifico  Giovan  Vincenzo 
La  Grua  (')•  *n  Carini  intanto,  nella  cappella  del  baronale  castello,  esiste 
una  statua  della  Vergine  col  bambino,  la  quale  pur  lascia  molto  a  desiderare 
per  correzion  di  disegno  e  di  stile  ,  e  che  non  sarebbe  dubbio  a  dire  ap- 
punto del  Mangino,  se  l'anno  1509  non  vi  si  leggesse  di  fronte  inciso  nel 
piedistallo.  Ciò  in  vece  apre  l'adito  a  due  diverse  induzioni  egualmente 
possibili,  giacché  altre  statue  di  tal'epoca,  tranne  sol  quella,  in  Carini  non 
trovansi  affatto  :  o  che,  non  avendo  il  detto  scultore  fornito  la  sua,  un'altra 
poi  ne  sia  stata  scolpita  per  altro  scalpello  in  quell'anno,  o  che,  avendola 
eo-li  molto  dinanzi  eseguita,  non  sia  stata  colà  collocata  se  non  più  tardi, 
nell'anno  appunto  ,  che  dappiè  vi  si  vede  segnato.  Sembra  del  resto  esser 
da  escludere  il  sospetto,  che  la  statua,  in  cui  egli  lavorava  nel  1488,  non 
sia  stata  da  lui  consegnata  che  dopo  più  che  venti  anni,  e  non  rimane  al- 
tronde notizia,  ch'egli  ancora  vivesse  infino  al  1509.  Risulta  però  da  un 
documento  da  altri  già  pubblicato,  che  a  30  giugno  del  1495  il  detto  An- 
drea, già  divenuto  cittadino  palermitano,  obbligavasi  a  notar  Gerardo  Pesce 
ed  a  Stefano  del  Bono  ,  rettori  della  confraternita  di  S.  Maria  Annunziata 
in  Termini,  scolpire  in  marmo  per  la  chiesa  di  essa  due  figure  in  ginocchio 
di  Nostra  Donna  e  San  Giuseppe,  oltre  ancor  quella  del  giacente  bambino, 
staccate  l'ima  dall'altra,  ma  tutte  insieme  acconce  a  rappresentare  il  soggetto 
della  nascita  di  Gesù  Cristo  (2)-  Ed  ivi  rimangon  le  dette  figure  sin  oggi, 


(  1  )  Eodem  (die  xiiij°.  junii  viij'.  ini.  1488X  tMagistcr  Andreas  ^Cangimi,  marmorarius,  corani  nobis  sponte 
dixit  et  fuit  confessus  se  habuisse  et  recepisse  a  magnifico  domino  Guilìehno  Ayutamichristo,  domino  et  barone  Cala- 
tafimi et  tanquam  tutore  magnifici  domini  Joannis  Vincencii  de  la  Grua,  me  notarlo  stipulante  prò  eo  absenti,  uu- 
cias  duas  per  bancum  n.  Petri  Agiata,  renuncians  exceptioni  et  e.  Et  sunt  infra  solutionem  cuiusdam  imagiuis  beate 
et  gloriose  Virginis  diarie,  quam  dittus  magister  .Andreas  facit  ad  opus  terre  Careni.  Unde,  etc.  Testes  :  Antoninus 
de  Scolaribus  et  m'.  Joannes  cDominicus  de  Pellegrino.  —  Dal  registro  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1488-91, 
ind.  VII-IX,  num.   11 60  bis,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

( 2  )  Ciò  risulta  dal  seguente  strumento  rinvenuto  dal  cavaliere  Ignazio  De  Michele  fra  gli  atti  di  notar 
Antonio  De  Michele  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Termini  Imerese:  'Die  xxx.'  junii  xiij.'  ind.  1494.  Ma- 
gister ^Andreas  Manchimi,  civis  feìicis  urbis  Tanormi,  scultor  marmorarius,...  corani  nobis  sponte  se  obligavit  ho- 
norabili  notarlo  Jerardo  Tixi  et  Stephano  de  'Bono,  asserlis  rectoribus  confraternite  Sancte  Marie  de  cK,unciata 
terre  'rììermarum,  presentibus  et  stipulantibus  prò  dictis  confratribus ,  ecclesia  et  maragmate  illius ,  facere  et  scul- 
pere  imaginem  unam  marmoream  Virginis  Marie  et  Christi  infanlis,  separis  ab  ipsa  imagine ,  in  significai  ione 
nativitatis  Christi,  ita  quod  sint  sculptc  et  intaglate  in  marmare  albo,  necto  et  avantagiato,  illustrate  et  impumi- 
fate,  ita  quod  dieta  imago  gloriose  Virginis  sit  altitudinis  et  longitudinis  a  jenu  flesso  usque  ad  caput,  incluso  capite, 
palmorum  quatuor ,  ita  quod  ipsa  imago  sit  et  stet  genuflexa  ;  ac  scanellwn  unum  altitudinis  palmi  unius  prò  su- 
pra  ponendo  diclam  imaginem  diete  Virginis,  ac  simul  imaginem  beati  sancii  Joseph  in  marmore  predicle  bonita- 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  II.  57 


poste  in  fondo  ad  una  cappella  sotto  un  arco  formato  di  stallattiti  a  foggia 
di  grotta,  con  la  terra  di  Betlemme  dipinta  sulle  pareti,  siccome  fu  stimato 
situarle  nel  secolo  XVII:  ma  vuoisi,  che  quella  del  San  Giuseppe  non  sia  del 
Mancino,  di  cui  son  le  due  altre  ,  e  che  sia  stata  più  tardi  supplita  dallo 
scalpello  di  un  carrarese  Francesco  Li  Mastri ,  cui  fu  di  nuovo  in  vero  al- 
logata per  atto  del  19  di  febbraio  V  indiz.  15 16  (15 17)  (J).  Però,  checché  di 
ciò  sia,  si  avverte  più  o  meno  in  tutte  quel  manco  di  perfezione  e  di  ele- 
ganza, non  men  che  di  vivezza  e  di  profondità  di  sentimento,  qua'  furon 
doti  da'  più  eletti  ingegni  anco  allor  possedute  e  raggiunte.  Ed  é  la  stessa 
inferiorità  o  per  lo  meno  mezzanità  d'  arte ,  che  appare  nella  sopraddetta 
custodia  del  Sacramento  nel  duomo  di  Nicosia,  siccome  quella,  che  sembra 
per  documento  sia  stata  pur  essa  opera  di  Andrea  Mancino  e  del  suo  so- 
cio Antonio  Vanelli ,  di  cui  sarà  luogo  in  seguito  a  dire.  Né  migliore  svi- 
luppo si  avverte  in  altra  simil  custodia  o  ciborio  in  marmo,  fin  oggi  esi- 
stente nella  chiesa  maggiore  in  Cammarata,  e  che,  primamente  eretta  per 
cura  del  conte  Antonio  Abbatelli  e  d'Isabella  Branciforti  sua  moglie  nel  1490, 
non  é  che  opera  di  assai  debole  stile ,  come  son  pure  altrove  non  poche 
altre  sculture,  che  lungo  sarebbe  venire  tutte  accennando  (2). 

Artista  però  di  più  alto  merito  ed  un  de'  migliori  Lombardi  venuti  nel 
quattrocento  ad  esercitar  la  scultura  nell'isola  appare  ad  un  tempo  un  Giorgio 
di  Milano,  altrimenti  di  Brigno,  nominato  il  quinto  fra'  marmorai  o  scul- 


tis,  stantem  genius  flessis,  altitudini!  palmo  rum  quatuor  cum  dimidio.  Et  bine  per  totum  mensem  deeembris  proximo 
futuri  xiiij.'  ind.,  elaboratas  Panhormi,  illas  consigliare  promisi!  sculptas  in  marina  Tauormi,  arecatas  in  barca...; 
et  Ime  prò  stipendio  unciarum  xj  ponderis  generalis,  etc. — Di  tale  strumento  però,  che  qui  riporto  dall'opuscolo 
del  detto  cavalier  De  Michele,  Sopra  alcune  pitture  e  sculture  esistenti  in  Tennini-Imerese  (Palermo,  1865,  pag.  13, 
ncta  1),  non  mi  fu  dato  colà  vedere  l'originale  nel  mentovato  archivio,  giacché  si  dice  ora  smarrito  il  vo- 
lume, che  il  conteneva  insieme  ad  un  altro  posteriore  atto  della  consegna  poi  fatta  dal  Mancino  di  quelle 
figure. 

(  '  )  Ne  ho  notizia  da  un  volume  di  transunti  di  antichi  atti  notarieschi  di  Termini,  compilato  nel  passato 
secolo  ed  ora  colà  posseduto  dal  signor  Vincenzo  Mormino:  ma  nulla  oso  dirne  di  certo,  giacché  non  mi  è 
riuscito  vedere  l'originale  strumento,  non  più  trovandosi  in  quell'archivio  il  registro  dell'anno  della  V  indiz. 
15 16-17  di  notar  Filippo  Giacomo  d'  Ugo,  dov'  era  compreso.  Ritornerò  nondimeno  a  parlarne  in  appresso 
nel  seguente  capitolo  di  quest'opera,  trattando  del  detto  carrarese  scultore  Francesco  Li  Mastri  o  Del  Mastro, 
di  cui  pure  è  chiaro  altre  più  rilevanti  sculture  avere  inoltre  per  Termini  assunto. 

(2)  La  detta  custodia  in  Cammarata,  alta  m.  4,83  e  larga  m.  2,46,  reca  l'iscrizione  seguente:  SVB  DVCE 
TANDEM  FRANCISCO  BRANCIFORTI  HVIVS  TEMPLI  RE^DIFICATORE  HIC  POSITVM  1642,  ET 
A  DUCE  HERCVLE  BRANCIFORTI  1573  RENOVATUM ,  0JJ0D,  ANTONIO  ABBATELLI  ET  ISA- 
BELLA BRANCIFORTI  COMITE  AC  CONIVGE,  FVIT  PRIMO  ERECTVM  M.CCCC.LXXXX.  Ma,  non 


58  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

tori  ne'  capitoli  dell'arte  in  Palermo  nel  1487.  Lui  dinanzi  concerne  un  atto 
od  ordinamento  di  Gaspare  de  Spes,  viceré  allora  in  Sicilia,  dato  in  Paler- 
mo a  12  di  maggio  del  1484  ed  indirizzato  ad  un  Michele  di  Bruno,  por- 
tiere della  regia  gran  corte,  al  quale  davasi  incarico  di  rintracciare  ed  aver 
nelle  mani  la  persona  appunto  di  quello  (:).  Perocché  dall'atto  stesso  ri- 
levasi, che  querele  gravissime  eransi  mosse  al  detto  viceré  da  maestro  Do- 
menico de'  Gagini ,  scultore  e  già  cittadino  palermitano  ,  contro  maestro 
Giorgio  lombardo,  scultore  e  cittadino  pur  egli  della  città  medesima,  giac- 
ché, tenuto  essendo  costui  fornire  alcun'  opera  in  marmo  nella  cappella  di 
S.  Cristina  nel  duomo,  per  cui  trovavasi  mallevadore  con  altri  il  detto  Do- 
menico, avea  stimato  in  vece  partirsi,  lasciando  in  tronco  il  lavoro.  Per  la 
qual  cosa  il  procuratore  della  maramma ,  ossia  della  fabbrica ,  si  era  per 
iscritto  rivolto  al  Gagini,  ingiungendogli ,  o  eh'  egli  avesse  supplito  tanti 
maestri  e  lavoranti ,  quanti  sen  fosser  richiesti  a  terminare  infra  un  mese 
quell'opera,  o  che  si  sarebbe  proceduto  pel  prezzo  e  valore  di  essa  a  tutti 
danni  e  interessi  contro  i  suoi  beni.  Laonde  si  era  egli  deciso  ricorrere  al 
viceré ,  supplicandolo  di  alcun  opportuno  provvedimento  ;  e  quindi  il  De 
Spes,  tagliando  corto,  ordinò  tosto  a  quel  Bruno  portiere,  che,  recandosi 
in  qualunque  luogo  e  terra  del  regno,  e  soprattutto  in  Cefalù,  dove  inten- 
deasi  che  fosse  il  detto  Giorgio  scultore,  dovesse  colà  immantinente  gher- 
mirlo e  preso  portarlo  in  Palermo,  siccome  cittadino,  dinanzi  al  magistrato 
ed  ufficiali  della  città,  tranne  soltanto  il  caso,  ch'ei  desse  di  sé  guarentigia 


ostante  la  cennata  rinnovazione  ed  il  trasferimento  da  un  luogo  all'altro  della  chiesa,  il  primitivo  lavoro  vi 
riman  quasi  intatto.  Vi  ha  uno  stilobate  con  figurine  degli  apostoli  e  di  vari  santi ,  su  cui  nel  mezzo  è  il 
ciborio,  sormontato  da  baldacchino  e  fiancheggiato  da  cherubini  genuflessi.  Vi  ricorron  da'  lati  quattro  colon- 
nine spirali ,  due  per  ogni  banda ,  dandovi  luogo  a  sei  scompartimenti  con  gli  evangelisti  e  co'  padri  della 
Chiesa  sedenti  in  due  ad  un  leggio  in  mezzano  rilievo ,  laddove  al  di  fuori  alle  estremità  laterali  due  angeli 
per  ogni  lato ,  come  in  Nicosia,  sostengono  una  cortina  per  ornamento.  Sulle  colonnine  intanto  poggian  di 
sopra  quattro  dadi  con  piccole  figure  di  profeti,  e  fra  gli  spazi  intermedi  sono  gli  stemmi  Abbatelli  e  Branciforti, 
dando  luogo  nel  centro  all'iscrizione:  oltreché  indi  più  in  alto  fra  due  minori  colonnine  spirali  sta  un  quadro 
della  Crocifissione  in  alto  rilievo,  ricorrendovi  a'  lati  due  nicchie  con  figurette  de'  Santi  Pietro  e  Paolo,  ed 
alle  estremità  due  candelabri  sormontati  dall'Annunziata  e  dal  Gabriello.  Due  altri  candelabri  poscia  finiscon 
le  nicchie  con  figurine  di  angeli,  e  sulla  Crocifissione  nel  mezzo  è  un  semicerchio  con  la  Nascita,  mentre  in 
cima  del  tutto  sta  finalmente  un  Dio  Padre.  Ma,  non  ostante  la  ricchezza  delle  sculture,  nulla  è  a  lodarvi  per 
merito  di  lavoro;  e  di  migliore  stile  sembra  in  vece  per  fermo  un  altro  più  piccol  ciborio  contemporaneo, 
che  con  cherubini  e  Dio  Padre  in  rilievo  si  vede  ora  nella  maggior  chiesa  di  Castronovo,  e  vi  si  afferma 
trasferitovi  da  Bivona,  recando  dappiè  la  seguente  epigrafe:  HOC  OPVS  FIERI  FECIT  IOHANES  DE  MOLE 
AD  LAVDEM  DEI. 

(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  XI. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.    II.  59 

bastante  per  presentarsi  fra  tre  giorni  di  termine.  Ma  nulla  del  resto  è  noto 
del  seguito  di  tal  vertenza,  ne  de'  lavori,  ch'era  potuto  essere  andato  ad 
eseguire  o  a  consegnare  in  Ccfalù  lo  scultore,  né  di  quegli  altri,  a  che  si  era 
egli  obbligato  per  la  cappella  di  S.  Cristina  nel  duomo  palermitano,  della 
quale,  siccome  vedremo  a  suo  luogo,  altri  lavori  insin  dal  1474  eran  già  stati 
assunti  dal  solo  Gagini.  Non  pertanto  da  ciò  in  ogni  modo  appare  evidente 
siccome  fosse  stato  quel  Giorgio  un  degli  aiuti  più  utili  e  necessari  a  Do- 
menico, che  già  teneva  in  Palermo  il  primato  nella  scultura,  laddove  accoglie- 
vansi  in  quello,  meglio  che  in  altri,  vigore  d' ingegno  e  non  comune  sviluppo. 
Ne  è  miglior  prova  una  sua  elegante  statuina  di  Nostra  Donna ,  che 
con  la  destra  si  tiene  un  picciol  libro  dinanzi  al  seno  e  reca  sul  manco 
braccio  il  divin  bambino,  mentre  dappiè  un  fanciullo  trepidante,  aggrappan- 
dosi al  lembo  del  manto  di  lei,  ne  prende  tutela  e  rifugio  e  chiaro  la  denota 
sotto  il  titolo,  un  di  tanto  in  voga,  di  S.  Maria  del  Soccorso.  Ivi  ancor  dura, 
egli  è  vero,  in  alcune  parti  qualche  cosa  di  gretto  nelle  forme  e  si  desidera 
alquanta  più  cura  e  delicatezza  di  lavoro  così  nel  nudo  che  ne'  panneggia- 
menti delle  figure:  ma  vi  predomina  nel  tutto  quel  verginal  senso  d'inge- 
nuità, di  grazia  e  di  espressione  religiosa  e  piissima,  che  mostra  siccome 
siesi  l'artefice  vivamente  compreso  dell'  indole  del  soggetto  e  ben  sia  riu- 
scito a  rivelarla  nel  marmo.  La  detta  statua,  o  gruppo,  che  ora  si  vede  in 
una  cappella  della  maggior  chiesa  di  Termini  Imerese,  trasferitavi  dopo  la 
generale  abolizione  de'  frati  nel  1866,  era  colà  dinanzi  in  quella  del  con- 
vento de'  Domenicani  intitolata  in  San  Vincenzo,  e  rimane  certezza,  che 
fu  scolpita  da  Giorgio  di  Milano  (r).  Perocché  per  pubblico  atto  in  data 
del  17  di  marzo  V  ind.  i486  (1487)  il  mentovato  scultore,  già  cittadino  pa- 
lermitano, obbligavasi  in  Termini  al  notar  Pietro  Ugo  e  ad  un  maestro  Fi- 
lippo Tarlilario,  procuratori  dell'anzidetta  chiesa  di  San  Vincenzo,  per  far  pel 
prezzo  di  once  sei  (1.  76.  50)  cotale  statua  in  marmo  di  S.  Maria  del  Soccorso, 
meglio  condotta  che  un'altra  di  S.  Maria  di  Gesù,  colà  pure  esistente  nella 
chiesa  a  lei  dedicata,  e  che  si  ha  ragione  a  credere  alcun  tempo  innanzi  dal 
medesimo  Giorgio  eseguita  (2).  Rimane  in  fatti  un'altra   precedente   con- 


(  •  )  Vedine  un  disegno  nella  tavola  I  di  quest'opera. 

(J)  Il  mentovato  atto  fu  primamente  dato  in  luce  dal  cav.  Ignazio  De  Michele  in  una  sua  lettera,  Di 
uno  scultore  siciliano  del  secolo  XV,  inserita  nel  volume  primo  delle  'Hjtiove  Effemeridi  Siciliane  (Palermo,  1870, 
pag.  559  e  seg.).  Sbaglia  però  egli  stimando  nato  in  Palermo  lo  scultore  Giorgio  per  la  sua  qualificazione 
di  cittadino  palermitano.  Ed  una  più  accurata  copia  del  contratto  medesimo  vedi  poi  fra'  Documenti  di  que- 
st'opera al  num.  XII. 


60  I    GAGINI    lì    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


venzione  in  data  del  16  ottobre  del  1484,  ond'  egli  si  era  pure  obbligato 
in  Termini  a'  fratelli  Giacomo  Matteo  ed  Antonio  Bruno  e  ad  un  maestro 
Pietro  Ferro,  aromatario,  pel  lavoro  di  un  arco  in  marmo  con  figure  ed 
altri  ornamenti  in  mezzano  rilievo  nell'  interno  della  loro  cappella  colà  da 
costruirsi  in  S.  Maria  di  Gesù  ,  pel  prezzo  in  tutto  di  once  dieci  e  tari 
quindici  (1.  133.  87)  (!).  Per  la  qual  cosa  ben  a  ragione  é  da  pensare,  che 
ei  pure  avesse  lavorato  la  statua  di  Nostra  Donna,  che  ivi  dovette  in  prima 
esser  posta,  e  che  indi,  ampliata  la  chiesa  con  essersi  distrutta  la  primitiva 
cappella  con  tutta  la  decorazione  dell'  arco  or  or  mentovato  ,  fu  trasferita 
in  altra  nuova  cappella  di  special  pertinenza  della  stessa  famiglia  Bruno, 
dove  oggi  si  vede.  Né  in  tale  statua,  che  vien  sotto  il  titolo  di  S.  Maria 
della  Presentazione  ,  benché  in  diverso  e  carissimo  atteggiamento  di  quasi 
offrir  giacente  sulle  proprie  sue  braccia  il  figliuolo,  appar  differenza  di  stile 
e  di  scalpello  in  confronto  all'altra  già  mentovata  di  Nostra  Donna  del  Soc- 
corso, di  cui  è  certo  sia  opera  di  Giorgio  di  Milano:  ma  in  ambe  in  vece 
rivelansi,  a  traverso  a'  difetti  di  una  forma  non  ancor  pervenuta  alla  mag- 
giore eccellenza ,  i  pregi  di  una  espressione  soave  ed  ingenua,  talor  con- 
giunta a  molta  eleganza  e  morbidezza.  Perloché  inoltre  han  pure  alcun 
valore  in  tal  senso  i  bassirilievi,  che  adornan  la  base  della  seconda  di  quelle 
due  statue  ,  essendovi  espressa  in  mezzo  la  nascita  di  Gesù  e  genuflessi 
da'  lati  un  angioletto  ed  una  devota ,  che  adorano,  oltre  due  teste  di  se- 
rafini e  due  stemmi  di  casa  Bruno  con  leone  rampante;  ed  anco  in  si  pic- 
cole dimensioni  di  figurine,  sciupate  non  poco  dal  tempo,  avvertesi  l'aura 
della  buona  scuola,  donde  il  lombardo  scultore  provenne. 

Pel  corso  di  dieci  anni  dal  i486  al  96  non  riman  poi  certezza  di  altre 
sue  opere,  comunque  sia  molto  probabile  che  n'esistano,  senza  sapersi  che 
sian  di  sua  mano.  Ma  in  fine  da  un  pubblico  strumento  agli  atti  di  notar 
Giovanni  Perdicaro  in  Polizzi  in  data  del  22  dicembre  del  1496,  il  qual  fedel- 
mente colà  dall'archivio  notariale  mi  riusci  potere  trascrivere ,  si  ha  piena 
contezza,  che  in  detto  giorno  maestro  Giorgio  di  Milano ,  ovvero  altri- 
menti di  Brigno,  marmoraio  lombardo,  promise  ivi  e  si  obbligò  a  notar  Lu- 
dovico di  Bentivegna  ed  a  Maso  di  Casale,  due  de'  rettori  della  confraternita 
del  Corpo  di  Cristo,  circa  la  costruzione  e  tutt'altro  lavoro  di  una  custodia 
in  marmo  per  la  cappella  ed  altare  del  medesimo  titolo  in  detta  terra.  Dovea 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XIII. 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II.  6l 

tale  custodia  (siccome  appare  dall'atto)  essere  almeno  di  palmi  ben  dician- 
nove di  altezza  ed  undici  larga,  in  forma  ed  ancor  meglio  di  un'  altra  di  già 
esistente  nella  terra  di  Castelbuono  in  quanto  a  grandezza  e  rilievo  delle 
figure  delle  storie ,  di  che  era  in  tutto  a  venire  storiata  nel  miglior  modo, 
co'  soggetti  da  darsene  da'  detti  rettori  e  confrati;  il  tutto  pel  prezzo  di 
trent'once  (1.  382.50),  oltre  la  spesa  del  marmo.  Promettea  in  fine  lo  scultore 
dover  nella  terra  medesima  di  Polizzi  costruire  e  lavorare  quell'opera,  se- 
guitamente  e  senz'attendere  ad  altro ,  perché  potesse  in  un  anno  e  mezzo 
fornirla,  convenendosi,  che,  oltre  al  prezzo  anzidetto,  avrebbe  egli  in  conto 
di  suo  vitto  pel  tempo  di  quel  soggiorno  quattro  salme  di  vino  ,  due  di 
frumento  e  quattro  forme  di  cacio  (J).  Ignoro  non  pertanto  se  la  custodia  sia 
stata  in  effetto  fornita  da  Giorgio  di  Milano,  giusta  quel  contratto,  lad- 
dove più  tardi  risulta  da  altri  documenti,  che  dal  1509  al  24  vari  altri 
scultori,  siccome  indi  vedremo ,  attesero  al  lavoro  di  una  custodia  del  Sa- 
cramento per  la  chiesa  maggiore  in  Polizzi.  Né  in  tali  documenti  è  pur 
motto  di  precedenti  lavori,  che  ivi  da  altri  si  fossero  all'  uopo  eseguiti  ;  e 
quindi  rimane  incerto,  non  ostante  il  contratto  del  1496,  che  il  detto  Gior- 
gio avesse  adempito  a'  suoi  impegni.  Indarno  altronde  oggi  colà  si  cer- 
cherebbe quella  custodia,  la  qual  pure  è  certo  esser  sorta  a  decoro  della 
cennata  cappella  del  Sacramento,  che  aveva  ed  ha  luogo  tuttavia  in  quella 
maggior  chiesa.  Ma  quanto  ivi  era  di  antico  e  di  pregevole  andò  affatto  in 
preda  in  seguito  al  triste  genio  di  vandalici  rinnovamenti,  onde  per  infar- 
cire il  tutto  di  stucchi  di  cattivo  gusto  non  si  ebbe  perfin  ritegno  a  scom- 
porre e  tor  via  totalmente  la  detta  custodia  di  marmo,  le  cui  sculture  in 
gran  parte  andaron  distrutte.  Tre  soli  bassirilievi  di  storie ,  fra'  tanti , 
che  la  componevano  ,  sen  vedon  oggi  incastrati  in  una  parete  del  portico 
esterno  laterale  di  quella  chiesa,  rappresentando  in  piccole  figure  la  cena 
eucaristica,  il  bacio  di  Giuda  e  la  risurrezione  di  Cristo  :  ma  son  lavori  di 
debol  pratica  d'arte  e  non  affatto  raggiungono  la  preziosità  e  l'eleganza  dei 
migliori  scalpelli  del  tempo.  Però  a  tutt'altra  opera,  e  non  già  alla  custodia 
in  parola,  apparteneva  un  lungo  pezzo  ora  mutilo  di  marmo,  pur  con  quegli 
altri  a  casaccio  incastrato  in  quel  sito,  recando  alcune  mezze  figurine  molto 
pregevoli  del  Cristo  in  passione  e  della  dolente  sua  Madre,  di  apostoli  ed 
altri  Santi;  e  provasi  in  vece  con  certezza  di  documento,  ch'esso  non  sia 


(')  Vedi  fra'  Tlocutnenti,  num.  XIV. 


Gì  I    GAGIN'I    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


che  un  avanzo  del  sarcofago  di  S.  Gandolfo,  colà  dinanzi  scolpito  da  Do- 
menico Gagini,  e  di  cui  alla  sua  volta  sarà  discorso.  Ma  dalla  cappella  anzi- 
detta del  Sacramento  provengono  inoltre  alcune  statuine,  che  nella  custodia 
stessa  formavano  un  gruppo  della  Trasfigurazione  di  Cristo,  e  che  poi,  ve- 
nendo essa  distrutta  ,  furono  ancor  trasferite  e  mal  collocate  nel  portico, 
donde  or  da  non  guari  nuovamente  si  volle  rimuoverle,  disgiungendole  e 
separandole  affatto  ,  mentre ,  riposta  in  chiesa  quella  del  Redentore  da  un 
lato  dell'altare  della  cappella  de'  Notarbartolo  ,  furon  locate  su  due  pilastri 
dall'una  banda  e  dall'altra  del  cappellone  le  due  genuflesse  de'  profeti  Mosè 
ed  Elia,  e  le  altre  de'  tre  apostoli  buttate  giù  in  ripostiglio.  Pur  ,  tranne 
alcun  merito  nella  sola  figura  del  Cristo  ,  non  vi  è  in  tutto  il  resto  gran 
pregio  d'arte  e  d'ingegno,  ond'  è  che  nel  manco  di  vita,  di  espressione  e 
di  delicato  artificio  delle  altre  figure  é  da  veder  piuttosto  l'opera  di  minori 
scalpelli  dell'età  appresso.  Laonde  non  può  per  alcun  conto  ammettersi 
quanto  asseri  in  un  giovanile  suo  scritto  su  cose  d' arte  in  Sicilia  l' illu- 
stre Paolo  Giudice ,  poggiatosi  al  sol  primo  contratto  ed  ignaro  degli 
altri  documenti  posteriori  intorno  alla  custodia  del  Sacramento  in  Polizzi, 
cioè  ,  che  le  sculture  ad  essa  appartenute  fosser  lavoro  di  Giorgio  di  Mi- 
lano (r)  :  mentre  ben  altro  pregio  di  espressione  e  di  delicato  magistero, 
che  non  è  in  esse,  ricorre  nella  statua  di  già  cennata  di  Nostra  Donna  del 
Soccorso  nel  duomo  di  Termini,  della  qual  non  è  dubbio  ,  che  da  lui  sia 
stata  scolpita.  Né  del  resto  altre  opere  mi  è  dato  con  alcun  fondamento 
potere  attribuire  al  medesimo,  se  non  la  custodia  di  Castelbuono,  eseguita 
dinanzi  al  1496  ,  siccome  cennata  nello  strumento  di  tale  anno  per  l'altra 
di  Polizzi,  e  ch'è  probabil  sia  quella  ,  che  tuttavia  mi  si  afferma  esistente 
nella  madricc  vecchia  di  quella  terra,  di  assai  bel  congegno  e  con  elegante 
ciborio  nel  mezzo,  ma  trascurata  e  debole  alquanto  nelle  figure.  Nulla  però 
più  oltre  so  dirne,  giacché  non  la  vidi.  Sembra  probabile  intanto,  che  sia 
lavoro  di  lui  una  pregevole  decorazione  in  marmo  con  l'anno  1493  nella 
porta  settentrionale  della  chiesa  maggiore  in  Mistretta,  recando  nell'architrave 


(  '  )  Ne  fa  egli  cenno  in  nota  in  una  sua  lettera  Sulla  vera  patria  di  'Domenico  Gagini,  padre  del  celebre 
^Antonio,  inserita  nel  tomo  XXVII  delle  Effemeridi  scientifiche  e  letterarie  per  la  Sicilia  (Palermo,  1859,  pa- 
gina 1 50);  e,  preso  avendo  notizia  del  mentovato  contratto  da  quanto  solamente  sen  legge  in  alcuni  mano- 
scritti di  erudite  memorie  di  Polizzi  di  un  padre  Gioacchino  Di  Giovanni  del  passato  secolo,  sbaglia  con  lui 
anco  nel  nome  dello  scultore,  chiamandolo  Gregorio  di  Milano  in  vece  che  Giorgio. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAI'.  II.  63 


tre  medaglioni  con  lo  stemma  regio  e  gli  apostoli  Pietro  e  Paolo,  ed  al  di 
sopra  un  pennacchio  semicircolare  con  tre  mezze  figure  al  di  dentro,  cioè 
Nostra  Donna  col  bambino  fra  S.  Agata  e  S.  Lucia:  oltreché  pure  in  Mistrctta 
è  da  attribuirgli  nella  chiesa  di  S.  Caterina  la  statua  della  titolare,  dappiè  pa- 
rimente segnata  dell'anzidetto  anno  1493,  benché  posteriormente  riposta  in 
una  marmorea  custodia  con  altre  figure  e  bassirilievi ,  qual  vi  fu  aggiunta 
nel  declinar  del  secolo  appresso.  Forse  altresì  venne  da  lui  scolpito  un  pre- 
gevol  San  Pietro  in  marmo  ,  in  abiti  pontificali  e  sedente,  il  qual  fin  ora 
si  vede  in  una  chiesa  di  antica  origine,  intitolata  al  medesimo  Santo  ed  ossi 
in  ruina,  in  quel  di  Castronovo,  per  cui  mi  sì  afferma  essere  stato  scritto 
a'  giurati  di  quel  paese  dal  vescovo  di  Patti,  cui  si  appartici!  quella  chiesa, 
perché  preso  avessero  cura  della  collocazione  di  tale  statua  a  14  di  mag- 
gio del  1498  (x).  Può  darsi  ancora  sia  opera  dello  stesso  lombardo  scul- 
tore un'altra  statua  di  Nostra  Donna  con  in  braccio  il  bambino,  da  me 
osservata  e  tuttora  esistente  nella  chiesa  parrocchiale  di  Santa  Croce  in  Ni- 
cosia,  con  dappiè  questa  iscrizione  :  mcccclxxxxviii  hoc  opvs  fieri  fe- 
cit  magister  ivlianvs  de  garigv.  Sebben  molto  ivi  scemi  di  effetto  al 
merito  della  scultura  l'antico  roseo  pigmento  dato  in  volto  alla  Diva,  oltre 
anche  il  coloramento  e  le  dorature  del  manto,  non  é  dubbio  sia  essa  a  te- 
nere fra  le  opere  di  buono  stile,  specialmente  in  riguardo  ad  un  pregevole 
bassorilievo  in  piccole  figure,  che  vi  ha  scolpito  nel  piedistallo,  rappresen- 
tando il  miracolo  della  Madonna  della  Catena,  dinanzi  a  cui  s' infrangono  i 
ceppi  a'  condannati  all'  estremo  supplizio,  secondo  la  nota  leggenda  cotanto 
in  voga  in  quel  tempo.  Sembrami  anzi  trovarsi  alquanta  corrispondenza 
di  stile  e  conformità  di  sviluppo  e  di  merito  fra  tale  statua  e  l'altra  di 
Termini,  eh' è  innegabil  lavoro  di  Giorgio  sopraddetto;  e  da  ciò  più  pro- 
babile mi  si  rende  il  pensare,  che  l'una  e  l'altra  sien  opera  dello  stesso  scal- 
pello ,  comunque  non  se  n'  abbia  certezza  da  documento.  Ma  è  cosa  assai 
mal  sicura  del  resto  il  voler  far  da  indovini  intorno  agli  autori  delle  tante 
sculture  d' ignota  mano  ,  che  di  quel  tempo  in  tutta  Sicilia  rimangono ,  e 
meglio  giova  fidar  soltanto  sulle  più  evidenti  notizie,   che  da  contempora- 


(  '  )  Ne  ho  notizia  dal  signor  avv.  Luigi  Tirrito,  il  quale  mi  afferma  avere  ciò  attinto  da  un  registro  del- 
l' antico  uffizio  del  mastro  notaro  di  Castronovo  ,  dove  sono  annotati  i  beni  e  le  rendite  di  ciascuna  delle 
chiese  di  quella  terra.  La  detta  statua  per  altro,  da  me  veduta,  e  indubitatamente  scultura  dello  scorcio  del 
quattrocento,  e,  se  non  è  di  mano  di  Giorgio,  siccome  pur  sembra  dallo  stile ,  è  certamente  lavoro  di  scal- 
pello contemporaneo.  »0 


64  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

nee  scritture  ci  è  dato  venire  indagando.  Non  altro  quindi  in  fine  si  ha  di 
certo  intorno  allo  stesso  Giorgio,  se  non  che  egli,  essendo  pur  cittadino  di 
Termini,  era  ivi  ancora  in  vita  insino  al  17  giugno  del  1503,  allorché  vi 
creò  un  suo  procuratore  a  riscuotere  alcun  danaro,  di  eh'  egli  pietosamente 
fé'  cessione  in  prò  dell'  ospedale  di  Petralia  Sottana,  all'  uopo  specialmente 
dell'edificio  di  esso  (').  Dal  che  soprattutto  rilevasi,  che  in  Termini  ben 
di  sovente  egli  ebbe  da  fare  in  sua  vita,  a  cagion  forse  della  pietra  di  quel 
paese,  della  quale  in  architettura  e  scultura  allor  si  faceva  grand'  uso. 

Nulla  però  fin  qui  è  riuscito  raccogliere  di  memorie  intorno  all'origine, 
alla  vita,  alle  opere  ed  al  valore  nell'arte  di  Antonio  Pruni  o  di  Prone,  Andrea 
di  Curso,  Jacopo  di  Sirignano,  Antonio  di  Verri  e  Stefano  di  Cascino,  scultori 
o  scarpellini,  che  pur  facean  parte  del  corpo  de'  marmorai  di  Palermo,  siccome 
appare  da'  più  volte  cennati  capitoli  dell'arte  del  1487.  Si  ha  soltanto,  che 
il  Prone  mori  nel  1490,  lasciando  in  fasce  un  Baldassare  suo  figlio,  parto- 
ritogli da  Berta  sua  moglie  (2),  e  che  poi  anco  il  Verri  era  mancato  a'  vivi 
nel  1491,  quando  il  dì  ultimo  di  maggio  la  sua  figliuola  Francesca  veniva  tolta 
in  isposa  da  un  maestro  Ludovico  di  Lazaro  da  Sarzana,  abitator  di  Palermo  (>). 
Risulta  in  vece,  che  ivi  ancor  vivesse  Andrea  di  Curso  nel  1508,  trovandosi 


(!)  Eodan  (17  giugno  VII  indiz.  1503X  Magister  Geo/gius  de  Milano,  civis  Thermarum ,  corani  nobis , 
sponte  constituit  et  fecit  eius  procuratorem  <Artalem  Caudararu  de  Titralia  inferiori,  assertum  procuratorati  bo- 
spitalis  diete  terre,...  ad  exigendum ,  petendum  et  recuperandum  nomine  ipsins  constituentis  a  'Paulo  Lo  Dino  Mi- 
riam imam  et  larenos  sex...  virtute  asserti  pubìici  contractus  facti  marni  notarli. ..  Bentivegna  de  terra  Poltrii  etc... 
Ouas  linciavi  imam  et  tarenos  sex  dicttis  m.r  Georgius  prò  beneficio  et  servicio  anime  sue...  cessit  et  ceàit  ac  dedit 
et  donacionem  de  hiis  fecit  et  facit  dicto  hcspitali  diete  terre  Titralie...  ad  opus  marammatum  eiusdem  hospitalis,  etc. 
Da'  bastardelli  di  notar  Riccardo  Pesce,  an.  1503-17,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Termini  Imerese. 

( 2  )  Rilevasi  ciò  da  un  posteriore  strumento  d'inventario  fra'  registri  di  notar  Matteo  Fallerà  nell'archivio 
de'  notai  defunti  in  Palermo  (an.  1491-92,  ind.  X,  num.  1752,  fog.  809  retro  a.  811),  dove  si  legge:  Eodem 
xxviij  aprilis  x.'  ind.  1492.  Cam  in  anno  vìi}.'  iudictionis  proxime  preterite  magister  lAntonius  de  Prone,  mar- 
morarius,  sicut  Domino  placuit ,  mortiiiis  et  defunctus  fuerit  ab  intestato,  relieto  et  succedente  sibi  Baldassare  in- 
fante, eius  filio  legitimo  et  naturali,  nato  ex  eo  et  Perla  mme  vivente  eius  uxore,  que  juxta  disposiciouem  appro- 
batam  coiisuetudiuis  panhormitane  ranansit  tutrix  dicti  pupilli...  et  dictaru  tutelala  gessit  dum  vìduìtatem  servavi!; 
qua  convolata  ad  secunda  vota,  desierit  esse  tutrix,  dictante  predicta  panhormitana  consuetudine,  ob  id  fuit  per... 
regiam  curiam  positus,  creatus  et  ordinatus  tutor  dicti  pupilli ...  nobilis  Joanncs  Tallini,  aromatarius,  tenore  ceiuìe 
recepte  penes  aria  diete  curie  die  etc.  E  segue  l'inventario  tutelare  da  costui  fatto,  il  quale  comprende  due  terze 
parti  di  alcune  somme  e  di  vari  crediti  contro  diverse  persone,  fra  cui  anche  il  baron  di  Cerami ,  ed  altresì 
un  tenimento  di  case  nel  quartiere  della  Chalcia  in  Palermo,  presso  la  porta  di  Polizzi,  e  parecchi  censi. 

(  i  )  In  detta  data  quindi  nel  registro  di  notar  Giacomo  Randisi  degli  anni  1488-91,  ind.  VII-IX,  num. 
11 60  bis,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo,  è  il  matrimoniale  contratto  Inter  Francissam,  pucllam  rc- 
lictam  quondam  magistri  ^inionii  de  Verri,  civetti  Talloniti,  Sponsam  ex  una  patte,  et  magistrum  Loàovicutn  de 
La\aro  de  Sat\ana,  Imbitatorem  Panormi,  sponsum  ex  altera. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II.  65 

— * 


ne'  libri  della  parrocchia  di  S.  Niccolò  la  Kalsa  parecchie  note  di  battesimi  di 
suoi  figli  dal  1500  infino  a  quell'anno  (').  In  vece  poi  di  Stellino  di  Cascino, 
nel  cui  nome  fin  ora  non  mi  venne  fatto  altrove  d'imbattermi,  ho  notizia  di 
un  maestro  Stefano  di  Martino,  marmoraio,  cittadino  palermitano,  il  qual  per 
pubblico  atto  in  data  del  20  aprile  del  1475  vendeva  e  promettea  consegnare  al 
nobil  Matteo  Pugiades  di  Girgenti,  viceportulano  di  quel  caricatore ,  come 
rilevasi  da  un  atto  precedente,  una  figura  sedente  in  marmo  di  S.  Maria 
di  Monserrato  pel  prezzo  di  once  dieci  (1.  127.50)  (2).  Non  mi  è  noto 
però  se  in  quella  città  o  in  altro  luogo  la  detta  statua  più  esista  ,  né  altra 
memoria  mi  è  pervenuta  dello  scultore,  se  veramente  abbia  avuto  Palermo 
per  patria  o  vi  abbia  ottenuto  la  naturalità  come  gli  altri.  Rilevasi  poi, 
che  carrarese  sia  stato  di  origine  un  Antonio  de  V anelili ,  o  de  Vantila,  o 
J 'anelli,  di  cui  ultimo  apparisce  il  nome  fra  quelli  de'  marmorai  ne'  men- 
tovati capitoli,  e  che,  più  volte  ricordato  dal  1476  al  15 14  in  pubblici  atti 
in  Palermo,  vi  è  detto  in  un  luogo  di  Carrata,  e  altrove  confusamente 
di  Carracha  o  di  Carraia,  certo  per  error  di  scrittura  in  vece  che  di  Car- 
rara. Imperocché  colà  non  é  affatto  dubbia  intorno  a  quel  tempo  l'esistenza 
della  famiglia  de'  Vanelli  o  Vannelli,  scarpellini,  de'  quali  un  Francesco  dicto 
Bello,  già  di  Iacopo   Vanelli  da  Torano ,  di  villa   Carrara,  ebbe  anco  da  fare 


(')  Vi  leggiamo  pertanto  ne'  diversi  quaderni  de'  seguenti  anni:  Die  xij."  julii  iiij:  imi.  (1500).  Ter 
battimari  hi  fighi  di  mastru  ^Andiia  ài  Cuna,  gr.  x  (fog.  45).  —  Die  xvj."  (februarii  vip.  ina.  1503)  (1504). 
Per  battimari  hi  fighi  di  mastru  <Andria  Cinsi,  gr.  x  (fog.  57  retro).  —  Die  x."  (juiiii  vii].'  ini.  ijoj).  Ter 
sepelliri  lu  fighi  di  mastru  binària  tu  marmuraru ,  sepultu  in  Sanctu  Franchiseli,  decti  canditi  rotulu  unu  seu^a 
tigni',  tt.  ij. — Die  xij."  mai)  xij.'  ina.  (1508).  Ter  battimari  la  fighi  di  mastru  Andria  di  Cursu,  nomine  Lamia: 
li  compari  mastru  Jo.  di  Mina  et  mastru  Ansehnu  di  Quaranta,  soni  rtLofria  di  Valenti;  tt.  <)  (fog.   56  retro). 

(2)  Die  xx.°  eiusdem  (aprile  VIII  ind.  1475).  fMagister  Stefanus  de  Martino ,  marmorarius ,  e.  p.,  corani 
nobis,  sponte  vendidit  et  assignarc  promisit  nobili  Matheo  Tuiades  de  ^Agrigento,  presenti  et  ementi  ab  co ,  yma- 
vinem  imam  Sane  te  Marie  de  Monserrato  de  mormora,  bene  et  diligenter  laboratam  de  Ma  lapide  sibi  demostrata, 
assectata;  et  sic  asscctata  sit  allitudinis  paimorum  quinque  absque  scannello  ;  et  si  plus  poterli  venire  de  dicto  la- 
pide, quod  plus  facere  teneatur;  prò  predo  linciarmi!  decem,  ìaborata,  expedita  et  posita  ad  puntimi  de  suo  ma^i- 
stério.  De  quo  predo  d'ictus  magister  Stefanus  ad  instanciam  dicti  nobilis  Mathei  presentis  est  confessus  ab  eo  ha- 
buisse  et  recepisse  uncias  quatuor  per  bancum  nobilitivi  Francisei  et  Tetri  ^Agliata ,  reiimiciaiis  etc.  Tj'staiis  sibi 
dare  et  solvere  promisit,  assignata  sibi  dieta  imagine  et  expedita  tutius.  Promisit  d'ictus  venditor  eidem  emptori 
stipulanti  dictam  imaginem  sibi  vendiiam,  positam  ad  puntimi  ut  supra,  dare  et  assiguare  eidem  emptori  in  civi- 
tatc  Panormi  per  totum  menseni  julii  proxime  venturi:  alias,  non  assignando  expeditam  et  positam  ad  puntimi  tu- 
tius in  termine  predicto,  sit  licitum  dicto  nobili  SCatbco  ad  eius  voluntatem  emere  aliam  ad  dapna  ci  interesse  dicti 
magistri  Stefani  prò  eo  preccio,  quod  poterli  invenire.  Que  omnia  diete  parles  promiserunt  etc.  —  Testes:  noi.  Au- 
tonius  de  ciprea  et  Johannes  Corviser.—  Dal  registro  di  notar  Gabriele  Vulpi,  an.  1473-75,  ind.  VII-VIII,  num. 
1135,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


66                                           I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 
fc_ 


col  Buonarroti  per  esserglisi  con  altri  più  volte  obbligato  a  cavargli  marmi, 
siccome  da  documenti  carraresi  apparisce  dal  1 5 1 7  al  21  ('_):  oltreché  poi 
più  tardi  un  magister  Iacobus  olim  Angeli  Vanclli  de  Tornino  era  un  de'  sin- 
dici e  camerarii  della  compagnia  del  Sacramento  in  Carrara,  giusta  un  atto 
ivi  dato  a  26  luglio  del  1547  (2).  Del  nostro  Antonio  intanto,  di  là  ve- 
nuto, è  prima  notizia  in  Palermo  da  uno  strumento  del  29  gennaio  IX  ind. 
1475  (1476),  ond'  egli  riconobbe  un'  enfiteusi  della  signora  Giovannella  di 
Ventimiglia,  moglie  del  magnifico  Antonio,  sopra  un  terreno  in  contrada 
Ciaculli  nell'agro  palermitano  (3).  Poi  ne  segue  memoria  in  un  atto  del 
20  giugno  del  1480,  essendosi  egli  obbligato  al  nobile  Pietro  di  Trapani 
scolpire  una  certa  lapide  di  marmo  con  le  armi  di  lui,  conforme  ad  altra  già 
collocata  sulla  tomba  del  defunto  Niccolò  Diana  dentro  la  chiesa  del  con- 
vento di  S.  Cita  in  Palermo  (4).  Ma  meglio  che  per  lavori  da  semplice  scar- 
pellino  se  n'  ha  più  tardi  ricordo  per  qualche  cosa  di  più  rilevante,  come  pro- 
babilmente per  la  sopraddetta  custodia  in  San  Niccolò  di  Nicosia,  al  cui  la- 
voro sembra  sia  stato  egli  tenuto  insieme  ad  Andrea  Mancino,  e  poi  per  la  de- 
corazione in  marmo  da  farsi  alla  porta  della  chiesa  di  San  Giovanni  di  Baida. 
Quest'opera  gli  fu  allogata  addi  17  di  marzo  X  ind.  1506  (1507)  dal  canonico 
Luca  de  Marinis,  vicario  generale  dell'arcivescovo  di  Palermo,  in  nome  e  da 
parte  del  prelato  medesimo,  allor  quel  Giovanni  Paterno,  che  fu  tra'  più  insi- 
gni promotori  dell'arte:  e  lo  scultore  promise  scolpirla  in  tre  mesi  pel  prezzo 
di  once  trenta  (1.  382.50),  con  dover  farvi  al  di  sopra  in  figure  di  circa  tre 
palmi  il  Crocifisso  fra  gli  apostoli  Pietro  e  Paolo,  e  sotto  quello  una  mezza 
figura  di  Nostra  Donna  col  figlio  in  braccio,  la  qual  soltanto  non  vi  ebbe 


(  1  )  Vedi  Le  lettere  di  Michelangelo  Buonarroti,  pubblicate  coi  ricordi  ed  i  contratti  artistici  per  cura 
di  Gaetano  Milanesi.  In  Firenze,  M.DCCC.LXXV,  pag.  664,  689,  691,  694. 

(2)  Campori,  Memorie  biografiche  degli  scultori,  architetti,  pittori  ce,  nativi  di  Carrara  e  di  altri  luoghi 
della  provincia  di  Massa.  Modena,  1873,  pag.  274. 

(  3  )  Tale  strumento,  per  cui  magister  Anìonius  de  Vantila  de  Carraia  (sic),  scultor,  e.  />.,  riconosce  la  detta 
■enfiteusi  in  un  pezzo  di  terreno  in  contrata  Chacullarum  territorii  'Panarmi,  trovasi  nel  registro  di  num.  11 56 
di  notar  Giacomo  Randisi  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(4)  Magister  Antonius  de  Vanellu  de  Carracha  (o  Carruba) ,  sculptor,  e.  p.,  se  obligavit  n.  Petro  de  Tra- 
pani, e.  p.,...  scolpire  quendam  lapidem  marmoreum  ad  modum  et  formatti  illius  lapidis ,  qui  affixus  est  supra  fo- 
veatn  quondam  Nicolai  de  Dyana  iutus  ecclesiam  conventus  Sancte  Cile  Panormi ,  et  in  eodem  lapide  sculpire  et 
facerc  arma  dicti  Petri.  Qui  quidem  lapis  debeat  esse  bonus,  pulcer  et  albus;  prò  predo  extimando  et  declorando 
per  d.  Cathcrinam  relictam  quondam  dicti  n.  ILicolay  de  Diana,  etc.  Dagli  atti  di  notar  Giacomo  Randisi  nel- 
1'  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo ,  secondo  la  notizia  comunicatamene  dall'  egregio  barone  Raffaele 
Starrabba. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  II.  67 


indi  più  luogo  (').  Imperocché  del  resto  quella  porta  con  le  altre  cennate 
figure,  co'  suoi  due  pilastri  elegantemente  fregiati  e  con  quattro  stemmi  del 
detto  arcivescovo  fu  nel  prefisso  tempo  fornita  e  collocata,  siccome  appari- 
sce   dall'  iscrizione ,    la    quale    ancor    vi  si  legge  :  f  ioannes    paternionivs 

CATINE    ORIVNDVS   ARCHIEPS.  PANORMITA9.  M.°  V.°  VII.    INDICION.  X.   MENSE  IVLII. 

Ala  benché  ivi  con  qualche  gusto  ed  eleganza  sieno  condotti  gli  ornati  e  ve- 
dasi nel  tutto  di  quella  decorazione  prevalere  già  il  buono  stile,  non  si  ha 
che  grettezza  e  quasi  assoluto  difetto  di  espressione  e  di  sentimento  nelle 
dette  figure,  ond'é  che,  a  dover  giudicare  da  questa  sola  opera,  che  fin  ora 
ne  é  nota  ,  par  soprattutto  siasi  distinto  il  Vanello  nell'  arte  ornamentale  e 
in  nient' altro.  Il  che  pure  ha  conferma  da  un'altra  memoria,  che  riman 
del  medesimo  in  pubblico  strumento  dato  in  Palermo  a  23  di  giugno  del 
15 14,  ond'egli  promise  fare  ad  un  Antonino  Piccolo  della  terra  di  Ficarra  un 
tabernacolo  di  marmo  bianco  con  suo  sportello  dorato  per  riporvi  alcune  reli- 
quie nella  chiesa  colà  dell'Annunziata,  e  confessò  poi  riceverne  a  25  di  ottobre 
once  quattordici  (1.  178.50)  a  compimento  del  prezzo  (2).  Non  ho  veduto  il 
detto  tabernacolo,  e  non  so  anzi  se  ancora  ivi  esista:  ma  è  chiaro  ch'esso 
sia  stato  secondario  lavoro  di  quel  genere  di  scultura  decorativa,  in  cui  par  siasi 
quegli  a  preferenza  versato  nel  lungo  esercizio  di  pressoché  quarant'  anni 
nell'arte,  giacché  dal  1476  al  15 14,  in  cui  più  volte  é  notizia  in  Palermo 
del  suo  permanente  soggiorno,  non  appare  che  alcuna  statua  o  alcun' opera  di 
primario  momento  siagli  mai  stata  allogata,  né  eh'  egli  n'  abbia  scolpita  (3). 
Laonde  sembra  ch'egli,  venuto  in  vero  da  Carrara  e  stabilitosi  in  Sicilia  a  ca- 
gion  del  commercio  de'  marmi  sin  dalla    sua  giovinezza,  non  si  sia  poscia 


(  '  )  Vedi  fra'  "Documenti  di  quest'opera,  num.  XV. 

(2)  xxiij.°  junii  i/.'  ind.  1514.  Magister  ^Antonius  Vanelli,  marmo  rarità  et  e.  p.,  corani  nobis  sponte  promi- 
sit ,  se  convenit  et  sollemniter  obligavit  et  obligat  no.  Anthonino  Ticbulo  de  terra  Ficarre,  presenti  et  stipulanti, 
facere  tabernaculum  unum  marmoreum  de  marmore  albo  et  bono,  sine  venis,  cum  eius  porta  deorata,  prò  ecclesia 
Sancie  Marie  de  la  ^linciata  eiusdem  terre,  ad  opus  in  eo  ponendi  certas  reliquias,  juxta  designimi  datimi  dicto 
n.  ^Antonino  (Manca  il  restante).  Testes:  n.  Leonardus  de  'Rjchardo  et  Jo.  Pichulu.  —  Dal  registro  di  num.  1928 
di  notar  Giovanni  Catania,  an.  1 513-14.,  ind.  II,  fog.  1523  retro  a  1524.  Ed  havvi  pure  in  margine  1' apoca 
dianzi  cennata  in  data  del  25  ottobre  III  ind.   15 14. 

(3)  Si  ha  inoltre  in  vece  da  un  atto  di  notar  Matteo  Fallerà  in  Palermo  in  data  del  16  novembre  II 
indiz.  1513  (reg.  1772,  fog.  202  retro  a  204),  che  ZMagister  lAntonius  Vanelli,  scultor,  nec  non  et  Jacobus,  eius 
filha,  etatis  annorum  xv  in  xvj,  ut  dixit  et  suo  monstravit  aspectu....,  cives  felicis  urbis  Tanhormi,...  vendiderunt 
nobili  Lupo  de  Torres,  pannerio,....  uncias  duas  annuales  censuales ,  etc.  Ed  indi  presso  il  notaio  medesimo  in 
data  del  20  maggio  II  ind.  1514  (reg.  1772,  fog.  649):  Magister  Antonius  Vanelli,  marmorarius,  civis  pa., 
corata  nobis,  suo  ac  nomine  et  prò  parte  Jacobi  eius  filli  absentis,....  vendidit  magnifico  domino  ^inthonio  de  Ray- 


68  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA     IN'    SICILIA 

mai  sollevato  tant'oltre  dal  mestiere  di  abile  scarpellino,  come  altresì  poi  ve- 
dremo di  molti  altri  Carraresi  negli  anni  appresso,  de'  quali,  oltre  alquanti 
scultori  di  non  comun  merito ,  si  trasferirono  in  diversi  tempi  nell'  isola 
scarpellini  in  gran  numero  ad  impiegar  l'opera  loro  presso  i  maggiori  mae- 
stri. Trovasi  anzi  più  tardi  dello  stesso  cognome  di  lui  un  maestro  Dome- 
nico di  Vanello,  che  come  cittadino  messinese  faceva  traffico  di  marmi  in 
Messina  con  gli  scultori  del  tempo  nel  1532,  e  che  poscia  in  qualità  di  capo 
maestro  scarpellino  in  quel  duomo  dal  1546  al  49  è  certo  che  vi  portò 
marmi  da  Carrara  per  decorar  la  facciata  di  esso,  in  cui  per  quegli  anni  ei 
soprantese  a'  lavori  ('). 

Fra  tutti  però  gli  artefici,  che  fermaron  soggiorno  in  Sicilia,  esercitandovi 
la  scultura  nella  seconda  metà  del  quintodecimo  secolo  ,    niuno  salì  a  co- 
tanta rinomanza  ed  ebbe  affidate  sì  rilevanti  opere  da  aver  tutto  il  campo  a 
dimostrare  il  suo  notevol  valore  e  direi  quasi  il  suo  primato  nell'arte,  sic- 
come il  lombardo  Domenico  Gagini.  Era  egli  propriamente  nativo  di  Bissone, 
picciol  comune  sulla  sinistra  del  Ceresio  o  lago  di  Lugano,  nel  cui  distretto 
or  comprendesi  nel  Cantone  Ticino,  e  par  sia  provenuto  da  famiglia  di  artefici, 
laddove,  oltre  di  lui,  si  ha  notizia  di  un  pittore  Giovan   Francesco   Gagini 
di  Bissone,  di  cui  fa  cenno  il  Nagler  aver  lavorato  ad  olio  ed  a  fresco  nelle 
chiese  di  Brescia,  senza  dire  in  qual  tempo,  e  lasciato  dipinti  in  talune  al- 
tresì del  Piemonte  (2).  Che  tale  sia  stata  la  patria  di  Domenico  chiaro  a- 
desso  risulta  dal  più  antico  de'  pubblici  strumenti  testé  da  me  rinvenuti  in 
Palermo  sul  conto  di  lui,  dov'  egli  apertamente  vien  detto  di  Bissone  delle 
parti  di  Lombardia,  giacché,  da  recente  venuto,  non  aveva  ancor  conseguito  la 
naturalità  del  paese,  per  cui  negli  atti  posteriori  generalmente  poi  venne  appel- 
lato, com'  era  costume,  cittadino  palermitano.  Il  che  ora  rende  piena  ragione 
a  quanto  nel  sorger  del  secolo  XVII  venne  asserito  dal  trapanese  Leonardo 
Orlandini,  canonico  del  duomo  di  Palermo    e  vicario  generale  del  Marullo 
arcivescovo,  che  il  celebre  Antonello  Gagini,  figliuol  di  Domenico,  fosse  ap- 


naldo  militi ....  utile  àominium  sive  jus  perpetui  census  tarenorum  xxiij ,  etc.  Oltreché  poscia  agli  atti  di  notar 
Gerardo  La  Rocca  in  Palermo,  in  data  del  io  settembre  XII  indiz.  1523  (reg.  2513,  fog.  12-13),  ^  un  att0 
di  cessione  di  dritti  di  censo  in  nome  di  Giangiacomo  Vanello,  figlio  del  quondam  maestro  Antonio,  special- 
mente per  un  fondo  in  contrada  della  Pietra  del  Boaro  nell'agro  palermitano.  Ma  non  sembra  del  resto,  che 
il  detto  figliuolo  abbia  giammai  esercitato  l'arte  paterna. 

(  >  )  Rilevo  ciò  da  alcune  note  di  pagamenti  ne'  libri  dell'  opera  del  duomo  di  Messina  ,  le  quali  in  se- 
guito curerò  dare  in  luce. 

(2)  Nagler  (G.  K.),  cKjcucs  aJlgemeines  Kùnstler-Lexicm.  Munchen,  1837,  voi.  IV,  pag.  552. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  II.  69 


punto  nato  da  padre  lombardo  in  Palermo,  oltreché  aggiunse  poi  l'Auria,  che 
quest'  ultimo  «  nacque  in  Lombardia  nel  lago  detto  Lucania,  da'  Latini  chia- 
«  mato  Lucanus,  e  poi  volgarmente  Lagano  (correggi  Lugano)  ('):  »  asser- 
zione ,  che  a  torto  Paolo  Giudice  ed  io  stimammo  infondata  e  gratuita , 
stando  ad  un  solo  documento,  in  cui  Domenico  siccome  palermitano  vien 
denotato,  e  non  pensando,  che  della  origine  lombarda  di  lui  avea  dovuto  il 
detto  Orlandini  avere  avuto  certezza  da'  suoi  stessi  nipoti  e  pronipoti,  che 
senza  fallo  in  Palermo  ci  conobbe  (2). 

Pertanto  la  prima  e  più  antica  notizia,  che  ivi  apparisce  del  medesimo, 
si  ha  da  un  atto  del  22  di  novembre  del  1463,  ond'egli  obbligossi  al  ma- 
gnifico Pietro  Speciale,  regio  milite,  signor  delle  terre  di  Alcamo  e  di  Ca- 
latafìmi  e  maestro  razionale  del  regno  di  Sicilia,  per  la  scultura  di  un  gran 
monumento  sepolcrale  in  marmo,  giusta  un  disegno  di  già  da  lui  presen- 
tato, qual  doveva  aver  luogo  nella  cappella  gentilizia  di  quello  nella  maggior 
tribuna  della  chiesa  del  convento  di  San  Francesco  (>).  Il  nome  di  un  tal 
signore,  che  fu  più  volte  pretore  di  Palermo  dal  1440  al  70,  suona  abba- 
stanza noto  a  quanti  han  pratica  delle  cose  di  Sicilia,  siccome  di  un  de'  più 
segnalati  soggetti,  che  sommamente  onorarono  quell'illustre  famiglia  Speciale, 
ch'era  in  que'  dì  nel  colmo  di  suo  splendore  e  opulenza.  Di  lui  fa  gran- 
dissimo encomio  Pietro  Ranzano  ,  scrittore  contemporaneo  (4) ,  notando 
com'egli,  figliuolo  di  quel  Niccolò,  che  per  molti  anni  era  stato  viceré  di 
Sicilia  nel  tempo  del  re  Alfonso  e  che  avea  dato  mostra  di  tanto  eccellente 
ingegno  e  di  tanta  prudenza,    onde   nell'età  sua  non  si  trovarono  a  lui  e- 


(  '  )  Trapani  in  una  brieve  descrittione.  In  Palermo,  appresso  Gio.  Antonio  de  Franceschi,  M.DCV,  pa°-.  22. 
Auria,  //   Cugino  redivivo.  Palermo,   1698,  pag.  28. 

(2)  Vedi  la  lettera  pur  dianzi  citata  di  Paolo  Giudice  Sulla  vera  patria  di  T>omenico  Gagini,  padre  del 
celebre  ^Antonio,  inserita  nel  tomo  XXVII  delle  Effemeridi  scientifiche  e  letterarie  per  la  Sicilia  (Palermo,  1839, 
pag.  127  e  seg.) ,  e  la  mia  opera  Delle  belle  arti  in  Sicilia  dal  sorgere  del  secolo  XV  alla  fine  del  XVI  (Pa- 
lermo, 1864,  voi.  IV,  pag.  35).  Leonardo  Orlandini  intanto,  nato  in  Trapani  nel  1552,  fu  canonico  del  duomo 
palermitano  nel  1576,  poi  vicario  generale,  esaminatore  e  giudice  sinodale  sotto  1'  arcivescovo  Cesare  Ma- 
rullo,  e  fini  la  sua  vita  a  13  di  settembre  del  1618,  avendo  perciò  conosciuto  per  fermo  Giacomo  e  Vincenzo 
Gagini,  figliuoli  di  Antonello  e  nipoti  di  Domenico,  che  molto  ancora  in  quel  duomo  lavorarono  ,  e  poscia 
i  pronipoti  Nibilio  e  Giuseppe.  Vedi  Mongitore,  'Bibliotheca  Sicilia.  P.mormi,  MDCCXIV,  toni.  II ,  pag.   14. 

(  3  )  Vedi  fra'  'Documenti  nel  volume  secondo  di  quest'opera,  num.  XVI. 

(4)  Vedi  l'opuscolo  Delle  orìgini  e  vicende  di  Palermo  di  Pietro  Ransano  e  dell'  entrata  di  re  ^Alfonso 
in  'Napoli;  scritture  siciliane  del  secolo  XV,  pubblicate  e  illustrate  dall'  ab.  Gioacchino  Di  Marzo  (Palermo, 
1864  ,  pag.  82  e  seg.)  ,  ed  il  medesimo  opuscolo  del  Ranzano  in  latino,  De  auctore  ,  primordiis  et  pregressa 
felicis  urbis  Panormi,  nella  raccolta  di  Opuscoli  di  autori  siciliani  (Palermo,  1767,  tom.  IX,  pag.  54  e  seg.). 


I    GAGINT    L    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


guali  in  qualsivoglia  genere  di  virtù  in  tutta  Europa,  non  fu  degenere  dai 
grandi  pregi  del  padre,  siccome  quegli,  che,  oltr'essere  di  animo  forte  e  di 
mansueta  natura  e  gran  difensore  della  patria,  era  fra'  principi  siciliani  ric- 
chissimo e  libéralissimo.  Sforzavasi  egli   sempre  (segue   a  dire  il  Ranzano) 
acquistarsi  il  favore  di  ognuno  non  meno  per  la  mansuetudine  del  suo  animo, 
che  pei  grandi  benefici  in  prò  del  paese  e  de'  cittadini  e  di  tutt'altre  genti 
dell'  isola ,  onde  seguiva  che  la  sua  autorità  non  sol  valea  sommamente  in 
Palermo,  ma  ovunque  ancora  in  Sicilia.  Tenendo  a  lungo  da  pretore  in  balìa 
di  sé  solo  l'amministrazione  della  cosa  pubblica  in  patria,  vi  fu  quindi  co- 
stui gran  promotor  delle  arti  ,  e  sotto  il  suo  governo  fu  iniziato  il  grande 
edificio  della  corte  pretoriana,  ossia  l'odierno  palazzo  della  città,  ed  a  pub- 
blici magazzini,  a  nuove  porte,  vie,  fonti,  muraglie  ed  a  molti  e  continui 
lavori  di  fortificazione  ,    di  utile  ,    di  ornamento  fu  data  opera  :    oltreché  a 
proprie  spese  egli  ampliò   e  decorò    di    molto   la   sua   signorile  dimora  ,  e 
gittò  un  magnifico  ponte  sul  fiume  a  due  miglia  di  Solanto,  e  beneficò  e 
popolò    mercé    l' industria  degli  zuccheri  il  vastissimo  campo  de'  Ficarazzi, 
da  quattro    secoli  inculto  e  deserto,    ed  anco   in    ispecial  modo  alla   scul- 
tura die  impulso  e  sviluppo ,  ordinando  molteplici  opere,  fra  cui  quel  son- 
tuoso sepolcro  allogato  al  Gagini  per  la  chiesa  di  San  Francesco.    È  certo 
anzi  altresì  dallo  stesso  Ranzano,  che  in  detta  chiesa  lo  Speciale  edificò  di 
marmi  toscani  una  nobil  cappella ,    ed    ebbela  con  isplendore    di  artificiosa 
opera  e  di  preziosi  doni  mirabilmente  illustrato  (')  :  né  altro  appar  ch'ella 
sia  stata  se  non  la  maggior  tribuna  o  il  cappellone   della  chiesa  medesima, 
del  quale,  che  da  lui  venne  intitolato  al  Corpo  di  Cristo,  costa  che  fu  spet- 
tanza della  sua  nobil  famiglia.  Ivi  adunque,  essendogli  stato  rapito  da  morte 
un  Niccolò  Antonio  suo  figlio  nel  fior  della  giovinezza    e    delle  speranze, 
volle  Pietro  con  magnifico  monumento  onorarne   le    ceneri   e  la  memoria. 
Non  è  fuor  di  luogo  il  credere,  che  tale  opera,  per  cui  fu  stabilito  nell'atto 
il  prezzo  per  que'  di  rilevante  di  onze  cento  in  oro  (1.  1275),  sia  stato  un 
de'  principali  motivi  della  venuta  in  Palermo  di  Domenico,  di  cui  del  resto 
non  é  noto  donde  propriamente  allora  ei  fosse  venuto,  e  se  in  Lombardia 
od  altrove  avesse  acquistato  quell'alto  magistero ,  ond'  egli  indubitatamente 


(  '  )  Erexit  et  etrusco  marmore  in  Divi  Franasti  tempio  ctiam  nobile  sacellum,  quod  et  operis  multo  splen- 
dore et  pretiosis  donis  mirifice  illustravit.  Ranzani  ,  De  auctore,  primonliis  et  progressu  felicis  urbis  'Panormi  ; 
loc.  cit.,  pag.  8. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II.  71 


poi  tenne  su  tutti  gli  altri  scultori  il  primato  dell'arte  neh"  isola.  Notevole 
condizione  del  cennato  atto  si  è  quella,  onde  l'artefice  per  fare  acquisto  dei 
marmi  opportuni  al  lavoro  del  monumento  fu  tenuto  egli  stesso  partir  da- 
Palermo  ed  andarne  per  mare  alla  volta  di  Pisa,  donde  a  suo  rischio  dovè 
caricarli  e  spedirli  :  il  che  induce  a  pensare,  che  abbia  egli  dovuto  aver  qualche 
pratica  di  tai  negozi  in  quelle  parti  di  Toscana  ,  e  che  affatto  ignoto  colà 
non  sia  stato  il  suo  nome.  In  quanto  poi  al  detto  monumento,  che  certo 
indi  in  Palermo  da  lui  fu  scolpito  e  collocato,  ben  si  rileva  dal  prezzo 
cennato  di  sopra,  ch'esser  dovette  d'una  sontuosità  non  comune  :  oltreché 
da'  pochi  particolari,  che  vien  dato  raccoglierne  dall'atto  di  convenzione, 
si  ha  che  sul  coperchio  della  cassa  sepolcrale  doveva  aver  luogo  una  figura, 
ed  un  grand'arco  tutto  di  marmi  dovea  sollevarsi  al  di  sopra,  e  che  lo  scul- 
tore ,  oltre  le  cose  contenute  nel  disegno  ,  era  altresi  tenuto  scolpire  due 
busti,  uno  dello  stesso  Pietro  Speciale  e  l'altro  dell'estinto  suo  figlio  Nic- 
colò Antonio,  qua'  non  era  ancora  deciso  se  fossero  a  collocarsi  nel  mo- 
numento, ovvero  altrove  in  detta  cappella.  Spiace  del  resto,  che  il  mento- 
vato atto  non  tenga  a  più  precise  indicazioni  sul  conto  dell'opera,  e  quasi 
del  tutto  in  vece  rimandi  al  cennato  disegno,  che  l'artefice  ne  avea  fatto  in 
pergamena  e  che  si  tenea  dal  magnifico  commettitore.  Né  più  alcun  avanzo 
o  vestigio  si  ravvisa  oggigiorno  del  monumento  anzidetto ,  che  venne  già 
infarcito  di  nuovi  ornamenti  ne'  tempi  appresso,  giacché  il  Cannizzaro  nella 
prima  metà  del  secolo  XVII  nota  esistente  in  una  parete  della  maggior  tri- 
buna in  San  Francesco  «  un  marmoreo  sepolcro  ornato  di  oro ,  stucco  e 
«  pittura  da  Mariano  Smiriglio,  ingegnosissimo  artista  palermitano,  col  cada- 
«  vere  di  Antonio  Speciale,  figlio  di  Pietro  »;  e  reca  con  tre  latini  distici  la 
seguente  iscrizione,  che  tuttavia  ivi  allor  si  leggeva  e  ch'era  certo  la  stessa 
del  sepolcro  eseguito  colà  dal  Gagini ,  denotando  che  il  detto  Pietro  curò 
erigerlo  per  deporvi  le  ossa  del  suo  figliuolo  : 

HIC  IACET   HEV  RAPTVS  PRIMIS   ANTONIVS  ANNIS 

CLARVS  EQVES;  EQVITIS  NOBILE  GERMEN  ERAT. 

MAGNANIMI   LAVDES   ET    GRANDIA   GESTA   PARENTIS 

PARENTEM  PARITER  EXVPERASSET  AVVM. 

DUMO;  PARAT  TEDAS,  DUM  VINCLA  IVGALIA  CVRAT, 

INVIDIT  TANTIS  LIVIDA  PARCA  BONIS. 


II 


1    GAGINT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


NICOLAO  ANTONIO   VNICO  ITLIO   EQUITL... 

ERVDITO  ET  BENE  DE  SE  MERITO  DVM  S... 

VISERET  MORTE  OPPRESSO  CLARISSIMVS  VIR  PETR^ 

SPECIALIS,  ORDINIS    EQ.VESTRIS,  MAGISTER  RATIONALIS 

REGNI  SICILLE  ET  CALATAFIMI  DOMINVS,  HOC  MO- 

NVMENTVM  FACIVNDVM  CVRAVIT  (  '  )• 

Sembra  però  che  quest'  ultima  iscrizione  non  più  rimanesse  al  tempo  del 
Mongitore,  il  qual  soltanto  sull'autorità  del  Cannizzaro  la  rapporta  (2),  ma 
separatamente  da'  detti  tre  distici,  che  n'erano  stati  disgiunti  e  che  si  vedon 
tuttora  in  un'antica  lapide  sopra  la  porta,  per  cui  dal  coro  si  va  nel  chiostro 
contiguo.  Perocché  quella  maggior  tribuna  o  cappellone,  il  cui  padronato 
per  nozze  con  un'Isabella  Speciale  pervenne  poscia  al  nobil  Vincenzo  Ros- 
selli, fu  tutto  da  costui  rinnovato  e  ingrandito  nello  scorcio  del  sestodecimo 
secolo  (>);  e  poi  concorse  a  manomettervi  quanto  ancor  vi  restava  di  antico 
il  trasferimento  del  coro,  il  quale,  essendo  prima  dinanzi  l'altare,  ne  fu  col- 
locato al  di  dietro  nel  1627,  talché  nota  altresì  il  Cannizzaro,  che  sotto  il 
detto  coro  rimaneva  il  sepolcro  di  Pietro  Speciale  ,  che  par  ivi  era  stato 
sepolto  (4).  Laonde  gioverebbe  attentamente  indagare,  se  nulla  più  ve  ne 
esista,  e  se  più  rimangano  avanzi  delle  sculture  del  Gagini  da  quello  del  figlio. 


(  '  )  Cannizzaro,  THeligionis  Christianac  'Panarmi,  pag.  396,  fra'  manoscritti  della  Biblioteca  Comunale  di 
Palermo  a'  segni  Q.q  E  36. 

(2)  Mongitore,  Le  chiese  e  case  de'  regolari  (di  Palermo),  parte  prima,  pag.  491,  fra'  manoscritti  della 
Biblioteca  anzidetta  a'  segni  Qq  E   5. 

(  ;  )  Ne  è  certezza  da  quest'altra  iscrizione ,  che  ora  colà  si  vede  sovrapposta  alla  più  antica  lapide  coi 
riferiti  tre  distici: 

D.  O.  M. 

DIVOQ.UE.  FRANCISCO 
VINCENTIVS.  ROSSELLVS.  HOC.  PERANTIQVVM.   SPECIALORVM 

PRINCEPS.  SACELLVM.  AT.  VERO.  AD.  SACRORVM.  CVLTVM 

PERANGVSTVM.    PERSPECTA.   LOCI.  DIGNITATE.   ET.   TANTiE 

FAMILLE.  MEMORIA.  IN.  AMPLIOREM.  COMMODIOREMQ.VE 

FORMAM.  RESTITVIT 

IN.  EOQVE.  TVMVLVM.  SIBI.  ET.  CONIVGI 

D.  ISABELLA.  SPECIALLE.  POSTERISQ.VE.  SINGVLARI 

PIETATE.  P.  ANNO.  DNL  M.D.LXXXXI. 

(  l  )  Tumuliti  vero  ipsins  'Pclri  sub  eboro  nuceo,  quod  intuì  dictum  sacellum  jacet,  est.  Cannizzaro,  ms.  cit., 
pag.  49 1- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  II.  73 


Ciò  poi,  che  sembra  avere  relazione  col  detto  monumento  allogato  a 
Domenico,  e  che  indubbiamente  è  pur  da  stimare  sua  opera,  è  un  busto  bel- 
lissimo in  marmo  dello  stesso  magnifico  Pietro,  che  oggi  si  ammira  inca- 
strato nella  parete  al  sommo  della  scala  del  suo  antico  palazzo  in  Palermo, 
or  posseduto  dall'egregio  avvocato  Giuseppe  Mario  Puglia,  con  questa  iscri- 
zione in  una  lapide  sottostante  : 

HEC   DNM    PETRVM    SPE 
CIALEM    SIGNAT    YMAGO 
ALCAMVS   HVNC   DNM 
ET    CALATAFIMIS    HABENT 
M.CCCC.LXVIIII. 

È  tale  in  vero  l'eccellenza  del  lavoro  in  codesto  marmo  da  non  avere  ri- 
scontro che  nelle  migliori  sculture  de'  più  insigni  artefici  di  quel  tempo. 
Il  volto  paffuto  ed  imberbe  di  quel  magnate  di  già  provetto  negli  anni  rivela 
nella  sua  maestosa  tranquilliti  la  mansuetudine  e  la  somma  prudenza  di 
quell'animo,  ond'ei  fu  tanto  riverito  ed  amato,  siccome  a  tutti  benefico 
e  specialmente  alla  patria.  Sembra  ancor  li  vederlo  vivo  e  parlante  in  sul- 
F  ingresso  della  sua  nobil  dimora  ;  e  tanta  espressione  di  vita  non  é  che 
effetto  di  una  singolare  perizia  del  magistero  dell'arte,  in  cui  tutto  è  ammi- 
rabile per  la  giustezza  de'  piani  e  delle  linee  e  per  la  conformazione  delle  ossa 
e  de'  muscoli  e  la  morbidità  della  carne.  Vi  accresce  verità  e  naturalezza  il 
signorile  berretto  sul  capo,  mentre  una  ricca  collana  ne  cinge  il  petto,  coperto 
questo  di  giubbone  affibbiato  dinanzi  con  bel  costume  caratteristico:  oltreché 
ancor  notevole  per  eleganza  di  stile  é  nella  base  del  busto  un  fregio  ad  ampie 
volute  con  foglie  e  fiori,  su  cui  quello  si  posa  (l).  Domenico  Gagini  in  cotale 
opera,  ch'è  la  più  bella  e  preziosa,  che  di  lui  fin  qui  si  conosca,  mostra  eviden- 
temente il  suo  merito  superiore  a  quello  di  tutti  gli  altri  scultori,  che  come  lui 
vennero  allora  in  Sicilia  dalla  penisola ,  non  esclusi  anche  i  più  valorosi 
come  Pietro  di  Bontate  ed  il  Laurana,  e  dà  ragione  della  preferenza,  che  a 
lui  fu  data  sempre  nell'arte,  e  de'  più  rilevanti  lavori  affidatigli.  Che  se  si 
chieda  su  qual  fondamento  sia  da  stimar  di  sua  mano  quel  busto,  non 
dubito  affermare,  ch'esso  sia  veramente  da  credere  uno  de'  due,  che,  oltre  alle 


(  1  )  Vedine  un  disegno  nella  tavola  III  di  quest'opera. 


74 


I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


sculture  comprese  nel  disegno  del  monumento  dianzi  cennato,  voleasi  che 
l'artefice  dovesse  a  di  più  scolpire,  giusta  il  tenor  dell'atto,  sia  per  aggiun- 
gerli al  monumento  medesimo,  o  porli  in  altro  luogo  della  cappella,  dove 
meglio  allo  Speciale  sarebbe  piaciuto.  Laonde,  terminato  per  avventura  il  bu- 
sto di  Pietro  e  veduto  di  quanta  bellezza  e  perfezione  e  simiglianza  fosse 
riuscito,  par  che  di  leggieri  abbia  potuto  stimar  quel  signore  trattenerlo  in  sua 
casa,  anziché  fuori  locarlo.  Del  che  dà  conferma  il  non  trovarsi  ricordo,  che 
alcun  busto  di  Pietro  Speciale  sia  mai  esistito  nella  detta  tribuna  in  San 
Francesco:  ond'è  che  il  Cannizzaro,  che  ivi  afferma  ancora  esistenti  al  suo 
tempo  i  sepolcri  del  padre  e  del  figlio,  non  dice  affatto  che  busti  vi  fossero, 
ma  in  vece  accenna  quello  di  Pietro  all'ingresso  della  sua  casa,  riportandone 
l'iscrizione  già  riferita  (').  Può  darsi  intanto,  che  il  busto  del  figliuolo  sia 
stato  primamente  collocato  sul  suo  sepolcro,  e  che  nelle  rinnovazioni  fattevi 
poscia  ne  sia  stato  indi  tolto  ed  a  lungo  altrove  serbato ,  donde  capitò  in 
fine  al  pubblico  museo  di  Palermo.  Imperocché  in  questo  appunto  si  am- 
mira oggigiorno  un  bellissimo  busto  di  nobile  giovinetto  in  marmo,  corri- 
spondente per  l'epoca,  per  le  dimensioni,  per  la  forma  e  pel  carattere  e  lo  stile 
della  scultura  a  quello  di  Pietro  anzidetto,  senza  che  pure  affatto  si  sappia 
donde  provenga;  e  quindi,  non  essendo  improbabile,  che  sia  provenuto  da  San 
Francesco  e  che  sia  quello  scolpito  già  da  Domenico,  mi  è  parso  utile  produrlo 
in  disegno  in  quest'opera  (tav.  Ili)  daccanto  all'altro,  che  ancor  per  indiretti 
ma  indubitabili  argomenti  appar  sicura  ed  evidente  opera  del  Gagini.  Non 
mancano  altronde  in  fatti  fondati  indizi  a  pensare ,  che  in  molta  vicinanza 
allo  Speciale  per  la  sua  virtù  grande  nell'arte  sia  stato  sempre  il  lombardo 
scultore,  laddove  non  solamente  lo  si  vede  segnato  fra'  testimoni  in  un  atto 
del  dì  27  di  maggio  del  1468,  o  meglio  in  una  serie  di  capitoli  per  la  fabbrica 
di  una  torre  ordinata  dallo  Speciale  nel  suo  trappeto  a'  Ficarazzi  (2),  ma 
trovasi  ancor  ricordato  nel  testamento  del  medesimo  in  data  del  21  di  ot- 
tobre del  1474,  avendo  ivi  il  magnifico  testatore  disposto,  che  i  marmi,  che 
erano  ancora  in  potere  di  maestro  Domenico  de'  Gagini  scultore,  si  pones- 
ser  nel  ponte  nuovamente  cretto  a  sue  spese  e  della  defunta  signora  Berta 
sua  prima  moglie  fra  il  feudo    del  castello  di  Solanto  ed  il  castello  di  San 


(  '  )  Cankizzaro,  ms.  cit.,  pag.  396. 

C2)  Vedi  nel  capitolo  primo  di  quest'opera,  pag.   2\,  nota   2. 


NEI    SECOLI    XV    E    XV!.    CAI'.   II.  75 


Michele  (')•  Dal   che    maggiormente    confermasi    la    certezza,    che    il  busto 
anzidetto  di  Pietro  non  sia  che  opera  di  quell'  insigne  scalpello. 

Nel  tempo  medesimo  che  pel  sepolcro  dello  Speciale  assunse  Domenico 
un  minor  lavoro  di  un  fonte  da  battesimo  per  la  maggior  chiesa  della  terra 
di  Salemi ,  siccome  è  chiaro  da  un  atto  dato  in  Palermo  a  di  primo  di- 
cembre dello  stess'anno  1463  ,  essendosi  egli  a  tal  uopo  obbligato  ad  un 
Riccardo  di  Lancirotto,  procuratore  della  maramma,  ossia  dell'opera  della  fab- 
brica di  detta  chiesa,  pel  total  prezzo  di  once  sette  (1.  89.25)  (2).  Il  qual  fonte 
battesimale  colà  esiste  ancora  fin  oggi  in  bianco  marmo,  poggiando  su  base 
quadra  e  adorna  di  una  corona  di  foglie  di  quercia,  su  cui  si  erge  un  fusto 
con  vaghe  scanalature,  sormontato  di  un  bel  capitello  composito,  che  sostiene 
la  pila  di  forma  emisferica  e  scanalata  assai  vagamente  pur  essa,  recando  e- 
ziandio  in  bassorilievo  in  un  picciolo  scudo  l'effigie  di  S.  Niccolò  di  Bari, 
patrono  di  quel  paese,  ed  in  un  altro  un'  aquila  coronata,  ch'è  probabilmente 
lo  stemma  di  Palermo,  dove  il  fonte  fu  fiuto,  oltre  quattro  testine  di  serafini. 
Né  può  dubitarsi  ch'esso  non  sia  appunto  quello,  che  fu  a  Domjnico  al- 
logato ,  giacché  nella  pila  medesima  ricorre  in  giro  l'anno  m.cccc.lxiiii  in 
perfetta  corrispondenza  al  contratto  ,  ond'  è  a  tenerlo  in  alto  pregio  ed  a 
farne  oggetto  di  studio.  Che  se  non  vi  ha  gran  fatto  sviluppo  e  perfezione 
di  forme  ne'  serafini  e  nella  figuretta  del  Santo ,  alla  cui  esecuzione  per 
fermo  non  pose  l'artista  gran  cura  in  un  lavoro  cosi  secondario,  è  pur  da 
ammirarvi  nel  tutto  cotal  bellezza  ed  eleganza  di  stile  ,  che  mostra  come 
dall'imitazione  del  classico  gran  prò  risultasse  all'arie  nel  suo  rinascimento. 
Di  ciò  poi  sorprendente  esempio  è  un  bellissimo  collo  di  pozzo  in  marmo 
bianco,  ch'era  da  prima  in  mezzo  alla  maggior  nave  ed  ora  è  nella  sacrestia 
del  duomo  in  Monte  San  Giuliano,  classicamente  fregiato  di  quattro  bei  fe- 
stoni pendenti  da  quattro  teste  di  serafini,  dando  luogo  ne'  centri  ad  anfore 
elegantissime  e  con  questa  epigrafe  in  fronte:  lavs  deo  m.cccc.lxxiiii.  Ma 
nulla  affatto  se  ne  sa  dell'artista,  che  lo  scolpiva,  non  altrimenti  che  di  chi 


(')  Item  voluit  et  mandavit  idem  ma^uificns  dominili  testator,  quod  ponantur  lapida  marmorei,  qui  sur.t  iti 
posse  magislri  "Dominici  de  Gaginis ,  scultcris,  in  ponte  noviter  hedificato  per  dicium  dominili;/  testate-rem  a;  suis 
pecuniis  et  quondam  magnifice  domine  Herte ,  prime  uxoris  dicti  magnifici  domini  testatoris,  sito  infra  pbeudum 
castri  Solanti  et  castrum  Santi  Michaclìs.  Dal  mentovato  testamento  di  Pietro  Speciale  nel  registro  di  num. 
n  56  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1474-76,  indiz.  VIII-IX,  fog.  118,  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in 
Palermo. 

(2)  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  XVII. 


7^  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


fece  una  pila  d'acqua  santa,  di  forma  circolare  e  segnata  dell'anno  stesso, 
ma  di  molto  inferior  merito,  la  qual ,  recando  in  fronte  in  bassorilievo  il 
Crocifisso  fra  la  Madonna  e  il  Battista,  pure  colà  si  vede  nella  chiesa  par- 
rocchiale di  San  Cataldo  ('),  e  parimente  un'altra  simile  pila  nel  duomo  di 
Marsala ,  recando  pure  l' anno  mcccclxxiiii  ed  uno  scudo  in  bassorilievo 
con  Nostra  Donna  della  Grotta,  sedente  con  in  grembo  il  bambino  dinanzi 
a  una  chiesa  sotto  cotale  invocazione  a  lei  dedicata.  De'  quali  lavori ,  tutti 
dell'anno  medesimo,  non  è  diffìcile  sia  stato  autore  Domenico,  siccome  del 
fonte  di  Salemi  è  sicuro,  laddove  soprattutto  assai  noto  esser  dovette  in 
quelle  parti  il  suo  nome  in  ragion  del  favore,  ch'egli  godea  dello  Speciale, 
signore  di  Alcamo  e  di  Calatafimi.  Non  se  ne  ha  però  da  documenti  cer- 
tezza alcuna. 

Ciò  non  ostante,  dal  carattere  dello  stile  e  specialmente  da  quello  dei 
preziosi  bassirilievi ,  di  eh' è  storiata  la  base,  indubitatamente  stimo  da  lui 
scolpita  una  pregiatissima  statua  in  marmo  di  San  Giuliano,  di  bello  e  gio- 
vanile sembiante,  tenendo  con  la  destra  un  libro  ed  una  spada  e  con  la  si- 
nistra levata  un  falcone,  e  avendo  dappiè  un  bel  bracco  a  lui  rivolto,  da 
me  pur  veduta  nella  chiesa  maggiore  in  Salemi.  Cinque  storiette  ,  tre  di 
fronte  e  due  laterali,  di  che  fregiato  è  il  piedistallo  con  due  teste  di  serafini 
negli  angoli,  vi  rappresentano  gli  strani  casi  del  Santo,  ossia  l'inseguimento 
del  cervo  ,  che  prodigiosamente  gli  parla  ,  predicendogli  che  avrebbe  egli 
ucciso  di  sua  mano  i  suoi  genitori ,  1'  uccisione  da  lui  fatta  de'  medesimi 
nel  proprio  letto,  il  suo  colloquio  con  la  consorte  e  le  penitenze  e  i  pel- 
legrinaggi di  entrambi  ,  giusta  la  leggenda ,  che  fu  molto  in  voga  in  quel 
tempo  e  che  non  manca  pur  oggi  di  esser  tolta  ad  oggetto  di  attento 
studio  (2).  Ma  quel,  che  più  importa,  si  è  appunto,  che  tali  storie  sentono 
appunto  l'identico  stile  ed  il  carattere  stesso  di  scalpello  che  altre  scolpite, 


(  '  )  Havvi  anco  un'  iscrizione,  difficile  a  leggere  perchè  molto  sciupata  dal  tempo ,  della  quale  così  fé' 
cenno  l'abbate  Niccolò  Maggiore  in  alcuni  Tricordi  archeologici  di  un  viaggio  fatto  a  Gcrgcnlì,  Selinunte,  Erice 
e  Segesta  nel  tomo  XLVI  del  Giornale  di  sciente,  lettere  e  arti  per  la  Sicilia  (Palermo,  1834,  pag.  55  e  seg.): 
«  Cluesta  iscrizione,  che  finisce  per"  quanto  mi  rammento  oint.  Tarisi,  è  in  caratteri  gotici  in  un  fonte  d'ac- 
«  qua  benedetta  del  secolo  XV  nella  parrocchia  di  San  Cataldo;  e  il  parroco  della  medesima,  affabilissimo  e 
«  cortesissimo  uomo,  ha  il  piacere  che  gli  s'interpreti,  da  che  un  arcidiacono  di  Mazzara,  sedicente  orienta- 
li lista,  gli  avea  detto  di  esser  vergata  in  caratteri  siriaci  e  di  contenere  il  seguente  senso:  Saffo  offre  qutSto 
«  dono  a  Erice,  figlio  di  Venere  //.'»  lo  vi  ho  letto  evidente  il  detto  anno  M.CCCC.LXXIIII. 

(2)  Vedi  San  Giuliano  V Ospitatore,  cenni  storici  dell'avi:  Raffaele  Foglietti.  Estratto  dalla  Rassegna 
Nazionale,  fase.  Ili,  an.  1879.  Firenze,  Cellioi,  1879,  in  8." 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II.  77 

siccome  vedremo,  da  Domenico  nel  sarcofago  di  San  Gandolfo  in  Polizzi, 
essendovi  affatto  conformi  l'ingenuità  del  comporre,  la  delicatezza  del  sen- 
timento e  del  gusto  e  l'eleganza  e  leggiadria  dell'eseguire,  qua'  mostrati  le 
une  e  le  altre  indubbie  opere  di  mano  del  medesimo  artefice.  Laonde  altresì 
da  ciò  si  trae  argomento  a  ravvisare  in  quel  pregevolissimo  San  Giuliano 
1'  unica  statua,  che  fin  qui  possa  più  probabilmente  asserirsi  lavoro  del  primo 
de'  Gagini  in  Sicilia,  il  quale  per  valore  di  magistero,  per  alto  sviluppo  di  forme 
e  per  merito  di  esecuzione  vi  appare  al  suo  tempo  un  de'  più  insigni  maestri, 
sulle  cui  orme  soprattutto  si  levò  poi  alla  somma  eccellenza  dell'arte  l'inar- 
rivabile genio  di  Antonello  suo  figlio. 

Che  se  intanto  dal  carattere  della  scultura,  mancando  afflitto  l'autorità 
de'  documenti,  qualche  altra  notevole  opera  voglia  sospettarsi  da  Domenico 
in  quel  torno  prodotta  ,  non  dubito  accennarla  nel  bellissimo  deposito  di 
Antonio  Grignano  al  Carmine  di  Marsala.  Havvi  in  fronte  alla  cassa  se- 
polcrale un  prezioso  bassorilievo,  alto  m.  0,30,  figurante  la  morte  di  Nostra 
Donna  con  dattorno  gli  apostoli,  mentre  dall'alto  l'Eterno  ne  accoglie  l'a- 
nima in  cielo;  e  vi  ricorron  da'  lati  due  scudi  con  le  armi  di  famiglia  fra 
molto  gusto  di  ornati  a  fiorami.  Sul  coperchio  poi  sopra  ricca  coltre  si  vede 
supino  l'estinto  al  naturale  ,  adagiato  l' imberbe  e  bellissimo  capo  su  due 
guanciali  in  atto  di  sonno  profondo,  fregiato  di  ricco  monile  il  collo,  con 
le  mani  coperte  di  guanti  di  ferro  ed  incrociate  sulla  vita  sopra  una  spada, 
e  col  fedel  cane  a'  piedi,  coperti  anch'  essi  di  ferrei  calzari.  Ponendo  per- 
tanto in  riscontro  con  le  cennate  sculture  di  Polizzi  il  detto  bassorilievo 
del  Transito  di  Nostra  Donna  ,  e  parimente  col  busto  di  Pietro  Speciale 
la  parte  superiore  ed  il  volto  della  figura  giacente  del  Grignano,  vi  appare 
innegabile  una  cotale  identità  d'arte  da  quasi  apprestar  certezza,  che  non 
men  delle  altre  anzidette  sicure  opere  di  Domenico  sia  pur  di  lui  quest'altra 
di  si  ammirabil  sepolcro.  E  questo  per  fermo  venne  scolpito  in  tempo  quando 
per  l'alto  pregio  de'  lavori  da  lui  dinanzi  eseguiti,  non  men  che  pel  favore 
accordatogli  dallo  Speciale  medesimo  e  da  simili  altri  magnati,  fruiva  egli 
in  Sicilia  della  maggiore  operosità  e  dei  miglior  nome  nell'  arte  ,  siccome 
risulta  dall'anno  segnato  nel  seguente  epitaffio,  che  pur  vi  si  legge  in  fronte  : 


78  1    GAG1NI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


CLARVS  EQ.VES  FVERAM  DIVES  LOCVPLEXQVE  PIVSQVE 

MARMOREO  QVI  NVNC  CONDOR  IN  HOC  TVMVLO. 
MILES  AB  ALFONSO  DVM  GERBAS  FORTITER  ILLE 

EXPVGNAT  factvs,  militis  arma  tvli. 

GRIGNANAQVE  DOMO  EMERGENS  ANTONTVS  IPSE, 
POST  OBITVM  VITA  IAM  MELIORERE  (sic)  FRVOR 

MCCCCLXXV 
CAPITANEVS 

IN  VITA. 

Non  sol  però  dall'esercizio  dell'arte  ,  in  cui  su  tutti  ad  eccellenza  egli 
valse,  ma  pur  da  negozi  e  traffici  mercatanteschi,  ne'  quali  apparisce  essersi 
ancora  versato  ,  dovè  trarre  suo  prò  il  lombardo  artefice  nel  suo  novello 
soggiorno.  Risulta  quindi  per  due  pubblici  atti  del  di  21  di  giugno  del 
1468,  ch'egli,  scultor  di  Lombardia  ed  abitator  di  Talcnno,  dichiarava  ricevere  a 
cambio  cento  ducati  da  un  Francesco  di  Pasino,  ed  insiem  consegnava  al  me- 
desimo alcuni  quintali  di  zuccheri  di  qualità  diverse,  quali  egli  avea  ricevuto 
dal  magazzino  di  Pietro  del  Campo  da  un  Antonio  di  Fagnano,  garzone  di 
costui  (J).  Era  pur  egli  il  Campo  un  ricco  signor  di  quel  tempo,  che  non 
men  dello  Speciale  promovea  la  cultura  delle  cannamele  e  l' industria  allor 
si  lucrosa  degli  zuccheri  ne'  suoi  poderi  della  campagna  di  Bagheria,  dove 
ridusse  il  corso  del  fiume  in  un  sontuoso  acquedotto,  ch'ei  fece  a  sue  spese 
costruire  e  di  cui  anche  gli  rende  gran  lode  il  Ranzano ,  siccome  di  opera 
degna  di  paragone,  a  suo  credere,  con  quelle  degli  antichi  Romani  (2).  Cosi 
adunque  il  Campo  che  lo  Speciale  medesimo  è  facile,  che  nelle  vendite  dei 
loro  prodotti,  e  specialmente  degli  zuccheri,  siensi  sovente  avvalsi  del  lom- 
bardo scultore,  che  per  le  sue  relazioni  con  l'alta  Italia,  dond'egli  proveniva, 


(  1  )  Eodem  (21  giugno  I  indiz.  1468).  fMagister  Domìnicns  de  G asini,  scultor  de  Lumbardia,  habitator  Pa- 
llonai, ad  instanciam  et  requisicionem  Francisci  de  Pasino...,  sponte  et  solìemniter  confessus  est  se  ab  co  habuisse 
et  recepisse  ad  cambium...  valutarum  ducatorum  centum,  etc.  —  Eodem.  M.r  Dominicus  de  Gasini,  scultcr  de  Lutti' 
bardia  ,  habitator  Panormi,...  dedit  et  assignavit  Francisco  de  Tasino,...  presenti  et  stipulanti,  cantarla  septem  de 
miscaticiis  in  panibus  cxx'Aij  et  cantarla  tria  ....  \uccari  unius  code  in  panibus  xxxxiiij ,  que  dixit  Imbuisse  ab 
Antonio  de  Fagliano,  juvene  in.  Petri  lu  Campo  de  suo  magasemo ,  etc.  —  Dal  registro  di  num.  11 34  di  notar 
Gabriele  Vulpi,  in  un  quinterno  inseritovi  di  notar  Antonio  Aprea,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(5)  Petrus  cognomento  de  Campo  aquarum  ductum  nupcr  Jecit,  erectis  coiiipluribus  aninentissiinis  visuque  mi- 
ràbilibui  arcubus,  quo  rivutn  perduxit  in  campani  ainplissimum,  Bachaream  verbo  arabico  nuncupatum  ;  opus  pro- 
fedo  adeo  nobile,  ut  non  injurid  vetustissimi!  ejusdem  generis  romanorum  prìncipum  operibus,  quae  in  batic  diem 
spectantur,  possit  rpponi.  Ranzani,  T)e  auctore,  primordiis  et  progressi!  felicis  urbis  Panormi,  nel  tomo  nono 
della  raccolta  degli  Opussoli  di  autori  siciliani.  Palermo,  1767,  pag.   53  e  seg. 


Ni  1    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II. 


79 


e  per  F  attitudine  in  ciò  propria  di  molti  Lombardi  in  quel  tempo,  doveva 
esser  uomo  ancor  destro  nel  traffico  e  trarne  molto  vantaggio  ,  non  meri 
che  dall'  arte.  E  poi  nell'arte  stessa,  quantunque  ci  fosse  cosi  valente  nella 
scultura,  non  sembra  che  solamente  a  lavorar  di  scalpello  si  sia  contenuto, 
ma  che  per  amor  di  guadagno  siesi  bensì  esercitato  in  alcun  diverso  arti- 
ficio, e  specialmente  in  quel  de'  musaici.  Rimari  pertanto  un  ordine  viceregio 
in  data  di  Palermo  a  24  gennaio  indiz.  V  147 1  (1472),  onde  il  viceré  di  quel 
tempo  Lopez  Ximenes  Durrea  dispose  il  pagamento  di  once  quaranta  (1.  510) 
in  favor  di  Federico  Vitale  ,  cantore  della  cappella  di  San  Pietro  del  sacro 
regio  palazzo  della  citta  stessa,  e  ciò  pirchi  la  opera  di  la  musiti,  chi  si  fa  in 
la  ditta  cappella,  e  stata  data  a  mastra  fDuminicu  Cangemi  marmuraru  per  un%i 
sissanta  (1.  765),  ///  quali  dimanda  essiri  supplitili  di  la  ditta  stimma,  ec.  (').  Non 
dubito  intanto,  che  per  un  tal  marmoraio  qui  non  si  debba  intender  altri 
che  il  Gagini,  comunque  ancor  nel  documento  originale  ne  sia  travisato  in 
Cangemi  il  cognome,  che  lo  è  pure  altrove  diversamente  in  Caligini,  Casini, 
Camini,  e  poscia  ancora  in  Cangiai,  Gargino,  ^Angagini ,  Gachino,  Jacino,  Ja- 
chino  e  simili,  giacché  nulla  era  allora  più  focile  che  storpiare  un  cognome, 
molto  più  di  conio  straniero,  quando  la  correzione  e  la  diligenza  non  eran 
pregi  da  potere  richiedere  fra  tanta  imperizia  di  scritturali  del  tempo.  Non 
vedo  però  ragione  di  attribuirgli,  come  altri  fece  (2),  alcuni  cattivi  risar- 
cimenti di  figure  negli  antichi  musaici  delle  storie  di  S.  Pietro  nella  detta 
real  cappella,  nella  parete  dell'ala  destra,  dove  dappiè  di  due  finestre  ri- 
corron  gli  stemmi  aragonesi,  leggendosi  in  una:  ioannes  Sicilia  rex  anno 
mcccclx  ,  ed  in  un'  altra  :  reparatvm  fvit  m.°  cccc°.  lxii.  Perocché  in 
vece  il  primo  sicuro  ricordo ,  che  si  ha  fin  qui  del  soggiorno  in  Palermo 
di  Domenico,  non  va  al  di  là  del  1463,  siccome  é  chiaro  di  sopra,  e  non 
affatto  risulta  dal  documento  anzidetto  del  1472  ,  né  da  alcun  altro,  che 
egli  colà  fosse  stato  in  lavori  adoprato  undici  anni  prima  (>).  Laonde  più 


(  «  )  Questo  documento,  il  cui  originale  oggi  esiste  nell'Archivio  di  Stato  in  Palermo  fra'  volumi  dell'an- 
tico ufizio  del  Protonotaio  del  regno  di  Sicilia,  trovasi  intero  in  luce  al  num.  CXIV  del  Tabularium  regiae 
àc  imperi  al  is  Capellae  collegiatae  'Divi  Petri  in  regio  panormitano  palatici.  Panormi ,  M.DCCC.XXXV  ,  pag. 
201  e  seg. 

( 2  )  Vedi  il  pregevole  opuscolo  intitolato  Notizie  dei  restauratori  delle  pitture  a  musaico  della  T{..  Cap- 
pi Uà  Talatina,  spigolate  ed  esposte  da  Gaetano  Riolo.  Palermo,  1870,  pag.  8  e  seg. 

(  >  )  Dalle  stesse  parole  del  documento  cennato ,  che  la  opera  di  la  musia  ....  è  stata  data  a  mastra  T>u- 
minicu  Cangemi  marmuraru,  sembra  potere  rilevar  chiaro,  che  non  gli  era  stata  affidata  se  non  poco  in- 
nanzi quel  tempo.  12 


So  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

ragionevol  cosa  é  da  tenere,  che  in  vece  lavoro  di  lui  sieno  state  le  altre 
restaurazioni  fatte  colà  ai  musaici  dell'  ala  opposta,  e  specialmente  a  quelli 
della  parete  dietro  l' ambone ,  ossia  1'  odierno  palco  dell'  organo,  dove  appa- 
riscono ancora  in  una  iscrizione  or  mutila  e  guasta  il  nome  dello  stesso  re 
Giovanni  e  1'  anno  1473.  Ma  tai  lavori,  che  ivi  egli  potè  aver  condotto, 
non  più  esistono  affatto  oggigiorno,  giacché  totalmente  disparvero  a  causa 
di  altri  rifacimenti,  che  quivi  di  nuovo  ebber  luogo  nel  passato  secolo  e  nel 
1840;  e  quindi  nulla  più  resta  a  poter  giudicare  del  Gagini  in  tal  diverso 
esercizio  di  opere. 

Appare  inoltre  del  medesimo  anno  1473,  che,  dovendo  il  detto  artefice 
once  cinquantaquattro  e  tari  sei  (1.  691.05)  per  resto  di  maggior  somma  ad 
un  maestro  Stefano  di  Cassini,  cittadino  palermitano  (assai  probabilmente 
lo  stesso  che  il  marmoraio  Stefano  de  Caxino,  poi  mentovato  fra'  suoi  col- 
leghi il  penultimo  ne'  capitoli  dell'arte  nel  1487),  costui  dichiarò  riceverne 
once  trenta  (1.  382.50)  per  pubblico  atto  del  24  novembre  ,  e  si  obbligò 
il  Gagini  di  lì  a  quindici  mesi  pagargli  ancora  il  restante,  con  tal  condi- 
zione ,  che ,  se  nel  detto  tempo  ei  non  avesse  adempito ,  s' intenderebbe 
da  lui  donata  al  creditore  una  sua  casa  a  solaio  nel  quartier  della  Conceria, 
in  contrada  dell'  Abbeverai ura,  contiguamente  a  una  casa  del  nobile  Antonio 
Imperatore  da  un  lato,  e  dall'  altro  ad  un'  altra  del  medesimo  debitore  ;  la 
qual  casa  (come  pur  si  denota  nell'atto)  aveva  egli  comprato  da  un  mae- 
stro Salvatore  del  Pozzo  per  atto  del  30  di  aprile  del  1468  (*).  In  data  inoltre 


(')  Eodem  (24  novembre  VII  indiz.  1473).  Cam  mag.r  Tìomiuicus  Changini  teneatur  et  debeat  magistro 
Stefano  de  Cassini  e.  p.  uucias  quìnquaginta  quatuor  et  tarenos  vj  ex  resto  unciarum  sexagiuta  uovem  et  tare- 
norum  v,  contentarmi  et  contentorum  in  qitodam  asserto  publico  contraclu  jaclo  inter  eos  in  posse  tiot.  Jacobi  de 
Coniito,  ut  dixerunt  et  confessi  fuerunt,  prò  tanto,  die  prelituìalo,  dictus  m.r  Stefanus ,  ad  instanciam  et  requisi- 
cionem  dicìi  magistri  Dominici,  presentii  et  slipuìanlis,  sponte  et  soììeinniter  confessus  est  se  ab  eo  babuisse  et  re- 
cepisse tuicias  triginta  infra  solutionem  dictarum  unciarum  ìiiij  et  tarenorum  vj,  hoc  modo,  videlicet:  uncias  vi- 
giliti sex  et  tarenos  xxj  per  vianus  magistri  Guillelmi  de  Pisaris  et  pio  eo  per  bancum  heredum  quondam  Johan- 
nes de  Maystro,  et  uncias  tres  et  tarenos  viiij  ad  complimentimi  dictarum  unciarum  xxx  per  mautis  Geronimi 
fkCarcbi,  ctc.  Promette  indi  maestro  Domenico  pagare  le  rimanenti  once  ventiquattro  e  tari  sei  a  maestro 
Stefano  di  li  a  quindici  mesi,  a  patto,  che,  non  pagando  nel  corso  di  tal  tempo,  in  soddisfazione  del  debito, 
dedil,  donavi!  et  haberc  concessit ....  et  assignavit  eidem  magistro  Stefano,  presenti  et  recipienti ,  domimi  imam  so- 
le: alani  cum  omnibus  suis  juvibus  et  pertinenciis,  sitam  et  positam  in  quarteria  Conciarie ,  in  coutrata  ^Abivira- 
tiu e,  secus  domum  nobilis  Antonii  de  Imperatore  ex  una  parte,  et  seeus  aliam  domum  iteti  magistri  'Dominici  ex 
alia;....  quatti  domimi  dictus  magister  Domiiiicus  cmit  a  magistro  Salvatore  Pulci  tenore  contractus  fieli  maini 
mei  infraseripti  notar ii  die  ultimo  aprilis  prime  iud.  M.°  ecce."  lxviij."  —  Dal  registro  di  num.  1 1 3  5  di  notai- 
Gabriele  Vulpi,  an.   1473-75,  indiz.  VII-VIII,  fog.  147  e  148,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  II.  8 1 


del  primo  di  febbraio  VII  indi/.  1473  (1474)  ci  diede  a  pigione  a  un  mae- 
stro Giovanni  Banco  una  casa  a  solaio  nel  detto  quartier  della  Concerìa, 
in  mezzo  ad  altre  case  ancor  di  sua  pertinenza,  siccome  nell'atto  espressa- 
mente si  accenna  (').  Dal  che  chiaro  risulta,  che  nello  spazio  di  pochi  anni 
del  suo  soggiorno  in  Palermo  aveva  già  lo  scultore  avuto  il  destro  di  farvi 
acquisto  di  buono  stabile,  messi  a  profitto  i  guadagni,  che  traeva  in  copia 
dall'  arte,  essendovi  a  ragione  tenuto  primo  fra  tutti,  e  non  men  forse  al- 
tresì dal  commercio.  Trovasi  anzi  alquanto  più  tardi ,  in  data  del  24  set- 
tembre del  1477,  che  il  magnifico  Rinaldo  Sottile,  sindaco  dell' 'università  ossia 
del  comune  di  Palermo,  col  consenso  del  corpo  de'  giurati  della  città  stessa, 
locò  e  concedette  a  maestro  Domenico  de'  Gagini,  scultore,  cittadino  pa- 
lermitano ,  per  pigione  di  once  quindici  (1.  191.25)  annuali,  lo  spazio  di 
una  viottola  (vancìlam  imam  ohm),  da  lui  già  ridotta  in  casa,  nel  suddetto 
quartier  della  Concerìa  e  nella  contrada  del  Tcrcianato,  ossia  della  darsena  o 
arsenale,  contigua  alla  casa  della  medesima  darsena  e  ad  altre  del  detto  mae- 
stro (2).  Né  mancano  altri  documenti  di  vari  anni,  dov'è  sempre  contezza 
de'  suoi  possessi  in  quel  sito ,  siccome  un  atto  del  io  marzo  XI  ind. 
1477  (1478),  pel  quale  nominò  il   Gagini  suo   procuratore   un   Niccolò   di 


(')  Die  primo  fébruarii  (VII  ind.  1473)  (1474).  M.r  Dominicus  Changini,  mannorarhts,  h.  P.  (habitator 
Panormi),  preseus  corani  nobis,  sponte  locavit  et  habitare  concessit  magistro  Johanni  Banche,  presentì  et  conducenti 
ab  eo,  domimi  imam  soleratam,....  sitam  et  positam  in  quarterio  Conciariae  ....,  in  medio  aliarum  domorum  dicti 
magistri  Dominici,  etc.  —  Dal  cit.  registro  di  num.  n 35  di  notar  Gabriele  Vulpi  ,  an.  1473-75  >  indiz.  VII- 
VIII,  log.  288  retro  a  289,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Die  xxiiij.°  septembris  xf."  ind.  (1477).  Magnificus  dominus  T{aynaldus  de  Sitatili,  miles,  presens  corani 
nobis  tamquam  sindicus  universitatis  feìicis  urbis  Tanormi ,  sponte,  nomine  diete  universitatis ,  cimi  consensu  in- 
frascrìptorum  magnificorum  juratorum  diete  urbis ,  presencium  et  consencìencium,  vidélicet  Man/ridi  de  Laiuuta  , 
prioris,  Portusolay  (Protesilai)  de  Leophante ,  Sipionis  Subtili ,  cRjiy  mundi  de  Dyana ,  OvCathei  de  Campo  et  Jo. 
Homodei,  locavit  et  babere  concessit  magistro  Dominìco  de  Gagiuis ,  scultori,  e.  pa.,  presenti  et  ab  co  conducenti, 
vandlam  unam  olitu,  et  modo  in  domimi  reductam  per  dietimi  magistrum  'Dominicum,  in  quarterio  Conciarie,  in 
contrata  Terciauati,  secus  domum  Terciauatus  ex  una  parte  et  secus  demos  dicti  magistri  Dominici  ex  altera  et 
alios  confines;  et  hoc  durante  beneplacito  diete  universitatis;  ad  habeudum  vid4icet  prò  loherio  tarenorum  xv  p.  g. 
prò  quolibet  anno,  computato  anno  presenti.  Ouod  loherium  predictus  couductor  dare,  promisit  diete  universitati, 
Vie  notario  ....stipulante  prò  dieta  universitate ,  quolibet  anno  infine,  incipiendo  primam  solucionem  facere  in 
fine  anni  presentis  prò  dicto  anno  presenti:  promittens  predictus  dominus  sindicus,  nomine  diete  universitatis, 
dicto  magistro  Dominico  stipulanti  ab  co  dictani  rem  locatam ,  quod,  durante  dicto  beneplacito  ,  ab  ornili  coutia- 
dicente  persona  legitime  defenderet.  Sub  ypotheca  etc. —  Testes:  nobilis  Jo.  de  %aynaldo,  nobilis  Franciscus  de  Far- 
falla et  magister  Tinus  de  Terinc. —  Dal  registro  di  num.  11 58  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1477-81,  ind. 
XI-XIV,  fog.  12,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo,  giusta  l'indicazione  avutane  dal  barone  Raffaele 
Starrabba. 


82  I    GAGINI    li    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

Prinzivalle  a  riscuotere  la  pigione  di  once  quattro  (1.  51)  di  una  bottega  da 
un  maestro  Giovanni  Compagno,  catalano  ('),  e  un  altro  del  di  11  agosto 
del  1481,  ond' egli  altresì  die  in  fitto  per  altrettanta  annual  somma  ad  un 
maestro  Bernardo  di  Merito  lombardo  e  ad  uno  Stefano  Buero  genovese 
una  sua  taverna  nel  detto  quartiere,  nella  contrada  della  Bevcratura  della  ma- 
rina (cBìvirature  VvCaritime),  e  proprio  dietro  di  essa  (2).  Il  qual  sito  a  un 
di  presso  dee  corrispondere  alle  case  dell'  odierna  via  de'  Cassàri,  comune- 
mente allora  appellata  de'  Marmorai,  contigue  al  vicolo  del  Terzana  e  dietro 
il  moderno  palazzo  delle  Finanze,  dove  una  lapide  commemorativa,  da  poco 
tempo  apposta,  accenna  la  casa  dell'illustre  Antonio  suo  figlio,  in  cui,  sic- 
come altronde  ben  chiaramente  apparisce ,  l' eredità  paterna  di  Domenico 
fé'  poi  naturale  passaggio. 

Ma  delle  sculture  di  costui  non  rimangon  che  scarse  notizie,  giacché, 
sebben  sia  da  credere,  che  molte  ancora  ne  esistano  in  vari  luoghi  dell'  i- 
sola  ,  non  si  ha  certezza  a  determinare  qua'  siano  ,  né  vai  fidarsi  ad  attri- 
buirgliele per  semplici  impressioni  senza  sicura  scorta  di  documenti  del 
tempo.  Duol  poi  soprattutto,  che  sia  totalmente  perita,  senza  che  ne  ri- 
manga vestigio,  una  delle  principali  sue  opere,  al  cui  lavoro  egli  attese  pel 
corso  di  alquanti  anni,  qual  fu  la  sontuosa  decorazione  marmorea  della  cap- 
pella di  S.  Cristina  ,  allora  principal  protettrice  della  città  ,  nel  duomo  di 
Palermo.  Notò  già  il  Ranzano  nel  1470,  che  Pietro  Speciale,  pretore  nel 
detto  anno,  avea  cominciato  ad  edificare  a  sue  spese  cotal  cappella  ornatis- 
sima  ,  ove  anzi  destinava  venir  morendo  sepolto  (>).  Ma  in  quanto  a  de- 


(')  Eodem  (io  marzo  XI  ind.  1477)  (1478).  Magister  Dominicus  de  Gagini,  scuìter  marmorarius,  e.  p. ... 

spante  olimi  meliore  jure,  via  et  forma,  qnibus  melius  potuit  et  potesl,  constituit,  fecit,  creavit  et  solhmniter  ordi- 
navil  siami  certuni  nuntiuin    et  procuratorati  Nicolauni  ile  Prinzivalle,  apparentem,  licet  absentem,  tamquam  pre- 

ientem,  ad  petenium,  exhigendum,  recipiendum,  recuperandum  ....  uncias  quatuor  p.  g a  magistro  Joha-iue  Con- 

pagnu,  cerdone  catbala.no,  prò  loherio  uuius  apothece,  ctc.  Dal  citato    registro  di  num.   11 58  di  notar  Giacomo 
Randisi,  an.   1477-81,  ind.  XI-XIV,  fog.  476,  nel  detto  archivio. 

(2)  'Die  xj."  nuisis  augusti  (XIV  ind.  1481).  Magister  "Dominicus  de  Gagini,  scuìtor  marmorarius,  corani 
me  notario  et  testibus  infrascriptis,  spoute  locavil  magistro  'Bernardo  de  Merito,  lombardo,  et  Stephano  "Bueni,  ja- 
nucusi,  preseiilibus  et  in  soUduiu  condiiceutibiis,  tabernam  uuam  ipsiits  magistri  Dominici,  sitam  et  positam  in 
quarteria  Conciariae,  in  contraili  "Bivirature  maritimi',  pospositam  diete  invitature,  secus  apotegam  magistri  'Jìap- 
tis/e  de  Pellegrino  et  alios  coufines,  anno  uno  continuo  et  completo,...  prò  loherio  iiueiaruiii  quatuor,  etc.  Dal  cit. 
registro  di  num.   1158  di  notar  Giacomo  Randisi,  fog.   1121,  nel  detto  archivio. 

(3)  Struere  sumptu  suo  coepìl  aedeiu  ornatissimain  in  Divae  Christiuae  s iugular is  Panorniitanoriim  patronae 
honorem;  ubi,  posteaquam  discedei  e  vita,  siiiim  corpus  marmoreo  tumulo  sepe/ien  Inni  iustiluit.  Ranzani,  loc.  cit. 
pag-   5  5- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II.  83 


eorarla  di  marmi  e  sculture  non  fu  provveduto  che  cinque  anni  più  tardi, 
quando  la  fabbrica  ne  era  del  tutto  compiuta  ;  e  ne  furori  fatte  le  spese  in 
parte  dall'  arcivescovo  Paolo  Visconti,  che  destinò  a  tal  uopo  una  somma  in 
sua  morte,  e  in  parte  dalla  maramma  del  duomo  stesso.  Laonde  il  di  primo 
di  marzo  Vili  indi/.  1474  (1475)  Domenico  Gagini  per  pubblico  strumento 
obblìgavasi  al  nobile  Niccolò  di  Bologna,  espressamente  a  ciò  destinato  dal 
detto  arcivescovo  ,  dal  pretore  Antonio  di  Mastrantonio  e  da'  giurati  e  dal 
sindaco  della  città,  costruire  di  bianchi  marmi  una  certa  opera  nella  cappella 
anzidetta  nel  duomo,  conforme  al  disegno  da  lui  datone  innanzi,  e  lavo- 
rarvi e  farvi  lavorar  di  continuo,  talché  tutto  il  lavoro  fosse  compiuto  il  di 
24  di  luglio  dello  stcss'anno  per  potersi  deporre  il  corpo  di  S.  Cristina  in 
essa  cappella;  e  ciò  pel  prezzo,  che  verrebbe  stimata  la  detta  opera  dal  me- 
desimo Antonio  di  Mastrantonio,  signore  di  Castrogiovanni,  e  da  Pietro  del 
Campo,  signore  di  Mussomeli;  del  qual  prezzo  prometteva  il  Bologna  pa- 
gare allo  scultore  once  quarantacinque  (1.  573.75)  da  parte  dell'arcivescovo, 
e  il  nobile  Giovanni  di  Riggio  tutto  il  restante,  come  preposito  della  detta 
maramma  (^.Apparisce  di  fatti,  che  il  17  di  maggio  del  1475  avea  ricevuto 
il  Gagini  dal  Bologna  la  massima  parte  della  cennata  somma  per  conto  del- 
l' arcivescovo  stesso  di  già  defunto  :  ma  1'  opera  poi  sembra  non  sia  stata 
finita  del  tutto  se  non  di  lì  ad  altri  due  anni.  Perocché,  essendo  intanto  pur 
morto  il  Mastrantonio,  che  giusta  la  convenzione  dovea  col  Campo  apprez- 
zarla, troviam  che  da  costui  solo  fu  valutata  per  onze  ccncinquanta  (1.  1912.50) 
addi  26  di  agosto  del  1477,  del  qual  prezzo  indi  l'artefice  si  dichiarò  sod- 
disfatto a  26  del  seguente  febbraio  (2).  Da  ciò  risulta  evidente,  che  il  la- 
voro, cui  egli  si  era  obbligato  tre  anni  innanzi,  fu  allor  totalmente  fornito  : 
ma  non  è  chiaro  altrettanto  poter  definire  qual  fosse.  Credo  nondimeno 
doversi  per  esso  intendere  la  decorazione  interna  della  cappella  medesima,  di 
cui  fa  cenno  il  Mongitore,  che  le  inferiori  pareti  erano  rivestite  di  bianchi 
marmi  (3).  Però  è  certezza,  che  sette  anni  più  tardi,  nel  1484,  ivi  erano 


(  1  )  Vedi  fra'  T)oaiiiieiiti  di  quest'opera  al  num.  XVIII. 

(2)  Rilevasi  ciò  da  alcuni  atti  posteriori,  aggiunti  in  margine  a  quel  principale  strumento  del  i.°  di  marzo 
del  1475  e  cne  van  pubblicati  con  esso. 

(>)  Mongitore,  La  cattedrale  di  'Palermo,  cap.  XXXIX,  pag.  331;  ms.  della  Biblioteca  Comunale  pa- 
lermitana a'  segni  Qq  E  3.  Ma,  trattando  ivi  egli  della  detta  cappella  di  S.  Cristina,  ne  lascia  in  più  luoghi 
la  descrizione  in  sospeso  e  manca  di  molti  rilevanti  particolari,  che  non  ebbe  poi  tempo  di  aggiungere. 


84  1    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


ancora  a  farsi  altri  importanti  lavori  di  scultura  ,  ossia  certa  opera  marmoria 
in  ìa  cappello,  di  Sancta  Cristina  in  la  ma/uri  ecclesia  di  quista  citati ,  per  cui 
con  altri  era  il  Gagini  garante  di  Giorgio  il  Lombardo ,  scultore ,  che  princi- 
palmente si  era  obbligato  scolpirla  :  ond'è  che,  inattesamente  partitosi  costui 
da  Palermo  per  sue  faccende  in  altri  luoghi  dell'isola,  fu  ingiunto  in  vece 
a  Domenico  curasse  al  più  presto  con  suoi  maestri  e  lavoranti  compir 
quell'opera;  del  che  querelatosi  egli  al  viceré ,  ne  venne  fuori  quell'ordine 
viceregio,  di  sopra  già  riferito,  in  data  del  12  di  maggio  del  detto  anno, 
con  che  fu  provveduto  perchè  fosse  preso  in  Cefalù  o  in  qualunque  altro 
luogo  del  regno  il  contumace  Giorgio,  e  di  li  portato  in  Palermo  (J).  Di 
ciò  fu  dinanzi  discorso  ,  trattando  di  tale  scultore  ,  che  pur  fu  inteso  col 
nome  di  Giorgio  di  Milano:  ma  ignorasi  del  tutto  s'ei  poscia  avesse  adem- 
piuto i  suoi  impegni  nell'esecuzion  di  quella  nuova  opera,  o  se  avesse  do- 
vuto Domenico  prendervi  parte  a  fornirla;  né  pur  si  sa  propriamente  in  che 
essa  sia  consistita.  Nasce  sospetto,  che  abbia  potuto  esser  quell'  arco  este- 
riore di  detta  cappella,  dall'imo  al  sommo  tutto  ornato  di  marmi,  che  dice 
l'Amato  scolpiti  nel  1496  da  Antonio  Gagini,  il  sommo  figliuol  di  Domenico, 
ma  senz'altro  argomento  che  l'infondata  autorità  del  Baronio  e  dell'Auria  (2). 
Laonde,  se  non  si  voglia  tenere  che  Antonio  vi  avesse  lavorato  nella  sua  prima 
giovinezza  a  diciotto  anni,  è  probabil  che  quello  sia  stato  in  vece  un  anteriore 
lavoro,  o  di  suo  padre,  di  cui  altronde  è  certo,  che  altra  notevole  decora- 
zione di  marmi  avea  colà  primamente  condotto ,  ovver  di  Giorgio  poco  fa 
mentovato.  Ma  non  vai  lambiccarsi  tanto  il  cervello  a  rintracciar  nude  me- 
morie di  opere,  che  sciaguratamente  più  non  esistono,  giacché  l'anzidetta  cap- 
pella di  S.  Cristina  con  tutti  i  suoi  preziosi  ornamenti  di  marmi,  musaici  e  di- 
pinti, di  che  immensa  ricchezza  vi  fu  in  vari  tempi  profusa  dal  secolo  XV 
al  XVII,  andò  poi  totalmente  distrutta  nel  declinar  del  seguente  ,  grazie  al 
detestabile  genio  di  Ferdinando  Fuga  fiorentino  ,  architetto  della  corte  di 
Xapoli ,  autore  del  più  stolto  e  vandalico  rinnovamento  del  duomo  paler- 
mitano. Solo  qui  in  fine  giova  dar  luogo  a  pensare,  che  delle  cennate  de- 
corazioni marmoree  di  tal  cappella  abbia  potuto  far  parte  una  mezza  figura 


(  1  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XI  bis. 

(2)  Baroxio,  "De  maicstate  panormitana  (Panormi,  M.DC.XXX,  lib.  Ili,  pag.  103);  Auria,  Historia  cro- 
nologica dilli  signori  viceré  di  Sicilia,  ce.  (Palermo,  1697,  pag.  260);  Amato,  De  principe  tempio  panormitano 
(Panomii,  MDCCXXVIII,  lib.  IX,  cap.  Ili,  Pag.  258). 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II.  85 


pregevolissima  di  detta  Santa  al  naturale,  con  una  palma  nella  destra  ed  un 
libro  nella  sinistra,  qual  vedesi  oggi  in  serbo  con  altri  avanzi  di  prediate 
sculture,  scampate  a  si  grande  mina,  nel  sotterraneo  di  quel  duomo:  lavoro 
per  fermo  di  bravo  scultore  quattrocentista,  siccome  appar  dallo  stile,  e  che 
ben  quindi  è  da  attribuire  assai  probabilmente  a  Domenico,  di  cui  spe- 
cialmente rivela  il  fare  e  il  carattere  in  riscontro  alle  altre  sue  opere.  E  di 
lui  ancora  per  avventura  sono  da  credere  due  belle  statuette  di  mezzana 
grandezza  in  piedi,  che  pur  ivi  rimangono,  l' una  figurante  una  santa  ver- 
gine, che  propriamente  non  si  discerne  qual  sia,  e  l'altra  bensì  un  ignoto 
Santo,  mutila  afflitto  del  capo,  ma  entrambe  di  molta  bellezza  e  sviluppo  per 
l'ammirabil  modo,  con  cui  sono  condotte.  Non  è  quindi  improbabile,  che 
con  la  lodata  mezza  figura  della  titolare  siano  appartenute  pur  esse  alla  men- 
tovata cappella,  prodotte  ancora  da  quel  riputato  maestro.  Stimo  però  al  con- 
trario non  esser  cosa  di  lui  due  altre  minori  statuine  di  una  S.  Agata  e  di 
una  S.  Ninfa,  che  ivi  del  pari  si  vedono,  e  che,  se  pure  appartennero  alla 
cappella  istessa,  non  furon  che  opera  di  allievi  od  aiuti  di  quello  ,  siccome 
per  l'inferiorità  ed  imperfezione  dell'  arte  vi  é  manifesto. 

Delle  molte  sculture,  che  certo  poi  per  l'alto  suo  merito  e  rinomanza 
furon  commesse  a  Domenico  Gagini  e  eh'  ci  far  dovette  per  varie  citta  e 
luoghi  dell'  isola,  soltanto  un'altra  sola  fin  ora  per  documento  si  riconosce, 
di  cui ,  benché  scomposta  e  danneggiata ,  esiston  notevoli  avanzi ,  cioè 
un'arca  marmorea  ,  fatta  a  contener  le  reliquie  del  corpo  di  San  Gandolfo 
nella  chiesa  maggiore  in  Polizzi.  Si  ha  pertanto,  che  per  contratto  in  notar 
Giovanni  Perdicaro  di  detta  terra  addì  11  di  aprile  del  1482  si  obbligò  lo 
scultore  ai  giurati  di  essa  ed  a  Matteo  de  Machono ,  procuratore  della  cap- 
pella di  quel  Santo  ,  pel  lavoro  di  una  custodia  marmorea  da  contenere  il 
corpo  del  medesimo,  giusta  diverse  condizioni  all'uopo  colà  stabilite.  Doveva 
esser  quella  scolpita  in  ottimo  marmo,  lucido,  bianco  e  perfetto,  alta  tredici 
palmi  (m.3.35)  e  sei  larga  (m.  1.55),  con  una  figura  di  San  Gandolfo  giacente 
in  aspetto  di  morto,  e  nella  base  i  dodici  apostoli  con  in  mezzo  Nostra  Donna 
della  Pietà  in  figurine  alte  un  palmo  ed  un  quarto  ,  oltre  anco  tre  serafini 
in  mezzano  rilievo,  giusta  un  disegno  dall'  artefice  già  consegnato.  Le  rivolte 
di  essa  dovevano  inoltre  da  ogni  banda  essere  adorne  di  sculture  di  al- 
tre immagini,  secondo  il  detto  disegno  :  il  tutto  pel  prezzo  di  once  trenta 
(1.  382.50),  con  patto  altresì  che    il    Gagini  dovesse    di  persona  recarsi  in 


86  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Polizzi  a  collocarvi  la  custodia  non  appena  fosse  compiuta  ,  ed  il  procura- 
tore pagargli  altre  due  once  (1.  25.50),  oltre  il  prezzo  anzidetto.  Fu  essa  in 
fatti  assai  maestrevolmente  eseguita,  ed  ebbe  luogo  da  prima  in  particolare- 
cappella  dal  lato  sinistro  della  chiesa  ,  racchiusovi  il  corpo  del  Santo.  Ma 
non  passò  guari,  che,  parso  più  proprio  alla  fervida  pietà  de'  fedeli  riporre 
quello  in  un'arca  di  argento,  fu  questa  lavorata  con  molta  ricchezza  in  getto 
dall'argentiere  Andrea  Di  Leo  nel  1549,  e  tosto  adoprata  a  quell'uso,  come 
fin  oggi  :  ond'  é,  che,  vuota  rimasta  la  custodia  di  marmo,  non  ebbe  più  essa 
alcuna  importanza  agli  occhi  di  gente  ignara  de'  singolari  pregi  dell'  arte, 
e  quindi  a  tal  si  pervenne,  che,  scompostala  affatto  e  rimossala  dalla  chiesa, 
ne  furon  qua  e  là  disperse  le  preziose  sculture ,  altre  mal  collocate  ,  altre 
perdute  del  tutto.  Il  maggior  marmo  con  la  figura  distesavi  sopra  del  Santo 
e  con  pregevolissime  storiette  al  di  sotto  ,  quale  formava  un  di  la  parte 
principale  del  davanti  della  custodia,  trovavasi  poi  nel  settembre  del  1839 
attaccato  al  muro  dell'atrio  esterno  della  madrice  di  Polizzi,  dove  destò  la 
attenzione  di  quel  preclaro  ingegno  di  Paolo  Giudice ,  il  qual ,  giovine  al- 
lora, ne  die  primo  notizia  in  due  sue  lettere  date  in  luce  (:),  allegando  il  con- 
tratto, che  il  chiariva  scolpito  dal  Gagini,  ma  pur  cadendo  in  abbaglio  in- 
torno alla  patria  del  medesimo,  che  ivi  per  l'acquistata  cittadinanza  era  già 
detto  palermitano  (2).  Testé  però  con  savio  consiglio  (secondo  che  aveva 
anche  allor  suggerito  il  lodato  Giudice)  quel  prezioso  avanzo  iu  collocato 
in  fronte  all'altare  dell'odierna  cappella  di  San  Gandolfo  dentro  la  chiesa, 
dove  io  pure  lo  vidi.  È  un  marmo  lungo  m.  143,  alto  m.  0.65,  in  cui 
(com'erasi  già  convenuto  dallo  scultore)  si  vede  il  santo  frate   effigiato  da 


(  '  )  Sopra  'Domenico  Gagini,  scultore  siciliano:  lettere  I  e  li  di  Paolo  Giudice  a  Saverio  Cavallari,  nelle 
Effemeridi  scientifiche  e.  letterarie  per  la  Sicilia  (Palermo,  1839-40,  tomo  XXVII,  pag.  127-130,  e  tomo  XXXI, 

pag.  19-23)- 

( 2  )  Vide  egli  allora  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in  Polizzi  1'  originale  di  tale  strumento,  che  ancora 
vi  esisteva,  e  ne  trascrisse  un  brandello,  dove  leggevasi:  Mag.r  Domiuieus  de  Gagini,  Panormilanus,  se  obligat 
facci  e  dictam  custodiam  ita  quoti  sit  iu  tot  uni  istoriata  cu  1'  islorii  in  rilevu ,  ju.xta  ìu  disiguo  ab  ipso  magistro 
Dominico  de  Gagini  presentata  a  li  magnifici  signuri  jurati  et  a  fhCfltteo  de  Machono,  procuraturi  di  la  cappella 
di  S.  Gandol/u,  ce.  Recatomi  però  io  poscia  in  Polizzi  con  1'  idea  di  trascrivere  intero  si  pregevole  docu- 
mento, non  più  vi  rinvenni  nel  mentovato  archivio  il  volume  degli  atti  dell'anno  XV  ind.  1481-82  di  notar 
Giovanni  Perdicaro,  dov'esso  si  contenea,  e  che  sciaguratamente  è  da  tenere  smarrito.  Laonde  mi  fu  d'uopo 
limitarmi  a  ricavare  notizia  de'  particolari  del  medesimo,  riferiti  pocanzi  di  sopra,  da  quanto  precedentemente 
ne  aveva  attinto,  oltre  il  Giudice,  un  frate  Gioacchino  Di  Giovanni,  cronista  del  passato  secolo,  il  quale  ne 
dà  ragguaglio  nel  primo  volume  di  una  sua  opera  manoscritta  di  Memorie  di  Polipi,  colà  esistente,  a  fog.  54. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  II.  87 


estinto,  poco  minore  del  vero  ,  col  capo  coperto  di  cappuccio  ed  adagiato 
su  guanciali  e  con  le  mani  incrociate  sulla  vita  con  un  libro  segnato  di 
croce  (J).  Egli  è  disteso  supino  sopra  una  coltre,  che  cade  sul  fronte  della 
custodia  quasi  a  coprirla,  dando  luogo  a  tre  storiette  bellissime  in  bassorilievo, 
dell'altezza  di  m.  0.20,  con  due  teste  di  serafini  intermedie  e  due  negli  estremi. 
Ycdesi  in  una  di  quelle  il  Santo  sul  pulpito  in  chiesa  predicando ,  mentre 
molte  donne  sedute  e  vari  uomini  in  piedi  lo  ascoltano,  con  un  bel  fondo 
di  quattro  archi  della  prospettiva  interna  del  tempio  :  in  altra  in  mezzo  la 
processione  dell'arca  del  sacro  corpo,  condotta  dal  popolo  ,  con  molti,  che 
precedono  recando  ceri  e  dando  fiato  alle  trombe  ;  e  nella  terza  la  tomba 
di  San  Gandolfo,  cui  son  più  da  presso  ginocchioni  uno  storpio  con  le  sue 
grucce  e  un  altro  infermo  per  ottenerne  salute,  mentre  altri  vi  stan  da'  lati 
e  dattorno,  venerando  in  piissimi  atti.  Cotali  storie  (come  ancor  fu  da  altri 
osservato)  son  veramente  la  cosa  migliore  dell'  opera  ,  e  vi  ha  un  movi- 
mento, una  vita ,  una  passione,  un  insieme ,  un  sì  giusto  concepimento  di 
piani  ed  una  tal  naturalezza  ed  ingenuità  del  comporre  da  mostrare  in  Do- 
menico una  particolare  attitudine  a  cosi  fatti  lavori  in  rilievo,  toccati  con  tanta 
maestria  e  con  si  franco  e  vivace  scalpello.  Ciò  stesso  si  rileva  da  un  altro 
marmo  della  lunghezza  di  m.  1.36,  ed  alto  m.  0.29,  mutilo  avanzo  della 
base  della  custodia,  recando  in  mezzo  la  Vergine  de'  dolori  di  faccia  a!  Cristo 
soffrente  ed  in  fila  da'  lati  alcuni  apostoli  ed  altri  Santi  in  figurine  di  de- 
licato lavoro  ,  piene  di  sacra  espressione  e  di  sentimento  :  il  qual  marmo, 
che  fu  già  tratto  dal  Giudice  medesimo  d' in  mezzo  alle  macerie  di  varie 
antiche  sculture,  é  ora  posto  a  disagio  in  una  parete  del  detto  atrio  della 
chiesa  insieme  ad  alcuni  resti  di  altre  storie  già  mentovate,  che  appartene- 
vano all'altra  distrutta  custodia  del  Corpo  di  Cristo;  ed  è  facil  distinguerlo 
per  superiorità  di  stile  su  quelle.  Né  poco  notabile  del  resto  appare  il  merito 
dello  scultore  nell'indicata  principale  figura  giacente  di  San  Gandolfo ,  nel 
cui  senile  aspetto  la  santità  é  sì  bella  e  veneranda  neh"  immobilità  della 
morte.  L'arte  ivi  anche  nelle  dimensioni  quasi  del  vero  si  mostra  già  per- 
venuta a  grande  sviluppo  della  forma,  e  poco  manca  alla  sua  maggiore  ec- 
cellenza. Vedi  in  quel  volto  il  tocco  di  un  de'  migliori  quattrocentisti  per 
la  regolarità  de'  piani,  per  la  morbidità  della  carne,  per  la  naturalezza  della 
barba  e  più  per  l'effetto  di  un'espressione  sommamente  religiosa  e  piissima, 


(  '  )  Vedine  il  disegno  nella  tavola  IV  di  quest'opera. 


88  I    GAGINl    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


nata  da  profondo  ed  esquisito  sentir  della  fede.  Le  estremità  son  condotte 
con  cura  e  delicatezza  ,  meglio  che  in  tanti  altri  lavori  de'  contemporanei, 
e  rivelan  non  meno  che  il  progressivo  avanzarsi  dell'arte  la  perizia  ed  il 
magistero  sapiente  dello  scultore.  Le  pieghe  della  tunica  son  semplici  e 
naturali,  benché  poco  leggiadre  in  ragion  della  stessa  natura  del  soggetto, 
qual  si  è  di  un  cadavere  composto  su  di  una  bara  :  eppur  vi  sono  schivati 
que'  tagli  duri  ed  angolosi,  in  che  per  manco  di  maggiore  eleganza  e  per- 
fezione ancor  si  cadeva  generalmente  in  quel  tempo.  L'esecuzione  in  somma 
ne  è  in  ogni  parte  ammirabile,  e  ben  da  ciò  fu  detto  esser  dato  conoscere 
senza  equivoco ,  che  l'artista  movesse  felicemente  a  superar  sempre  più  gli 
ostacoli  al  conseguimento  dell'alto  scopo  dell'arte ,  facendo  costante  sforzo 
a  vincere  le  difficoltà  del  marmo  e  far  disparire  la  rigida  freddezza  della 
pietra  per  sostituirvi  il  pensiero  e  la  vita  :  ciò,  che  poi  compiutamente  rag- 
giunse l' inarrivabile  genio  di  Antonello  suo  figlio,  di  cui  egli  potè  dirsi  il 
precursore  più  degno. 

Di  altre  sculture  di  Domenico  non  è  contezza,  benché  molte  io  tengo 
n'esistano  in  Sicilia  di  statue,  sarcofagi,  fonti  ed  ornati  di  ogni  genere,  che 
in  molti  luoghi  ammiriamo  ben  di  sovente  ed  in  cui  par  di  vedere  il  suo  stile, 
ma  che  niuno  ardisce  attribuirgli  senz'altro  indizio  o  memoria.  Pure,  se  mi 
si  voglia  far  lecito  ch'io  entri  alquanto  nel  campo  del  probabile,  dirò  che 
a  lui,  oltre  la  decorazione  marmorea  della  cappella  di  S.  Cristina  or  di- 
strutta, fu  facile  sieno  stati  allogati  altri  importanti  lavori  nel  duomo  di  Pa- 
lermo ,  e  specialmente  quello  di  una  delle  due  pregevolissime  pile  d'  acqua 
santa,  ch'é  indubbia  opera  del  secolo  XV.  A  questa,  che  con  la  sua  miglior 
parte  di  ornamenti  aderisce  a  un  pilastro  dell'  arco  della  gran  nave  il  più 
vicino  alla  porta  del  destro  lato  del  tempio,  fu  indi  aggiunta  compagna  dal 
lato  opposto  un'  altra  pila  di  egual  disegno  e  parimente  bellissima ,  fatta 
scolpire  a  siciliani  scultori  della  scuola  del  sommo  Antonello  ne'  tempi  ap- 
presso :  ma  poi  dagli  stolti  innovatori  del  detto  duomo  furon  per  igno- 
ranza e  trascuratezza  mutate  di  luogo  le  due  pile,  scambiatene  le  rispettive 
spalliere  co'  sovrastanti  cupolini  di  marmo.  Del  che  si  avvede  chiunque  non 
é  si  privo  d' intelletto  a  discernere  la  diversità  dello  stile  del  quattrocento 
e  del  cinquecento  nelle  sculture,  come  fu  il  buon  gesuita  Giovanni  Amato, 
ch'entrambe  quelle  pile  attribuì  ad  Antonio  Gagini  (').  Ma  ciò,  che  giova 


(  ')  'Dt-  principe  tempio  panonnitano.  Panormi,  MDCCXXVIII,  lib.  VI,  cip.  V,  pag.  122. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.    II.  89 

singolarmente  far  rilevare  nella  più  antica  di  esse,  è  quella  forma  nuova  ed 
elegantissima  di  congegno  (qual  poi  fu  imitata  nell'altra),  per  cui  sulla  detta 
pila,  dappiè  sorretta  da  una  mensola  formata  dal  gruppo  di  tre  angioletti  in 
piedi,  fu  dato  luogo  in  fondo  a  quella  spalliera  ornatissima,  tutta  scolpita  al  di 
dentro  di  preziosi  rilievi  di  storie,  su  cui  si  erge  al  di  sopra  quel  cupolino 
di  vago  stile,  o  come  dicevasi  allora  cappello,  sormontato  nel  centro  da  una 
svelta  stamina  del  Gabriele  (').  L'aspetto  di  tale  opera  sembra  aver  molto  ri- 
scontro con  vari  lavori  ornamentali,  onde,  fu  cosi  ricca  l'arte  lombarda  in 
quel  tempo;  e  poi  nello  stile  generalmente  delle  sculture  di  essa,  ed  in  i- 
special  modo  delle  due  leggiadrissime  storie,  che  vi  fan  precipuo  decoro,  pare 
veder  senza  fallo  la  stessa  mano,  che  scolpi  quelle  dell'arca  di  San  Gandolfo 
in  Polizzi.  È  in  una  figurato  il  battesimo  di  Gesù  nel  Giordano  da  Gio- 
vanni, con  vari  leggiadri  angeli  ginocchione  daccanto  in  diversi  piani,  gra- 
datamente scolpiti  dal  mezzo  al  più  basso  rilievo.  Nell'altra  sovrastante  e  più 
ampia  sta  espressa  in  una  composizione  di  molte  figure  e  con  un  fondo 
di  prospettiva  dell'esterno  di  una  grande  basilica  e  di  altri  sontuosi  edifici 
la  sacra  annual  cerimonia  della  benedizione  del  fonte  battesimale  ,  fatta  da 
un  prelato  col  suo  clero  in  presenza  di  un  regal  principe  e  di  una  regina, 
qua'  non  é  facile  poter  chiarire  chi  siano,  e  che  si  avanzano  in  piedi  con 
molto  seguito  di  magnati  e  di  lor  corte,  fra  cui  ancor  due  fanciulli,  mentre 
dal  lato  opposto  di  dietro  al  vescovo  sono  altri  astanti  del  popolo,  che  ter- 
minano con  un  bel  gruppo  di  tre  femine  genuflesse  (2).  Vi  ricorron  nel  tutto 
sì  grandi  pregi  di  verità  e  naturalezza,  di  accorgimento  e  gusto  ammirabile 
del  comporre  ,  di  espressione  giusta  ,  sentita  ,  profonda  in  tanta  purità  di 
contorni  ed  incomparabile  grazia  di  forme  ,  quali  da  ogni  parte  si  rivelano 
nell'esecuzione  più  delicata  e  perfetta,  che  nulla  per  vero  è  da  invidiare  in 
quest'opera  alle  stupende  sculture  contemporanee  de'  grandissimi  Fiorentini. 
Da  ciò  parve  a  taluno  (3),  che  fosse  da  attribuir  quella  pila  a  Donatello, 
comunque  costui  non  fosse  giammai  venuto  in  Sicilia ,  e  non  sia  noto 
ne  pure  al  Vasari ,  che  mai  alcuna  sua  opera  egli  vi  abbia  trasmessa.  Né 
pensavasi  in  vece  a  cosa  assai  più   probabile   e  più   consentanea   al   vero , 


(•)  Dell'insieme  del  congegno  di  detta  più  antica  pila  d'acqua  santa  può  ben  rilevarsi  un'idea  dall'altra 
posteriore  e  conforme,  della  quale  si  reca  un  disegno  fra  le  seguenti  tavole  di  quest'  opera. 

(2)  Di  tal  composizione  pregevolissima  vedi  un  disegno  nella  tavola  IV  bis  di  quest'opera. 
(5)  Gallo,  Elogio  storico  di  Antonio  Gagini.  Palermo,  1821,  pag.  24. 


90  1    GAGINI    li    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


che  quella  fosse  uscita  di  mano  di  quel  lombardo  Domenico  ,  che  nella 
seconda  metà  del  quattrocento  non  ebbe  pari  neh'  isola  per  merito  insigne 
di  scultore,  e  di  cui  altri  lavori  esistenti,  siccome  quei  di  Polizzi ,  recano 
simiglianza  non  poca  di  stile  e  quasi  un  tocco  medesimo  di  scalpello  ,  e 
che  avca  ben  potuto  appunto  avere  appreso  tanta  eccellenza  di  magistero 
dell'arte  da'  fiorentini  maestri,  da'  quali  colà  traspare  il  carattere  della  scuola. 
Che  se  nulla  si  sa  di  certo  dell'origine  della  pila  anzidetta  ,  chiaro  in  essa 
risulta  dall'arte,  che  sia  indubitato  lavoro  del  tempo,  in  che  quel  primo  dei 
Gagini  godeva  in  Palermo  ed  altrove  in  Sicilia  il  maggior  grado  di  rino- 
manza nella  scultura,  siccome  quello,  che  per  eccellenza  di  merito  e  forse 
ancora  per  anzianità  di  esercizio  dell'arte  era  primo  fra  tutti:  ond'  è  che  a  18 
di  settembre  del  1487  vedesi  aver  preso  luogo  il  suo  nome  a  capo  dell'elenco 
de'  marmorai  o  scultori,  premesso  a'  capitoli  della  loro  corporazione  o  mae- 
stranza, che  si  era  allor  primamente  costituita.  Ne  trovasi  altronde  fra  costoro 
altro  artefice  di  tanto  merito  e  di  tanta  perfezione  di  scalpello,  che,  tranne 
il  Gagini,  abbia  potuto  sì  egregiamente  aver  fornito  quell'opera  ,  laddove 
non  era  più  allora  e  non  apparisce  in  quell'elenco  il  valoroso  scultore  Fran- 
cesco Laurana,  che  solo  forse  avrebbe  conteso  a  quello  così  esclusiva  pre- 
minenza nell'arte,  e  non  si  vede  affatto  degli  altri ,  che  si  sien  mai  elevati 
tant'alto.  Perlochè  non  sarà  senza  ragione  l'attribuire  al  suddetto,  da  cui  fu 
pure  scolpito  il  fonte  battesimale  di  Salemi,  quegli  altri  più  segnalati  lavori 
di  simil  genere  ,  che  pure  han  molta  corrispondenza  di  stile  con  altre  sue 
opere  e  de'  quali  egli  solo  apparisce  degno  in  quel  tempo  ;  e  forse  verrà 
giorno  quando  l'autorità  de'  documenti  contemporanei  potrà  mutare  l'opi- 
nione in  certezza  (')• 

Per  le  stesse  ragioni  ed  altre,  che  giova  in  proposito  aggiungere,  stimo 
sia  inoltre  con  alcun  fondamento  da  attribuire  a  Domenico  Gagini  il  Soli- 


ta ■  )  Un'altra  più  piccola  pila  d'acqua  santa,  di  egual  forma  e  congegno,  ma  inferiore  di  molto  per  merito 
di  lavoro,  si  vede  intanto  nella  chiesa  dell'Annunziata  di  Trapani,  essendo  a  guisa  di  conchiglia,  dappiè  so- 
stenuta da  tre  puttini  in  rilievo,  mentre  nella  spalliera  vi  è  pure  figurato  il  battesimo  del  Nazareno  con  an- 
geli, e  'di  sopra  è  una  nave,  che  a  vele  spiegate  solca  tranquilla  le  onde.  In  cima  del  cupolino  sovrastante 
ricorre  poi  di  tutto  tondo  la  figura  dell'angelo,  che  reca  in  mano  lo  scritto  AVE  MARIA,  laddove  due  altri 
angioletti ,  posti  al  di  sotto  da'  due  lati  a  sostegno  ,  recati  divise  le  seguenti  parole  del  saluto  di  Gabriele: 
GRATI  A  PLENA.  In  una  cornice  in  fine  vi  si  legge:  NAVTE  DREPANITANI  COMVNI  SVMPTO  HOC 
CONSTITVERVNT  (sic);  e  nel  bassorilievo  della  nave  anzidetta  ricorre  l'anno  M.  CCCC.  LXXXVI,  Ma 
non  è  dato  fin  ora  conoscerne  lo  scultore. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  il.  91 


tuoso  lavoro,  fatto  per  fermo  in  quel  tempo,  del  deposito  del  vescovo  Gio- 
vanni Montaperto,  morto  a  25  di  ottobre  del  1485,  nel  duomo  di  Ma/ara. 
Costui,  nato  in  Girgenti  da  Giovan  Gaspare,  barone  di  RafTadali,  e  da  Gio- 
vanna Abbatelli,  de'  conti  di  Cammarata,  eletto  vescovo  mazarese  nel  1470, 
non  men  per  dottrina  e  per  amore  agli  studi,  che  per  pietà  e  liberalità  di 
animo,  spiccò  fra'  più  insigni  prelati  siciliani  del  suo  secolo.  Perloché  non 
solo  egli  curò  rifar  tutta  a  nuovo  nel  1477  ^  facciata  della  sua  chiesa,  ma  que- 
sta poi  anche  arricchì  di  un'intera  biblioteca  di  codici  greci  e  latini,  dispo- 
stala in  un'  amplissima  sala,  su  cui  corrispondevane  un'altra  pel  tesoro,  da 
lui  pure  fondata  ,  per  conservarvi  gli  arazzi  di  gran  valore  ,  i  vasellami  di 
argento  e  le  preziosità  di  ogni  genere,  di  che  a  quella  profusamente  ei  fé'  la- 
scio (')•  Essendo  stata  intanto  da  lui  nobilmente  adorna  nel  duomo  stesso 
una  cappella  di  S.  Maria  del  Soccorso,  di  cui  rimane  una  pregevole  statua 
in  marmo  fino  a'  di  nostri,  quivi  fu  egli  morendo  sepolto  in  un  sontuoso 
deposito,  che  per  ricchezza  e  magnificenza  di  lavoro  ben  ebbe  da  corrispon- 
dere all'insigne  nome  di  lui.  Nulla  di  certo  in  vero  si  ha  intorno  all'  artista, 
che  vi  fu  adoperato:  ma  dal  carattere  delle  sculture,  che  or  ne  rimangono, 
sembra  evidente  non  altri  essere  stato  se  non  Domenico  per  molta  corri- 
spondenza e  medesimezza  con  altre  sicure  opere  di  sua  mano.  È  da  cre- 
dere inoltre  ,  che  nel  1485  strette  relazioni  di  già  esistessero  fra'  Monta- 
perto e  gli  Speciale,  giacche  si  ha,  che  non  molto  di  poi  un'Eleonora  Spe- 
ciale ,  ultimo  rampollo  di  sua  illustre  famiglia  ,  sposatasi  a  Pietro  Monta- 
perto e  Valguarnera,  molto  trasmise  del  patrimonio  avito  in  casa  de'  Monta- 
perto. Laonde,  essendo  certo  per  altro,  che  pel  favore  dinanzi  accordatogli 
da  Pietro  Speciale  e  per  le  notevoli  opere  fatte  era  Domenico  a  tutt'  altri 
scultori  nella  casa  di  lui  preferito,  sembra  probabile  ,  che  da  ciò  abbia  egli 
potuto  altresì  venire  introdotto  appo  i  Montaperto,  quando  trattossi  di  por 
mano  al  lavoro  del  monumento  dell'  esimio  prelato.  Checché  però  ne  sia 
di  tale  opera,  che  ne'  posteriori  rinnovamenti  o  deturpamenti  del  duomo 
mazarese  fu  tolta  dal  suo  primitivo  sito  e  vandalicamente  scomposta,  ne  resta 
or  per  fortuna  1'  arca  sepolcrale  bellissima  in  bianco  marmo,  incastrata  in 
una  delle  laterali  pareti  della  prima  cappella  a  destra,  entrando  in  quel  tem- 
pio dalla  porta    maggiore.  Vi  si  vedono  in  fronte    scolpite  in  mezzano  ri- 


(*)  Pixai,  Sicilia  sacra.  Panormi,  MDCCXXXHI,  tomo  II,  pag.  852. 


C)2  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

lievo  sette  mezze  figurine  di  sommo  pregio,  alte  m.  0,30,  cioè  nel  centro 
un  Cristo  in  passione,  sporgente  a  mezza  vita  fuor  dell'avello,  com'era  al- 
lora costume  rappresentarlo,  ricorrendovi  a  destra  la  Madre  Addolorata,  il 
Battista  e  non  so  qual  santo  guerriero  con  una  spada  ed  un  globo  in  mano, 
ed  a  manca  S.  Pietro,  S.  Gerlando,  vescovo  di  Girgenti,  e  S.  Michele  Ar- 
cangelo con  le  bilance  ed  un  globo  nella  sinistra  e  un'  asta  nella  destra , 
figgendola  in  bocca  al  dragone.  Seguon  dall'una  e  dall'altra  banda  due  or- 
nati, che  sentono  il  primo  sviluppo  e  il  carattere  del  gaginesco  stile,  ed  ai 
due  angoli  dell'arca  due  scudi  con  le  armi  de'  Montape/to:  oltreché  poi  sul 
coperchio  si  vede  supina  al  naturale  sopra  una  coltre  l'effigie  del  morto  ve- 
scovo in  pontificali  divise ,  con  le  braccia  incrociate  sulla  vita  e  con  mitra 
in  testa ,  poggiata  su  due  guanciali  assai  riccamente  adorni ,  mentre  sul 
dinanzi  della  figura  nella  detta  coltre  si  legge:  a.0  dni.  m.°  ecce.0  lxxxv.0;  e 
nella  frangia  della  coltre  medesima  in  una  striscia  l'epitaffio  seguente: 

ANTISTES  FVERAM  CLARA  SELINVNTOS  IN  VRBE: 

AST  AGRAGAS  PATRIE  EST  NOMEN  HONORQVE  ME.E. 

NOMINE  ME  CVNCTI  WLGO  DIXERE  IOANNEM 
ET  MIHI  COGNOMEN  MONS  ADAPERTVS  ERAT. 

HOC  TANDEM  1VSSI  VIVENS  HJEC  OSSA  SEPVLCHRO 
CONDÌ:  MARMOREA  H.EC  STAT  BREVIS  ARCA  MIHI. 

Ponendo  intanto  in  riscontro  così  finte  sculture  della  cassa  sepolcrale  del 
Montaperto  con  quelle  dell'  altra  anzidetta  di  San  Gandolfo  in  Polizzi,  che 
è  autentica  opera  di  Domenico  Gagini,  non  si  può  a  meno,  a  mio  credere, 
di  scorgervi  l' arte  stessa  ed  indubbiamente  affermarle  dello  stesso  scal- 
pello. E  del  pari  che  nelle  mentovate  figurine  de'  Santi  in  fronte  dell'arca  vi 
ha  molta  eleganza  e  naturalezza  di  forme  nella  figura  giacente  sopra  il  co- 
perchio, la  quale,  comunque  assai  guasta  dal  tempo,  rende  uno  sviluppo  ed 
un  magistero  affatto  conforme  a  quello  di  chi  scolpiva  il  busto  dello  Spe- 
ciale in  Palermo  e  per  Salcmi  la  statua  del  San  Giuliano.  Affermano  inoltre, 
che  quel  deposito  nel  suo  primitivo  sito  nell'antica  cappella  di  Nostra  Donna 
del  Soccorso  non  era  limitato  alla  detta  cassa  sepolcrale  incastrata  al  muro, 
come  oggi  si  vede:  ma  avea  sontuoso  ornamento  da  un  baldacchino  o  non 
so  qual  decorazione  con  marmoree  colonne,  di  cui  facevan  parte  non  poche 
statuette  di  marmo  bianco,  che  poi,  scomposto  il  tutto,  furono  a  sproposito 
collocate  nell'esteriore  facciata  occidentale  del  duomo  stesso.  Quivi  pertanto 


NEI    SECOLI    XV    È    XVI.  GAP.    [[.  93 

sen  vedono  undici  oggigiorno,  delle  quali,  oltre  una  alquanto  più  grande  e 
figurante  il  Redentore,  ne  sono  alcune  di  vari  Santi  e  Sante,  alte  m.  0,90,  ed 
altre  alquanto  più  piccole  ,  alte  m.  0,80  ,  di  figure  simboliche  di  diverse 
Virtù  ,  fra  cui  una  della  Prudenza  si  vede  rappresentata  a  tre  teste  e  con 
serpe  in  mano.  Somma  corrispondenza  di  stile  e  di  artistico  magistero  al- 
tronde si  avverte  fra  le  eennate  statuine  e  le  descritte  sculture  del  sarcofago 
del  Montapcrto,  talché,  non  essendo  a  mettere  in  dubbio,  che  ancor  quelle 
una  volta  eran  poste  a  decoro  di  esso  ,  che  si  ha  ragione  a  credere  opera 
di  Domenico,  é  da  stimar  parimente,  che  da  lui  siano  state  scolpite.  Laonde 
ben  fu  agevole  ,  che  tutto  quel  gran  deposito  ,  della  cui  ricca  decorazione 
non  è  più  dato  oggigiorno  formarci  un'idea  precisa,  ma  di  cui  notevoli 
avanzi  rimangono,  sia  stato  una  delle  più  insigni  opere  da  lui  condotte  in 
tal  genere,  di  che  altronde  per  fermo  egli  ebbe  occasione  di  dare  non  pochi 
esempi  a  cominciar  dall'altro  forse  non  men  sontuoso  dello  Speciale  in  San 
Francesco  in  Palermo.  E  pure  di  suo  scalpello  è  molto  probabil  sia  inoltre 
nel  duomo  stesso  di  Mazara  una  statua  della  Madonna  del  Soccorso  con 
un  vago  bambino  poppante  ed  il  consueto  putto  rifugiato  a'  suoi  piedi,  la 
quale,  benché  oggi  posta  in  una  moderna  cappella,  non  era  che  certamente 
la  titolare  dell'antica,  dove  appunto  il  vescovo  Montaperto  fu  sontuosamente 
sepolto.  Sembra  quindi  sia  stata  scolpita  ad  un  tempo  che  quel  gran  mo- 
numento di  lui,  avendo  un  siffatto  tipo  d'ingenuità  di  sentimento  e  di  e- 
spressione,  che  molto  arieggia  le  sculture  di  quello  in  tale  sviluppo  di  mor- 
bidezza ed  eleganza  di  forme  da  mostrar  1'  arte  avviata  al  perfetto.  Simile 
tipo  inoltre,  pure  in  Mazara,  sull'altare  maggiore  della  chiesa  di  S.  Maria  di 
Gesù,  già  de'  Minori  Osservanti,  si  avverte  in  un'  altra  pregevole  statuetta 
di  una  Nostra  Donna  sedente  con  in  grembo  il  divin  pargolo  e  con  la  base 
storiata  della  Nascita  del  medesimo  e  di  altre  piccole  figure,  che  tutte  sentono 
il  far  di  Domenico  in  riscontro  agli  altri  sicuri  lavori  di  sua  mano  :  ed  è 
anzi  a  notare  non  poca  differenza  di  stile  fra  essa  ed  un  grande  altorilievo 
di  marmo,  che  di  altro  ignoto  scultore  esiste  ancora  nella  medesima  chiesa, 
posteriormente  scolpito  nel  1503,  rappresentando  la  Madre  di  Dio  sedente 
col  bambino  sulle  ginocchia  e  con  quattro  Santi  in  piedi  da'  lati,  cioè  forse 
S.  Pietro,  S.  Francesco,  S.  Antonio  di  Padova  e  S.  Bernardino  da  Siena, 
mentre  al  di  sotto  ricorrono  in  leggiadre  ed  ingenue  figurine  l'Annunziata  ed 
il  Gabriello,  ed  alle  estremità  due  tondi  con  bassirilievi  di  Adamo  ed  Eva» 


94  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


che  mangiano  il  pomo  finale  (').  Lo  stile  però  di  Domenico,  a  mio  giu- 
dizio ,  senton  pur  molto  probabilmente  altre  due  statue  di  Nostra  Donna 
in  piedi  col  bambino,  esistenti  in  Marsala,  l'ima  nella  chiesa  del  Car- 
mine, ov' è  pure  il  descritto  sarcofago  del  Grignano,  attribuito  allo  stesso 
artista,"  e  1'  altra  in  San  Francesco ,  già  de'  Conventuali ,  fregiatane  la  base 
di  una  corona  di  serafinetti  sul  fare  in  tutto  di  quelli,  ch'egli  usò  ne'  suoi 
marmi.  Molte  altre  di  simili  opere  del  resto,  sparse  dovunque  in  Sicilia,  sono 
per  avventura  di  suo  scalpello,  giacché  per  l'alta  rinomanza  da  lui  acqui- 
statavi su  tutti  gli  altri  contemporanei  scultori  incumbenze  in  gran  numero 
non  ebbero  mai  a  mancargli ,  e  specialmente  da  parte  di  quell'  opulente 
aristocrazia  feudale ,  con  cui  è  certo ,  eh'  egli  si  trovò  sempre  in  contatto. 
Non  sarebbe  pertanto  fuor  di  proposito  altresì  attribuirgli  il  ricco  sarcofago 
di  Giovanni  Branciforte,  morto  nel  147 1,  che  del  medesimo  stile,  ma  non 
curato  e  guasto,  vidi  nel  chiostro  dell'abolito  convento  del  Carmine  in  Maz- 
zarino ,  con  una  bella  figura  giacente  dell'  estinto  sopra  il  coperchio  e  con 
tre  tondi  con  figure  simboliche  in  fronte  :  ed  altrettanto  è  a  dire  dell'  altro 
sontuoso  deposito  di  Blasco  Barresi ,  che  dopo  la  morte  di  lui  ,  avvenuta 
nel  1476,  gli  eresse  Eleonora  sua  moglie  in  Santa  Maria  di  Militello  in  Val 
di  Noto,  con  l'effigie  pur  del  medesimo  al  naturale  al  di  sopra,  vestito  da 
guerriero  e  col  cane  a'  piedi.  Che  se  poi  voglia  credersi ,  che  Domenico 
Gagini  negli  ultimi  anni  della  sua  vita  quasi  abbia  superato  se  stesso  in 
un'  opera  di  alto  valore ,  che  vince  in  pregio  le  altre  a  lui  attribuite  ,  è 
ancor  da  sospettare  da  lui  condotta  la  bellissima  Nostra  Donna  con  in 
grembo  il  divin  figliuoletto  nella  chiesa  dell'abolito  convento  di  San  Dome- 
nico in  Castelvetrano.  È  questa  ,  a  mio  giudizio  ,  la  più  bella  e  pregevole 
statua,  che  di  cotal  soggetto  fin  qui  sia  nota  del  quattrocento  in  Sicilia;  ed 
è  certezza  da  chi  fu  ordinata  e  quando  ,  laddove  in  giro  (benché  non  del 
tutto  sia  dato  leggerla  nella  parte  posteriore)  ricorre  l'iscrizione  seguente  nel- 
l'estremità sottostante  della  base:  hec.  imago,  fieri,  eecit.  magnificus.  dns. 
ioanes.  ANTHON19.  taglavia.  d.  TLRR.  castr :  oltreché  in  fronte  alla  detta 


(  '  )  Non  è  facile  indovinarne  Io  scultore  senz'aleuti  lume  di  documenti  del  tempo.  Ma  dappiè  vi  si  legge 
in  due  righi  questa  iscrizione: 

ARAM  PROPK  TVE  DEI  PARENTI  SOLLEMNI  PRECE  VIRGIXI  DICATAM  XARRINIS  NICOLAVS  VRSVS  ORNAT. 
MATREM  VOS  MARIAM  BENIGN1TATIS  SANCTAM  SUPPLICITER  ROGATE  PROLEM  DIGNOS  VT  FACIAT  POLO 

[perenni,  m.d.iii  (sic). 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.    II.  95 


base,  eh 'e  ettagona,  nella  parte  superiore  si  legge:  mcccclxxxviiii  viii  INDC19. — 
beate  maria  de  lvritv  (sic).  Per  la  qual  cosa  'pur  ivi  un  bassorilievo  cen- 
trale in  piccole  dimensioni  rappresenta  la  Madre  di  Dio  in  piedi  col  divin 
figlio,  coronata  da  due  angioletti  entro  un  tempio,  il  qual  figura  la  santa  casa 
di  Loreto,  con  quattro  altri  angioletti  in  adorazione  da'  lati ,  mentre  di  poi 
dall'una  banda  e  dall'altra  sono  due  mezze  figurine  dell'Annunziata  e  del- 
l'angelo, e  in  seguito  due  stemmi  di  casa  Tagliavia,  e  dietro  ancora  tre  se- 
rafini. Sentono  intanto  si  pregiate  sculture  del  piedistallo  il  far  medesimo 
di  quelle  di  Domenico  nel  sempre  cennato  sepolcro  di  San  Gandolfo  in  Po- 
lizzi  ;  e  non  é  affatto  noto  del  resto  ,  che  altro  più  insigne  scultore  di  lui 
fosse  stato  allora  in  Sicilia  da  aver  potuto  con  tanta  bellezza  e  perfezione 
condurre  quell'  ammirabile  principal  simulacro,  eh'  é  ben  da  enumerare  frai 
capolavori  dell'  arte  in  quel  tempo.  Tanto  vi  ha  di  leggiadria,  d' ingenuità, 
di  sveltezza  e  di  esquisita  grazia  ed  eleganza,  così  ne'  volti  della  Diva  e  del 
pargolo,  come  nella  posa,  negli  atti,  ne'  contorni  e  nel  leggiadrissimo  gusto 
de'  panneggiamenti,  da  superare  in  merito  le  statue  di  egual  soggetto,  che 
si  sa  indi  il  sommo  genio  di  Antonello,  figliuol  di  Domenico,  aver  prima- 
mente in  sua  giovinezza  prodotte.  Laonde,  ammesso  che  veramente  questa 
sia  opera  di  quel  primo  de'  Gagini  in  Sicilia  (del  che  sciaguratamente  fin 
ora  non  é  certezza  per  manco  di  documenti),  è  da  stimare,  eh'  egli  abbia 
lasciato  l'arte  in  maggior  grado  di  perfezione  e  di  sviluppo  di  quello,  donde 
poi  cominciò  il  figlio  la  sua  insigne  carriera. 

Passando  a  far  ricerche  intorno  alla  famiglia  di  Domenico,  rilevasi  che 
egli  ebbe  una  prima  moglie  di  nome  Soprana  de'  Savignone,  probabilmente 
da  Carini,  dalla  quale  fra  il  1469  e  il  70  gli  nacque  un  Giovanni  o  Gio- 
vannello  ,  e  che ,  mortagli  quella ,  tolse  in  seconde  nozze  una  Caterina ,  di 
cui  s' ignora  il  casato  e  che  il  rese  padre  di  Antonello  (il  sommo  scultore), 
di  una  Lucia  e  di  un  altro,  della  cui  morte  pare  trovarsi  nota  a  18  no- 
vembre del  1487  ne'  libri  della  parrocchia  di  San  Giacomo  la  Marina  in 
Palermo  (J).  Indi  altresì  vien  chiaro,  che  quel  Giovanni  primogenito,  già 
pervenuto  in  età  maggiore  di  diciotto  anni,  fu  emancipato  dal  padre,  come 
era  costume,  addì  5  gennaio  VII  ind.   1488  (1489)  (2),  ed  anche  sotto  tal 


(  «  )  Quivi  si  legge  nel  libro  degli  anni  1486-92,  a  fog.  30:  Ali  xviij  (novembre  IV  ind.  1487),  dominica. 
'P,r  sepelliri  hi  fighi  di  m."  Miniai  lu  marmuraru,  sepultu  a  Sanctu  Jacubu,  cera  rot.  j. 

(J)  Eodem  v.°  januarii  vijj  ind.  CM.°  ecce."  Ixxxviij."  (1489).  Magistcr  Tìominicus  de  Gaginis,  e.  p.,  presens 

14 


96  1    GAGINI    li    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

data  ratificò  ed  accettò  da  sua  parte  il  contratto  di  matrimonio  poco  pria 
celebrato  fra  Lucia  sua  sorella  ed  un  Gaspare  Sirio  di  Piemonte  (').  Av- 
venne anzi,  che  poco  dopo,  a  12  di  settembre  del  1489,10  stesso  Giovanni, 
benché  sano  di  mente  e  di  corpo  ,  fece  (e  s'  ignora  a  qual  fine)  suo  te- 
stamento in  Palermo,  nel  quale  istitui  erede  universale  in  tutti  i  suoi  beni 
il  convento  di  San  Domenico,  nella  cui  chiesa  voleva  esser  sepolto,  ed  anco 
erede  particolare  suo  padre  in  una  sola  clamide  di  panno  da  gramaglia , 
oltreché  il  fece  suo  fedecommessario  (2).  Sembra  però,  che  il  detto  testa- 
mento non  abbia  indi  più  avuto  vigore  alcuno,  laddove  é  un  altro  pubblico 
strumento  in  Palermo  in  data  del  13  di  novembre  del  seguente  anno  1490, 
per  cui  quel  Giovanni  medesimo ,  in  argomento  di  amore  e  di  gratitudine- 
verso  i  suoi  zìi  materni,  quali  erano  un  prete  Michele  di  Savignone,  allora 
arciprete  di  Carini,  una  Battistina,  consorte  di  un  Filippo  di  San  Filippo,  ed 
una  Tommasina,  sorelle,  fé'  loro  donazione  irrevocabile  di  tutti  i  diritti  e 
ragioni  a  lui  competenti  su'  beni  ereditari  dell'estinta  sua  madre  Soprana  e 


coram  nobis,  sponte  sollemniter  emancipava  et  a  patemis  nexlbus  exemit  et  liberavit  Johannem,  ri  in  fili  tini  legi- 
timum  et  naturalein ,  mayorrm  annis  xviij.0,  presentati  et  stipulantem ,  ita  quod  de  cetero  Johannes  ipse  possi!  et 
valeat  contrahere,  testavi ,  causare  et  omnia  alia  et  s'iugula  proinde  facere ,  que  quomoàolibet  paterfamilias  jacere 
potest  et  debet.  Et  in  premium  diete  emancipationis  idem  magister  Dominicus  dare  promisit  dicto  filio  suo  rqum 
unum  ad  omnem  dicti  filli  sui  requisicionem,  precii  unciarum  quatuor.  Sub  ypotheca,  rtc. — Dal  registro  di  num. 
1160  bis  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.   1488-91,  ind.  VII-IX,  nell'i.rchivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  '  )  Die  predicto  v.'  januarii  vt'jJ  ind.  ciusdem.  Cum  contractum  fuerit  matrimonium  inter  Luciam,  puellam 
virginem,  fili  ani  hgitimam  et  naturalem  hon.  magistri  'Dominici  de  Gaginis  et  Catharine  mulieris,  jugalium,  spon- 
sam  ex  una  parte,  et  egregium  Gasparem  Sirium  de  "Pedemonciuni ,  sponsum  ex  altera,  cuius  quidem  matrimonii 
contemplacione  et  decoracione  predicti  m.r  Dominicus  et  Catharìna  jugales  promiserunt  in  dotem,  prò  dote  et  dotis 
nomine  eidem  sponso  certas  dotes  juxta  formani  cuiusdam  contractus  celebrati  marni  mei  notarli  infrascripti,  il 
promiseriut  dicti  jugales  de  rato  prò  Johannello,  filio  dicti  magistri  Dominici  et  quondam  hon.  Suprane,  eius  prime 
uxoris,  juxta  fortnam  dicti  contractus  matrimonii,  lune  est  quod  hodie,  pretitulato  die,  ledo  tenore  dicti  contractus 
matrimonii  et  loto  eo,  quod  continetur  in  eo,  dicto  Johannello,  presenti  et  audienti,  prediclus  Johannellus,  presens 
corani  nobis,  sponte,  tamquam  emancipatus,  ipsam  noìam  et  siugula  in  ed  contenta  ratificavi!,  acceptavit  et  confir- 
mavlt  ac  ratificai,  acceptat  et  confirmat  predicto  sponso  presenti  et  stipulanti.  Sub  ypotheca,  rtc.  —  Dal  citato  re- 
gistro di  num.  1160  bis  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1488-91,  ind.  VII-IX,  nel  detto  archivio.  Ed  in  data 
medesima  vi  segue  un  atto  di  vendita  di  rendite  e  proventi  di  once  tre  annuali  (1.  38.25),  fatta  da  maestro 
Domenico  de'  Gagini  a  Gaspare  Sirio  suo  genero  pel  prezzo  di  once  trenta  (1.  382.50),  rilasciategli  dallo 
stesso  Gagini  prò  substentacionc  et  alimonia  domus  eius  et  familie.  Del  die  si  ha  pure  conferma  da  parte  di 
Giovannello. 

( 2  )  Die  xij.°  seplembris  vii}.'  ind.  M.°  ecce.0  Ixxxviiij."  Dìscretus  Johannes  de  Gaginis,  filius  legitimus  et  na- 
turali* honorabilis  magistri  'Dominici  de  Gaginis  et  quondam  houorabilis   Suprane,  olim  jugalium ,  presens  coram 

nobis ,    sanus  mente  et  corpore  et  sue  raciouis  compos  existens,  suum  presens  nuucupativum  condidit  testar 

mentimi,  etc.  —  Dal  citato  registro  di  num.   1160  bis,  di  notar  Giacomo  Randisi  nel  detto  archivio. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.    II.  97 


su  quelli  del  vivente  suo  genitore  (').  Perlochè  segue  poi  documento  di 
un  amichevole  arbitrato  ,  cui  si  die  luogo  in  data  del  18  dicembre  dello 
stcss'anno,  per  dirimere  una  questione  insorta  fra  il  detto  Giovanni  e  suo 
padre  Domenico  e  suo  cognato  Gaspare  Sirio  per  differenza  d'interessi  fra 
loro  a  cagione  de'  dritti  del  primo  all'eredità  de'  materni  averi  (2).  Ed 
ancor  viveva  intanto  Domenico,  del  quale  inoltre  é  contezza  in  un  atto  dato 
in  Palermo  a  24  d'ottobre  del  1491,  ond'egli  ed  insieme  Giovanni  suo  figlio 
e  l'altro  figlio  minorenne  Antonello,  di  già  in  età  da'  tredici  a'  quattordici 
anni  (entrambi  essi  figli  autorizzati  dal  padre) ,  in  solido  confessarono  un 
loro  debito  di  once  cinquanta  (1.  637.50)  inverso  del  nobile  Antonello  della 
Rocca,  messinese,  per  altrettanta  somma  ,  che  ne  avean  ricevuto  in  mutuo 
gratuito  e  scevra  di  ogni  frutto  dal  banco  di  Battista  Lambardo  ,  e  che  si 
obbligavan  pagargli  in  Palermo  di  lì  alla  Pasqua  vegnente.  Risulta  dall'atto 
stesso,  che  cotal  debito  avevan  essi  contratto  per  poter  pagare  il  magnifico 
Alferio  di  Leofante   per   un    cotal    canone  di  case   dovuto  al  magnifico  Nic- 


(  1  )  Die  xiij."  novembri*  viiijJ  ina.  a.  D.  I.  M.°  CCCC.°  LXXXX.  Joannes  de  Gaginis,  maior  et  pubefaclus  ac 
(inawcipatus,  ut  dìxit,  tenore  contractus  de  dieta  emanc<  pacione  celebrati  manti  egregi!  notarii  Jacobi  de  cRjiiidisio 
die  eie,  civis  felicis  urbis  Panhormi ,  corani  nobis ,  considerans  et  actendens  ad  amareni  innatnm ,  quein  gtssit  et 
gerit  erga  honestum  presbilerum  Michaelcm  de  Savignono,  archipresbiterum  terre  Careni,  eius  avunculum,  et  nobi- 
lem  Bactistinam,  uxorem  nobilis  Philippi  de  Santo  Philippo,  et  bonorabilem  Thomasinam,  sorores,  matcrteras  dicli 
Joannis ,  ncc  niiuus  et  ad  grata  servicia  sibi  prestila  per  dietimi  presbiterum  Michaehm  et  dictas  Bactistinam  et 
Tinnì asiu ani,  et  que  prestant  ad  presens  et  prestabuut  in  antea,  dante  Domino  gracid,  nolens  ea  irremunerata  per- 
transire,  sed  condignis  relribucionibus  respondere,  cimi  ex  justicia  naturali  procedat  ut  bene/actoribus  benefiat,  do- 
nacione  mera,  pura,  simplici  et  irrevocabili  Inter  vivos,  servatis  priits  infrascriptis  hgibus  et  coudicionibus  et  non 
aliter  nec  alio  modo,  per  se  et  suos  heredes  et  successores  in  perpetuimi,  donavi t,  dedit,  cessit ,  transtulìt  et  man- 
davit  et  traddidit  diclis  eius  avunculo  et  materleris,  scilicet  dicto  eius  avunculo  presenti  et  stipulanti  prò  se  suisque 
heredibus  et  successoribus  in  perpetuum,  et  mibi  notarlo,  proprio  officio  meo  publico  stipulanti  ....  prò  diclis  eius 
materleris  absentibus  et  earum  heredibus  et  successoribus,  omnia  et  singula  jura  omnesque  actiones,  reoles,  persona- 
les,  utiles,  directas,  mixtas ,  tacitas  et  expressas,  pretorias  et  civiles ,  ypotecarias  et  alias  quascumque ,  que  et  quas 
dictus  donator  habuit,  habebat  et  habet  ac  potest  eius  parte  hàbere  et  que  sibi  competunt,  competebant  et  competere 
possunt  in  illis  bonis  mobilibus  et  immobilibus  ac  juribus  censualibus  debitis  dicto  donatori  jure  successionis  quondam 
Suprane,  olim  uxoris  magistri  'Dominici  de  Gaginis,  matris  dicti  donatoris,  et  successionis  dicti  magistri  Dominici 
eius  patris,  ac  legitime  et  supplimenti  legitime  ....,  et  alio  quocumque  jure  super  bonis  d'idi  magistri  "Dominici  ...., 
ubique  existentibus  et  melius  apparentibus,  tatti  in  hoc  regno  Sicilie,  quam  alibi  et  ubique  locorum,  etc.  Testes:  ho- 
nestus  presbiter  Manfridus  de  Scactareina,  Jacobus  de  Joanne  et  Garganella  de  Silvestro.  —  Dal  volume  di  nu- 
mero 17 51  de'  registri  di  notar  Matteo  Fallerà,  an.  I49Q-91»  mdiz-  IX>  f°g-  23°  e  seS->  nell'archivio  dei 
notai  defunti  in  Palermo.  Ed  ivi  segue  in  data  del  ié  dello  stesso  novembre,  a  fog.  241,  una  procura  di 
Giovanni  Gagini  in  favore  dell'arciprete  Michele  di  Savignone,  suo  zio,  per  la  riscossione  di  tutti  i  suoi  cre- 
diti e  per  aver  cura  di  tutti  gl'interessi  di  sua  spettanza. 

(  2  )  Die  xviij.'  mcnsis  decembris  none  ind.'  1490,  Cimi  verteretur  questio,  extra  tamen  judicium,  inter  Johan- 


98  I    GAGIN'I    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 


colò  di  Sabia ,  e  che  fors'  anco  si  riferiva  a'  possessi  di  Domenico  e  dei 
suoi  figli  (J).  Ma  di  Giovanni  in  seguito  non  più  si  trova  ricordo  ;  e  del 
lombardo  scultore  poi  non  rimane  altra  notizia  se  non  della  morte,  che 
senza  fililo  é  da  stimare  avvenuta  in  Palermo  dal  29  al  30  settembre  del 
1492.  Imperocché  fra'  libri  della  cennata  parrocchia  di  San  Giacomo  la  Ma- 
rina,  nel  quaderno  degli  anni  1491  a  95,  dov'era  uso  notare  checché  si 
ricavava  di  frutti  da'  battesimi,  sponsali  e  morti  del  distretto,  trovo  la  nota 


nati,  filium  legitimum  et  naluralem  magistri  Dominici  de  Gaginis  ex  primo  matrimonio,  emancipatimi  et  a  patria 
potestaìe  et  palernis  nexibus  liberatimi,  et  dietimi  magislrum  'Dominicum  eius  patrem,  nec  non  Gasparem  Sirium, 
....  prò  eius  interesse,  generimi  ciusdem  magistri  "Dominici  et  cogitatimi  eiusdem  lohannis  :  peteret  namque  dictus 
Johannes  dicto  eius  patri  duas  integras  partes  omnium  honorum  dicti  magistri  'Dominici,  imam  sihi  debitam  jure 
nature  et  alteram  successionis  diete  quondam  sue  matris,  prime  conjugis  eiusdem  magistri  'Dominici;  que  bona  as- 
serti post  obitum  et  in  obitu  diete  quondam  sue  matris  remansisse  comunia  apud  dicium  magislrum  'Dominicum 
eius  patrem,  non  obstante  forte  jure  allegando  per  dietimi  Gasparem,  et  per  consequens  eumdem  Gasparem  Sirium, 
eius  cogitatimi,  non  debere  in  eiusdem  Johannis  prejudicium  consequi  et  hàbere  super  dictis  bonis  comunibus  inter 
dietimi  magistrum  Dominicum  et  prefatum  Johauuem  uncias  duccntas  vigore  contractuum  dotis  et  subjugacionum 
faciarum  dicto  Gaspari,  et  fructus  carimi,  supra  dictis  bonis  comunibus  modo  et  lune  existentibus  cimi  sccundo  ma- 
trimonio et  primo,  nec  non  benefacta  facta  in  dictis  bonis  comunibus,  et  aliis  raciouibus  et  causis  die  sua  dedti- 
cendis  et  allegaudis  :  adversum  quam  peticìonem  dictus  magister  'Dominicus  dixit  et  dicit  erga  eamdem  peticio- 
nan  per  dietimi  Johannem  factam  non  debere  consequi  diclas  duas  partes,  min  sit  quod  eo  tempore ,  quo  fuit 
mortila  dieta  quondam  eius  uxor,  water  dicti  Johannis,  nulla  extabant  bona  comunia,  que  essent  dicti  Johannis, 
nec  non  eius  matris  et  dicti  magistri  Dominici,  cimi  debita,    que  erant  tunc ,    videliect  in  morte  et  ante  mortem 

diete  quondam  eius  uxoris,  ascendebant  ultra  bona,  que  tunc  deinoslrabant  et  apparebant :  et  adversus  quas  pe- 

ticiones,  hiuc  inde  factas,  seti  facicndas,  prefatus  Gaspar  Sirius  excipieudo  alleget  et  dicat ,  prò  suo  interesse  com- 
ponendo, quod  primo  et  ante  omnia  quam   fatti  lille   porciones  inter   eumdem  magistrum  'Dominicum  et  Johannem 

eius  filium,  se  recepturum  super  dictis  bonis  comunibus  uncias  ducentas  cimi   fructibus  :  et  nolentes  diete  partes 

judicium  lunare  (corr.  inire),  tea  mite  et  benigne  se  gerere,  ut  decet  fratres  et  filios,  sollempni  ad  hec  ami- 

Corum  comunium  interveniente  tradotti,  presentes  corani  nobis,  dictas  eorum  lites  et  controversias  ....  sponte  et  sol- 

lemniter  compromisertint  et  compromittunt  atque  consenserunt  et  consenciunt  tamquam    in  eorum  arbitros  ar- 

hilratores,  amicabiles  compositores  et  comunes  amicos,  etc.  —  Dal  volume  di  minute  di  numero  1192  di  notar 
Pietro  Tagliarne,  an.  1479-92,  ind.  XII-X  ,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  Vi  mancano  però  i 
nomi  degli  arbitri,  a'  quali  il  dettò  accordo  venne  affidato. 

(  '  )  Die  xxiiij.'1  mcnsis  octobris  x.c  ind.  1491.  3/(ag.r  Dominicus  Gaginis  et  Joannes,  eius  filitis,  et  Anlonellus, 
alius  filius  etatis  annorum  xiij  in  xiiij ,  ut  suo  nobis  monslravit  aspectu,  dictis  duobus  filiis  suis  auctorìxatis  a 
dicto  eorum  patre,  presentes  corani  nobis,  in  solidum  confessi  suut  teneri  et  dare  debere  nobili  Antonello  de  la  Rocca 
de  nobili  civitate  ^Cessane,  presenti  et  stipulanti,  uncias  quinquaginta.  Et  sunt  pio  illis  habitis  per  eos  et  receptis 
ex  causa  et  nomine  mutui,  gratis,  precibus  et  amore,  mundis  et  nudis  ab  orniti  fenore,  per  battami  Abbattiste  Lam- 
bardi,  renunciantes  ad  invicem  exceptioni,  etc.  Quas  prefati  pater  et  fili  solvere  debent  magnifico  ^ilferio  de  Leo- 
phante  prò  canone  domorum  debito  prò  eo  magnìfico  IsLicolao  de  Sabia.  Quod  debitum  totum  solvere  promiserunt 
elicti  pater  et  filii  in  solidum  eidem  creditori  presenti  et  stipulanti,  aut  persone  legitime  prò  eo,  hic  Pauormi,  per 
totum  f estimi  Pasce  Resurrexionis  domìni  nostri  Jesti  Christi ,  proxime  venientis  anni  presentis ,  etc. —  Testes  : 
"RJccardus  Xoar,  Laurencius  Dominicus  marmorarius  et  Brachius  'Bondelmonte.  ■ —  Ex  actis  mei  notharii  Petri  Ta- 
rlanti de  Panormo.  Coli,  salva.  —  Dal  volume  di  minute  di  num.  1192  del  detto  notaio,  an.  1479-92,  ind. 
XII-X,  nel  cennato  archivio. 


NEI    SECOLI   XV    E    XVI.   CAP.  II.  99 


seguente  in  data  del  29  settembre  XI  indiz.  1492,  a  fog.  4:  Eocìcm.  -f  Pri 
ultori  a  mastra  Dominicu  marmoraru  tari  —  grani  iy.  E  subito  dopo  nel  dietro 
del  foglio  stesso  :  Ultimo  (intendi  ultimo  giorno  del  mese).  Tri  sipilliri  a 
mastru  Dominicu  marmurarii ,  scpiiltu  a  S.  Franchiseli,  benché  senz' alcuna  in- 
dicazione di  quanto  ne  fu  ricavato.  Laonde  é  evidente,  che  egli,  essendo 
già  negli  estremi  della  sua  vita ,  fu  unto  del  sacro  olio  de'  moribondi  il 
di  29  di  settembre,  e,  morto  di  li  a  poco,  venne  deposto  il  di  appresso  nella 
chiesa  del  convento  di  San  Francesco,  dov'era  già  stabilita  per  fermo  la  cap- 
pella dell'  arte  de'  marmorai  o  scultori ,  del  titolo  de'  Santi  Quattro  Co- 
ronati, e  in  cui  avean  essi  comune  lor  sepoltura.  Ne  può  sospettarsi,  che 
d'  altro  marmoraio  omonimo  in  quella  nota  sia  cenno  ,  anziché  di  Dome- 
nico Gagini,  laddove,  benché  ivi  per  incuria  de'  tempi  non  venga  espresso 
il  cognome ,  non  è  altronde  alcun  menomo  indizio ,  che  altro  maestro  di 
quell'  arte  sia  stato  allora  in  Palermo  del  nome  stesso  ,  e  toglie  del  resto 
ogni  equivoco  il  sito  medesimo  della  casa,  che  appartenne  al  nostro  scul- 
tore, contigua  al  Ternana  e  presso  la  beveratura  della  marina,  cioè  compresa 
nell'ambito  della  parrocchia  di  San  Giacomo,  ne'  cui  libri  appunto  é  nota 
della  sua  fine. 

Cosi  mancava  alla  Sicilia  il  più  grande  scultore,  di  cui  essa  potè  me- 
nar vanto  su  tutti  gli  altri  venuti  dalla  penisola  nella  seconda  metà  dell'aureo 
quattrocento.  Pure  i  buoni  germi  ognor  meglio  attecchivano  ;  e  benché  , 
morto  Domenico  ,  tardasse  ancor  qualche  tempo  a  svilupparsi  ed  estollersi 
il  sommo  genio  del  figlio,  non  fu  intanto  difetto  di  abili  artefici,  che  l'arte 
seguirono  a  mantenere  nel  dritto  sentiero  ,  ond'  essa  dovea  tosto  levarsi  a 
somma  eccellenza.  Imperocché  tuttavia  degli  anni  posteriori  alla  morte  del 
valoroso  Lombardo,  nell'  ultimo  decennio  di  quel  secolo  e  nel  primo  sor- 
gere del  seguente,  rimangon  lavori  cosi  pregevoli  di  scalpello  e  non  di  rado 
condotti  con  si  buono  stile  e  con  tale  perfezione  ,  da  mostrar  veramente , 
che  altri  ancor  rimanessero  in  pieno  esercizio  della  scultura ,  coltivandola 
con  decoro  ed  affrettandone  il  più  grande  sviluppo.  Ne  dà  prova,  per  cennar 
solo  qualcuna  di  tante  opere,  il  bel  sepolcro  di  una  giovinetta  Sicilia  (Ce- 
cilia) d'  Aprile,  morta  nel  1495,  con  la  figura  di  lei  sul  coperchio,  qual  era 
pria  in  S.  Agostino  ed  ora  si  vede  nel  pubblico  museo  di  Palermo,  ed  ancor 
meglio  in  San  Francesco  l'altro  bellissimo  di  Elisabetta  Amodea,  mancata  ai 
vivi  nel  1498,  e  che  pur  vi  si  vede  al  di  sopra  giacente  siccome  presa  dal 


IOO  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


sopore  dell'innocenza,  oltre  a  molta  ricchezza  di  bassirilievi  con  figurine  di 
Nostra  Donna  e  di  due  angeli  e  con  leggiadrissimi  ornati  ,  condotti  con 
somma  eleganza  e  con  preziosità  senza  pari.  Pregevoli  ancor  molto  son  le 
sculture  egualmente  in  bassorilievo,  ond'  è  decorata  la  porta  maggiore  della 
chiesa  dell'abolito  convento  di  S.  Maria  di  Gesù  presso  Palermo,  con  due  pi- 
lastrini storiati  de'  dodici  apostoli,  ciascun  de'  quali  reca  in  mano  un  motto 
del  simbolo,  e  nell'architrave  retto  una  mezza  figura  di  Cristo  benedicente  fra 
quattro  angeli  genuflessi  e  due  stemmi:  lavori,  che  per  purezza  di  forme  ed  in- 
genuità di  esecuzione  sarebbero  a  sospettare  eseguiti  da  Domenico,  se  non  vi 
ostasse  il  francescano  cronista  Tognoletto,  recando  in  vece  notizia,  che  furon 
fatti  scolpire  dal  nobile  Gaspare  Bonet  nel  1495  (!).  Notevole  non  meno  per 
bellezza  di  sacra  espressione  e  per  1'  ammirabile  magistero,  ond'  è  condotta,  è 
inoltre  una  statua  in  marmo  di  Nostra  Donna,  dappiè  al  di  dietro  segnata 
dell'anno  1497  (benché  in  caratteri  posteriori  a  quel  tempo),  quale  si  am- 
mira nell'  oratorio  della  confraternita  di  S.  Barbara,  contiguo  alla  chiesa  di 
S.  Francesco  nella  terra  di  Naro  :  oltreché  in  altre  opere  di  simil  pregio  e 
di  sorprendente  sviluppo,  appunto  di  quegli  anni,  é  dato  sovente  imbattersi 
in  molti  luoghi  dell'  isola,  le  quali  apertamente  rivelano  il  merito  non  or- 
dinario de'  vari  ignoti  o  indeterminati  scalpelli.  Fra  questi  furono  al  certo 
alcuni  degli  artefici,  de'  quali  di  sopra  é  discorso,  cioè  quelli,  di  cui  è  noto, 
che  a  Domenico  sopravvissero  ,  siccome  Pietro  di  Bontate,  Gabriel  di  Bat- 
tista, Andrea  Mancino,  Giorgio  di  Milano,  Andrea  di  Curso  ed  anche  quel- 
l'Antonio Vanello,  che  soprattutto  ebbe  a  valer  negli  ornati.  Può  anzi  sospet- 
tarsi, che  fra'  più  pregevoli  marmi,  che  ammiriam  dello  scorcio  di  quel  secolo, 
pure  ignorando  la  mano,  che  li  scolpiva,  alcuni  non  sieno  che  le  primizie 
del  genio  dello  stesso  Antonello  Gagini,  del  tempo  cioè ,  che  precedette  il 
suo  passaggio  in  Messina,  giacché  fu  pur  mestieri  che  qualche  cosa  egli  a- 
vesse  fatto  insin  da'  suoi  più  verdi  anni  in  Palermo  sua  patria,  nato  com'era 
all'  arte  e  dotato  di  tanta  fecondità  e  di  tanto  fervor  d' intelletto  :  ma  non 
se  n'  ha  certezza  alcuna  da  documenti.  Risulta  in  vece  ad  evidenza  ,  che  , 
innanzi  al  ritorno  in  patria  del  grande  artefice  ,  altri  scultori ,  oltre  a'  già 
mentovati,  vivevano  e  fiorivano  in  Palermo  sin  da'  primi  anni  del  cinque- 
cento, cssendovisi  altresì  trasferiti  dalla  penisola,  e  specialmente  da  Carrara 


('  )  "Paradiso  serafico  del  fertilissimo  regno  di  Sicilia  ....  parte  prima.  Palermo,  1667,  lib.  II,  cap.  XI,  p.  126. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  II.  IOI 


e  d'altri  luoghi  della  provincia  di  Massa,  donde  in  ragione  delle  ricchis- 
sime cave  de'  marmi  statuari,  che  da'  più  antichi  tempi  vi  si  lavorano  e  si 
trasportano  a'  lidi  più  remoti,  usciron  sempre  non  solo  squadratori  e  scar- 
pellatori,  ma  eziandio  bravi  artisti,  che  non  men  de'  Lombardi  trasmigra- 
rono e  si  sparsero  ovunque.  Né  potea  mancar  che  in  quel  tempo  ne  ve- 
nissero ancora  in  Sicilia,  giacché,  destatasi  in  essa  una  si  grande  operosità 
nelle  arti  e  specialmente  nella  scultura,  fu  d'uopo  appunto  di  un  commercio 
attivissimo  con  Carrara  e  con  quelle  parti  della  toscana  regione,  dove  ge- 
neralmente si  commettevano  i  marmi  ;  e  quindi  co'  marmi  stessi  venivan 
quelli  a  fermarvi  soggiorno ,  trattivi  da'  vantaggi  e  dagli  onori ,  che  v'  in- 
contravano dalla  siciliana  magnificenza.  Fra  costoro  intanto,  di  cui  molti  non 
furono  che  scarpellini  ed  aiuti,  più  si  distinsero  come  scultori  di  maggior 
merito  e  rinomanza  Giuliano  Mancino  e  Bartolomeo  Berrcttaro,  che  sin  dai 
primi  anni  del  sestodecimo  secolo  troviamo  a  primeggiare  neh"  arte  in  Pa- 
lermo, priachè  il  sovrano  genio  del  giovine  Gagini  fosse  venuto  ad  eccl is- 
sarne la  fama.  Con  essi  F  influenza  della  toscana  scultura  potè  meglio  in 
Sicilia  congiungersi  a  quella  dell'arte  lombarda,  che  già  con  Domenico  ed  i 
suoi  da  più  tempo  vi  si  era  introdotta ,  e  cosi  in  tanto  fervor  di  sviluppo 
e  in  si  continuo  sopraggiunger  di  artefici  sempre  più  preparavasi  il  campo 
a  maggiore  perfezione. 


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CAPITOLO  III. 


GIULIANO    MANCINO    E    BARTOLOMEO  BERRETTARO. 


'ignora  se  Giuliano,  comunemente  in  Sicilia  cognominato 
Manchino  nelle  scritture  contemporanee,  sia  stato  della  stessa 
famiglia  di  un  fabbricatore  Enrico  de  Manchino,  che  murava  in 
Palermo  nel  1460  ('  ),  ovvero  di  quell'altro  Andrea  Mangino  0  Manchino,  che  in- 
sieme a  Gabriel  di  Battista  è  detto  oriundo  lombardo  in  un  atto  recato  di  so- 
pra in  data  di  Palermo  del  1488,  e  che  poi  si  obbligò  scolpire  le  figure  in 
marmo  della  Natività  di  Cristo  per  la  confraternita  dell'Annunziata  in  Termini 
Imerese  nel  1495.  Par  cert0  però,  che  Giuliano  medesimo  non  fosse  stato  che 
carrarese  di  origine,  comunque  poi  pel  lungo  soggiorno  sia  detto  ne'  pub- 


(■)  Die  v."  eiusdem  mensis  marcii  (Vili  ind.  1459)  (1460).  fMagister  Henricus  de  Manchino,  fabricator , 
e.  p.,  preseti*  corani  nobis,  spontc  promisit  et  se  sollemniter  óbligavìt  nobili  domino  Leonardo  de  Lampiso,  legum 
doctori,  presenti  et  stipulanti  ab  eo,  fabricare  bene  et  niagistrabiliter,  sine  impcricia,  circuiti  circa  totum  eius  locum 
sitimi  in  contrata  Porte  Thermarum  diete  urbis,  totum  ilhtd  mar  anima  necessarium  in  dicto  loco,  etc.  —  Dal  re- 
gistro di  num.  11 52  di  notar  Giacomo  Randisi,  an.  1459-63,  ind.  VIII-XI,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in 
Palermo. 

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104  l    GAGINI    E    LA   SCULTURA   IN   SICILIA 

blici  atti  cittadino  palermitano,  tranne  che  solo  in  qualcuno,  in  cui  di  unita 
al  Berrettaro  è  detto  in  vece  dimorante  in  Palermo.  Ed  ivi  essendo  egli  già 
stabilito  da  più  tempo,  durava  intanto  in  Carrara  una  parte  di  sua  famiglia, 
avendosi  contezza  nel  1 5 1 1  di  un  Zanpauìo  ci  Mancino,  altrimenti  appellato 
di  Cagione  o  Casone,  che  colà  possedeva  una  cava  al  Polvaccio,  donde  ca- 
varonsi  marmi  per  conto  del  Buonarroti,  cui  poscia  continuò  ad  apprestarne 
per  vari  anni  Bartolomeo  Mancino  da  Torano,  figliuol  del  detto  Giampaolo, 
siccome  da  contemporanei  documenti  apparisce  (').  Ciò,  che  poi  sul  conto 
di  Giuliano  suddetto  non  può  cadere  in  dubbio  si  è  (siccome  appare  dal 
suo  testamento  e  da  altri  pubblici  atti,  che  lo  riguardano),  ch'egli  era  nato 
da  un  tal  Simone,  il  quale  ebbe  stanza  e  possessi  in  Carrara  e  non  meno 
in  Sicilia,  rimasti  poscia  in  sua  morte  al  figliuolo,  e  che  costui,  già  stabi- 
lito in  Palermo,  vi  ebbe  in  moglie  una  Jacopella,  figlia  dello  scultore  Gabriele 
di  Battista,  sposata  da  lui  certamente  dinanzi  al  6  dicembre  del  1504,  cioè 
a  quando  ne'  libri  della  parrocchia  di  S.  Niccolò  la  Kalsa  trovasi  nota  del 
battesimo  di  un  suo  figlio  (2):  oltreché  poi  pel  detto  suo  testamento,  mo- 
rendo ,  dispose  ,  che  in  caso  di  morte  de'  suoi  figliuoli  avessero  a  succe- 
dergli i  più  prossimi  suoi  consanguinei  ,  dimoranti  nel  Castel  di  Carrara, 
come  vedremo.  Dal  che  maggiormente  si  prova  com'egli  ne  fosse  oriundo. 
Ma  importa  qui  rilevar  soprattutto ,  che  in  molta  dimestichezza  e  co- 
munanza di  lavori  e  interessi  fu  a  lungo  il  Mancino  con  Bartolomeo  Ber- 
rettaro o  Berrettari,  altro  scultore,  che  allor  viveva  in  Sicilia,  e  che  pur  di 
Carrara  è  stimato  dal  Campori,  stando  alle  molte  carte  de'  carraresi  archivi, 
dov'è  spesso  menzione  di  gente  di  tal  cognome  (>):  onde  si  nota  del  valente 
carrarese  scultore  ed  architetto  Alberto  Maffioli,  che  nella  seconda  metà  del. 
quintodecimo  secolo  scolpi  in  società  col  suo  compaesano  Melchiore  del  fu 
Giacomo  Berettari  varie  statue  ed  ornati  pel  duomo  di  Cremona  (4)  ,  e 
parimente  più  tardi  è  ricordo  di  un  Piero  Urbano  da  Pistoia,  che,  comprata 


(  '  )  Vedi  Le  lettere  di  Michelangelo  Buonarroti  pubblicate  coi  ricordi  ed  ì  contraiti  artistici  per  cura 
di  Gaetano  Milanesi.  In  Firenze,  M.  DCCC.  LXXV,  pag.  564,  572,  633,  654,  658,  664,  666,  668,  ce. 

(2)  Si  legge  ivi  nel   libro    degli   anni  1504  a   1507:  Die  vj.'  decenbris   vii/.'  ini.  Per  batti\ari  hi  fighi  di 
luastru  J aliami  Manchimi,  gr.  x. 

(3)  Memorie  biografiche  degli  scultori,  architetti,  pittori,  ce,  nativi  di  Carrara  e  di  altri  luoghi  della  pro- 
vincia di  Massa.  Modena,    1873,  pag.  26. 

(()  Andrei  (Pietro),    Sopra    Domenico   Fancelli  fiorentino  e  Bartolomeo    Ordogne^  spaglinolo  e  sopra    altri 
artisti  loro  contemporanei.  Massa,  1871,  pag.  8.  Campori,  ^Memorie  biografiche  eh.,  pag.   156. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  lOj 

dà  Lotto  da  Carrara  a  25  d'aprile  del  1517  una  pietra  da  servire  a  Miche- 
langelo Buonarroti  per  la  famosa  facciata  di  San  Lorenzo,  gliene  pagò  ap- 
punto il  prezzo  in  bottega  di  Bernardino  del  Berrettaio  (').  Non  è  però 
fin  ora  precisa  notizia  del  tempo  ,  in  che  vennero  primamente  in  Sicilia 
Giuliano  e  Bartolomeo,  essendo  di  già  il  primo  nel  1504  appellato  in  pub- 
blici atti  cittadino  palermitano,  ed  il  secondo  abitatore  di  Alcamo,  dov'ebbe 
casa  e  poderi  ed  ove  soggiornò  molto  con  la  moglie  Tornea  e  co'  suoi  figli, 
terminativi  poscia  i  suoi  giorni.  Perloché  è  da  pensare,  che,  fervendo  allora 
in  Alcamo  grande  operosità  nelle  arti  e  specialmente  nell'  architettura,  sic- 
come ancora  attestano  i  molti  avanzi  di  sontuosi  edifici,  che  vi  rimangono, 
sia  stato  ciò  appunto  il  motivo  di  avervi  il  Berrettaro  incontrato  buona  for- 
tuna, addettovisi  per  avventura  più  che  ad  ogni  altro  a  sculture  ornamentali 
a  principio,  e  fors'anco  di  unita  al  Mancino,  di  cui  per  altro  é  certezza  aver 
già  contratto  società  con  lui  nel  1503  ed  anco  indi  avere  per  Alcamo  lavorato. 
Dallo  stile  poi  de'  lavori  s'ingenera  il  sospetto,  che  sia  colà  delle  lor  prime 
opere,  od  almeno  del  solo  Berrettaro,  una  decorazione  in  marmo  bianco  di 
un'antica  porta  della  chiesa  maggiore,  dove,  comunque  sia  molta  trascura- 
tezza di  esecuzione  nelle  figurine  scolpitevi  dell'  Annunziata  e  dell'  angelo 
e  della  sovrastante  Madonna  col  bambino  fra  gli  apostoli  Pietro  e  Paolo,  ol- 
tre una  croce  al  di  sopra  col  Crocifisso,  non  si  può  a  men  di  osservarvi,  a 
mio  giudizio  ,  qualche  notevol  riscontro  di  disegno  in  alcune  parti  con  le 
sculture  più  felicemente  indi  eseguite  nella  porta  laterale  della  chiesa  di 
S.  Agostino  in  Palermo,  e  che  per  fondato  argomento  sono  da  creder  più 
tardi  da'  detti  due  artisti  condotte.  E  nell'anzidetta  porta  della  maggior  chiesa 
di  Alcamo  ricorre  in  fronte  con  l'anno  il  seguente  distico  : 

ANNO  DNI.  M.  CCCC.         LXXXXVIIII  II.'    IND. 

STEPHANVS  ADRAGNA  EST  PROCVRATOR  ET  IPSE  PEREGIT. 

SVMPTIBVS  ECCLESIE  STRVCTA  BENIGNE  FVI. 

Stando  a  ciò  quindi,  é  probabile,  che  Bartolomeo  Berrettaro  già  lavo- 
rasse in  Alcamo  in  detto  anno  1499,  e  che  altre  simili  opere  vi  fornisse, 
come  è  da  credere  della  porta  della  chiesa  di  S.  Maria  del  Soccorso  con 
una  mezza  figura  di  essa  fra  vari  angeli  in  un  semicircolare  pennacchio  sovra- 
stante in  bianco  marmo,  e  di  un'altra  porta  marmorea  con  molti  ornati  di 


(  '  )  Le  lettere  di  Michelangelo  Buonarroti  cit.,  pag.  568. 


I06  1    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


mediocre  stile  nella  chiesa  del  Carmine,  oggigiorno  in  mina,  e  di  altra  ancora 
in  fine,  segnata  in  fronte  dell'  anno  m.  ccccc.  v,  la  quale  dea  ora  ingresso  alla 
sacrestia  della  maggior  chiesa  anzidetta  con  certe  fregiature  a  ciocche  di 
frutta  ne'  pilastri  laterali,  condotte  con  qualche  sviluppo  e  con  eleganza  di 
gusto.  Ma  checche  di  ciò  sia,  la  prima  sicura  notizia,  che  fin  qui  è  riu- 
scito attingere  sul  soggiorno  de'  detti  due  artefici  in  Sicilia ,  non  è  che 
del  1503,  quando  troviamo,  ch'essi,  in  social  colleganza  già  stretti  e  reca- 
tisi a  Sciacca,  vi  si  obbligarono  per  pubblico  atto  del  di  9  di  giugno  scolpire 
a'  confrati  di  San  Barnaba  una  statua  in  marmo  di  Nostra  Donna  del  Soc- 
corso, della  statura  di  un'  altra  colà  esistente  nel  convento  di  S.  Francesco. 
Dovea  la  detta  statua,  giusta  il  contratto  ed  un  disegno  già  fattone,  com- 
prender anco  nella  grossezza  del  marmo  tre  secondarie  figure  in  mezzano 
rilievo,  cioè  di  un  putto,  di  un  angelo  e  del  demone,  siccome  il  soggetto 
richiedeva,  e  nella  base  tre  istorie,  quali  i  confrati  stessi  avevano  già  desti- 
nate; e  cosi  poi ,  fornendola  compiutamente  in  Palermo  di  li  al  Natale  del 
seguente  anno,  dovevano  i  due  scultori  per  mare  colà  spedirla,  tenuti  pur 
essi  a  recarvisi  per  darle  assetto  :  il  tutto  pel  prezzo  di  once  sedici  (1.  204) 
da  pagarsi  in  rate  diverse.  Fu  essa  in  fatti  recata  a  termine  e  collocata ,  e 
quindi  il  Berrettaro  ,  che  sembra  esser  solo  colà  ritornato  a  tal  uopo,  ne 
venne  soddisfatto  del  prezzo  a  22  di  ottobre  del  1504  (:).  Esiste  ivi  anzi 
quella  fino  al  presente,  or  posta  a  capo  della  chiesa  maggiore,  siccome  a- 
vuta  in  molta  venerazione  dal  popolo  e  ricordata  persin  ne'  versi  del  poeta 
Vincenzo  Navarro  da  Ribera.  Ma  a  me  fin  qui  non  venne  fatto  di  osser- 
varla, e  però  nulla  di  sicuro  so  dirne,  comunque  mi  si  affermi ,  che ,  seb- 
bene non  priva  di  qualche  pregio,  sia  pur  lungi  da  quello  di  un  merito 
artistico  insigne. 

Rilevasi  intanto,  che  ambo  i  due  artefici  nello  stess'anno  1504,  a  6 
di  giugno  ,  si  obbligarono  inoltre  in  Termini  a  Giovan  Pietro  Salomone  , 
procuratore  della  cappella  del  Sacramento ,  ed  a  Niccolò  Antonio  Riccio, 
Antonio  Guzzulino  ed  Antonio  de'  Ciambri  ,  procuratori  della  mammina 
o  fabbrica  di  quella  maggior  chiesa,  per  fare  in  essa  una  certa  opera  in 
marmo  a  vari  quadri  o  scompartimenti.  Non  mi  è  dato  averne  oggigiorno 
1'  originale  convenzione,  che  era  agli  atti  di  notar  Filippo  Giacomo  d'  Ugo 
di  Termini  nella  data  suddetta,  e  in  cui  per  fermo  era  da  trovarsi  distinto 


(')  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XIX. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  IH.  IOy 

ragguaglio  di  quella.  Ma  ho  in  vece  in  proposito  due  altri  posteriori  docu- 
menti, dal  primo  de'  quali  risulta  in  data  del  22  di  ottobre  del  1507,  che, 
avendo  già  da  gran  tempo  i  due  scultori  fornito  ed  in  ordine  1'  opera  con 
tutti  i  quadri  o  scompartimenti  di  essa,  e  recatosi  Giuliano  tre  volte  in  Ter- 
mini a  notificar  ciò  a'  procuratori,  non  perciò  mai  costoro  avevan  curato, 
né  curavano  ordinarne  la  consegna  e  il  trasporto  :  e  quindi  il  medesimo 
Giuliano,  in  nome  anche  del  suo  assente  compagno,  protestava  contr'  essi, 
perchè  gli  pagassero  once  trenta  (1.  382.50)  del  prezzo  de'  quadri  finiti, 
richiedendo  altresi,  che  ad  alcun  loro  perito  dessero  facoltà  di  apprezzare  il 
lavoro  già  fatto,  perchè,  cominciando  a  dare  assetto  a'  marmi  ornai  lavorati, 
si  avessero  senza  indugio  a  continuar  le  altre  figure  necessarie  e  cosi  dar 
termine  al  tutto  (J).  Laonde,  fermatosi  all'uopo  il  prezzo  totale  in  once  ot- 
tanta (1.  1020),  insistè  più  oltre  Giuliano  con  una  nuova  protesta  contro 
il  Riccio  ed  i  suoi  compagni,  procuratori  di  quella  chiesa,  in  data  del  23  marzo 
XI  ind.  1508  (1509),  esponendo,  che  l'opera  ossia  la  conci  di  marmo  era  già 
finita  in  Palermo  da  molto  tempo,  e  che,  non  avendo  essi  curato  ancora  tra- 
sportarsela, né  soddisfarne  il  prezzo,  era  stata  essa  ivi  sequestrata  dall'  arci- 
vescovo per  un  certo  vantato  debito  verso  la  sua  chiesa;  e  quindi  l'artefice 
richiedeva  da  loro,  che  tosto  procurassero  far  togliere  quel  sequestro  e  por- 
tarsi quella,  essendo  egli  ed  il  Berrettaro  già  pronti  a  far  collocarla,  e  che 
non  più  indugiassero  a  pagarne  il  prezzo  del  tutto ,  essendone  già  scorso 
da  un  pezzo  il  termine  dacché  fu  essa  compiuta  (2).  Nondimeno  par  certo, 
che  sino  ad  otto  anni  appresso  non  ne  fu  indi  effettuato  il  collocamento  , 
giacché  ,  siccome  vedremo  ,  essendosi  poi  sciolta  nel  1 5 1 7  la  società  fra  il 
Mancino  ed  il  Berrettaro,  e  procedutosi  fra  entrambi  alla  ripartizion  de'  la- 
vori, che  rimanevano  ancora  a  finire  ed  a  consegnare,  appare  la  prima  fra  essi 
la  comi  o  custodia  di  marmo  per  la  chiesa  maggiore  di  Termini ,  rimasta 
assegnata  al  secondo.  Né  dubito,  che  Bartolomeo  1'  abbia  poi  collocata  al- 
quanto più  tardi,  giacché,  comunque  essa  non  più  rimanga  al  presente,  es- 
sendo stata  tutta  scomposta  allorché  quella  chiesa  venne  riedificata  in  più 
ampia  forma,  mi  é  facile  tuttavia  scoprirne  alcuni  notevoli  avanzi.  Imperoc- 
ché, avendo  essa  molto  probabilmente  avuto  luogo  da  prima  in  fondo  alla 
maggior  tribuna   dell'  antica  chiesa  ,    stimo  vi  sia  appartenuta    come  figura 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XX. 
(2)  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XXI. 


I08  1    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


principale  una  pregevole  Nostra  Donna  sedente  con  in  grembo  il  bambino 
in  marmo  ,  la  qual  nella  chiesa  odierna  si  vede  posta  isolata  in  fondo  al 
cappellone  sopra  l'altare,  ed  a  cui  è  ben  da  credere,  che  pria  facilmente  ricor- 
resser  da'  lati  nella  distrutta  conci  o  custodia  le  quattro  statuette  di  S.  Pie- 
tro, S.  Paolo,  S.  Giacomo  e  del  Battista,  che  or  son  poste  a  disagio  nella 
moderna  facciata  esteriore.  Nelle  due  prime  di  queste  si  vede  intanto  quel 
manco  di  espressione  e  di  eleganza  e  quell'imperfetta  esecuzione,  che  gene- 
ralmente non  si  può  a  mcn  di  avvertire  in  tutti  i  lavori  del  Berrettaro  , 
mentre  nelle  due  altre  apparisce  uno  stile  più  eletto  e  quel  miglior  modo 
di  esprimere  ,  che  contraddistingue  il  Mancino  per  assai  migliore  maestro  , 
siccome  ancor  meglio  risulta  dalla  molta  vita  e  bellezza,  ch'é  nel  sembiante 
della  cennata  Madonna,  comunque  alcun  che  di  duro  e  di  gretto  vi  sia  da 
notar  nel  bambino  e  nel  rimanente  della  figura,  che  pure  pel  suo  isolamento 
e  per  l'altezza,  in  cui  è  posta,  non  ha  più  adesso  risalto. 

Soprattutto  però  in  Palermo  avevano  i  due  scultori  fermato  stabil  sog- 
giorno, traendone  grand'utile  per  quanto  il  numero  de'  maestri  di  maggior 
nome  veniva  più  sempre  scemando,  e  quanto  più  di  essi  era  bisogno  in  si 
gran  centro  di  attività  e  di  lavoro  ,  dove  perciò  molte  e  spesso  notevoli 
sculture  venivan  loro  affidate  ed  eran  da  essi  condotte,  priaché  all'  apparir 
del  Gagini  fosse  uopo  lor  cedere  il  campo.  Ed  in  Palermo  ,  per  pubblico 
atto  in  data  dell'ultimo  giorno  di  luglio  del  1504,  essi  convennero  in  fatti 
col  magnifico  Giorgio  Bracco  per  costruirgli  e  lavorargli  diverse  opere  in 
marmo  bianco  nella  tribuna  dell'  aitar  maggiore,  di  patronato  di  lui,  nella 
chiesa  del  convento  di  S.  Agostino.  Quivi  doveano  far  essi  un  arco  mar- 
moreo, largo  di  vano  ventidue  palmi  (m.  5.67)  e  trentatrè  alto  (m.  8.50), 
con  due  pilastri  per  banda,  larghi  sei  palmi  (m.  1.55),  scolpiti  di  varie 
storie  e  figure  in  più  che  mezzano  rilievo  e  di  soggetti  da  destinarsi,  e  con 
di  sopra  il  Dio  Padre  ,  1'  Annunziata  e  1'  angelo  in  tutto  rilievo  ,  giusta  il 
tenor  di  un  disegno  di  già  eseguito:  oltreché  era  a  farvi  nel  mezzo  l'aitar 
maggiore,  consistente  in  una  lastra  di  marmo,  lunga  una  canna  ed  un  palmo 
(m.  2.32)  e  sorretta  da  quattro  figure  delle  quattro  Virtù  cardinali.  Si  ag- 
giungeva il  lavoro  di  un  monumento  sepolcrale,  da  venire  scolpito  in  due 
pezzi ,  cioè  la  cassa  come  quella  di  un  altro  sepolcro  di  non  so  qual  ma- 
gnifico Severo,  con  tre  figure  delle  Virtù  teologali  al  di  sotto,  ed  un  cappello 
o  decorazione    sovrastante  con    tre  altre    figure  di    tutto  rilievo  in  marmo, 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.   III.  IO9 


entrando  pur  finalmente  nella  stessa  convenzione  due  porte  da  decorarsi 
nella  tribuna  anzidetta ,  1'  una  della  sacrestia  e  1'  altra  del  convento  ,  con 
cornici  e  con  architrave  adorno  di  due  gcnietti  per  ciascuna,  in  atto  di 
tenere  le  armi  del  Bracco.  Tutti  i  cennati  lavori  si  obbligavan  pertanto  i 
due  artefici  dare  interamente  finiti  di  li  ad  un  anno  ,  stabilitone  il  prezzo 
in  once  duccentotredici  (1.  2715.75),  di  cui,  anticipandone  loro  once  cin- 
quanta a  principio  (1.  637.50)  ed  altrettante  all'  arrivo  de'  marmi  da  Car- 
rara, si  sarebbe  indi  in  progresso  pagato  tutto  il  restante.  Per  cotal  prima 
anticipazione  facevansi  poi  mallevadori  di  essi  al  Bracco,  in  data  del  dì  9  di 
agosto  dello  stess'  anno,  il  magnifico  Puccio  degli  Omodei  per  once  venti- 
cinque (1.  318.75)  e  maestro  Gabriel  di  Battista,  suocero  del  Mancino,  per 
altrettanta  somma  ,  con  che  il  Di  Battista  medesimo  ,  in  nome  anche  di 
maestro  Paolo  suo  figlio  assente  ,  promettea  in  ogni  caso  serbare  indenne 
1'  Omodei  della  detta  malleveria.  Del  che  contentatosi  il  Bracco  ,  anticipava 
tosto  le  once  cinquanta  a'  due  artisti  (').  Né  passò  guari  al  certo,  che  fu- 
ron  le  dette  opere  da  essi  condotte  a  fine  e  collocate  due  anni  appresso, 
notandosi  da  Valerio  Rosso  ,  dal  Di  Giovanni  e  dal  Cannizzaro  ,  cronisti 
dello  scorcio  del  sestodecimo  secolo  e  del  sorgere  del  decimosettimo,  che 
nella  tribuna  di  quella  chiesa  (oltre  il  sepolcro  del  mentovato  Giorgio  senza 
alcun  epitaffio)  era  appunto  al  lor  tempo  un  arco  marmoreo  storiato  dei 
miracoli  della  Madonna  del  Soccorso  e  di  S.  Agostino  e  con  di  sopra  i  due 
seguenti  distici  e  l'anno: 

CLARVS  EQVES  BRACCVS  FVLVI  DITISSIMVS  AVRI 

JORGIVS  HOC  SCVLPTO  MARMORE  STRVXIT  OPVS. 

IDQ.VE  TVO  CCELI  REGINA  DICAVIT  HONORI. 
SVNT  HIPPONENSIS  VOTA'SECVNDA  PATRIS. 

ANNO  DOMINI  MCCCCCVI.  Villi.  INDICTIONIS. 

Ma  poi,  rifatta  a  nuovo  del  tutto  nell'interno  la  chiesa  nel  1672,  e  co- 
struito il  novello  cappellone,  andò  distrutta  ogni  ricchezza  di  marmi,  che  ador- 
navan  l'antica  tribuna,  e  quindi  né  dell'arco,  né  dell'altare,  né  del  sepolcro,  né 
delle  porte  riman  più  al  presente  vestigio.  Nondimeno  dal  fin  qui  detto  é 
qualche  fondamento  a  sospettare,  che  opera  di  Giuliano  e  di  Bartolomeo,  e 
specialmente  del  primo  pel  maggior  pregio  del  disegno  e  dello  scolpito  , 
possa  esser  pure  l'elegante  decorazione  marmorea,  ancora  esistente,   nelF  e- 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  riunì.  XXII. 


HO  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

sterno  della  porta  laterale  di  detta  chiesa.  É  condotta  in  bella  forma  rettango- 
lare sul  gusto  già  prevalente  del  risorgimento  dell'arte,  ma  di  stile  tutt'altro 
che  gaginesco  ,  con  gli  stipiti  e  1'  architrave  a  fasce  ornatissime  ,  che  dàn 
luogo  a  nove  tondi  ,  due  con  miracoli  della  Madonna  del  Soccorso  e  gli 
altri  con  belle  mezze  figurine  di  sante  vergini  e  di  altri  Santi  in  delicato 
rilievo,  de'  quali  sta  a  capo  in  mezzo  S.  Agostino,  laddove  poi  al  di  sopra 
sulla  cornice  fa  compimento  nel  centro  un  semicerchio  sormontato  da  un 
Dio  Padre  in  atto  di  benedire,  dentrovi  una  bella  mezza  figura  in  altorilievo 
della  Madonna  anzidetta  con  mazza  in  mano  fra  vari  angioletti  genuflessi,  e 
crescon  da'  lati  ornamento  due  candelabri  con  dappiè  figurine  della  Vergine- 
Annunziata  e  dell'angelo  (')•  Dal  carattere  dello  stile,  che  nulla  ivi  tiene 
del  Gagini  e  più  in  vece  si  approssima  a  quello  del  Mancino  e  del  Berret- 
taro  nelle  lor  migliori  sculture,  è  da  rilevare  pertanto ,  che,  forniti  i  lavori 
della  tribuna,  abbia  potuto  inoltre  il  Bracco  aver  loro  affidato  in  appresso 
la  nuova  opera  di  tal  porta,  comunque  nell'anteriore  convenzione  non  ne 
sia  motto  :  oltreché  in  piede  alla  convenzione  medesima  si  vede  poi  un'a- 
poca  in  data  del  29  di  maggio  del  151 5,  onde  il  Mancino  dichiarò  ricever  da 
quello  altre  once  cinquanta  (1.  637.50)  ,  oltre  alle  somme  precedentemente 
pagate,  e  quindi  s' ingenera  ben  naturale  il  sospetto,  che  ciò  non  sia  stato 
dopo  nove  anni  dalla  collocazione  dell'arco  della  tribuna,  se  non  in  prezzo 
del  lavoro  indi  aggiunto  della  suddetta  porta  esteriore.  Ma  del  resto  non 
se  ne  sa  più  di  tanto. 

È  chiaro  poi  per  pubblico  atto  in  Palermo  in  data  del  di  8  novembre 
del  1508,  che  il  solo  Giuliano  per  proprio  suo  conto  si  obbligò  al  nobile 
Giacomo  Squarcialupo,  in  nome  costui  e  per  parte  di  una  signora  Violante 
Di  Francesco  ,  a  fare  un  monumento  sepolcrale  con  sua  architettonica  de- 
corazione all'intorno,  dell'altezza  di  tredici  palmi  e  mezzo  (m.  3,51),  com- 
presine gli  stipiti,  l'architrave  e  la  cornice,  ed  il  sarcofago  lungo  una  canna 
(m.  2,06)  ,  da  poggiar  sopra  tre  figure  in  rilievo  della  Fede  ,  della  Spe- 
ranza e  della  Carità  ,  e  con  una  figura  di  donna  in  atto  di  giacer  morta 
sopra  il  coperchio,  oltre  una  montagnuola  con  una  croce  al  disopra,  egli 
stemmi  de'  Di  Francesco  e  degli  Spadafora  dall'una  banda  e  dall'altra.  Era 
quindi  tenuto  lo  scultore,  pel  prezzo  di  once  venti  (1.  255),  fare  il  tutto  a 
sue  spese  e  dare  il  detto  monumento  finito  e  collocato  al  più  per  tutta  la 


(2)  Vedine  un  disegno  nella  tavola  V  di  quest'opera. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  I  I  1 


settimana  santa  ventura  nella  cappella  degli  Spadafora  in  San  Francesco  in  Pa- 
lermo (').  Ma  ivi  oggidì  non  ne  esiste  che  la  sola  decorazione  esterna  di  un 
arco,  del  resto  assai  semplice,  con  due  pilastrini  corinzi  scanalati,  che  sor- 
reggono un  architrave  retto  sovrastante  ,  dove  ricorron  due  scudi  con  le 
armi  delle  due  dette  famiglie ,  siccome  si  vede  nella  destra  nave  minore 
della  chiesa,  contiguamente  ed  al  di  fuori  dell'antica  cappella  de'  Mastran- 
tonio.  Nessun  vestigio  però  vi  rimane  del  sarcofago,  che  ivi  sembra  abbia 
dovuto  aver  luogo  e  che  certamente  andò  distrutto  con  altre  più  preziose 
artistiche  opere  ne'  molti  rinnovamenti,  che  devastarono  in  appresso  quel 
tempio. 

Ciò  intanto  é  innegabile,  che  in  detto  anno  1508  Giuliano  recossi  in 
Polizzi  e  vi  assunse  il  lavoro  di  una  statua  di  Nostra  Donna  con  in  braccio 
il  bambino  ,  la  qual  fu  collocata  nell'anno  stesso  a  capo  del  cappellone  di 
quella  chiesa  maggiore ,  essendosi  egli  obbligato  scolpirla  in  Palermo  e 
quindi  mandarla  al  prete  Francesco  Galegra,  economo  e  procuratore  di  detta 
chiesa,  pel  total  prezzo  di  once  venti  (1.  255),  con  che  dovesse  ella  esser 
simile  di  aspetto  ad  un'  altra  colà  esistente  nella  cappella  del  magnifico  Vin- 
cenzo Notarbartolo  (2).  Questa,  che  ne  fu  tolta  a  modello  ,  è  un'  elegante 
statuina  segnata  dell'  anno  m.cccc.lxxiii  nella  base ,  la  qual  si  vede  sto- 
riata in  bassorilievo  dell' Annunziazione  della  Vergine  fra  due  teste  di  se- 
rafini di  vaghe  forme.  Ma  benché  in  verità  non  fosse  riuscito  il  Mancino 
a  trasfonderne  la  soavità  del  sembiante  nella  sua  opera,  la  qual  per  manco 
di  grazia  e  di  espressione  nel  volto  non  par  certamente  delle  migliori,  ch'egli 
abbia  potuto  condurre,  vi  dimostrò  nondimanco  quel  maggiore  sviluppo  di 
linee  e  di  artificio,  per  cui  generalmente  per  pratica  d'  arte  egli  va  innanzi 
all'  ignoto  quattrocentista  con  uno  stile  più  largo  e  più  progredito  ,  dando 
del  resto  ancor  prova  di  bella  espressione  in  tre  figurine  di  un  Cristo  sof- 
ferente fra  un  uomo  ed  una  donna  genuflessi  e  preganti  da'  lati ,  siccome 
ricorrono  in  mezzano  rilievo  nel  piedistallo  ,  eh'  é  pure  segnato  dell'  an- 
no m.ccccc.viii. 

Ed  altre  sculture,  comunque  s'ignorin  quali,  é  intanto  certezza  avere  il 
medesimo  lavorato  in  quel  tempo  per  Polizzi,  oltre  la  statua  anzidetta.  Peroc- 
ché in  data  del  30  gennaio  XIII  ind.  1509  (15 io)  é  uno  strumento  di  procura 


(')  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XXIII. 

(  2  )  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XXIV.  I  (, 


112  I    GAGINT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


in  Palermo,  ond'cgli  creò  suo  procuratore  un  tal  Michele  Panebianco  a  ri- 
scuotere quanto  gli  si  dovea  in  quella  terra,  cosi  dagli  ufiziali  di  essa,  come 
da  altre  persone  di  ecclesiastici  e  laici,  e  principalmente  dal  prete  Galegra; 
e  quindi  è  chiaro  ,  che  altre  somme  ,  oltreché  da  costui  per  la  statua  già 
consegnatagli,  per  vari  lavori  da  altri  gli  eran  dovute  (').  Ne  meno  evi- 
dente apparisce,  che  il  Berrettaro  ,  in  nome  ancor  del  Mancino  ,  colà  con- 
venne agli  atti  di  notar  Giovanni  Perdicaro  in  data  del  7  di  maggio  del  1509 
pel  lavoro  di  una  custodia  di  marmo  per  la  cappella  del  Sacramento  in 
quella  maggior  chiesa.  Ma  di  tale  custodia  ,  che  poi  non  fu  eseguita  che 
molto  più  tardi,  sarà  luogo  a  dire  in  appresso. 

Si  ha  intanto  per  pubblico  atto  del  di  24  di  marzo  XII  ind.  1508  (1509), 
che  i  detti  due  scultori  si  obbligarono  in  solido  in  Palermo  allo  spettabile 
don  Carlo  d'  Aragona,  barone  di  Avola,  per  costruire  nel  cappellone  presso 
l'aitar  maggiore  nella  chiesa  di  S.  Maria  di  Gesù,  fuori  le  mura  della  città, 
un  monumento  o  deposito  in  marmo  con  sua  volta  ed  arco,  pilastri  e  ca- 
pitelli, giusta  un  disegno  appo  di  loro  esistente,  con  vano  alto  quindici  palmi 
(m.  3,81)  e  dieci  largo  (m.  2,58),  ed  i  pilastri  ampi  un  palmo  e  mezzo 
(m.  0,39)  e  la  volta  due  palmi  (m.  0,52),  oltre  la  cassa  sepolcrale,  di  forma 
quadra,  simile  a  quella  di  un  altro  deposito  del  defunto  Guglielmo  Aiuta- 
micristo.  Del  tutto  quindi  si  stabiliva  a  trentasei  once  il  prezzo  (1.  459),  es- 
sendo del  resto  tenuti  i  due  artefici  dar  l'opera  totalmente  fornita  e  collocata 
di  li  al  venturo  settembre  (2).  Ed  ancora  si  vede  nel  cappellone  della  chiesa 
suddetta,  dal  lato  del  Vangelo  (giacché  dal  lato  opposto  vi  ha  ben  altra  più 
sontuosa  decorazione  sepolcrale,  indi  eseguita  dal  sovrano  scalpello  del  Ga- 
gini),  un  arco  in  marmo,  sebbene  ora  assai  guasto,  con  pilastri  e  architrave 
ornati  di  fregiature  del  cinquecento,  ma  di  grossolano  lavoro,  recando  vari 
scudi  con  le  armi  di  casa   Alliata ,  ed   al  di  dentro ,    oggi  a  terra  ,  un   sar- 


(')  Die  .v.v.v."  januarii  xiijs  ind.  i so<j  (1510).  "Presenti  scripto  publico  notimi  facimus  et  leslamur ,  quoti 
boti,  magister  Juiianus  Manchinus,  scultor  marmorum,  e.  p.,  corani  nobis,  ornili  meliori  modo,  jurc  et  forma,  qui- 
hus  melius  ...  potili!  ci  potest  d  juxta  formavi  juris,  spante  constitu.it,  fecit,  creavit  et  sollemniter  ordinavi!  procu- 
ralorein  smini  legititnum  et  iudubilalum  Michaelem  Tanibianco,  lieel  ubseiilem,  ite.,  ad  peteudum,  exigendum,  re- 
cipiendum,  recuperanium  et  habendum  ac  imbuisse  et  recepisse  conjìtendum  oniiie  id  totani  il  quantum  eidem  de- 
betur  ni  terra  Polieiì  tain  ab  ofjìeialibus  ditte  terre  et  personis  aliis  quibtiseitinque,  tam  eeeiesiastieis,  qitain  secula- 
ribus,  il  pracsci tini  a  venerabili  presbitero  Francisco  Galegra  virtute  contrattiti  celebrali  maini  notarti  Joanttis 
'Pei  dira  rio  de  'J'o/ieio,  etc. —  Testes:  egregius  Antontllus  de  'llaptista  ti  no.  Jo.  de  Scalia. — Dal  registro  di  nu- 
mero 3791  di  notar  Giovanni  de  Marchisio,  XIII  ind.   1509-10,  fog.  210. 

(2)   Vedi   fra'   'Documenti,   num.   XXV. 


XLI    SECOLI    XV    H    XVI.  GAP.  111. 


1I3 


cofago  con  una  figura  giacente  di  donna  al  di  sopra  e  con  due  angeli  o 
geni  in  fronte,  che  recali  pure  uno  scudo  con  le  armi  anzidette,  senz'alcuna 
iscrizione.  Ma,  benché  ivi  la  scultura  risponda  al  tempo  ed  allo  stile  per  lo 
più  mediocre  del  Mancino  e  del  Berrcttaro,  non  è  affatto  certezza,  che  questo 
sia  il  deposito ,  eh'  ebbero  essi  allogato  dall'Aragona ,  giacché  di  alcuno 
stemma  di  costui  non  vi  è  vestigio,  e  poi  gli  stemmi,  che  vi  nari  ripetuti 
degli  Alliata,  ed  il  sarcofago  con  quella  figura  muliebre  giacente,  di  cui  non 
è  parola  nella  convenzione  per  quello  ,  sembran  persuadere  piuttosto  ,  che 
sia  da  stimarlo  diverso.  Ma  niun  altro  deposito  è  ivi,  che  alla  convenzione 
medesima  corrisponda,  e  nulla  di  sicuro  rimane  all'uopo  da  aggiungere. 

Più  notabile  opera  indi  per  fermo  fu  quella,  che  ambi  gli  stessi  due  soci 
per  atto  del  di  27  di  febbraio  XIII  ind.  1509  (15 io)  assunsero  a  fare  uni- 
tamente in  Palermo  con  loro  marmi  allo  spettabile  don  Carlo  Villaraut,  si- 
gnore e  barone  di  Prizzi,  cioè  una  gran  decorazione  marmorea  nella  maggior 
tribuna  o  cappellone,  che  allor  costruivasi  nella  chiesa  della  Gancia  de'  frati 
Minori  Osservanti  di  S.  Francesco.  Ivi  (siccome  é  dato  raccoglier  dall'atto)  (!) 
era  a  dar  luogo  a  tre  grandi  pilastri  in  marmo  ,  alti  ciascuno  canne  sei  e 
palmi  sei  e  mezzo  (m.  13,68),  con  gli  spazi  intermedi  fra  essi  di  tre  canne 
e  due  palmi  (m.  6,71),  e  tutti  e  tre  di  egual  larghezza  di  sei  palmi  e  due 
terzi  (m.  1,77),  con  loro  proporzionate  basi  e  capitelli,  recando  scudi  con 
le  armi  di  quel  signore.  Dovevano  i  due  laterali  pilastri  esser  lavorati  ester- 
namente a  fogliami,  mentre  dall'  una  banda  e  dall'altra  erano  neh'  interno  a 
scolpirsi  in  mezzano  rilievo  cinque  diversi  Santi  sopra  lor  basi,  da  tre  pal- 
mi (m.  0,77)  a  tre  e  mezzo  (m.  0,90)  alti  ciascuno,  oltreché  dovean  prose- 
guire al  di  sopra  i  detti  pilastri,  allungati  da  due  altri  di  compimento  con 
due  figure  per  ciascun  de'  due  lati.  Destinavasi  fare  ancor  ivi  un  arco  sot- 
tostante storiato  in  mezzano  rilievo  con  San  Francesco  e  sua  storia,  e  due 
altri  archi  di  fronte  su  quello,  ciascun  con  otto  mezze  iìgure  di  Santi  sopra 
nuvole,  parimente  a  mezzo  rilievo,  le  primarie  di  tre  palmi  (m.  0,77)  e  pro- 
porzionate all'arco  le  altre.  Dovea  finalmente  ricorrer  di  sopra  un  architrave 
con  fregio,  dando  ancor  luogo  in  uno  de'  due  sottostanti  laterali  triangoli 
all'Annunziata  e  nell'altro  al  Gabriello  in  mezzano  rilievo  e  di  confacente  gran- 
dezza, e  sopra  il  detto  fregio  nel  mezzo  ad  un  Cristo  risorto  di  egual  lavoro 
e  di  sei  palmi  (m.  1,56),  in  atto  di  venir  su  dal  monumento  con  in  mano 


C  '  )  Vedi  fra'  "Documenti,  num.  XXVI. 


I  J  4  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

un  vessillo.  Aggiungcvasi  un  altare  di  marmo  per  la  detta  tribuna,  da  deco- 
rarsi con  figure  delle  quattro  Virtù  cardinali  e  con  vari  scudi  con  le  armi 
del  Villaraut,  oltre  cinque  altri  scudi,  che  si  obbligavano  lavorar  gli  scultori, 
ed  insieme  un  tondo  largo  tre  palmi  (m.  0,77)  con  una  mezza  figura  di 
Nostra  Donna  col  divin  figlio  in  mezzano  rilievo,  da  decorarne  la  chiave  del- 
l'arco in  cima.  E  tutta  cotale  opera  promettean  essi  entrambi  lavorar  mae- 
strevolmente ,  e  darla  in  loro  bottega  di  lì  ad  un  anno  e  mezzo  spedita, 
essendosene  fermato  il  prezzo  in  once  duecentrentacinque  (1.  2996.25),  di 
cui,  già  ricevute  da  essi  venticinque  (1.  318.75),  ne  avrebbero  incorso  del 
lavoro  avuto  indi  il  restante  :  al  qual  uopo  col  detto  don  Carlo  Villaraut 
anche  lor  si  obbligava  il  suo  figliuol  primogenito  don  Giovanni  per  mag- 
gior sicurtà  dell'adempimento. 

Difficile  è  però  poter  farsi  distinta  idea  del  congegno  architettonico  di 
sì  gran  decorazione ,  stando  alle  oscure  e  confuse  indicazioni ,  che  ne  dà 
l'atto  stesso  e  ch'erano  allor  chiarite  dal  disegno  di  quella,  serbato  appo 
il  notaio  e  che  or  non  più  esiste.  Nulla  per  altro  rimane  oggi  dell'  archi- 
tettura di  essa;  ne  di  archi,  né  di  pilastri ,  né  d'  architrave  ed  ornati  vi  ha 
più  vestigio  ;  e  niun  particolareggiato  ragguaglio  ne  lasciò  pure  alcuno  dei 
precedenti  scrittori.  Accenna  sol  di  passaggio  il  Mongitore,  che  a  2  di  a- 
prile  del  1672  ruinò  in  detta  chiesa  il  cappellone  con  due  cappelle  conti- 
gue (');  e  quindi  è  da  credere,  che  allora  quella  grand' opera  de'  due  soci 
scultori  abbia  potuto  venir  manomessa,  senza  che  nulla  siasi  curato  serbarne. 
Non  so  del  resto  se  vi  sia  mai  appartenuto  un  gruppo  in  marmo  di  me- 
diocre scultura  ,  il  qual  si  vede  ora  nel  centro  della  parete  in  fondo  del 
cappellone  odierno  ,  rappresentando  Nostra  Donna  sedente  col  bambino  in 
atto  di  porger  la  regola  a  San  Francesco,  che  le  sta  genuflesso  a'  piedi; 
il  tutto  con  l'aggiunta  di  grossolani  e  pesanti  stucchi  in  forma  di  angeli  e 
nubi,  sostituiti  al  pregio  degli  antichi  marmi  in  tempo  del  più  abominevole 
pervertimento  del  gusto.  Né  pure  é  noto,  che  dall'antica  decorazione  pro- 
vengano il  S.  Antonio  di  Padova  ed  il  S.  Bernardino  da  Siena  ,  statue  al 
naturale  di  bello  e  purissimo  stile  dell'epoca  felice  del  risorgimento  dell'arte, 
le  quali,  dinanzi  poste  sopra  due  altari  della  chiesa,  furon  di  poi  trasferite 
a'  di  nostri  nel  cappellone  stesso  da'  lati,  di  sotto  al  cennato  gruppo.  Impe- 


(')  MONGITORE,  Le  chiese  e  cau-  de'  regolari  in  Palermo,  pai  le  prima;   fra'  manoscritti   della  Biblioteca 
Comunale  palermitana,  a'  segni  Q.q  E  5,  pag.  684. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.   III.  I  I  5 


rocche  non  é  alcun  motto  di  statue  nella  convenzione  già  fatta  col  Mancino 
e  col  Bcrrettaro,  ma  sol  di  figure  e  mezze  figure  di  Santi  in  mezzano  rilievo, 
e  quindi  non  pare  facile  che  le  statue  anzidette  abbiano  avuto  luogo  da  prima 
nella  tribuna.  Ala  il  merito  poi  de'  detti  due  artefici  di  molto  in  concetto  di 
rinomanza  vantaggerebbe,  se  veramente  di  quella  avessero  fiuto  parte  e  fossero 
di  lor  mano  scolpiti  (come  oggi  si  ha  qualche  ragione  di  sospettare  dallo 
stesso  tenore  del  mentovato  contratto)  i  quattro  pregiatissimi  tondi  in  marmo 
con  altrettante  mezze  figure  in  alto  rilievo,  due  dell'Annunziata  e  dell'angelo  e 
le  due  altre  del  detto  S.  Bernardino  e  di  S.  Ludovico,  vescovo  di  Tolosa,  quai 
furono  scoperti  dall'esimio  architetto  professor  G.  B.  Filippo  Basile  nel  1858 
nell'alto  delle  pareti  di  un  corridoio  del  convento  medesimo  della  Gancia, 
e  collocati  in  chiesa,  dove  si  ammirati  oggi,  da'  due  lati  del  cappellone  ('). 
Tali  sculture  ,  e  specialmente  quelle  della  Vergine  e  del  Gabriello  (giacche 
son  di  alquanto  -minore  arte,  sebben  molto  pregevoli  sempre,  le  due  altre  dei 
detti  Santi),  vengono  senza  follo  fra'  più  bei  lavori,  che  il  sentimento  ed  il 
gusto  italiano  abbian  prodotto  in  Sicilia  nel  sorgere  del  cinquecento,  e  veg- 
gonsi  con  tal  perfetto  stile  e  con  tal  morbidezza,  soavità  ed  eleganza  ese- 
guite da  parer  cose  in  vero  degne  de'  più  insigni  maestri.  Perlochè  non  è 
in  me  sicurezza  alcuna  a  dir  di  leggieri  opere  di  Giuliano  e  di  Bartolomeo 
cotali  capolavori  dell'arte,  giacché,  ponendoli  in  riscontro  ad  altre  sculture, 
che  indubitatamente  son  di  lor  mano,  le  vincono  in  merito  di  gran  lunga, 
e  non  può  quindi  afflitto  intendersi  come  in  quelli  abbian  essi  potuto  le- 
varsi a  cotanta  altezza.  Rende  di  ciò  ragione  un  qualunque  confronto,  che 
per  poco  si  faccia  fra  il  bellissimo  e  celestiale  sembiante  dell'Annunziata 
alla  Gancia  e  lo  sgraziato  e  stupido  aspetto  della  cennata  Nostra  Donna 
scolpita  dal  Mancino  pel  cappellone  della  maggior  chiesa  in  Polizzi,  a  non 
volere  ancor  mettere  in  campo  le  opere  del  minore  scalpello  del  Berrettaro, 
siccome  quelle  dell'arco  marmoreo,  di  cui  parleremo,  nella  chiesa  del  Car- 
mine in  Alcamo,  quai  son  veramente  assai  debol  fattura.  Nondimeno,  aven- 
dosi ora  certezza  della  convenzione  fatta  da'  due  mentovati  scultori  col  Vil- 
laraut  per  sì  gran  decorazione  della  maggior  tribuna  alla  Gancia,  ed  appa- 
rendo dal  tenore  dell'atto,  che  negli  spazi  triangolari  sovrastanti  al  grande 
arco  di  essa  di  sotto  all'architrave  dovevano  ricorrer  da  un  lato  l'Annun- 
ziata e  dall'  altro  l' angelo  in  mezzano  rilievo  e  di  confacente  grandezza,  è 


(  '  )  Vedine  un  disegno  nella  tavola  VI  di  quest'opera. 


1  1 6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


da  sospettare  che  quelli,  e  specialmente  il  Mancino,  supcriore  alquanto  in 
merito  all'altro,  servitisi  de'  migliori  modelli,  sian  riusciti  in  quei  tondi 
a  superar  lo;o  stessi ,  se  pure  non  siensi  giovati  per  si  rilevanti  sculture 
dell'  aiuto  e  dell'  opera  di  alcun  altro  valente  maestro  ,  siccome  vedrem  più 
tardi  aver  fatto  il  Bcrrettaro  ,  a  cui  si  obbligò  in  Palermo  scolpire  alcune 
statue  un  carrarese  scultore  Francesco  Del  Mastro,  di  cui  sarà  luogo  in  ap- 
presso a  dire.  Nulla  però  più  oltre  riman  di  certo  in  proposito;  né  pure  é 
agevole  definire  in  che  parte  appunto  della  decorazione  marmorea  suddetta 
avessero  avuto  luogo  gli  altri  due  tondi  con  le  mezze  figure  de'  due  Santi, 
se  pur  veramente  vi  appartennero;  ed  altronde  s'ignora  che  ne  sia  stato  di 
tutto  il  resto  di  quella,  che,  stando  a  quanto  se  ne  raccoglie  dall'  atto,  do- 
veva aver  gran  ricchezza  di  mezze  figure  e  storie  ed  ornati ,  talché  non  è 
dubbio  che  la  più  parte  ebbe  ad  andarne  perduta. 

Molto  riscontro  di  stile  con  le  mentovate  sculture  dell'Annunziazione 
sembra  poi  abbia  un  bel  marmo,  che,  già  capitato  in  private  mani  non  so 
da  qual  luogo  in  Palermo,  fu  poi  da  non  guari  trasmesso  e  venduto  in  Pa- 
rigi, figurante  in  mezzano  rilievo  una  Nostra  Donna  sedente  col  divin  fi- 
gliuoletto, che  tutto  nudo  ed  in  vaghissimo  atteggiamento  volgcsi  a  pren- 
dere un  uccellino  dalle  mani  di  un  angelo,  che  gliel  porge,  mentre  sei  altri 
angeli  le  stanno  in  fila  schierati  al  di  dietro  ,  e  genuflessi  da'  due  lati  di- 
nanzi il  Battista  e  San  Giacomo  maggiore  da  pellegrino  in  figure  bellissime, 
con  dappiè  la  seguente  iscrizione ,  la  qual  dinota  il  soggetto  :  m.  mater 
gratie  regina  septe  angelorv.  Bene  osservò  chi  fu  già  possessore  di  si 
pregevole  opera  in  una  particolare  illustrazione  datane  in  luce ,  che  molto 
essa  ricordi  il  fare  de'  Toscani ,  specialmente  negli  angeli ,  nel  panneggia- 
mento della  Madonna  e  nel  putto,  e  che  dalla  testa  al  cinto  essa  Madonna 
appunto  somigli  la  mezza  figura  dell'  Annunziata  alla  Gancia  (').  Ma  da 
ciò  non  mi  pare  ne  segua,  che  sia  di  Antonello  Gagini  a  dire  tale  scultura, 
siccome  quegli  credette,  laddove,  sebben  di  alto  pregio,  ha  essa  a  mio  av- 
viso il  carattere  di  uno  stile  diverso,  e  manca  specialmente  nelle  teste  degli 
angeli  di  quel  tipo  di  soavità  e  di  leggiadria  incomparabile,  che  non  lasciò 
mai  quel  sovrano  maestro  di  avervi  impresso ,  datovi  esempio  della  più 
bella  ed  attraente  espressione  e  del  più  esquisito  artificio  fino  alle  più  se- 
condarie testine  di  serafini.    Laonde    tengo  in  vece  ,    che  ,  se  veramente  il 


(')  Onufrio  (Andrea),  5»  d'un  bassorilievo  in  manne.  Palermo,  1879,  con  fotografìa. 


NEI    SIXOLI    XV    E    XVI.    CAI'.  III.  II7 

Mancino  scolpì  i  due  tondi  dell' Annunciazione  suddetti,  è  facile  pure  sia 
egli  stato  l'autore  di  questo  bel  marmo,  nel  quale  anche  in  tal  caso  la  carra- 
rese origine  di  lui  spiegherebbe  l' impronta  del  fare  toscano,  che  vi  prevale. 
Per  ogni  dove  nelT  isola,  da  un  capo  all'  altro,  appare  intanto  i  due 
soci  artefici  aver  fornito  lavori.  Quindi  è,  che  per  atto  del  25  giugno  del 
1 5 1 1  troviamo  ch'entrambi  Giuliano  e  Bartolomeo  crearono  in  Palermo  lor 
procuratore  Antonio  di  Battista  ,  fratcl  della  moglie  del  primo  ,  a  recarsi 
personalmente  in  Modica  e  in  Chiaramonte  ed  in  altri  luoghi  del  regno  e 
di  fuori,  ove  bisognasse,  a  chiedere  e  riscuotere  quanto  lor  fosse  da  varie 
persone  dovuto  in  virtù  di  precedenti  obbligazioni  e  contratti  (I).  Ignoro 
poi  precisamente  quali  sculture  avessero  essi  condotto  pe'  due  nominati 
paesi  del  Val  di  Noto,  ed  è  probabile  anzi,  che  non  più  esistano,  giacché 
pei  tremuoti  del  1693  andaron  colà  in  mina  le  più  antiche  chiese.  Po- 
trebbe del  resto  venir  loro  attribuita  una  statua  della  Madonna  delle  Grazie, 
alquanto  scorretta  nel  disegno,  ma  pure  di  qualche  pregio,  la  qual  tuttavia  si 
vede  nella  chiesa  dell'abolito  convento  de'  Riformati  in  Chiaramonte:  ma  non 
ne  è  certezza  alcuna  per  documento.  Certo  è  in  vece,  che  Giuliano  Mancino, 
per  pubblico,  atto  in  data  del  12  gennaio  XV  ind.  1511  (15 12),  obbligossi 
ad  un  trapanese  frate  Gregorio  Cipollina,  cappellano  della  chiesa  di  S.  Maria 
della  Grotta  in  Palermo,  a  scolpirgli  pel  prezzo  di  once  quattro  ,  tari  sette 
e  grani  dieci  (1.  54.18)  una  lapide  sepolcrale  con  la  figura  di  lui  giacente 
morto  al  di  sopra  e  con  dappiè  uno  scudo  con  le  sue  armi  (2).  Ma,  di- 
strutta poi  quell'antica  chiesa,  nel  cui  sito  fondarono  i  Gesuiti  la  loro  Casa 


(')  La  mentovata  procura  si  trova  in  tal  data  nel  registro  di  num.  2502  di  notar  Gerardo  La  Rocca, 
an.  1510-11,  indiz.  XIV,  fog.  447-9,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  vi  è  appunto  instituito  pro- 
curatore il  Di  Battista  ad  se  conferendoti  tam  in  terra  Mohac  et  in  terra  Cìaramoiitis ,  guani  in  hoc  regno  Si- 
cilie et  alibi,  ubi  opus  fuerit,  et  ibi  nomine  et  prò  parte  ipsorum  coustituencium  petendum,  exigendum,  etc,  a  qui- 
btisvis  personis  ipsorum  constituencium  debitricibus  ex  quibusvis  contractibus,  obìigaccionilms,  etc. 

(2)  Die  xij."  januarii  xv.'  ind.  M."  ecce."  xj.°  (15 12).  Magister  Julianus  Manchino,  marmorarius,  civis  pa., 
preséns  corani  nobis,  (ponte  vendidit  ven.  fratri  Gregorio  Chipullina  de  civitate  Drepani  et  cappellano  veri,  ec- 
clesie Sancte  C\(arie  di  la  Gratta  'Panornii ,  presenti  et  ementi  et  stipulanti  ab  eo ,  quamdam  balatam  marmorie, 
bonam,  receptibilem  ac  mercantibilem  et  sauani,  lavoratala,  de  longitudine  palmorum  sex  et  di  larghila  pahnorum 
duorum  cum  dimidio,  cimi  f rat  re  mortilo  scalpilo,  cum  eius  sento  seti  armis  ipsius  fratris  Gregorii  in  pede  et  cimi 
cius  spurtello  in  capite,  cimi  suis  Collis  circumcirca  di  lo  spitrtel/o,  item  et  litteras  ad  electioncm  ipsius  fratris 
Gregorii;  tonarti  et  magistrivilimenti;  quain  assignare  promisit  ipse  ni. r  Julianus  dicto  fratri  Gregorio  per  totani 
medietatem  quadragesime  anni  presentis  proxime  future,  in  apotega  ipsius  magistri  Juliani.  Et  hoc  prò  predo  1111- 
ciarum  quatuor,  tarenorum  septem  et  graiiorum  decem  />.  g.,  etc.  Sub  ypotega  etc. — Testes:  no.  Joannes  de  Carlo,  ni. 
Jo.  Antonini  de  Sancto  Philippo  et  vi.  Kicolans  Antonius  Casanotta.  —Dal  registro  di  num.  2284  di  notar  Mat- 
teo Gentile,  an.   15 10-13,  m&-  XIV-I,  fog.  201,  nelFarchivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


I  1 8  1    GAG1NI    K    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Professa  col  sontuoso  suo  tempio,  dell'anzidetta  lapide  non  più  rimase  vesti- 
gio, ed  era  essa  per  altro  uno  de'  tanti  lavori  secondari,  da  cui  pure  non  ri- 
fuggivano allora  i  più  riputati  artisti,  non  mai  ristando  dalla  loro  ammirabile 
attività  e  traendo  da  ovunque  guadagno.  Cosi  troviamo,  che  ancor  egli  il 
Mancino,  per  atto  in  data  del  di  22  di  marzo  dello  stess'anno,  vendette  in 
Palermo  ad  un  Niccolò  di  Languilla  e  ad  un  Pietro  Vitale,  come  procura- 
tori della  chiesa  di  S.  Maria  della  Porta  in  Geraci,  cinque  paia  di  colonnine- 
di  bianco  marmo  con  lor  capitelli  ,  al  prezzo  di  oncia  una  e  tari  dodici 
(1.  17.85)  il  paio  (J).  Né  guari  dopo  il  medesimo,  a'  28  del  giugno  se- 
guente, si  obbligò  in  Palermo  ad  un  magnifico  Vitale  di  Vitale  pel  lavoro  di 
tre  marmoree  finestre,  ciascuna  con  una  colonna  intermedia,  da  farsi  in  un 
tenimento  di  case  del  detto  Vitale,  da  lui  appigionato  ad  un  Mariano  Ver- 
nagallo  ;  il  tutto  conforme  ad  una  finestra  ivi  esistente  sulla  scala  e  pel 
prezzo  di  once  nove  e  tari  quindici  (1.  121. 12)  (2):  oltreché  poscia  in  data 
del  4  aprile  del  1513  si  ha  un' apoca  pur  del  Mancino,  ond'  egli  dichiara 
ricevere  once  quattro  e  tari  cinque  (1.  53.12)  da  un  Alfonso  Parisi  per 
parte  del  magnifico  Giambattista  La  Rosa  ,  a  compimento  del  prezzo  di  al- 
cune colonne  di  marmo  fatte  al  regio  Steri,  ossia  all'antico  e  famoso  pa- 
lagio de'  Chiaramonte,  poi  devoluto  alla  real  corte  (3).  Ma  per  siffatte  o- 
pere  piuttosto  da  scarpellini  che  da  scultori  è  ben  naturale,  che  il  maestro, 


(  '  )  Eodem  xxij  marcii  xv  ind.  ijii.  Hon.  magisler  Juliantis  de  stanchino,  scultor,  e.  pa.,  corani  twbis  sponte 
vendidit  honoràbilihus  tiAcolao  de  Languilla  et  Petro  Vitali  de  terra  Girachii,  presentìbus  et  ab  eo  enientibus  pro- 
curatorio nomine  et  prò  parie  ecclesie  Sanclc  Marie  di  la  Porta  diete  terre ,  quinque  paria  di  culonnelli,  marmo- 
rea, boni,  albi,  ....  longitudinis  palmorum  novem  prò  singulo  parlo,  cuth  eius  capitellis  more  solito  et  consueto;  et 
hoc  prò  predo  ad  racioiinu  uncie  j  et  tarcnorum  xij  prò  singulo  pare,  etc. —  Dal  registro  di  num.  2503  di  no- 
tar Gerardo  La  Rocca,  ari.   1 511- 12,  ind.  XV,  fog.  355  retro  a  356,  nel  detto  archivio. 

( 2  )  Die  xxviij.°  juiiii  xv.''  ind.  1512.  Magisler  Julianus  V\Canchinus,  civis  Tanormi ,  corani  nobis  sponte  St 
obligavit  et  obligai  magnifico  Vitali  de  Vitali ,  presenti  et  stipulanti ,  faccre  tres  finestras  marmoreas,  albas  et  bo- 
uas,  etc,  de  marmore  dirti  magislri  Juliani,  prò  tenimento  domorum  dicti  magnifici  Vitalis,  per  cum  locato  ma- 
gnifico Mariano  Vernagallo ,  eo  modo  et  forma  et  qualitate ,  quibus  est  quedam  fenestra  marmorea  conrespondeus 
scale  dicti  tenimenti  Jomoriun,  una  cum  tribus  colonnis,  videlicet  per  ornili  finestra  la  sua  colonna,  et  cum  carimi 
capitellis;  et  hoc  prò  predo  unciarum  novem  et  tarenoriim  quiiidecim,  etc.  —  Dal  registro  di  num.  2504  dinotar 
Gerardo  La  Rocca,  an.   1 512-13,  ind.  I,  fog.   578  retro,  nel  detto  archivio. 

(5)  Die  iiij  aprilis  p.c  ind.  ijij.  Magister  Julianus  Maiichiuus,  e.  pa.,  presencialiler  corani  nobis  et  maiiua- 
liter  habuit  et  recepii  a  no.  Alfonsio  de  Parisio ,  presente  et  solvente  nomine  et  prò  parte  magnifici  Jo.  Abbnitiste 
La  'Rjisa ,  uncias  quatuor  il  tarenos  v.e  in  pnrvulis  ad  complimentimi  di  certi  culopni  marmorey  facti  alo  regio 
Steri,  ut  dietns  111/  Julianus  dixit,  reniincians  exceptioni,  etc,  virlute  unius  apodixe  directe  magnifico  domino  se- 
creto hitius  urbis  Panarmi.  Unde,  etc.  —  Tcstes:  Jacobus  I^Lavarrus,  no.  Macyillus  de.  Trauio  et  m.r  xAntonius  lit 
'Rjtssu.  —  Dal  registro  di  num.  1880  di  notar  Giacomo  I  Lucido,  an.  1 512-13,  ind.  I,  fog.  490,  nell'archivio 
de'  notai  defunti  in  Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  III.  I  19 


avendole  assunto  ad  eseguire,  siasi  giovato  del  concorso  di  giovani  allievi  e 
garzoni ,  di  che  per  fermo  non  ebbe  ad  aver  difetto  ;  e  quindi ,  comunque 
degli  altri  d'ignoto  nome  non  sia  più  oggi  contezza,  si  sa  del  giovine  Pietro 
Di  Battista,  figliuolo  naturale  del  prete  Giambattista  dello  stesso  cognome, 
cognato  di  Giuliano,  essersi  obbligato  in  Palermo  a  quest'ultimo,  per  pubblico 
strumento  in  data  del  3  di  febbraio  XIV  ind.  15 io  (15 11),  a  dimorar  con  lui 
per  tre  anni  e  quattro  mesi  a  fargli  tutti  i  servigi  dell'arte,  così  in  Palermo 
eh"  fuori,  con  che  l'arte  stessa  gli  avrebbe  quegli  insegnato  secondo  la  pos- 
sìbilì*"5,  propria  e  la  capacità  dell'intelletto  di  lui,  non  dandogli  del  resto  che 
il  vitto  consueto,  le  vestimenta,  il  letto  ed  i  ferri  del  mestiere.  Laonde,  es- 
sendosi in  seguito  infermato  per  ben  quattro  mesi  il  detto  allievo  ,  si  ob- 
bligò poi  nuovamente  al  maestro  per  atto  del  6  di  maggio  dell'anno  appresso 
rifargli  altrettanto  tempo  in  servigi  nell'avvenire  (:). 

Circa  a  lavori  di  figure,  per  atto  in  data  del  19  di  febbraio  I  ind.  15 12 
(15 13),  vendette  indi  il  Mancino  in  Palermo  al  chierico  Giovanni  di  Riscifina, 
qual  procuratore  della  maggior  chiesa  di  Castanéa,  una  statua  di  S.  Caterina, 
esistente  nella  propria  bottega;  e  si  obbligò  finirla  ,  lustrarla  ,  darvi  l' oro  e 
l'azzuolo  fine,  giusta  il  costume,  e  di  poi  consegnarla  di  lì  al  dì  8  del  se- 
guente settembre  pel  prezzo  di  once  sette  e  tari  diciotto  (1.  96.90)  (2).  Pari- 


ti1) Eodem  iij."  fébruarii  xiiij.'  ind.  i;w  (i 5 1 1).  Petrus  de  Abbattista,  civis  'Panhormi,  corani  nobis  sponte 
se  obligavit  et  obligat  magistro  Juliano  Manchino,  scultori  et  habitatori  Tanormi ,  presenti  et  conducenti  ac  stipu- 
lanti, moraturum  cimi  eodem  annis  tribus  et  mensibus  quatuor,  ab  hodie  in  antea  numerandis,  ad  faciendum  omnia 
et  siugula  servicia  arlis  apotece  dicli  conductoris  ac  domus,  tam  hic  Tanormi  guani  extra;  et  hoc  prò  esu  et  pota 
consuetis  ac  calciamentis  et  vestimenti!  licitis  et  necessarih  lectogue  prò  dormieudo,  eiimgue  óbligatum  docere  artem 
secundum  eius  possibili tatem  et  capacitatati  inteìlectus  dicti  obììgati ,  et  in  fine  temporis  rum  iuduere  de  panno 
novo  condecenti ,  secundum  eius  artem,  nec  non  et  ei  dare  et  assignare  ferrea  duodecim  artìs  predicte,  nec  non  et 
una  maxpla,  uno  compassa  et  una  squadra;  promictens  d'ictus  obligatus  ire  ad  huiusmodi  servicia  eaque  facere  bene 
et  diligenler,  ut  decet,  et  in  eis  continuare,  minimegue  inlicentiatiim  recedere:  alias  tencatur  ad  omnia  danpna  , 
interesse  et  expeusas,  quo  casa  perdat  tempus  servita.  Hoc  tamen  pacto ,  quod  casti  quo  infra  id  tempus  dictus  0- 
bligatus,  quod  absil,  iufirinaretur,  tencatur  dictus  obligatus,  et  sic  protnisit  eidem  conduttori  presentì  et  stipulanti, 
prò  ilio  tempore,  quo  jaceret  infirnius ,  ci  in  fine  dicti  temporis  reficere ,  et  non  olite r  nec  alio  modo.  Que  om- 
nia, etc.  ■ — ■  Testes:  uobilis  Andreas  Labbati  et  m.r  Petrus  Lu  Munti.  —  E  segue  pur  ivi  in  margine:  'Die  vj.°  inaij 
xv.'  ind.  1512,  prefatus  Petrus  de  «Abbaltista  obligatus,  in  proxhno  coutractu  nomìitatus,  corani  nobis,  ad  iustanciain 
dicli  tuagistri  Jitliaui  conductoris,  preseutis  et  petentis  ac  stipulantis,  spante  dixit  et  confessus  est  finisse  et  extìlisse 
infirmimi  mensibus  quatuor  continttis  et  completis,  ut  dixit,  renunciaiis  exceptioui  etc:  quos  quidetn  menses  quatuor 
dictus  obligatus  protnisit  eidem  magistro  Juliano,  stipulanti  ut  supra  ,  reficere  co  modo  et  forma  et  sub  omnibus 
illis  pactis,  óbligalionibus  et  aliis  cautelis  et  juramentis  in  predicto  coutractu  contentis.  Et  juraveriint,  etc  — Testes: 
magnificus  Joanues  Baptista  de  TJsignano,  Telrus  de  Stephano  et  Marcus  Antonius  Corracbitto.  —  Dal  registro 
di  num.  2502  di  notar  Gerardo  La  Rocca,  an.   1510-11,  ind.  XIV,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in   Palermo. 

(2)  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  XXVII.  jy 


120  I    GAGINl    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


mente  fu  egli  tenuto  scolpire  una  Nostra  Donna  in  marmo  ad  un  Calo- 
gero Scaccia  della  terra  di  Caltavuturo  pel  prezzo  di  once  sedici  (1.  204), 
giusta  il  tenore  dell'atto  rogatone  in  notar  Giovanni  Guerriero  il  di  ultimo 
di  marzo  di  detto  anno  151 3:  ond'è,  che  del  danaro  anticipato  o  da  anti- 
cipare a  tal  uopo  a  Giuliano  si  fece  poi  mallevadore,  in  caso  di  dovere  re- 
stituirlo ,  un  maestro  Giacomo  di  Benedetto  ,  pur  egli  scultore  (ma  di  cui 
fino  al  presente  non  mi  son  note  opere  di  sorta),  per  atto  in  Palermo  del  20 
del  maggio  seguente  (').  Ma  non  è  facile  fra  varie  statue  di  tal  soggetto,  che 
esistono  di  quel  tempo  in  Caltavuturo,  discernere  appunto  qual  fu  al  Man- 
cino allogata  (2).  E  si  ha  del  medesimo  inoltre,  che  a  23  di  agosto  dello 
stess' anno  1 5 1 3  istituì  suo  procuratore  il  collega  Bartolomeo  Berrettaro  , 
comunque  assente  ,  a  chiedere  ed  esigere  checché  gli  fosse  o  gli  sarebbe 
dovuto  da  tutti  i  suoi  debitori  in  tutto  il  regno  di  Sicilia  ,  massime  dal 
magnifico  Martino  o  Marino  de'  Notarbartolo,  essendo  a  notar  neh'  atto  di 
tal  procura,  qual  trovasi  in  Palermo  nel  registro  dell'anno  della  prima  indi- 
zione 15 12-13  di  notar  Vincenzo  Smatta,  ch'esso  fu  fatto  in  prima  a  ri- 
scuoter soltanto  in  terra  Tolicii,  e  che  indi,  cancellate  queste  parole,  vi  fu- 
rori esse  sostituite  dalle  altre  in  foto  regno  Sicilie,  volutosi  estendere  il  senso 


(■)  Fideiussio  prò  Caloyaio  de  Scacha  cantra  magistrum  Jacobum  de  "Benedicto.  —  Eodem  xx.°  mai] p.'  imi. 
iji],  Tro  honorabili  magistro  ] aliano  de  S\( 'anellino,  scultore,  rive  panhormilano,  et  eias  precibus,  erga  konordbiUìn 
Caloyarum  de  Schacha  de  terra  Calatabuturi ,  in  casa  restituctionis  Mamm  pecuniarum  tam  babitarum  guani 
habendarum  prò  predo  unius  figure  marmoree  intemerate  Virginis  Marie,  guani  dìctus  magister  Julianus  se  óbli- 
oavit  facere  dicto  Caloyaro.  prò  predo  undarum  xvj  virtute  cuiusdam  publici  contractus  celebrati  in  actis  egregii 
notarli  Joannis  de  Guirrerio  die  ultimo  mensis  marcii  p.e  indictionis  Iustantis,  magister  Jacobus  de.  Benedicto,  etiaiu 
scultor,  corani  nobis  sponte  fideiussit  et  se  fideiussorem  et  principalem  solutorem  et  debito  rem  constituit,  etc.  —  Te- 
stes:  Hieronimus  de  Piala  de  civitate  Messane  et  Jacobus  de  Graffeo  de  dvitate  Sacce. — Dal  registro  di  num.  2504 
di  notar  Gerardo  La  Rocca,  an.   15 12-13,  >n4-  *>  f°g-  463  verso. 

( 2  )  Stimo  che  più  delle  altre  senta  lo  stile  del  Mancino  una  mediocre  statua  di  Nostra  Donna  col  divin 
pargolo,  ivi  esistente  nella  maggior  chiesa  in  una  cappella  a  destra  del  cappellone,  cui  è  contigua.  Un'altra, 
probabilmente  più  antica,  ma  di  miglior  lavoro,  specialmente  per  la  bellezza  del  volto  ,  si  vede  pur  ivi  sul 
primo  altare  a  sinistra  dall'ingresso,  e  rende  piuttosto  il  fare  di  Domenico  Gagini.  Un'altra,  bensì  pregevole, 
ch'é  nell'interno  del  monastero  di  S.  Maria  la  Nuova  o  di  S.  Benedetto ,  reca  dappiè  nella  base  l' iscrizione 
seguente:  FELIPO  DE  PASQVALE  A  FATV  FARE  QVISTA  IMMAGINE  COMPLITA  L'A.  15 16;  e 
quindi  è  da  stimarla  diversa  da  quella,  onde  il  Mancino  si  era  obbligato  allo  Scaccia  tre  anni  prima,  e  forse 
dello  stesso  ignoto  scultore,  di  cui  nella  sacrestia  della  chiesa  del  detto  monastero  si  vede  altresì  una  custo- 
diettain  marmo  di  buono  stile  con  Cristo  in  piedi  nel  mezzo  fra  due  angeli  in  alto  rilievo,  ed  al  di  sopra  la 
Natività  del  medesimo,  e  sotto  alcune  mezze  figure  degli  apostoli  da'  lati  del  vano  del  ciborio  ,  essendovi 
scritto  da  un  lato:  MCCCCCXVI  S.  A.  Né  finalmente  del  Mancino  sono  affatto  da  credere  due  altre  belle 
statue  di  Madonna,  che  nella  stessa  chiesa  si  ammirano  ,  sentendo  esse  più  che  altro  la  bellezza  del  far  ga- 
ginesco,  e  soprattutto  quella,  ch'è  sull'alter  maggiore,  di  molto  pregio  e  sviluppo. 


NEI    SECOLI    XV    li    XVI.    GAP.  III.  12  1 


anco  a  tutt' altri  crediti  da  riscuotere  altrove  (').  Riman  però  quindi  evi- 
dente, che  principal  debitore  esser  doveva  in  Poli/zi  il  Notarbartolo,  sic- 
come quello,  che  in  ispecial  modo  vien  ricordato  nominatamente  nell'atto 
e  che  colà  vivea  fra'  più  qualificati  signori,  tenendovi  alto  il  nome  del  suo 
nobil  casato.  Da  costui  quindi  si  erari  dovute  allogare  sculture  ,  di  cui  dal 
Mancino  già  ripetevasi  il  prezzo  ,  comunque  nulla  si  sappia  del  soggetto 
di  esse  o  del  sito.  Non  è  altronde  notizia  di  lavori  eseguiti  in  quel  tempo 
nella  cappella  spettante  a'  Notarbartolo  nella  chiesa  maggiore  in  Polizzi , 
dove,  oltre  la  pregevole  statua  suddetta  di  Nostra  Donna ,  dappiè  segnata 
dell'anno  1473,  non  è  che  un  sarcofago  dell'illustre  Vincenzo  della  stessa 
famiglia,  morto  nel  15 16  e  che  vi  si  vede  effigiato  giacente  sul  coperchio 
con  un  cane  a'  piedi;  il  qual  sarcofago,  eh'  è  ora  nel  lato  sinistro  di  detta 
cappella,  era  pria  di  rimpetto  nel  destro  lato,  sotto  un  arco  marmoreo,  che, 
oggi  rimasto  senza  scopo,  rendeavi  un  di  molto  decoro  per  la  ricchezza  dei 
suoi  fregi  con  eleganti  teste  di  serafini  e  fioroni,  ricorrendovi  anche  in  mezzo 
nella  parte  superiore  della  parete  in  alto  rilievo  una  mezza  figura  di  Madonna 
col  bambino  fra  due  angeli,  oltre  due  statuine  simboliche  laterali.  Ma  certo 
è  del  sarcofago,  non  meno  che  dell'anzidetta  statua,  che  insieme  rimontino 
ad  un  tempo  anteriore  non  poco  a  quello  del  nobil  Martino  o  Marino,  es- 
sendo stati  l'uno  e  l'altra  ordinati  da  Vincenzo  stesso,  che  si  dispose  in  vita 
quel  sepolcro,  ignoro  se  più  per  pietà  o  per  signoril  fasto,  quarantatre  anni 
prima  della  sua  morte  ,  siccome  è  chiaro  dalla  seguente  iscrizione  in  una 
antica  lapide  sottostante  al  suo  gentilizio  stemma  nella  vicina  parete  :  Vin- 
ccntius  Notarbartoìns  vir  iìlustris  hic  jacct.  Ad  honorem  T)ei  parcntis  immaginali 
et  sepulcrum  fieri  mandava  anno  mcccclxxiii  :  obiit  mccgccxvi.  Laonde ,  ove 
non  voglia  ammettersi  per  probabile  (siccome  pur  sembra  dal  carattere  delle 
sculture)  ,  che  Giuliano  ,  per  volere  dell'  altro  Notarbartolo  e  sul  declinar 
della  vita  di  Vincenzo,  abbia  aggiunto  al  sepolcro  molti  anni  prima  ordinato 
la  decorazione  marmorea  dell'arco,  che  molto  par  senta  il  suo  stile  ,  é  in 
vece  da  sospettare,  che  o  egli  fece  a  quello  in  Polizzi  altre  opere  ,   di  cui 


(  '  )  Si  legge  in  fatti  nell'allegato  strumento  di  procura  nel  volume  di  num.  1602  nell'archivio  de'  notai 
defunti  in  Palermo,  che  il  Mancino  fece  il  Berrettaro  suo  procuratore  ad  petendum  et  exigendum  ....omne  id 
tantum  et  quantum  recipere  et  hdbere  debuti,  debet  et  deb'ebit  ab  omnibus  et  quibusvis  suis  debitoribus  (cancellato 
in  terra  Tolicii)  in  tolo  regno  Sicilie,  et  maxime  a  magnifico  Martino  de  Notbario  Bartolo,  quocumque  jitre ,  ti- 
tillo, radon t  seu  causi,  tam  rirtute  contractuum  et  ssriplnrarum  publicartnn  et  privalarum  ,  qitam  siue ,  et  al 
tomparendum  corani  quoris  judice,  etc. 


122  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

or  non  è  più  notizia,  ovvero  già  gli  si  era  obbligato  al  lavoro  di  un'  altra 
cappella  di  patronato  del  medesimo  in  San  Francesco  ,  e  forse  ripetevane, 
giusta  il  tenor  del  contratto,  alcuna  delle  solite  anticipazioni  sul  prezzo.  Ma 
di  tale  cappella  ,  che  si  ha  argomento  a  credere  da  altri  di  poi  terminata 
morto  il  Mancino,  sarà  luogo  in  seguito  a  dire. 

Però  la  più  notevole  e  la  più  intatta,  che  or  ci  è  dato  conoscere  come  si- 
cura opera  di  Giuliano;  è  una  gran  macchina  o  custodia,  comunemente  detta 
la  comi  ovvero  icona  (col  qual  greco  nome  appcllavansi  ed  ancora  si  appellano  in 
Sicilia  ogni  maniera  di  grandiose  decorazioni  con  sacre  immagini,  comunque 
scolpite  o  dipinte)  e  che  decora  la  tribuna  della  maggior  chiesa  di  Monte 
San  Giuliano.  È  tutta  in  bianco  marmo,  e  nella  base  con  sei  dadi  sporgenti 
e  con  elegante  cornice  ricorrono  in  lungo  in  mezze  figurette  di  mezzano 
rilievo  i  dodici  apostoli,  cioè  otto  a  due  a  due  da  ciascun  de'  due  lati ,  e 
Cristo  benedicente  fra'  quattro  altri  nel  centro  ,  oltreché  ne'  detti  sei  dadi 
si  aggiungono  quattro  santi  dottori  e  due  santi  re.  Sorge  indi  su  tale  base 
un  primo  ordine  con  sei  pilastri  corinzi  leggiadramente  adorni ,  dando  ivi 
luogo  ad  una  più  grande  nicchia  centrale,  che,  occupando  anche  in  alto 
lo  spazio  del  second'  ordine  sovrastante  ,  ha  in  mezzo  una  Nostra  Donna 
sedente  col  divin  pargolo  fra  otto  cherubini  genuflessi  in  alto  rilievo  dai 
lati,  mentre  due  altri  angeli  al  di  sopra  recano  un  ostensorio  di  antica  forma 
e  con  in  cima  una  croce.  In  quattro  minori  nicchie  laterali  ,  decorate  dei 
detti  pilastri  ed  inoltre  ciascuna  di  un'elegante  conchiglia  nella  parte  su- 
periore al  di  dentro  ,  sono  intanto  quattro  pregevoli  statuette  ,  comunque 
alcun  po'  tozze,  de'  Santi  Pietro  e  Paolo ,  del  Battista  e  di  San  Giuliano. 
Seguon  poscia  in  un  second'  ordine  altri  sei  più  piccoli  pilastrini  corinzi, 
dando  luogo  da'  lati  a  quattro  scompartimenti  di  storie  in  mezzano  rilievo, 
cioè  la  Cena  Eucaristica,  l'orazione  nell'orto,  la  cattura  e  la  condanna  di 
Cristo:  e  venendo  poi  essi  sormontati  da  architrave  e  cornice  con  iscrizione, 
si  erge  indi  ancora  al  di  sopra  un  terz'  ordine  con  quattro  pilastrini  e  tre 
storie,  cioè  nel  mezzo  il  Cristo  crocifisso  fra'  due  ladroni  con  gran  molti- 
tudine di  relative  figure  a  pie  della  croce,  ed  a  destra  la  Deposizione  ed  a 
manca  la  Pietà  ,  ovvero  la  dolente  madre  col  morto  figliuolo  in  grembo  , 
aggiuntevi  inoltre  dal  di  fuori  due  piccole  nicchie  con  una  ignota  Santa  a 
destra  e  San  Giacomo  maggiore  a  sinistra,  ed  estremamente  due  cande- 
labri. Cosi,  restringendosi  la  corta  in  elegante  piramide,  vi  ricorron  di  sopra 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  III.  12  3 


due  altri  pilastrini  con  in  mezzo  Cristo  risorto  sul  monumento  e  da'  lati 
due  belle  figure  di  profeti  in  piedi  in  alto  rilievo  ed  altri  due  candelabretti 
all'  esterno  ,  laddove  poi  sul  detto  Cristo  e  sopra  analoga  cornice  si  erge 
ancora  un  frontispizio  triangolare,  dentrovi  espressa  in  piccole  figure  la  Na- 
scita di  Gesù  e  nella  sommità  un  Dio  Padre  in  mezza  figura  ed  in  atto  di 
benedire,  benché  più  che  altro  assai  tozzo  e  imperfetto.  Nell'architrave  poi 
sovrastante  al  Crocifisso  anzidetto,  cioè  al  terz' ordine,  ricorre  in  lungo  la 
seguente  iscrizione,  che  cosi  è  dato  leggere,  discioltene  le  abbreviature:  hoc 

OPVS  CO.MPLETVM  EST  EXISTENTIBVS  VENERABILIBVS  ANDREA  PIRVCIO  ARCHIPRE- 
SBITERO,    ANTONINO    CANICZARO  ET   MARCO  CADELA  (Camìcia)  CAPELLANIS.  E  nel- 

l'architrave  di  sotto  quest'  altra:  fvit  expedita  dicta  cona  m.°  ccccc.  xiii  exi- 

STENTIBVS    PROCVRATORIBVS    NOBILIBVS    ANTONIO    MARGAGLIOTTA,  NICOLAO    TV- 

scano  et  x.°  (Christophoro?)  caniczaro.  Di  tale  opera  altronde  è  certezza, 
che  fin  da  tre  anni  prima  era  già  in  corso  di  lavoro  ,  avendosi  nel  testa- 
mento di  una  nobile  Angela,  vedova  di  un  Francesco  Provenzano,  agli  atti 
di  notar  Niccolò  Pollina  in  detta  terra  del  Monte,  in  data  del  27  dicembre  XIV 
indiz.  15 io,  ch'essa  legò  tre  once  (1.  38.25)  prò  cona  marmorea,  qne fit  in 
ecclesia  S.  otarie  in  major i  aitare  (').  E  ch'essa  principalmente  sia  stata  allo- 
gata al  Mancino  chiaro  risulta  in  prima  da  un'  apoca  data  addi  2  di  otto- 
bre del  15 14,  per  cui  lo  scultore,  ricevendo  in  Palermo  una  residuale  somma 
di  once  quindici  (1.  191.25)  da'  procuratori  ed  economi  della  chiesa  mag- 
giore di  Monte  San  Giuliano,  dichiarasi  totalmente  pagato  e  soddisfatto  del 
prezzo  della  cona  da  lui  già  fornita  e  consegnata  ,  giusta  il  tenore  di  un 
atto  colà  rogato  da  notar  Giovanni  Antonio  Toscano  in  data  degli  1 1 
del  precedente  luglio  (2):  oltreché  segue  ancora  più  tardi  altro  strumento, 


(  '  )  Devo  di  ciò  notizia  al  padre  Giuseppe  Castronovo,  domenicano  ericino,  che  trovò  quivi  il  detto  te- 
stamento in  quell'archivio  de'  notai  defunti. 

(2)  Die  ij.°  mensis  octobris  iij.  ind.  1514.  Cimi  hoiiordbilis  magister  Juìianus  de  Manchino,  scultor,  fuerit 
et  sit  credito)-  honorabilium  Antonii  de  Tuscano,  Antonii  fMargaglotto,  Nico!ai  Jandetrapani  et  Jocinnis  de  Can- 
nic^ario  de  tetra  Montis  Santi  Juliani,  tam  eorutn  propriis  nominibus,  qaam  tamquam  yconomis  et  procuratoribus 
majoris  ecclesie  diete  terre  fMontis,  in  unciis  quindecim  prò  integro  predo,  magisterio  et  manifactura  unius  yconc 
marmoree  per  dictos  procuratores  habite  et  recepte ,  ut  asseritur ,  virtute  cuìusdam  publici  contrac! its  celebrati  in 
actis  egregii  notarii  Jo.  ^Antonii  de  Tuscano,  publici  notarli  diete  terre  Montis ,  die  xj.°  julii  ij.'  imi.  proxime 
preterite;  propterca  bodic,  presenti  die  pretitulato,  dictus  magister  Juìianus  de  Manchino,  corani  nobis,  ad  peti- 
cionem  et  instanciam  dictorum  procuratorum,  dixit  et  fatetur  fuisse  et  esse  integre  solututn  et  satisfactum  de  dictis 
unciis  quindecim  superius  declaratis  et  expressatis,  hoc  modo,  videlicet:  uncias  duodecim  a  dicto  Joanne  de  Caiiu/c- 
%ario  hodie  contanti,  et  uncias  iij  ad  conplimcntum  per  manus  honorabilis  Francisci  Coppaia  per  baucum  magnifi- 


124 


I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN*    SICILIA 


dato  in  Palermo  a  28  di  luglio  del  15 16,  in  cui  lo  scultore  stesso,  come- 
cessionario  della  maggior  chiesa  anzidetta,  dichiara  aver  ricevuto  tari  quin- 
dici (1.  6.37)  da  un  Geronimo  di  Marino  della  medesima  terra,  a  compi- 
mento di  once  sei  (1.  76.50),  come  restante  di  maggior  somma  pel  prezzo 
della  corta  di  marmo  ivi  fatta.  Nelle  quali  once  sei  si  accenna  ancor  com- 
putarsi oncia  una  e  tari  sette  (1.  15.73)  pagati  già  in  conto  del  Mancino  a 
maestro  Bartolomeo  Berrcttaro,  e  tari  sei  (1.  2.55)  al  cognato  Antonello  Di 
Battista:  ond'è  a  pensar  che  si  l'uno,  del  quale  è  noto  avere  da  socio  per 
molti  anni  lavorato  insieme  con  quello  ,  come  i  fratelli  dell'  altro,  Pietro  e 
Paolo,  e  l'altro  giovine  Pietro  loro  nipote,  de'  quali  è  certo  che  furono  an- 
ch' essi  scultori  o  marmorai  e  che  già  l'ultimo  innanzi  si  era  messo  a'  servigi 
del  Mancino,  gli  siano  stati  d'aiuto  in  quell'  opera  (').  Ma  intorno  al  merito 
di  essa  giova  soggiungere,  che,  sebben  vi  si  ammiri  nel  tutto  un  cotal  gusto 
di  decorazione,  eh'  è  degno  in  vero  dell'  epoca  del  maggiore  risorgimento 
dell'  arte  ,  vi  mancano  nelle  singole  parti  e  specialmente  nelle  figure  quella 
elevatezza  di  espressione,  quel  gradevole  e  delicato  eseguire  e  quel  sapiente 
magistero  di  forme ,  che  furon  doti  di  più  valorosi  ingegni.  Né  altrimenti 
si  avverte  in  altre  sculture  di  quel  tempo  e  di  conforme  stile  ,  qua'  sono 
in  Trapani  due  statue  degli  apostoli  Pietro  e  Paolo  nella  basilica  di  San  Pie- 
tro, un  Cristo  risorto  sull'altare  con  quattro  figure  di  soldati  esterrefatti  al- 
l'intorno nella  cappella  de'  marinai  annessa  al  santuario  famoso  dell'Annun- 
ziata, ed  un  avanzo  di  coita,  che  probabilmente  era  in  prima  nella  chiesa  di 
San  Lorenzo  ,  dov'  è  oggi  il  duomo,  cioè  un  basamento  con  mezze  figure 


corum  Francisci  et  Benedirti  All'iuta,  renuncians  exceplioni  etc.  Et  ime  de  causa  dietus  maglster  Julianus  dictos 
procuratores,  videlicet  dietimi  Joanuem  de  Cannicxario,  presentem  et  slipidantetn,  et  alios  absenles,  me  notarlo  sti- 
pulante prò  eis,  corumque  heredes  et  bona,  propriis  et  quibus  supra  noinlnìbus,  a  solucione  dletarum  unciarum  xv 
prò  predo  dictae  yconae  quietavit,  liberarli,  penitus  et  absolvlt  per  aquilianain  stlpulacionem,  etc.  Sub  ypotheca,  etc. — 
Testes  :  egreglus  notarlus  Vlncenllus  Cannìc^aru,  maglster  DtCasus  de  'Barone  et  magister  Antonius  Rlcharl.  —  Dal 
registro  di  riunì.  2265  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  an.  1 514-15,  ind.  Ili,  fog.  152,  nell'archivio  de'  notai 
defunti  in  Palermo.  La  differenza  poi,  che  corre  ne'  nomi  de'  procuratori,  diversamente  indicati  nella  riferita 
iscrizione  della  coua  ed  in  questo  strumento  ,  non  può  di  leggieri  spiegarsi  donde  provenga  ;  e  gioverebbe 
forse  a  chiarirla,  se  si  trovasse,  l'altro  allegato  documento  del  di  11  luglio  del  1514  in  notar  Giovanni  An- 
tonio Toscano,  ericino.  Ma  non  mi  venne  dato  poter  colà  rinvenirlo  fra'  miseri  avanzi  di  quel  notariesco 
archivio. 

(')  xxi'iij.'  julii  iiij.'  lud.  ijió.  Honorabllls  maglster  Julianus  Manchino,  marmorarius ,  elvis  T attoniti, 
prescns  corani  nobis  lamquam  cessionarlus  mayoris  ecclesie  terre  DvContis  Sancii  Juliaul ,  ut  asserititi-  apparare  le- 
ttore cesslonis  celebrale  manii  notarli  Jo.  Aulouii  de  Toscano  de  eadem  terra,  ad  Instanclam  et  requisleionein  no. 
Ylìeroiiimi  de  Marino  de  eadem  terra,  presentii  et  hoc  ab  eo  conjileri  pclentls,  spante  preseiieiallter  habu.it  et  re- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  111.  12j 


degli  apostoli,  alte  m.  0,40  ,  e  con  un  vano  pel  ciborio  nel  mezzo  ,  quale 
or  si  vede  nel  cortile  della  vicina  casa  Bonfante.  Un  simil  fare  rilevo  in  un 
pregevol  sepolcro  di  un  Antonio  Laliotta,  morto  nel  15  12,  nel  duomo  di  Mar- 
sala,  con  la  figura  di  lui  giacente  sul  coperchio  col  cane  a'  piedi,  e  con  sei 
mezze  figure  simboliche  di  Virtù ,  ricorrenti  dattorno  alla  cassa  sepolcrale 
fra  ornati  di  eletto  gusto.  Che  se  alla  bellezza  di  questi  le  dette  mezze  figure 
non  affatto  rispondono,  è  da  osservare  appunto,  che  lo  stesso  è  nella  cerna 
di  Monte  San  Giuliano;  e  quindi  più  facilmente  reputo  ancor  del  Mancino 
quest'altro  lavoro  in  Marsala,  non  mcn  che  gli  altri  dianzi  cennati  in  Tra- 
pani ,  ammettendo  pure  ,  che  in  tutti  la  minore  arte  del  socio  Berrettaro 
abbia  potuto  avere  sua  parte. 

Con  gente  delle  lor  patrie  contrade  della  penisola  tenevano  intanto  i 
due  soci  scultori,  e  principalmente  il  Mancino,  relazioni  attivissime,  sì  per 
provvedersi  di  marmi  opportuni  in  tanto  fervor  di  operosità,  come  per  altri 
commerci,  da  cui  traevan  profitto.  Quindi  è,  che  Giuliano,  a  23  di  giugno 
del  15 13,  anche  per  parte  del  Berrettaro,  suo  socio  assente,  costituivasi  in 
debito  di  once  ventotto  e  tari  diciotto  (1.  364.64)  ad  un  Lotto  di  Guido  da 
Carrara  (lo  stesso,  di  cui  altronde  rilevasi,  che  colà  pure  talvolta  provvide  di 
marmi  il  Buonarroti)  (!),  allora  in  Palermo,  pel  prezzo  di  tredici  carrate 
di  marmi,  di  venticinque  colonne  lavorate  e  fornite  in  tutto  con  loro  basi 
e  capitelli  ed  ancor  di  sessantasei  mortai ,  che  il  detto  debitore  ne  aveva 
già  ricevuto  (2).  Notevol  cosa  per  fermo  ,  che  riputati  artefici  non  aves- 
sero avuto  a  vile  occuparsi  anche  a  rivendere    mortai  di  marmo  in  Sicilia. 


cepit  ab  eo  tareuos  quindecim  in  aquilis  argenteis  ad  conplimentum  uncianim  sex ,  coniputatis  micia  una  et  tarenis 
septeiu  solutis  pio  eo  magistro  Bartolomeo  Birritaro  et  computatis  tarenis  sex  solulis  egregio  Antonello  de  ^ibbat- 
tista,  eius  sororio  :  et  sant  ad  conplimentum  mayoris  sunune  sibi  debite  per  dìctam  mayorein  ecclesiali!  prò  manti- 
fattura  cuiusdam  cane  marinerie  in  ea  fatte.  Unde,  ut  in  futurum  appareat  et  ad  cautelavi  dicti  nobìlis  Yhero- 
nimi,  facta  est  presens  apoca,  suis  die,  loco  et  tempore  •valitura.  —  Testes  :  Andreas  de  ^Angelo  et  magister  IsLi- 
colaus  de  Lan\a. —  Dal  registro  di  num.  3081  di  notar  Antonino  d'Aiuto,  an.  1515-26,  ind.  IV-XIV,  nel- 
l'archivio de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  '  )  Le  lettere  di  Michelangelo  Buonarroti  pubblicate  coi  ricordi  ed  i  contratti  artistici  per  cura  di  Gae- 
tano Milanesi.  In  Firenze,  M.  DCCC.  LXXV,  pag.  568,  577,  ce. 

(2)  xxiij  junii  p.'  ind.  1513.  Hou.  magister  Julianus  Manchimi,  scalpito/;  e.  p. ,  presens  coram  nobis,  taiu 
prò  se  et  suo  proprio  nomine,  guani  nomine  et  prò  parte  magistri  Bartolomei  Birrittaru,  eius  sodi  absentis,  spanta 
se  proprio  et  quo  supra  nomine  constituit  debitorem  hon.  Lodi  de  Guido  de  Carrara  parcium  Tuscane,  presentis 
et  stipulantis,  in  unciis  xxviij ,  tarenis  xviij  p.  g. ,  quas  et  quos  dictus  magister  Julianus  debitor  proprio  et  quo 
supra  nomine  dare  et  solvere  promisi!  eidem  creditori  stipulanti  in  pecunia  numerata  in  Panormo  per  totum  men- 
sem  decembris  anni  ij.*  ind.  proxime  venientis  :    et  sunt  prò   preccio  carratarum    tresdecim   petre  marmoree;  item 


126  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Ma  per  amor  di  trarne  il  maggior  guadagno  mettevan  essi  tutto  a  profitto 
nell'arte,  non  rifuggendo  ancor  da  bassi  negozi  al  bisogno,  come  ancor  dai 
lavori  più  secondari.  Trovasi  anzi,  che  in  data  stessa  del  23  giugno  di 
quell'  anno  il  carrarese  medesimo  Lotto  di  Guido  e  Giuliano  Mancino  scul- 
tore fccer  fra  loro  società  per  tre  anni  a  scopo  di  comprar  grani,  formaggi 
ed  altri  generi  in  Palermo  ed  in  tutta  Sicilia  e  mandarli  in  Carrara  o  nella 
riviera  di  Genova  per  indi  spartirsene  il  prodotto  delle  vendite,  ovvero  per 
impiegarlo  colà  in  compra  di  marmi  e  vender  poi  questi  nell'isola  con  nuovo 
e  doppio  vantaggio  (r).  Così  l'attività  molta  nell'  arte,  non  men  che  nel 
traffico,  dovè  aver  fruttato  a  Giuliano  ed  a  Bartolomeo  suo  compagno  qual- 
che agiatezza. 

Indi  per  pubblico  strumento  in  Palermo  a  24  di  aprile  del  15 14  creò  il 
Mancino  suo  procuratore  un  Matteo  di  Langelica,  suo  nipote,  a  riscuotere 
quanto  gli  era  dovuto  in  tutto  il  regno  di  Sicilia  e  specialmente  in  Alcamo, 
dove  ed  insieme  all'  altro  e  da  solo  molti  lavori  avea  certamente  fornito  , 
come  in  particolar  modo  è  da  credere  di  varie  statue  di  Nostra  Donna,  che 
sentori  molto  il  suo  stile  e  che  colà  ed  in  altri  luoghi  rimangono  (2).  Ben 


xxv  culowpni  /unititi,  laborati  cimi  sol  baxi  et  cappitélli ;  item  Ixvj  mortavi ,  per  eumiem  debitorem  proprio  et 
quo  stipra  nomine  habiti  et  recepii  ab  eodem  creditore  stipulanti,  etc.  —  Dal  registro  di  nurh.  1602  di  notar 
Vincenzo  Sinatra,  ari.  1 512-13,  ind.  I,  nel  mentovato  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  Ed  anzi  il  detto 
strumento  ivi  si  trova  cancellato  in  virtù  di  un  altro  posteriore,  che  poi  vi  fu  aggiunto  nel  margine,  in  data 
del  7  marzo  V  ind.  1516,  per  cui  Lotto  di  Guido  dichiarò  essere  stato  pagato  e  soddisfatto  dal  Mancino  e 
dal  Berrettaro. 

(')  Eodem  xxiij  junii  p.'  ind.  1513.  Hon.  Loctus  de.  Guido  de  Carrara  partitili!  Tuscane  ex  una  parte  et 
magisUr  Julianus  Manchimi,  sculpitor,  e.  p.,  ex  altera,  presente!  corani  nobis,  infrascriptam  eoruni  societatem  eon- 
ìraxerunt  et  contrahuiit,  duraluram  inter  eos  per  annos  tres  continuo!  et  completos  ab  hodie  in  anlca  numerando, 
ad  emendimi,  lam  hic  Panormi,  ijuam  in  loto  hoc  regno  Sicilie,  totani  Ulani  quantitatem  fruinentorum,  caseorum 
et  aliarum  mercanciarum  ad  eorumdem  sociorum  elepcioneiu  et  voluntatent  ad  effectum  mictendi  ab  hac  felici  urbe 
et  ab  hoc  regno  in  Carrara,  seti  in  riparia  Janue,  et  exinde,  dictis  frumentis ,  caseis  et  mercanciis  venditis  lam 
per  eum  Lodimi,  qtiam  per  dietimi  magistrum  Juliaititiu,  percipienium  predimi,  seenni  ferendum  in  hac  predida 
felici  urbe,  vel  de  eo  emendimi  lapides  mariuoreas  (sic)  ad  carimi  liberala  voluntatent  et  proni  eri!  eis  vidisse;  et 
tandem,  venditis  dictis  lapidibus  farle  emendis,  deducto  ex  eis  capitali  ac  omnibus  expensis  ab  eis  factis,  lucrimi, 
quod  'J)etts  (ledei  it,  dividatur  et  dividi  debeai  inter  eos  in  dualnis  eqitalibus  portionibus ,  scilicel  itiiicitique  contili 
una  equalis  porcio  :  cum  hoc,  quod  omnia  Uhi  f rumenta  et  casca,  bis  diebus  clapsis  onerala  nomine  dicti  Lodi  in 
carricatorio  Tcrmarum  super  quodam  navigio  fanuensi,  intelligantur  et  sint  empia  et  onerata  communiter  inter 
eos,  proni  supra  exponitur  in  presenti  contrada  societalis,  etc.  —  Dal  cit.  registro  di  mini.  1602  di  notar  Vin- 
cenzo Sinatra,  an.  1512-13,  ind.  I,  nel  detto  archivio.  Ed  anche  questo  strumento  vedesi  poi  cancellato  per 
un  altro  posteriore  atto  aggiuntovi  in  margine  in  data  del  di  7  marzo  V  ind.   15 16. 

(2)  11  citato  atto  di  procura  è  nel  registro  di  iium.  1772  di  notar  Matteo  Fallerà,  an.  151 3-14,  ind.  II, 
f°£-   573  r'lro  a   571»  nel  medesimo  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.    Fra  le  cerniate  statue    poi  ,    che 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  III.  I27 


secondaria  opera  indi  fu  quella,  che  per  atto  del  29  di  agosto  del  15  16  e  per 
prezzo  sol  di  tre  once  (1.  38.25)  si  obbligò  egli  fare  ad  un  magnifico  Fran- 
cesco de'  Bracci,  palermitano,  qual  fu  un  semplice  altare  consistente  in  una 
lastra  di  marmo  sostenuta  da  quattro  colonnette;  e  non  è  pure  notizia  dov'era 
da  collocarlo  (!).  Più  rilevante  lavoro  però  fu  quello  al  certo  di  un'  altra 
caini  o  custodia  in  bianco  marmo  ,  la  quale  a  mio  avviso  a  non  altri  me- 
glio che  a  lui  è  da  attribuire,  fin  oggi  esistente  sul? aitar  maggiore  della  chiesa 
di  San  Tommaso  in  Castrogiovanni.  Havvi  al  solito  una  base  storiata  con 
mezze  figure  degli  apostoli  ,  ergendovisi  al  di  sopra  cinque  nicchie  ,  nella 
maggior  delle  quali  nel  centro  è  Nostra  Donna  col  divin  pargoletto,  e  son 
nelle  laterali  S.  Tommaso ,  S.  Niccolò  di  Bari  ,  S.  Agata  e  S.  Lucia  ,  sta- 
tuette di  buono  stile,  ma  tozze  in  vero  alquanto  e  mancanti  di  perfetto  svi- 
luppo. E  sulle  dette  laterali  nicchie  indi  ricorrono  in  rilievo  i  quattro  E- 
vangelisti,  dando  luogo  al  di  sopra  ad  un  altro  ordine,  in  cui  nel  mezzo  è  la 
Pietà,  ossia  l'addolorata  Madre  col  Cristo  morto  in  grembo,  standovi  a'  lati  in 
altre  quattro  nicchie  l'Annunziata  con  l'angelo  e  due  altre  sante  vergini,  e 
terminando  poi  il  tutto  in  cima  con  certe  tozze  figurine  del  Cristo  risorto 
e  del  Padre  Eterno.  Sulla  detta  scultura  della  Pietà  si  legge  intanto  a  grandi 
caratteri:  a.  d.  ino.  m.cccccxv,  qual  fu  certamente  il  tempo  della  collo- 
cazione di  tutta  quell'opera.  E  ad  essa  del  resto  é  probabile  si  riferisca  una 
posteriore  procura  del  3  aprile  del  15 18,  fatta  in  Palermo  dal  Mancino  in 
persona  di  un  genovese  Giovanni  Mella,  cittadino  palermitano  ,  perchè  ri- 
petesse e  ricuperasse  in  Castrogiovanni  quanto  a  lui  era  dovuto  da  Antonio 
Ranzulla ,  Mazullo  Romano  ,  Pietro  Labati  e  consorti ,  obbligati  in  solido 
verso  il  medesimo  Giuliano  in  virtù  colà  di  un  contratto  in  notar  Guglielmo 


van  più  probabilmente  attribuite  al  Mancino  ed  al  Berrettaro,  sono  in  Alcamo  quella  della  titolare  (alquanto 
migliorata  più  tardi  dallo  scalpello  di  Giacomo  Gagini)  nella  chiesa  di  S.  Maria  del  Soccorso  e  1'  altra  sul- 
l'altar  maggiore  in  S.  Maria  di  Gesù,  dov'è  pur  del  medesimo  stile  una  statuetta  del  Battista.  Aggiungi  un 
pregevole  simulacro  di  Nostra  Donna  nella  chiesa  de'  Cappuccini  in  Calatafimi,  il  quale  in  prima  era  al  Car- 
mine, un  altro  in  Salerai  in  San  Francesco  di  Paola  con  bassirilievi  e  due  stemmi  nella  base,  ed  altri  in  buon 
numero  altrove. 

(')  Eoàem,  xxviiij."  augusti  iiij."  ini.  1516.  Magister  Juìianus  Manchiuus ,  scultor ,  civis  pa.,  corani  nobis 
sponte  prornisit  et  sollemniter  conventi  et  se  obligavit  et  obligat  magnifico  Francisco  de  cBracbiis,  eius  concivi,  pre- 
senti et  stipulanti ,  sculpirc  seti  facerc  cimi  eius  marmoribus  quoddam  altare  marmoreum  consistcns  in  una  balata 
marmorea  longitudinis  pahnorum  x  et  latitudini!  palmorum  trium,  curri  iiij."  colupnellis  ....;  et  hoc  prò  unciis  iij, 
otc.  —  Dal  registro  di  num.  1774  di  notar  Matteo  Fallerà,  an.  1 5 16-17,  'm&.  IV,  fog.  712,  nel  mentovato 
archivio. 

18 


128  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SIGILI.-. 


Lo  Guccio  (').  Laonde,  benché  s'ignori  il  contenuto  di  tal  contratto,  può 
ben  darsi  luogo  al  sospetto,  eh'  esso  non  concernesse  che  l' anzidetta  custodia 
della  chiesa  di  San  Tommaso,  del  cui  prezzo,  per  cui  probabilmente  i  confrati 
eran  tenuti  in  solido  allo  scultore,  rimaneva  dopo  tre  anni  a  pagargli  ancor 
qualche  somma.  Il  che  poi  tanto  più  probabile  e  più  prossimo  al  vero  apparisce 
per  la  totale  corrispondenza,  che  corre  fra  le  sculture  di  essa  custodia  con 
quelle  dell'altra  dianzi  descritta  di  Giuliano  medesimo  in  Erice,  mostrando 
con  analoghi  pregi  e  difetti  un  identico  grado  di  sviluppo  e  quasi  il  lavoro 
di  uno  stesso  scalpello. 

Come  intanto  il  Mancino,  durante  ancora  la  sua  società  col  Berrettaro, 
assumeva  talora  lavori  per  solo  suo  conto  ,  è  naturale  ,  che  altrettanto  alla 
sua  volta  l'altro  del  pari  abbia  fatto.  Il  che  per  l'inferiorità  dello  stile  ed  il 
molto  difetto  di  sviluppo  e  di  espressione,  che  generalmente  si  avverte  nelle 
sculture  di  Bartolomeo,  sembra  in  ispecial  modo  esser  cosa  evidente  di  una 
ama  o  decorazione  marmorea  in  fondo  alla  tribuna  della  maggior  chiesa  di 
Calatafimi,  dietro  l'altare.  Nella  base,  che  mal  da  non  guari  venne  staccata 
dal  resto  e  forma  oggi  il  gradino  o  spalliera  sopra  la  mensa  di  quello,  ri- 
corrono in  piccole  mezze  figure  ed  in  bassorilievo  gli  apostoli  con  Cristo 
in  atto  di  benedire  nel  mezzo.  Indi  al  di  sopra  è  luogo  a  cinque  nicchie 
fra  sei  pilastrini  con  ornati  di  qualche  gusto  ,  ma  punto  gagineschi  ,  nella 
maggior  delle  quali  in  centro  si  vede  una  statuetta  di  Nostra  Donna  in 
piedi  col  putto  in  grembo,  e  ricorrono  nelle  altre  da'  lati  altre  quattro  fi- 
gure, cioè  a  destra  S.  Silvestro  e  l'arcangelo  Michele  ed  a  sinistra  S.  Nic- 
colò di  Bari  e  S.  Antonio  abbate.  Seguon  più  alto  due  storie  in  figurine  a 
rilievo  ,  cioè  Cristo  dinanzi  a  Pilato  e  la  sua  flagellazione  ,  ed  agli  estremi 


(')  Eodern  ///."  aprilis  vj.'  imi.  iji8.  Honorabìlis  m.'  Julianus  Manchimi,  civis  T  attor  mi ,  marmorario, 
presens  corani  iwbis,  confisus  de  fide,  virtute,  sufficientia,  ydonietate  et  legaìitate  honorabìlis  Joanuis  Mella,  jauuensis 
et  civis  Taiwnìii,  ovini  jure,  modo,  via  et  forma,  quibus  melius  polii it  et  polest ,  spante  eiinidein  Joannem,  licci 
abscnlcm,  lamqiiani  pi  esentali,  coiistituil,  fecit,  creavit  et  sollemuiter  ordìuavil  in  smini  veruni,  legitimum  et  imlit- 

hi tatuili  procuratoreni ad  petendum,  exigendum,  percipiendum,  recttperandum  et  habendum,  vice,  nomine  et  prò 

parte  ipsius  constituentis,  ab  honorabili  Antonio  'SjW^ulla,  Mainilo  'l{jimano,  Tetro  Labati  et  coiisortibus  de  terra 
Castri  Joaiinis,  in  soliduin  obhgalis  ipsi  magistro  Jiiliauo  virtute  contractut  celebrati  marni  notarli  Gioiellili  Lu 
Gucho  die  eie.  in  dieta  terra,  tolum  illud  et  quicquid  ac  quantum  per  eos  ipsi  constiti/enti  debetur  virtute  supradicti 
contractus  ,  et  de  eo  quod  receperit  quietamìuin,  liberamìiuu,  etc.  —  Dal  registro  di  num.  3476  di  notar  Girolamo 
Corraccino,  an.  15 17-19,  ind.  VI-VII,  fog.  159  retro  a  160,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  di 
questo  documento  e  di  altri  nove  intorno  al  Mancino  ed  al  Berrettaro  io  son  tenuto  al  signor  Giuseppe  Co- 
sentino, studiosissimo  alunno  del  nostro  archivio  di  stato,  essendosi  egli  piaciuto  raccoglierli  e  comunicarmeli. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  III.  I2i> 


due  mezze  figure  di  profeti  con  al  di  sopra  l'Annunziata  e  l'angelo,  laddove 
indi  superiormente  ricorre  fra  due  pilastrini  un'altra  storia  della  Crocifissione 
nel  centro,  fiancheggiata  da  due  pregevoli  figure  in  alto  rilievo  di  S.  Pietro 
e  S.  Paolo  con  due  candelabretti  al  di  fuori;  e  termina  in  fine  il  tutto  nel 
mezzo  con  una  cornice,  su  cui  si  volge  un  semicircolare  pennacchio  con  la 
Risurrezione  al  di  dentro  e  con  un  Dio  Padre  benedicente  in  cima.  E  nel 
totale  congegno  di  siffatta  opera  è  da  ammirar  sempre  il  gusto  del  risor- 
gimento ,  che  già  prevaleva  nelF  arte  ,  comunque  allo  scultore  mancassero 
energia  d' ingegno  e  sviluppo  di  magistero  atti  a  trasfondere  con  evidenza 
nella  forma  la  vita  del  sentire  ed  a  raggiunger  lodevole  esecuzione.  Laonde, 
benché  non  se  n'  abbia  fin  ora  certezza  per  documento  ,  non  dubito  sia 
quella  da  stimare  eseguita  dal  Berrettaro,  il  quale,  lavorando  da  solo  e  senza 
il  concorso  del  Mancino  ,  riusci  pure  altrove  a  congegnare  talvolta  un  bel 
tutto  ,  ma  fu  debole  sempre  per  gusto  e  molto  infelice  in  maneggiar  lo 
scalpello,  non  mai  avendo  raggiunto  nelle  parti  la  bellezza,  la  vita,  la  grazia,  che 
sono  indispensabili  pregi  a  valente  scultore.  Aggiunge  argomento  a  non  fare 
ad  altri  se  non  a  lui  attribuire  quell'  opera  1'  esistenza  di  essa  in  paese 
molto  vicino  ad  Alcamo,  dove  Bartolomeo  aveva  casa  e  interessi  :  oltreché 
al  tempo  di  lui  perfettamente  risponde  1'  anno  mcccccxii  ,  che  si  vede  se- 
gnato dappiè  di  quella  in  un  marmo  di  base  ad  un  pilastro  dietro  l'aitar 
maggiore,  accennando  per  fermo  il  tempo,  in  cui  fu  collocata,  laddove  poi 
nel  basamento  della  medesima,  che  ora  fa  parte  del  detto  altare,  ricorre  con  lo 
stemma  del  paese  a  sinistra  l'iscrizione  seguente  : 

IMPENSIS  POPVLI  CALTHA 
PHIM.  PROCVRATIB.  V.  DOPN 
MATHEO  GRVPPVSIO 
NOBILIB.  IOANE  BBTA  RO 
SOLOMINIS  GVLIELMO 
TRVGLO  CAPITANEO 
HON.  SALVO  DAMVRVSIO 

ÓTB. 
PROCVRATIB. 

Rilevasi  poi  da  pubblico  strumento  in  Palermo  in  data  del  20  maggio 
del  15 14,  che  il  Berrettaro  medesimo  era  già  tenuto  costruire  una  porta  mar- 
morea per  la  chiesa  della  confraternita  di  S.  Egidio  in  Mazara  pel  prezzo 
di  once  trentacinque  (1.  446.25)  ,   giusta  il  tenore  di  un    precedente  con- 


I3O  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA     IX    SICILIA 


tratto  presso  notar  Bartolomeo  Bianco.  Ma,  sebbene  di  già  ricevuto  ne  a- 
vesse  once  sette  a  conto  (1.  89.25)  e  fosse  scorso  il  tempo  della  consegna, 
non  aveva  per  anco  egli  voluto  finirla  ,  temendo  non  poter  conseguirne  il 
prezzo  anzidetto,  e  quindi  a  ciò  richiedeva  o  che  questo  in  prima  gli  fosse 
pagato  in  contante,  o  che  alcuna  o  diverse  persone  si  obbligassero  in  proprio 
nome  a  pagarlo.  Per  la  qual  cosa ,  a  comporre  tal  differenza  ,  convennero 
poscia  in  data  del  detto  dì  20  maggio  il  mentovato  scultore  ed  un  notar 
Andrea  Polito ,  un  de'  rettori  di  quella  confraternita  ,  così  per  sé  che  per 
parte  e  nome  degli  altri  rettori  Federico  La  Torre,  Giovanni  di  Petralia  e 
maestro  Agostino  di  Crinio;  e  quindi,  promettendo  ed  obbligandosi  il  Ber- 
rettaro  fornire  quella  porta  già  cominciata  e  consegnarla  per  tutto  il  ve- 
gnente settembre,  promettea  l'altro  ed  obbligavasi  alla  sua  volta  pagargliene 
in  Palermo  tutto  il  restante  del  prezzo,  cioè  una  metà  per  Natale  e  l'altra 
per  tutto  aprile  dell'anno  appresso  (').  Rimane  essa  intanto,  benché  assai 


(')  Die  xx.°  may  ij.°  imi.  ij  14.  Cini:  bon.  m.'  Bartolomeus  Birrictaru,  scultor,  vendiderit  seu  se  obligaverit 
tacere  et  construerc  quandam  januam  marmoream  prò  venerabili  ecclesia  confraternitatis  Santi  Egidii  civitatis 
Maestrie,  prò  predio  unciarum  trìgìhla  quinque,  sub  certis  modo,  forma,  pactis  et  aliis  expressatis  in  qnodam  as- 
sillo contrada  celebrato  manie  quondam  notarti  Bartolomei  de  Bianco  ,  de  quo  predio'  didus  vi.'  'Bartolomeus 
habldsset  a  nobUibus  rectoribus  diete  confraternitatis  linciai   septem  et  ìarenos  prout  asserii  apparere  in 

quadam  nota  adjecta  in  margine  dicti  contradus  proni  in  lìbrìs  mercatorum  ;  qui  m.'  'Bartolomeus ,  licei  tempus 
construdionis  et  consignalionis  diete  janue  fuisset  elapsum,  noluisset  bue  usque  dictam  januam  expedire,  dubitando 
ne  forte  potuisset  consequi  pretiiun  ipsius ,  allegando  nolle  Ulani  expedire  nisi  baberet  prius  totum  pretium  ipsius 
de  contanti,  vel  aliquam  vel  aliquas  personas  proprio  nomine  obligatas  ad  solveiìdum  totum  restata  pretii  predicte 
janue;  propterea  bodie,  pretìtulaio  die,  didus  m.'  Bartolomeus  ex  una  parte  et  egregius  uotarius  Andreas  Politus, 
tuius  ex  rectoribus  diete  ecclesie  et  confraternitatis,  tam  per  se,  quani  nomine  et  prò  parte  nobilitali  Friderìci  la 
Turri,  Joaiiuis  de  Petralia  et  honorabilis  magistri  Augiistiiii  de  Crinio  ,  rectorum  ,  prò  quibus  ipse  egregius  no- 
tarius  ^Andreas  suo  proprio  nomine  de  rato  promisi!  juxta  formarti  ritits  et  quod  ipsi  nobiles  Fridericus,  Joaunes 
el  Augustinus  ad  otnnem  sitnplicem  requisitionem  dirti  magistri  Bartolomei  ratificabunt  presentem  contradum  et  in 
solidum  cum  dido  notarlo  Andrea  eorum  propriis  nominibus  se  obligabiint  ad  omnia  in  presenti  contrada  con- 
tenta, sub  ypotheca  et  obligatione  honorum  eorum  omnium,  ex  altera,  corani  nobis  sponte  ,  mtituis  stipulationibus 
bine  inde  intervenientibus,  ad  invicem  deveneruni  ad  infrascriptam  eouveneionem,  videlicel  :  quod  didus  m.'  Bar- 
tolomeus promisit  et  se  obligavit  eidem  egregio  notano  Andree,  presenti  et  stipulanti  nomine  diete  confraternitatis, 
dictam  januam  jam  inceptam  expedire  et  expeditam  dare  el  consigliare  per  totum  mcnscm  sepleubris  proxhne  futuri, 
a'  modo,  forma,  loco,  condictiouibus  et  aliis  coutentis  in  dirlo  conti  adii  et  juxta  ipsius  contradus  serietà  in  om- 
nibus et  per  omnia;  et  sic  didus  uotarius  Andreas  per  se  el  suo  proprio  nomine  et  prò  dictis  Friderico,  Joaiiuc  et 
Angustino,  prò  quibus  ut  saprà  de  rato  promisit  de,  dare  el  solvere  promisit  et  se  obligavit  dido  magistro  Bar- 
tolomeo sii  pillatili  totani  restans  pretii  predicte  janue,  in  pace,  lue  Tanormi,  hoc  modo,  videlicel:  imam  medielalem 
per  totum  festini!  Nativitatis  Domini  nostri  et  alteravi  per  lolum  aprilem  anni  sequeutis  iij.'  imi. ,  in  pare  el  de 
plano,  eie.  Que  omnia,  de.  —  Dal  registro  di  mini.  2247  di  notar  Giovati  Francesco  Formaggio,  an.  151 3-14, 
ind.  II,  fog.  1106  retro  a  n  07,  nel  detto  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  Documento  comunicatomi 
dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 


NEI    SECOLI    XV    È    XVI.    GAP.  III.  13  r 


sciupata  dal  tempo,  nella  chiesa  anzidetta  in  Mazara;  e  due  pilastri  di  com- 
posito stile  in  bianco  marmo  con  otto  scompartimenti  di  storie,  quattro  per 
ogni  lato,  vi  rappresentano  fatti  della  vita  di  S.  Egidio  in  alto  rilievo,  con  qual- 
che merito  composti,  ma  di  mezzana  esecuzione,  laddove  poi  sui  capitelli  dei 
detti  pilastri  ricorre  un  architrave  retto  con  iscrizione  e  con  lo  stemma 
della  confraternita  in  mezzo  ,  dando  luogo  al  di  sopra  ad  una  cornice  ,  su 
cui  si  erge  un  pennacchio  semicircolare  con  in  cima  una  croce  col  Crocifisso  e 
dentrovi  una  mediocre  figura  di  Nostra  Donna  sedente  col  bambino  fra  due 
angeli,  oltre  due  statuette  di  Santi  da'  lati.  L'  iscrizione  comprende  il  se- 
guente distico  e  l'anno  : 

REGIA    PROGEN1ES    TEMPLVM    CVI    PSIDET    (prOCSÌdct)    ALMA 
EGIDIO    FRATRES    CONSTITVERE   SVI.    1525. 

Laonde  è  da  pensare,  che  con  molto  indugio  dopo  altri  dieci  anni  fu  col- 
locata quell'  opera  ,  la  quale  altronde  sembra  non  esser  dubbio ,  che  sia  la 
stessa  che  quella  di  Bartolomeo  ,  siccome  dal  mediocre  stile  delle  sculture 
apparisce,  benché  sia  essa  molto  pregevole  per  l' eleganza  e  la  bellezza  del 
tutto ,  e  quelle  storie  medesime  sian  da  stimarsi  fra  le  migliori  ,  che  abbia 
egli  condotte.  La  detta  porta  per  altro  in  tutto  arieggia  la  forma  e  lo  stile 
di  un'  altra,  anteriore  di  alquanti  anni ,  la  qual  tuttavia  rimane  in  Trapani 
nell'odierna  chiesa  di  Nostra  Donna  della  Luce  e  che  apparteneva  in  prima 
ivi  stesso  ad  un'  antica  chiesa  di  S.  Giuliano,  avendo  ne'  suoi  due  pilastri 
per  ogni  banda  tre  scompartimenti  di  storie  della  vita  di  S.  Giuliano  ve- 
scovo, e  di  sopra  entro  cornice  semicircolare  due  figurine  simboliche  a'  lati, 
e  nel  mezzo  due  putti  con  uno  stemma,  oltre  l'anno  in  tal  guisa  segnato 
nella  trabeazione  sottostante:  m.°  ccccc  vini.0  xm  indictionis.  Perlochè  sem- 
bra molto  probabile,  che  questa  porta  sia  stata  fra  le  opere  insieme  eseguite 
dal  Mancino  e  dal  Berrettaro  quand'  essi  erano  in  società  di  lavoro,  e  che 
poscia  sia  stata  dal  secondo  di  essi  imitata  nell'altra,  che  sedici  anni  dopo 
fu  collocata  in  Mazara.  Al  che  cresce  ancora  alcun  peso  una  statuetta  di 
San  Vito,  tutta  sul  fare  del  Mancino,  la  qual  pure  si  vede,  comunque  guasta, 
nella  medesima  chiesa  della  Luce  in  Trapani ,  pervenutavi  forse  dall'  altra 
chiesa  più  antica,  mostrando,  che  in  più  di  un'opera  potè  ivi  ben  egli  es- 
sere stato  adoprato. 

Avvenne  intanto  ,  che  la  società  si  a  lungo  durata  fra'  detti  due  arte- 


I32  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


fici,  per  cui  essi  tennero  insieme  comune  bottega  o  studio  in  Palermo,  restò 
finalmente  sciolta,  non  so  per  qual  motivo,  senza  che  pur  la  loro  fraterna 
amicizia  cessasse.  Quindi  è,  che,  venuti  entrambi   all'  uopo  ad  accordo  op- 
portuno, convennero  per  pubblico  atto  del  dì  19  di  ottobre  del  15 17  a  divider 
fra  loro  i  vari  lavori,  ch'erano  insiem  tenuti  fornire  a  diverse  chiese  e  per- 
sone.   Tali  eran    pertanto  :  la  conci  o  custodia    in    marmo    suddetta    per  la 
maggior  chiesa  di  Termini,  giusta  il  tenor  del  contratto  colà  celebrato  per 
mano  di  notar  Giacomo  d'Ugo;  un'altra  custodia  per  la  maggior  chiesa  di 
Polizzi,  secondo  1'  atto  ivi  altresì  rogato  presso  notar  Giovanni  Perdicaro  ; 
una  cappella  con  una  concita  o  piccola  composizione  in  marmo,  da  farsi  agli 
eredi  del  defunto  Stefano  Adragna  nella  chiesa  dell'  Annunziata  ovvero  del 
Carmine  in  Alcamo ,   conforme  ad  una  convenzione  già  stipulata  in   notar 
Andrea  di  Milazzo;  un  sepolcro  in  marmo  al  magnifico  Bernardino  Perdicaro 
per  deporvi  l'estinta  sua  moglie  fors'anco  in  Polizzi,  giusta  l'atto  in  notar 
Pietro  Boi  ;  un  altro    sepolcro  alla   signora  Laura  Settimo   ed  al  barone  di 
Giarratana,  suo  figlio,  per  deporvi  il  lor  defunto  figliuolo  e  fratello  Bartolo- 
meo ,    come  per  atto  in  notar  Pietro  Russo  ;  e  finalmente    una  cappella  in 
marmo  con  due  grandi  figure  per  la  chiesa  di  San  Francesco  in  Polizzi,  da 
eseguirla  al  magnifico  Marino  o  Martino  Notarbartolo,  a'  termini  del  contratto 
in  notar  Perdicaro  suddetto.  Spettaron  perciò  al  Berrettaro,  tenuto  di  per  sé 
solo  quindi  a  fornirle,  la  sopradetta  opera  della  maggior  chiesa  di  Termini, 
1'  altra  della  chiesa  maggiore  di  Polizzi  e  la  cappella  altresì    degli  eredi  del 
morto  Stefano  Adragna  in  Alcamo;  e  spettaron  del  pari  al  Mancino  le  ri- 
manenti altre  opere,  cioè  il  sepolcro  della  moglie  del  detto  Bernardino  Per- 
dicaro, l'altro  di  Bartolomeo  Settimo,  barone  di  Giarratana,  e  finalmente  la 
cappella  anzidetta  del  Notarbartolo  in  San  Francesco  in  Polizzi.  Per  la  qua! 
cosa  ciascun  per  sé  i  due  scultori  assumevano   1'  obbligo  di  fornire  e  con- 
segnare le  dette  opere,  coni' essi  insieme  fin  allora  eran  tenuti  in  virtù  dei 
cennati  contratti  e  giusta  il  prezzo  ne'  medesimi  stabilito,  con  che  avessero 
a  intendersi  compensate  fra  loro  in  tutto  le  somme  sino  a  quel  tempo  già 
ricevute  in  comune  (').  Ma  avendo  io  già  detto  abbastanza   della   cona  di 
Termini,   dirò  più  particolarmente  in  appresso  degli  altri  mentovati  lavori, 
che  rimasero  ad    esser   forniti  da  Bartolomeo,    compresavi   altresì  la  detta 
cappella  del  Notarbartolo  in  Polizzi,  la  qual,  probabilmente  non  avendo  potuto 


(')  Vedi  fra'   Documenti  di  quest'opera,  num.  XXVIII. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  1  3  5 


indi  più  consegnarla  Giuliano  a  cagion  di  sua  morte,  sembra  sia  stata  di 
nuovo  dall'altro  ripresa  a  finirla.  De'  due  cennati  sepolcri  poi,  de'  quali  as- 
sunse Giuliano  stesso  il  lavoro,  non  ho  del  resto  alcuna  certa  notizia,  igno- 
rando se  egli  li  abbia  pur  fatto  e  per  dove  ,  e  se  più  oggi  rimangano. 

Trovasi  finalmente,  che  ancor  egli  il  Mancino,  per  pubblico  strumento 
in  Palermo  in  data  del  13  maggio  del  15 19,  si  obbligò  ad  uno  spagnuolo 
Francesco  Torres  ,  cittadino  di  Malta,  per  fargli  una  conti  in  marmo,  con- 
forme in  tutto  ad  un'  altra  allora  esistente  nella  porta  de'  Patiteli!  e  con 
figure  e  lavori  giusta  un  disegno  all'uopo  di  già  eseguito.  Era  essa  quindi 
da  venir  lavorata  in  mezzano  rilievo,  alta  dodici  palmi  (m.  3,09)  dalla  base 
fino  alla  sommità  del  Dio  Padre,  e  larga  dieci  in  tutto  (m.  2,58);  e  ciò 
pel  prezzo  di  once  diciassette  (1.  216.75),  di  cui,  anticipatene  già  due  allo 
scultore  e  promettendo  pagargliene  sei  altre  di  li  a  sei  mesi ,  avrebbe  indi 
egli  avuto  tutto  il  restante  al  compimento  dell'  opera,  ch'era  pure  suo  ob- 
bligo consegnare  finita  nella  propria  bottega  in  Palermo  di  li  alla  Pasqua 
vegnente  (!).  È  inoltre  da  sospettare,  che  lo  stesso  Mancino  avesse  dinanzi 
fornito  1'  altra  cona  anzidetta  alla  porta  de'  Patitelli  :  ma  non  ne  riman  più 
vestigio,  essendo  a  stimarla  distrutta  con  la  medesima  porta,  allorché  questa 
venne  atterrata  per  volere  del  viceré  don  Garsia  di  Toledo  nel  1564  per 
tirare  in  lungo  la  nuova  strada  del  Cassaro  -,  che  da  lui  assunse  anco  il 
nome.  Né  credo  poi,  che  il  detto  scultore  sia  mai  giunto  a  por  mano  alla 
cona  pel  Torres,  la  quale  probabilmente  era  da  farsi  per  Malta,  giacché  non 


(t)  Eodem  xiij  may  vi/'.'  imi.  Tjip.  Honorabilis  ni.'  Jidianus  Manchimi,  e.  pc,  scultor  marmoruin,  preseiis 
convn  nobis,  sponte  promisi t  seque  soUcmniter  obligavit  et  obìigat  n.  Francisco  de  Torres ,  hispano  et  civi  civitatis 
Melile,  presenti  et  stipulanti ,  facere ,  expedire  et  compiere,  ad  omnes  et  singulas  expensas  ipùus  magistri  Juiiani 
usque  ad  assignactionem  faciemlam  in  apoteca,  quamdam  conam  mannoreani ,  prout  et  quemadmodum  fuit  et  est 
i/la  cona,  que  est  in  porta  diìi  Patitelli  huius  urbis  Tallonili  et  cum  i/lis  figura  et  desinnis  figuratis  et  desinnatis 
in  quodam  desinuo  existeute  in  posse  dicti  Francisci  Torres,  subscripto  maini  mei  infrascripti  notarli.  Que  quidein 
comi  sit  et  esse  debeat  di  inerii  relcvu,  altitudinis  pahnorum  ditodeclm  canne,  mensurando  a  scannello,  computato 
dicto  scannello,  usque  ad  finimenliiiii  T)ey  Tatris,  largitudinls  vero  palmoriim  dtcem  canne  prò  toto.  Et  hoc  prò 
predo  unciarum  decetn  et  septem  ponderis  gencralis,  de  quo  predo  dictus  m.T  Juliauus  dixit  et  confessus  est  Imbuisse 
et  recepisse  a  dicto  Francisco  Torres  uucias  duas  per  baucum  magnificorum  Joaiinis  Sanches  et  Benedicti  Ram. 
Iteiii  uucias  sex  solvere  prontisti  dictus  Franciscus  prefato  magislro  Juìiano  stipulanti  Ine  Tanormi  blue  ad  nieuses 
sex,  et  totani  restans  ad  complimentimi,  incontinenti  assignata  dieta  opera  Ine  Tanormi,  in  pecuniis  :  promidens 
dictus  ni.'  Julianus  dictam  conam  marmoream  bene  et  diligenter,  ut  decet,  et  de  bono  marmare  mercantibtli  et  rc- 
ceptibili,  dare  et  assignare  Ine  Panormi  in  apoteca  dicti  magistri  Juiiani,  expedilam  et  completavi  per  totani  {estimi 
Pascatis  'Rjsurrexionis  'Domini,  proxlme  venturi  :  alias,  etc.  Que  omnia  ctc.  —  Dal  registro  di  mini.  3476  di 
notar  Girolamo  Corraccino,  an.  1517-19,  ind.  VI-VII,  fog.  590  a  591,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Pa- 
lermo. Documento  comunicatomi  dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 


134  l    CiAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


passaron  due  mesi  dalla  stipulazione  del  contratto,  che  la  sua  vita  non  so 
per  qual  male  si  cstinse. 

In  data  in  fatti  del  30  giugno  di  detto  anno  15 19  rimane  in  Palermo 
il  testamento,  onde  Giuliano  Mancino  dispose  del  suo,  essendo  infermo  e 
in  estremo  ,  e  si  destinò  sepoltura  nella  fossa  dinanzi  1'  altare  de'  Quattro 
Santi  Martin  Coronati  nel  convento  di  San  Francesco,  dove  si  seppellivano 
gli  scultori  ed  i  marmorai  del  paese  in  quel  tempo  (x).  Istituì  pertanto  suoi 
eredi  universali  in  tutti  i  suoi  beni  mobili  e  stabili,  rendite,  dritti  ed  azioni 
di  ogni  maniera,  così  in  Palermo  ed  in  tutto  il  regno  di  Sicilia,  come  nel 
Castel  di  Carrara  nelle  parti  di  Toscana,  i  suoi  figliuoli  Simone  e  Marcan- 
tonio e  se  altro  maschio  nascesse  da  Jacopella  sua  moglie  incinta.  Che  se 
fosse  a  nascere  in  vece  alcuna  femina,  questa  egli  sostituiva  erede  partico- 
lare in  once  cinquanta  (1.  637.50)  in  danaro  ed  in  once  ottanta  (1.  1020) 
in  arnesi  per  sua  dote,  non  altrimenti  che  facea  per  un'altra  sua  figlia  Lo- 
renza o  Lorenzella.  Le  femine  intanto  disponea  succedessero  a'  maschi  in 
tutti  i  suoi  beni  ereditari  nel  caso  di  morte  de'  medesimi  in  minore  età 
e  senza  prole;  e  se  poi  tutti  i  suoi  figliuoli,  si  maschi  che  femine,  moris- 
sero, volea  lor  succedessero  i  consanguinei  a  lui  più  prossimi  in  grado,  vi- 
venti e  dimoranti  in  detto  Castel  di  Carrara.  Fece  egli  inoltre  tutori  e  go- 
vernatori de'  detti  beni  e  de'  figli  la  sua  consorte  medesima  Jacopella  ed  i 
magnifici  Puccio  Omodei,  barone  di  Vallelunga,  e  Gismondo  .Scorsone,  acciò 
tutti  e  tre  unitamente  e  non  mai  separatamente  i  cennati  suoi  averi  ammi- 
nistrassero ,  potendo  "anch'  essi  creare  alcun  procuratore  o  governatore  per 
quelli,  che  si  trovavano  esistenti  in  Carrara  e  nell'interno  della  Sicilia,  ri- 
masti dopo  la  morte  del  suo  genitore  Simone.  Con  altre  disposizioni  di  minor 
conto  conchiudca  poscia  il  suo  testamento  Giuliano:  oltreché  in  egual  data 
da  altri  pubblici  atti  risulta  com'ei  sempre  più  procurasse  dar  sesto  alle  sue 
faccende  pria  di  morire.  Notevole  fra  gli  altri  è  un  atto  di  procura,  ond'egli 
creò  suo  procuratore,  sebbene  assente,  un  Giacomo  Curuna,  perchè  fra  varie 
somme  a  lui  dovute  riscuotesse  anche  quella  di  once  undici  e  tari  venti- 
quattro (1.  15045)  per  resto  di  prezzo  del  guarnimcnto  di  una  cappella, 
giusta  il  tenor  de'  contratti  e  di  una  fideiussione  agli  atti  della  regia  gran 
corte  (2).  Ma  non  si  accenna  qual  cappella  e  in  che  sito.  Nò  altro  di  lui 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XXIX. 

(2)  Son  le  parole  del  detto  strumento  di  procura:  ex  restante  predi  guarnitnentì  unius  cappelle,  ut  patii 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  III. 


r35 


fin  ora  rimane  a  dire,  giacché  nient'altro  mi  venne  fatto  raccoglierne  di  ri- 
levante e  di  sicuro  intorno  a  memorie  della  vita  e  delle  opere. 

È  certo  poi,  che  Giuliano  non  ebbe  alcuna  successione  nell'  arte,  lad- 
dove questa  non  esercitarono  affatto  i  suoi  figli,  i  quali  giovanissimi  lo  se- 
guirono   nel  sepolcro.  A  Marcantonio   già  morto    tenne    dietro    quindi  Si- 
mone o  Simonello  nel   1524,  del  quale,  essendo  infermo  ed  in  età  di  di- 
ciannove anni,  si  ha  testamento  in  Palermo  in  data  del  9  di  aprile,  ond'egli, 
destinatasi  in  prima  la  sepoltura  nella  solita  fossa  dinanzi  l'altare  de'  Quattro 
Coronati  nel  convento  di  San  Francesco,  istitui  universali  eredi  in  parti  e- 
guali  di  tutti  i  suoi  beni  Jacopella,  sua  madre,  e  Lorenzella,  unica  superstite 
suora  (')•  Ordinò  però  egli,  che  la  detta  sua  madre  della  metà  degli  averi 
non  fosse  che  usufruttuaria  ,  vita  durante,  e  che  alla  morte  di  lei  dovesse 
anco  entrarne  in  possesso  la  sorella,  ovvero,  se  morta,  i  suoi   figli  o  i  ne- 
poti.  Che  se  Lorenzella  senza  figliuoli    morisse  pria  della  madre  ,  costei  le 
succederebbe  nella  metà  di  sua  spettanza,  ma  sempre  in  usufrutto,  laddove 
indi  alla  morte  dovrebbero  succederle  altri  figli  legittimi  e  naturali,  ch'ella 
per  avventura  potrebbe  avere  avuto  in  quel  tempo;  e,  se  poi  non  ne  avesse, 
le  succederebbero  in  eguali  porzioni  i  Di  Battista,  fratelli  di  lei  e  quindi  zii 
materni  del  testatore,  cioè  il  prete  Battista  in  usufrutto,  Antonio  ed  i  due 
maestri  Paolo  e  Pietro  scultori  ed  i  lor  figli  e  nepoti  in  perpetuo.  Legava 
egli  inoltre  once   quattro  (1.   51)  ad  una  sua    cugina   Agatuccia  di  Battista, 
figliuola  del  detto  Antonio,  ed  altre  once  due  (1.  25.50)  ad  una  cotal  Ber- 
tuccia, figlia  di  un  defunto  maestro  Andrea  de  Jan  cut  so,  non  so  se  lo  stesso 
o  diverso  di  Andrea  de  Carso  scultore,    mentovato  già  ne'  capitoli  dell'arte 
de'  marmorai    nel  1487,  e  di  cui  è  certezza   vivesse    con    figli  in  Palermo 
insino  al  1508  (2). 


tani  virtuté  contractuum,  quam  fidejussioms  reperte  pencs  acta  magne  regie  curie.  Il  quale  atto  segue  al  testa- 
mento di  Giuliano  Mancino,  sotto  la  data  medesima  del  30  giugno  VII  ind.  15 19,  nel  registro  di  num.  1603 
di  notar  Vincenzo  Sinatra,  an.  151 5-19,  ind.  IV-VII,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  vi  seguono 
inoltre,  sotto  la  stessa  data,  un  altro  strumento,  per  cui  magister  Tetrus  de  Baptista,  sculpitor,  e.  p. ,  presens 
corani  nobis,  sponte  se  constituit  debitorem  magistri  Juliani  stanchimi ,  eius  concivis  et  cognati,  presentis  et  sti- 
pulantis,  in  unciis  iij  et  tarenis  xxvj  p.  g.,  prò  totidem  per  eundem  magistrum  debitis,  habitis  et  receptis  eius  parte, 
voluntate  et  mandato,  per  dictum  magistrum  Julianum  solutis  hominibus ,  qui  prestiterunt  anno  presenti  concia  in 
l'ima,  etc;  un'apoca,  onde  lo  stesso  Mancino  dichiara  ricevere  da  maestro  Paolo  di  Battista  oncia  una  e  tari 
ventidue  per  lavori  altresì  nella  vigna,  e  finalmente  un  atto  di  ricognizione  del  medesimo  Giuliano  in  prò  di 
un  maestro  Jacopo  di  Benedetto,  pur  egli  scultore,  di  cui  anco  di  sopra  è  ricordo. 

(  >  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  XXX. 

(2)  Vedi  nel  precedente  capitolo  di  quest'opera  a  pag.  64  e  seg.  io 


I36  I    GAGINI    li    LA    SCULTURA    INT    SICILIA 

Da  tutto  ciò  sempre  più  chiaro  si  vede  siccome  intime   relazioni  fos- 
sero corse  fra  le  famiglie  di  tali  artisti,  e  come  principalmente  il  più  stretto 
legame  di  affinità  sia  stato   fra  quelle  de'  Di  Battista  e  de'  Mancino,  i  cui 
rapporti  anzi  non  si  può  a  men  di  avvertire  da  quando  Gabriele  di  Battista 
ed  Andrea  Mangino  o  Mancino,  entrambi  ricordati  qua'  marmorai  lombardi, 
siccome  di  sopra  è  discorso  ,    attendevano    insieme  al  lavoro  di    numerose 
colonne  pel  nuovo  edificio  del  palazzo  Abbatelli  in  Palermo  nel  1488.  Ma, 
comunque  il  detto  Andrea  ben  abbia  potuto  essere  zio  o  fratello  maggiore 
di  Giuliano,  non  se  n'ha  prova  fin  ora  per  documento.  Giova  però  aggiun- 
gere in  conferma  de'  posteriori  rapporti,  che  per  atto  del  3  di  novembre  del 
1 5 1 3  si  ha  di  Pietro  di  Battista  unitamente  a  Caterina  sua  moglie  aver  già 
conceduto  ad  enfiteusi,    ovvero  a  censo  di  sei  once  annuali  (1.  76.50),  al 
cognato  Giuliano  Mancino  una  bottega  con  solaio   nel  piano  della  Marina, 
contigua  alla  casa  del  fratello  Paolo  (J):  oltreché  poi  lo  stesso  Pietro,  qua- 
lificatosi scultore  nativo  di  Palermo  e  cittadino  di  Termini,  per  atto  del  dì 
seguente  4  novembre  ,  in  nome  ancor  della  detta  sua  moglie  e  de'  minori 
suoi  figli  d'  ambo  i  sessi  e  del  secondo  letto ,  vendè  parimente  al  cognato 
un  censo  di  once  tre  e  tari    nove  (1.  42.08)  sopra  una    bottega  nel   quar- 
tiere della  Concerìa,   di  rimpetto  al  medesimo    piano  della  Marina  (2).  La 
cittadinanza  di  Termini,  ottenuta  per  altro  da  quello  ,  fu  certamente  effetto 
di  aver  egli  a  lungo  talvolta  colà  soggiornato,  come  da  altri  scultori  e  scar- 
pellini  anche  fu  fatto  a  cagion  della  roccia  di  puro  calcare,  ch'é  ivi  in  gran 
copia  e  ch'era  allor  molto  in  uso  in  architettura  ,  adoprandosi  alle  svariate 


(')  T)ie  iij.°  novembris  ij.'  ind.  i$i}.  Cum  m'.  'Petrus  de  'Baptista  et  Catharina  jugales,  cives  felicis  urbis 
Tanhormi,  ....  ernphiteocarunt  et  ad  emphiteosim  et  annuum  censum  unciarum  vj  ....  dederunt  et  tiinc  concesserunt 
in"".  Juliano  Manchino,  eius  sororio  et  concivi, ....  solarium  seu  apothecam  cum  solario,  sitain  et  positam  in  plano 
Maritimi-,  secus  domimi  magistri  Tauli  de  Baptista,  fratris  dicli  magistri  Tetri,  ex  una  parte,  et  secus  domimi 
nobilis  Vitalis  de  Vitali  ex  alia  et  alios  si  qui  suut  confines ,  subjeclam  magnifico  Tetro  de  Silvis  ima  cum  alia 
domo  et  apotheca  dicti  magistri  Pauli  in  unciis  iij  et  tarenis  xij  ....,  propterea  dictus  magnificus  Petrus,  preseni 
corani  nobis ,  sponte  consentiit  et  consentii  diete  concessioni,  etc. —  Dal  registro  di  num.  1772  di  notar  Matteo 
Fallerà,  an.   151 3-14,  ind.  II,  fog.  160  retro  a  161,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Eodcm  iiij  novembris  ij.°  ind.  ijij.  Magister  -Petrus  de  Baptista,  scultor ,  ortus  et  civis  Pauhormi  et 
civìs  Thermarum,  coram  nobis,  tavi  suo  nomine,  qttam  nomine  et  prò  parte  Calharinc  eius  uxoris  et  fìiorum  suorum 
ex  secundo  matrimonio,  utriusque  sexus,  absentium  et  minorimi,  ....  vendidit  magistro  Juliano  Manchino,  scultori, 
eius  sororio  et  concivi ,  ....  utile  dominium  sive  jus  perpetui  ceustis  unciarum  iij  et  tarenorum  viiij,  debitarum  et 
solvendarum  ac  àebitorum  et  solvendorum  per  eumdem  emplorem  et  silos  heredes  ....  super  quadam  apotheca  solerata, 
sita  et  posila  in  quarterio  Conciarie  per  oppositum  plani  Muritime,  etc.  —  Dal  citato  registro  di  num.  1772  di 
detto  notar  Fallerà  in  Palermo,  fog.  165-167. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III. 


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decorazioni  di  essa,  ch'erari  per  quelli  oggetto  di  continuo  lavoro.  Troviamo 
quindi,  che  in  data  del  31  di  agosto  del  15 12  un  maestro  Giovanni  Rizzo, 
marmoraio,  cittadino  di  Termini,  diede  ivi  a  pigione  per  oncia  una  (1.  12.75) 
e  per  un  sol  anno  a  maestro  Pietro  di  Battista  una  casa  terragna  nel 
quartiere  appellato  de'  Barlacci  :  il  che  mostra  evidente  la  dimora  colà  di 
costui  (!).  Sembra  del  resto,  che  dopo  la  morte  di  Gabriele  lor  padre, 
scultore  non  di  gran  merito,  ma  di  alcun  nome  al  suo  tempo,  sieno  sca- 
duti non  poco  i  detti  suoi  figli  Pietro  e  Paolo  nell'esercizio  dell'arte,  lad- 
dove nulla  è  noto  di  rilevante,  che  sia  stato  da  essi  eseguito.  È  inoltre  poi 
contezza  di  Pietro  juniore  e  di  Giovan  Luigi  o  comunemente  Luigi,  scul- 
tori pur  essi  e  bastardi  entrambi  del  prete  Battista  di  Battista  ,  fratello  dei 
due  suddetti,  il  quale ,  dichiarandoli  apertamente  suoi  figli  naturali,  fé'  loro 
donazione  di  tutto  il  suo  per  atto  in  Palermo  del  14  dicembre  del  1528  (2). 
Si  sa  del  detto  Pietro,  come  di  sopra  é  discorso,  che  al  151 1  ,  nella  sua 
prima  giovinezza,  si  allogò  per  tre  anni  e  quattro  mesi  con  Giuliano  Man- 
cino per  apprenderne  l'arte:  ma  non  è  poi  alcun  indizio,  che  vi  abbia  fatto 
progressi,  né  che  notevoli  opere  abbia  prodotte,  ed  indi  nient'  altro  più  di 
lui  si  conosce  se  non  che  ben  più  tardi,  a  29  di  settembre  del  1533,  fece 
testamento  in  Palermo ,  legando  il  suo  avere  alle  chiese  e  confraternite  di 
S.  Maria  della  Catena  e  di  S.  Maria  di  Portosalvo  ,  giacché  intendeva  im- 
prendere una  lunga  navigazione  e  recarsi  ,  non  so  se  in  pellegrinaggio  o 
per  cagion  di  lavoro,  al  santuario  della  Madonna  in  Loreto  (3).  Di  Luigi 
intanto,  fratello  del  medesimo,  é  noto  che  nel   1522  si  obbligò  al  Berrettaro 


(')  Eodem  (31  di  agosto,  I  ind.,  15 12).  Magister  Joannnes  Ri{u,  marmorarius,  civis  Tkermarum ,  corani 
nobis  sponte  locavit  et  locat  magistro  Tetro  de  Baptista,  presenti  et  stipulanti,  domum  imam  terraneam  positam 
in  quarteria  àili  'Barlacbii  ....  per  -anmim  unum  ....,  prò  predo  loerii  uncie  unita  p.  g.,  etc. —  Dal  volume  di 
bastardelli  di  notar  Riccardo  Pixi,  an.  1503-17,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Termini  Imerese. 

( 2  )  Cotale  strumento  di  donazione  del  detto  prete,  ove  i  due  mentovati  artisti  son  chiaramente  qualificati 
scultores  marmorum,  fratres,  filios  suos  naturales,  si  trova  nel  volume  di  minute  di  notar  Pietro  Tagliante,  an. 
1 522-3 5,  ind.  XI-VIII,  num.  1201,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  trovansi  notati  come  testi- 
moni dell'atto  stesso  Niccolò  Tagliante,  Antonino  Gagini  e  maestro  Giovanni  d'Alfano. 

(3)  T)ie  xxviiij."  septembris  vij.'  ind.  i;]].  Honorabilis  magister  "Petrus  de  Abbattista,  civis  panormitanus , 
prescns  coram  nobis,  quia  intendit  se  recedere  ab  hac  urbe  Tanormi  et  se  con/erre  in  ecclesiam  Sancte  Marie  de 
Lolita  et  pertransire  pericula  maris  et  alia  mundi,  et  propter  longiorem  itinerem  dubitans  de  vita  sua  ne  morire- 
tur,  ....  presens  suum  nuncupativum  condidit  testamentum,  etc.  Ei  volle  per  esso,  che  un  cotal  Simone  Graziano, 
eius  sororius,  gli  governasse  una  sua  vigna  in  quel  di  Solanto  e  le  altre  sue  rendite  e  beni,  ed  istituì,  come 
si  è  detto,  sue  eredi  universali  le  due  mentovate  chiese  e  confraternite  in  Palermo.  Itetn  dictus  testator  legavit 
uncias  sex  in  pecunia  filie  magistri  Tetri  de  Abbattista   mayoris ,  prò  illis  unciis  sex  legatis  per  quondam  presbi- 


I38  I    GAGIXI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


a  terminargli  la  custodia  del  Sacramento  per  la  chiesa  maggiore  in  Polizzi, 
onde  poi  sorsero  differenze  fra  loro  insino  al  1524,  siccome  sarà  luogo  fra 
non  guari  a  vedere.  Parimente  in  seguito  si  ha  di  lui,  che  per  atto  del  di 
primo  di  ottobre  del  1530  convenne  in  Palermo  col  reverendo  Leonardo 
Ventimiglia,  provinciale  dell'ordine  francescano  in  Sicilia,  e  con  una  signora 
Giovanna  di  Magro  pel  lavoro  di  un  altare  in  pietra  di  Termini  pel  tenue 
prezzo  di  once  due  e  tari  diciotto  (1.  33.15)  (')•  In  data  inoltre  del  24  di 
novembre  del  1534,  per  parte  ancor  di  maestro  Giuliano  di  Massa,  altro 
marmoraio  assente,  obbligossi  a  un  magnifico,  don  Giuseppe  Ciancetta  ed  a 
notar  Pietro  Revegl  per  una  custodia  in  marmo  da  andar  collocata  nella 
chiesa  di  Santa  Maria  della  Vittoria  in  Palermo  (2),  ed  indi  a  3  di  marzo  XIV 
ind.  1540  (1541)  fece  pur  ivi  apoca  di  undici  ducati  d'oro  per  prezzo  di  una 
lapide  sepolcrale  già  collocata  nella  sepoltura  di  un  maestro  Antonino  Inbi- 
lella  nella  chiesa  del  Crocifisso  all'Albergarla  (3).  Non  pare  anzi  dubbio,  che 


tenuti  ^ibbattìstatn  de  ^4bbattista ,  patron  ipsius  testatoris ,  virtute  sui  testamenti  et  pvout  est  in  dicto  testamento 
contentimi  et  annotatimi.  —  Dal  registro  di  num.  1886  di  notar  Giovanni  Andrea  Lucido,  an.  1533-54,  ind.  VII, 
nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(')  Eodem  (1°.  di  ottobre  IV  ind.  1530).  Magister  Aloysius  de  Abbattisla,  civis  panormitanus,  presens,  etc, 
se  obligavit  et  obligat  riverendo  magistro  Leonardo  de  Vigintimilliis,  ministro  et  provintiaìi  huius  regni  Sicilie  or- 
dinis  Sanctì  Francisci ,  et  domine  Joanne  de  Magro,  presentibns  et  stipuìantibus ,  facere  quoddam  altare  cum  suo 
pede,  laboratum  de  petra  civitatis  Termarum,  ....  et  chi  la  punta  di  dicto  altari  haya  di  stari  prvportionata  cum 
la  pimela  ài  lo  monumento  viarmorio  di  la  dieta  madonna  Joanna,  et  facere  qucààam  pede  de  predicta  petra,  lon- 
gitudinis ,  largitudinis  et  grossi^e  cuiusdam  altaris  magnifici  de  Platamone ,  existente  in  dicto  monasterio  Saucti 
Francisci,  cum  cruce  in  facie  ditti  pedis  et  testa  di  morti  et  curuna  de  spini  et  ludi  labari,  et  cum  nomi  di  dieta 

madonna  Joanna.  Insuper  promisit  facere  quoddam  altarectum  in  medio Et  hoc  prò  pretio  unciarum  dilaniai 

et  tarenorum  xviij  p.  g. — Dal  volume  di  registri  di  notar  Girolamo  Corraccino ,  an.  1529-31,  ind.  Ili- IV  , 
fog.  80,  num.  3483,  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  Documento  indicatomi  dal  signor  Giuseppe 
Cosentino. 

( 2  )  Eodem  xxiiij."  novembris  vii'].*  ind.  1534.  Magister  Aloysius  de  Battista,  matmorarius,  civis  panormitanus, 
presens  corani  nobis,  tam  nomine  suo  proprio,  quam  prò  parte  et  nomine  magistri  Jitliani  de  Massa,  absentis,  prò 
quo  nihilominus  de  rato  promisit  et  in  solidum  obligari  cum  co  juxta  formatti  ritus,  sponte  promisit  et  promittit 
seque  sollemniter  obligavit  et  obligat  magnifico  don  Josep  Cianchetta ,  nec  non  et  egregio  notarlo  Tetro  Tjrcegl, 
presentibns  et  stipuìantibus,  magistriviliter  facere  quandam  cuslodiam  marmoreaiu  iutus  ecclesiam  Sancte  Marie  de 
Victoria  in  urbe  Pauormi,  de  altitudine  palmorum  trinili  cum  dimidio,  ila  quod  altitudo  ipsa  intelligatur,  ut  di- 
cìlur,  di  li  cornichy  di  susu  et  di  lo  pedi  di  ipsa  custodia,  cum  quilli  serafini  et  disigno ,  magisterio  et  pilastri , 
juxta  la  forma  di  hi  labari  di  hi  modello  et  designo  fatto  in  carta,  hi  quali  designo  è  in  potiti  di  ditto  obligato, 
infra  hi  quali  designo  li  è  scripto  hi  noma  di  ditto  m.c°  don  Juseppi  Chanchetta,  dicheudo  in  quisto  modo,  vide- 
licel:  Don  Josep  Chanchetta.  Lu  quali  opera  .... — E  cosi  resta  in  tronco  quest'atto  nel  registro  di  num.  2521 
di  notar  Gerardo  La  Rocca,  an.   1534-35,  ind.  Vili,  fog.  266,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  3  )  Eodem  iij*  marcii  xiiij.'  ind.  ijjo  (1 541).  Hon.  magister  Jlloisius  de  Battista,  scultor  et  e.  p.,  presens  corani 
tiobis,  ad  instancìam  et  requisicionem  hon.  Leonardi  de  'Bella,  ohm  tuton's  Mariani  Iubilel/a,  fi/ii  et  heredis  quondam 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.   III.  I  39 

sia  da  annoverarlo  fra'  bravi  artefici  della  gaginiana  scuola,  avendosi  docu- 
mento, che  più  tardi,  a  io  di  settembre  del  1552,  egli  obbligossi  in  Alcamo 
ad  un  carmelitano  frate  Francesco  Carnimolla  pel  lavoro  di  una  custodia  di 
marmo  in  mezzano  rilievo  ,  larga  cinque  palmi  e  due  terzi  ed  alta  dieci, 
giusta  un  disegno  da  lui  stesso  apprestatone  (');  la  qua!  custodia,  che  colà 
era  dinanzi  al  Carmine  ed  ora  per  la  mina  di  essa  chiesa  verrà  collocata 
nel  duomo,  reca  dappiè  segnato  appunto  il  nome  del  detto  frate  nella  base, 
laddove  nelle  pregevoli  figurette  di  S.  Alberto  e  S.  Angelo  carmelitano,  la- 
terali al  ciborio,  non  men  che  in  quelle  sovrastanti  dell' Annunziazione  di 
Nostra  Donna  e  nelle  altre  al  di  sotto  più  piccole  del  Cristo  co'  dodici  a- 
postoli,  arieggia  molto  il  far  de'  Gagini  figliuoli,  nel  cui  tempo  Luigi  pur 
visse,  formatosi  assai  probabilmente  con  essi  alla  scuola  del  loro  gran  ge- 
nitore. Aggiungiamo  in  fine  ,  che  più  oltre  bensì  è  documento  del  9  di 
febbraio  del  1562,  onde  i  legnaiuoli  Simone  di  Battista  e  Giovanni  D'An- 


hoti.  magistri  ^Antonini  Inbilella,  presenti*  et  stipulanti*,  sponte  dixit  et  fuit  confessus  habuisse  et  recepisse  ab  eo,  no- 
mine quo  saprà,  per  maniis  domine  Catherine  lnbiìella,  matris  ditti  heredis,  eius  sororis,  ducatos  undecim  aurcos  ad 
racionem  tarenorum  xììj  prò  singulo  ducalo,  prò  predo  et  valore  cuiitsdam  balate  marmoree  posite  saprà  sepultura 
ditti  quondam  in  ecclesia  confraicrnitatis  5.  Salvaloris  et  Crucifixi  quarterii  Albergarle,  in  qua  confraternitate  fuit 
sepultus  cadaver  dicti  quondam,  conputatis  tarenis  4  solutis  prò  delatura  balate  preditte  illis  personis ,  qui  illam 
apporiarunt  in  dieta  confraternitate;  et  hoc  in  anno  xij.'  ini.  Jj7<S;  renunciaus  exceptioni  ctc. —  Testes  :  hon.  m.' 
Jo.  Andreas  de  SCclio  et  Vinccntius  Lombardo. — -Dal  registro  di  nura.  5190  di  notar  Antonino  Galasso,  an. 
1540-4;,  ind.  XIV,  fog.  430,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  '  )  Die  x.°  septembris  xj.°  ind.  IJJ2-  ^(agistcr  Aloysius  de  ....  ta,  marmorarius,  cìvis  Panormi,  preseus  corani 
nobis,  sponte  promisit,  conventi  et  se  sollemniter  obligavit  et  obligat  ad  omnes  eius  expensas  venerabili  fratri  Fran- 
cisco Carnimolla,  Carmelite  de  terra  Alcami,  presenti  et  stipulanti,  ut  di  ci  tur,  fari  una  custodia  di  marmo/ a  bianca 
di  Carrara,  seu^a  pili,  di  mencio  rilevo,  larga  palmi  chinco  et  dui  terc^i,  alta  palmi  dechi,  misorando  di  la  scan- 
nello di  abaxu  fina  a  la  punta  di  In  xurunì  supra  lu  Deu  Tatri,  illamque  expedire  magistribililer  et  consigliare 
dicto  fratri  Francisco  stipulanti  in  loco  nuncupato  li  Vetri  eli  li  'Bumbardi  maris  Alcami  per  totani  dimidiam 
quatragesimam,  fida  ....  co  modo  et  forma  juxta  designimi  factum  in  carta  per  ipsum  magistrum  Aloysium  de  A- 
batista,  in  posse  ipsius  venerabili*  existentem,  et  non  aliter  nec  alio  modo.  Quam  custodiam  d'ictus  venerabilis  lia- 
beat  poni  seti  assettari  facere  in  presentili  ipsius  magistri  Aloysii  ;  et  posita  et  assettata,  in  ea,  ut  dicitur ,  mittìri 
di  oro  et  angolo  fino  et  altri  colliri,  midi  sarrà  necessario,  magistribilìter;  et  mentri  si  assetta  et  mitti  di  oro  ipse 
venerabilis  tenere  in  eius  domo  cumdem  magistrum  Aloysium  et  facere  sibi  omnes  expensas:  alias  teneatur  ad  omnia 
dapna,  interesse  et  expensas,  et  liceat  dicto  venerabili  ditlam  custodiam  cum  rebus  predittis  fieri  facere  ab  alio  ad 
interesse  ipsius  magistri  Aloysii ,  proni  invenire  poterti.  Et  hoc  prò  predo  seu  mercede  unciarum  vigiliti  dtiaruiu 
p.  g.,  de  quibus  diclus  magister  Aloysius  fatetur  habuisse  et  recepisse  a  dicto  venerabili  et  eius  parte  uncias  septem 

et  tarenos  x  per  bancum  Vaiiormi , renuncians  exceptioni.  Restans  vero  solvere  promisit  ditto  magistro  Aloysio 

stipulanti  hoc  modo,  videlicet:  uncias  vìj  et  tarenos  x  fida  medietate  opere,  et  uncias  vij  et  tarenos  x  assettata  ditta 
custodia,  in  pecunia  numerata  hic  Alcami,  sine  aliqua  exceptione  de.  Que  omnia  etc  —  Testes:  in.  Sebastiani^  Ro- 
mauus  et  hon.  ni'.  Joannes  de  La%io ,  pitor.  — Ex  aciis  meis  notarti  Tetri  Antonii  Balduchii.  Coli,  salva.  —  Dal 
fog.  143  del  volume  VI  di  antiche  scritture  già  di  spettanza  del  convento  del  Carmine  in  Alcamo,  nell'ar- 
chivio colà  delle  disciolte  corporazioni  religiose. 


I40  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 

gelo  si  obbligarono  in  Palermo  a'  rettori  della  confraternita  di  S.  Cristoforo 
nel  quartiere  del  Cassaro  per  fare  in  legno  di  pioppo  una  statua  del  detto 
Santo  (').  Ignoro  del  resto  da  chi  propriamente  nascesse  cotal  Simone, 
ch'é  ultimo  noto  rampollo  de'  Di  Battista.  Ma  di  costoro  non  è  di  van- 
taggio per  altro  ad  intrattenerci,  giacché  van  fra  la  folla  de'  minori  artefici, 
i  quali ,  non  avendo  prodotto  che  opere  secondarie ,  non  acquistaron  nel- 
l'arte alcun  nome. 

Tornando  però  a  discorrere  dello  scultore  Bartolomeo  Bcrrettaro,  l' antico 
socio  del  Mancino,  trovasi ,  che  da  quando  la  loro  società  fu  sciolta  e  fu- 
rono equamente  fra  essi  divisi  i  lavori  nel  1 5 1 7,  non  ristette  egli  punto  dalla 
sua  precedente  operosità,  ma  continuò  alacremente  ne'  pochi  anni,  che  gli 
rimaser  di  vita,  togliendo  anche  talora  a  compagno  un  suo  fratello  Antonino, 
siccome  sarà  luogo  in  seguito  a  dire.  Bartolomeo  quindi,  che  pure  avea  casa 
in  Alcamo  e  spesso  a  cagione  di  suoi  lavori  e  interessi  andava  per  vari  luoghi 
del  Val  di  Mazzara,  per  pubblica  convenzione  agli  atti  di  notar  Marcan- 
tonio Zizo  di  Marsala  in  data  del  primo  di  febbraio  del  15 18,  obbligossi  colà 
primamente  a'  procuratori  della  cappella  del  Sacramento  in  quella  maggior 
chiesa  ed  agli  amministratori  ad  un  tempo  della  città  stessa  pel  lavoro  di 
una  custodia  con  un  arco  in  marmo  per  la  detta  cappella  ;  e  tal  conven- 
zione ratificò  poscia  Antonino,  obbligatosi  insiem  col  fratello  ,  agli  atti  di 
notar  Giacomo  Lucido  in  Palermo  a  29  di  marzo  dell'anno  appresso  (2).  Che 
se  indi  niuno  de'  due  fratelli  arrivò  a  finire  tale  opera  ,  la  qual  molto  più 
tardi  toccò  ad  aver  compimento  dal  sovrano  scalpello  del  Gagini ,  non  è 
pur  dubbio ,  che  a  quelli ,  e  soprattutto  a  Bartolomeo  ,  ne  sia  da  riferire  il 
total  congegno,  non  mcn  che  l'esecuzione  di  varie  parti,  che  furon  da  essi 
condotte,  siccome  in  seguito  sarà  dato  vedere. 

Sciolta  già  intanto  la  mentovata  società  col  Mancino  e  morto  di  poi 
costui,  non  anco  il  detto  Bartolomeo  avea  fornito  l'altra  custodia  di  marmo 
per  la  cappella  del  Sacramento  nella  chiesa  maggiore  di  Polizzi,  comunque 
fosse  quella  fra  le  opere,  cui  era  rimasto  tenuto.  Laonde,  richiamato  il  pri- 
mitivo contratto,  onde  i  due  soci  scultori  si  erano  all'uopo  insieme  obbli- 


(  '  )  L'atto  è  propriamente  in  data  del  9  di  febbraio  V  ind.  1 561  (1 562)  nel  registro  di  num.  1816  di  notar 
Alfonso  Cavarretta ,  fog.  172  retro  a  17;,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo,  e  sarà  riportato  a  suo 
luogo  nel  capitolo  degli  scultori  in  legno. 

(2)  Rilevasi  ciò  da  un  posteriore  accordo  stabilito  dal  detto  Antonino  per  pubblico  atto  di  notar  Gi- 
rolamo Corraccino  in  Palermo  in  data  del  12  di  settembre  del   1524,  il  qual  sarà  riportato  in  appresso. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  I4I 

gati  insin  dal  1509,  dichiarò  poscia  il  Bcrrcttaro,  che  alcuni  pezzi  della  detta 
custodia  eran  già  lavorati  in  bottega  ,  avendo  anch'  egli  in  pronto  l' intera 
copia  de'  marmi  a  finirla  ;  e  quindi  si  obbligò  nuovamente  per  pubblico 
atto  in  Palermo  in  data  del  di  primo  di  marzo  del  1521  a  caricar  non  solo 
i  pezzi  dianzi  cennati,  ma  ancor  tutti  gli  altri  marmi  necessari  per  compier 
quella,  talché  dovesser  trovarsi  il  1 5  del  prossimo  aprile  alla  Roccella  e  di  li 
esser  portati  in  Polizzi  a  cura  e  spese  de'  procuratori  di  quella  chiesa.  Pro- 
mise indi  il  medesimo,  che  quivi  si  sarebbe  fatto  trovar  di  persona  il  di  primo 
di  maggio  per  costruirvi  e  compiervi  la  custodia,  e  che  non  più  ne  sarebbe 
partito  pria  di  finirla  (:).  Ma  in  seguito  avvenne,  ch'egli,  essendo  andato  in 
Polizzi  ad  eseguire  quell'opera,  e  poi  non  avendo  potuto  per  altre  sue  fac- 
cende continuarla,  stimò  far  meglio  cedendola  a'  maestri  Pier  Paolo  di  Paolo, 
romano,  e  Luigi  di  Battista,  palermitano,  i  quali  per  contratto  in  notar  Ge- 
rardo La  Rocca  in  Palermo  a  12  dicembre  del  1522  gli  si  obbligarono 
darvi  termine  in  tutto  pel  prezzo  di  once  diciotto.  Andaron  essi  in  fatti  a 
tal  uopo  in  Polizzi,  e  avendovi  per  più  di  tre  mesi  lavorato  i  marmi  colà 
esistenti ,  non  valsero  quindi  a  seguire  più  oltre  ne'  lavori  per  difetto  di 
altri  quattro  pezzi  di  marmi,  che  il  Berrettaro,  non  ostanti  le  molte  lettere 
trasmessegli,  non  curò  più  loro  spedire.  Laonde  pur  essi  di  là  glien  fecero 
formale  richiesta  per  pubblico  atto  in  notar  Leonardo  Cirillo  a  28  del  se- 
guente marzo  del  1523  (2),  e,  non  dando  colui  loro  ascolto,  né  mandando 
i  marmi,  recaronsi  di  nuovo  in  Palermo  e  contro  il  medesimo  protestarono 
per  atto  del  di  8  del  mese  appresso  (3).  Ma  indi  a  ciò  il  Berrettaro  non  in- 
dugiò a  rispondere  in  data  del  io,  che  fuori  d'  ogni  ragione  era  quella  loro 
protesta,  avendo  essi  avuto  i  marmi  opportuni  al  lavoro;  e  poiché  altri  quat- 
tro pezzi  lor  ne  mancavano,  era  egli  pronto  mandarli  a  finire  il  tutto,  e  già 
li  avrebbe  mandati,  se  prima  lo  avesse  saputo  (4).  Cotal  risposta  pertanto 
notificava  egli  a'  suddetti  perchè  tornassero  in  Polizzi  per  dar  compimento 
alla  custodia  :  ma  è  certo  poi,  che  i  medesimi  a  ciò  indugiaron  non  poco, 
avendo  dato  luogo  ad  una  protesta  del  Berrettaro  contro  il  Di  Battista  in 
data  del  di  3  di  agosto  del  1524,  dove  si  afferma,  che,  non  ostanti  le  con- 
tinue insistenze  dell'uno  all'altro  perchè  ne  fosse  ito  in  Polizzi  a  terminar 


(  «  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XXXI. 
( 2  )  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XXXII. 
(5)  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  XXXIII. 
(4)  Vedi  fra'  Documenti,  num.  XXXIV. 


14^  I    GAGIXT    E    LA   SCULTURA   IN    SICILIA 


quella,  non  vi  si  era  per  anco  recato,  e  rimanea  quindi  essa  imperfetta  an- 
cora. Ben  è  vero,  che  a  ciò  rispondea  tosto  Luigi  non  doversi  dar  peso  al- 
cuno a  cotal  protesta,  giacché,  avendo  Bartolomeo  di  già  ricevuto  quell'opera 
e  collocatala,  non  s'intendeva  che  mai  più  volesse.  Ma  di  rimando  replicava 
il  Berrettaro,  che  quanto  quegli  avea  fin  allora  fornito  non  corrispondeva  a 
quanto  era  tenuto  fare  giusta  il  contratto,  e  quindi  insisteva  perchè  ne  an- 
dasse in  Polizzi  a  compiere  il  tutto,  secondo  l'obbligo  assunto  (').  Checché 
di  ciò  fosse,  è  certo,  che  la  custodia  fu  poi  condotta  a  termine  e  per  in- 
tero collocata;  e  molto  probabilmente  vi  ricorreano  all'intorno  nei  pila- 
stri diverse  storie  della  passione  di  Cristo  in  bassorilievo ,  e  nella  parte 
centrale  la  Trasfigurazione  in  mezzane  statuette  di  tutto  tondo  col  Reden- 
tore in  mezzo  e  da'  lati  Mosè  ed  Elia  ed  al  di  sotto  i  tre  diletti  discepoli. 
Ma,  come  ài-  sopra  fu  cenno,  indi  fu  essa  totalmente  scomposta  e  distrutta 
per  matto  e  vandalico  genio  di  rinnovamento,  onde  oggi  non  ne  rimangono 
che  sparnicciate  per  la  chiesa  le  mentovate  statuette  del  Cristo  e  de'  due 
profeti,  e  quelle  degli  apostoli  gittate  in  ripostiglio  fra  le  macerie,  e  tre  sol- 
tanto delle  suddette  storie  incastrate  in  una  parete  del  portico.  Ed  in  siffatte 
sculture  per  la  mediocrità  dello  stile  e  dell'esecuzione,  che  vi  si  avverte,  par 
sia  da  riconoscere  appunto  il  secondario  scalpello  del  Berrettaro  e  del  Di 
Battista,  a  meno  forse  della  sola  figura  del  Redentore,  che  con  migliore  arte 
ed  espressione  potè  primamente  venir  dal  Mancino  condotta.  Imperocché 
nulla  del  resto,  come  altrove  dissi,  mi  sembra  esser  ivi  antecedente  lavoro 
di  Giorgio  da  Milano,  il  quale,  benché  il  primo  ad  essersi  obbligato  per 
quella  custodia  in  Polizzi  insin  dal  1496,  o  non  la  fece  punto,  o  vi  esegui 
tali  sculture,  di  cui  or  non  é  più  vestigio. 

Altra  opera,  che  assunse  da  sé  solo  a  fornire  Bartolomeo  dopo  sciolta 
la  società  con  Giuliano,  fu  poi,  come  cennammo,  la  cappella  con  una  co- 
ncita o  piccola  composizione  in  marmo,  la  quale  essi  entrambi  eran  tenuti 
scolpire  agli  credi  del  morto  Stefano  Adragna  per  la  chiesa  dell'Annunziata 
ovvero  del  Carmine  in  Alcamo.  Laonde  forse  a  non  altro  oggetto  a  12  di 
novembre  del  15 19  noleggiò  egli  in  Palermo  una  barca  per  mandar  marmi 
nella  vicina  riviera  di  Castellammare  con  obbligo  di  far  tosto  ritorno  e  pren- 
derne un  altro   carico  per  lo  stesso    destino  (2).    Rimane   intanto  fin  oggi 


(')  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  XXXV. 

( 2  )  Giusta  una  convenzione  agli  atti  di  Girolamo  Corraccino  in  detta  data,  nell'archivio  de'  notai  defunti 
in   Palermo. 


NEI    Sl£COLI    XV    E    XVI.  CAP.  III.  143 


la  mentovata  cappella,  eh' è  l'ultima  della  nave  del  lato  del  Vangelo  in  detta 
chiesa,  comunque  or  questa  sia  senza  tetto  e  in  ruina;  e  principale  ornamento 
ne  è  un  grand'arco  in  bi  marmo  all'ingresso  con  due  pilastri  laterali,  che 

han  nelle  basi  due  putti  con  due  scudi  e  son  poi  decorati  di  otto  scom- 
partimenti ,  quattro  per  ciascuno  ,  co'  quattro  Evangelisti  e  quattro  Padri 
della  Chiesa  in  piccole  figure  in  alto  rilievo,  mentre  al  di  sopra  ricorre  un 
architrave  retto,  adorno  di  teste  di  serafini  e  di  un'elegante  cornice,  dando 
luogo  sull'arco  negli  angoli  a  due  tondi  con  profeti,  oltreché  l'arco  stesso  al 
di  dentro  é  fregiato  di  sette  cassettoni  pure  con  serafini.  La  concita  poi,  della 
quale  di  sopra  è  cenno,  sembra  probabile  sia  un  alto  rilievo  figurante  Nostra 
Donna  morta  sul  feretro  con  dattorno  gli  apostoli ,  giacché  esso  era  ap- 
punto sull'  altare  della  detta  cappella,  sebbene  or  si  vegga  trasferito  a  causa 
della  mentovata  ruina  di  quella  chiesa  nella  pubblica  biblioteca  di  Alcamo. 
Ma  sì  la  scultura  di  tale  alto  rilievo  che  quelle  dell'arco  son  veramente  assai 
debol  cosa,  non  solo  per  manco  di  espressione  e  di  bellezza,  ma  pure  per  quel 
gretto  e  stentato  stile,  che  generalmente  si  avverte  in  tutti  i  lavori  del  Ber- 
rettaro.  Che  s'egli  nel  totale  congegno  del  detto  arco  riesce  ad  ottenere  un 
lodevole  effetto  di  leggiadria  e  di  eleganza  ,  non  è  ciò  se  non  perchè  in 
esso  si  diede  evidentemenfe  ad  imitar  quello ,  che  poco  innanzi ,  siccome 
vedremo,  il  sommo  genio  di  Antonello  Gagini  avea  fornito  in  Santa  Cita 
in  Palermo;  e  tanto  pure  ne  dista  per  merito  d'arte  quanto  umile  scarpel- 
latore  da  incomparabil  maestro. 

Da  un  contratto  intanto,  rogato  in  Alcamo  da  notar  Andrea  Orofino 
a  5  di  novembre  del  medesimo  anno  15 19,  risulta,  che  Bartolomeo  stesso, 
cittadino  palermitano  ed  abitante  in  Alcamo,  convenne  con  un  alcamese 
Battista  Perfetto  per  costruirgli  un  altr'  arco  in  marmo  bianco  in  una  cap- 
pella, che  costui  aveva  in  animo  colà  fabbricare  dentro  la  maggior  chiesa. 
Doveva  il  detto  arco  aver  le  proporzioni  medesime  di  un'altra  cappella,  che 
un  Giambattista  Vernazza  aveva  già  quivi  costruita  in  S.  Maria  di  Gesù  e 
venire  ampio  di  vano  palmi  nove  (m.  2,32)  e  dodici  alto  (m.  3,09),  con 
gli  stipiti  piani ,  con  quattro  figure  di  profeti  nel  frontispizio  e  dentro  la 
chiave  in  cima  la  Risurrezione  di  Cristo,  oltre  gli  analoghi  accessori  di  ca- 
pitelli e  cimase  e  della  soglia,  ed  anco  una  lapide  sepolcrale  ed  un  altare  in 
marmo  con  tre  colonne  in  sostegno.  Il  tutto  poi  lo  scultore  era  tenuto  dar 
per  intero  finito  di  li  alla  Pasqua  vegnente,  portato  e  sbarcato  a  sue  spese 

20 


144  1    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


nella  marina  di  Alcamo,  nel  sito  appellato  Pietra  delle  Bombarde,  ov'era  a 
farne  consegna:  e  ciò  pel  prezzo  di  once  undici  (1.  140.25),  da  pagarglisi 
allo  sbarco  de'  marmi  (*).  Ma  di  tale  opera  non  riman  più  vestigio  oggi- 
giorno, stantechè  non  sia  stata  eseguita,  ovvero  sia  andata  a  male  ne'  poste- 
riori rinnovamenti  di  quella  chiesa  maggiore,  come  fu  certamente  dell'altra 
cennata  cappella  del  Vernazza  in  Santa  Maria  di  Gesù  allorché  questa  chiesa 
venne  pure  rifatta. 

Si  ha  poscia,  che  per  pubblico  atto  in  Palermo  in  data  del  13  maggio 
del  1521  uno  scultore  Francesco  del  Mastro  promise  e  si  obbligò  a  Bar- 
tolomeo Berrettaro  lavorargli  e  fornirgli  con  marmi  del  medesimo  due  fi- 
gure, l'una  di  S.  Antonino  ossia  S.  Antonio  di  Padova  e  l'altra  di  S.  Fran- 
cesco, dell'altezza  di  sei  palmi  (m.  1,55)  e  di  tutto  rilievo,  pel  prezzo  en- 
trambe di  once  quattro  (1.  51),  da  cominciarle  dal  primo  del  vegnente  di- 
cembre. Di  tal  prezzo  il  Del  Mastro  confessava  già  ricevuta  un'oncia  (1.  12,75), 
computandola  a  saldo  di  once  quindici  e  tari  sei  (1.  193,80)  per  nove  car- 
rate e  mezza  di  marmi,  quali  egli  avute  aveva  dal  Berrettaro  suddetto  alla 
ragione  di  once  chie  e  tari  diciotto  ciascuna  (1.  33,15),  essendo  che  già  una 
somma  gliene  aveva  pagato  per  banco,  ed  un'altra  era  in  conto  di  una  Nostra 
Donna,  che  dinanzi  gli  avea  pure  scolpita.  Le  rimanenti  once  tre  (1.  38,25) 
delle  quattro  del  prezzo  anzidetto  promettea  intanto  lo  stesso  Berrettaro  pagare 
al  Del  Mastro  al  compimento  del  lavoro  delle  due  dette  figure,  promettendogli 
costui  alla  sua  volta  trovarsi  in  Palermo  al  primo  di  prefisso  del  dicembre 
per  farvi  e  fornirvi  quelle  con  tutta  maestria  e  diligenza,  con  che,  contrav- 
venendo, sarebbe  tenuto  a  tutti  danni  e  interessi,  essendo  in  tal  caso  lecito 
a  quello  fare  eseguire  da  altri  artisti  il  lavoro  a  quanto  maggior  prezzo  trovar 
potesse  ed  a  spese  dell'altro  (2).  Ma  dove  andar  dovevan  riposte  cotali  tre  sta- 


(')  Da'  registri  di  detto  notar  Andrea  Orofino,  an.  Vili  ind.  1519-20,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in 
Alcamo.  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XXXVI. 

(2)  Die  xiij  max  viìij."  ind.  1521. —  Magister  Franciscus  del  Mastro,  scultor  marmorum,  preseli? corani  nò- 
bis,  sponte  promisit  seque  sollemniter  obligavii  et  óbligat  magistro  "Bartbolomeo  'Bir  ridar  io ,  quoque  scultori,  pre- 
senti et  conducenti,  lahorare ,  facere  et  expedire  cuni  marmore  dirti  magistri  "Bartholomei  duas  figuras  in  duobus 
peciis,  vide/ieri:  figuram  Sancti  Antonini  et  Sancii  Francisci,  pahnorum  sex  et  dì  tucto  rclcvu,  et  laborati,  impio- 
tati et  cimi  la  testa  finita  et  agradinata,  incìpiendo  a  primo  mensis  decenibris  proxime  venturi  in  antea  et  conti- 
nuare, prò  magisterio  unciarum  quatnor  prò  dictis  duabus  figuris;  de  quo  magisterio  dictus  »«.'  Franciscus  fatetur 
habuisse  et  recepisse  uiiciaiu  uiiaiu,  quaiii  diete  partes  excoiuputaruiil  et  excoiiijnttaut  ad  complimentimi  linciarli»! 
xv  et  tarenorum  sex  prò  carralis  novem  citili  dimidio,  Iiabitarum  ci  receptarum  per  dietimi  magistrum  Franciscuni 
a  dicto  magistro  'Bartholomeo  ad  racionem  unciarum  ij  et  tarenorum  xviìj  carraia,   quoniam  imcias  xiiij  et  lare- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  111. 


145 


tue,  delle  quali  una  era  già  fatta,  e  due  altre  restava  ancora  a  scolpire?  In 
Polizzi,  nella  chiesa  di  S.  Francesco,  che  fu  già  de'  Conventuali,  rimari  tut- 
tavia una  sontuosa  cappella,  adorna  di  molta  ricchezza  di  sculture  dell'epoca 
più  bella  dell'arte,  delle  quali  essa  ebbe  decoro  da  casa  Notarbartolo,  al  cui 
patronato  appartenne  in  un  che  1'  altra  mentovata  cappella  esistente  nella 
chiesa  maggiore.  Nella  parete  sovrastante  all'  altare  son  ivi  in  marmo  tre 
statue  pregevolissime  in  altrettante  nicchie  ornate  di  eleganti  pilastrini,  cioè 
in  mezzo  la  Beata  Vergine  in  piedi  col  divin  figliuoletto  in  grembo,  seb- 
bene monca  di  una  mano,  che  nella  prima  metà  del  corrente  secolo  le  fu 
distrutta  da  un  fulmine,  e  dall'uri  lato  e  dall'altro  il  Serafico  e  S.  Antonio 
di  Padova,  entrambi  anco  in  piedi  e  poco  minori  del  vero,  spirando  tutte 
e  tre  insieme  tanta  bellezza  ed  ingenuità  di  sacra  espressione,  che  non  esitò 
Paolo  Giudice  ad  annoverarle  fra  le  migliori  opere  di  Antonio  Gagini  ('). 
Pure  in  attentamente  considerarle  par  ne  risulti  evidente  tutt'altro  stile  con 
tipo  affatto  diverso  di  sembianti  e  con  diversa  esecuzione  ,  comunque  alle 
sculture  del  gran  caposcuola  palermitano  generalmente  somiglino  per  l'iden- 
tità del  carattere  dell'arte  italiana  di  allora,  sviluppata  sulle  purissime  orme 
degl'  insigni  precedenti  maestri  :  oltreché  ancor  notevole  differenza  sembra 
sia  da  avvertire  fra  le  dette  tre  statue  e  le  diverse  storie  e  figure  in  mezzano 
rilievo  ,  di  che  riccamente  è  altresì  decorato  tutto  1'  arco  della  stessa  cap- 
pella. Imperocché  in  esso  da'   due  lati  ricorrono  a  riquadrature  dieci  SCOm- 


HOJ  vj  ad  complimentum  dictorum  marmorum  dictus  m.'  Bartholotneus  habuit  et  recepii  a  dicto  magistro  Francisco 
modo  infrascripto,  videlicet:  uncias  xij  per  bancum  de  Sanches  et  cRjim,  non  obstante  quod  partita  dictal  ex  vintilo, 
et  uncias  iìj  prò  magisterio  cuiusdam  imaginis  gloriosissime  Virginis  Marie,  facte  per  dietimi  magistrum  Fran- 
ciscum,  ut  dixerunt,  renunciantes  etc.  I^estantes  uncias  iij  ad  complimentimi  dictarum  unciarum  iiij  viagisterii  pre- 
dicti  solvere  promisit  dictus  m.'  Bartholomeus  prefato  magistro  Francisco  stipulanti ,  facto  toto  dicto  magisterio: 
promittens  dictus  vi.'  Franciscus  venire  hic  Panonni  a  dicto  primo  mcnsis  decembris  ad  faciendum  predictuni  ma- 
gisterium  et  continuare  ipsumque.  facere  bene,  diligentcr  ac  magistrivìliter  et  ad  revidendum:  alias  teneatur  ad  om- 
nia et  singula  dapna,  interesse  et  expensas,  liceatque  dicto  magistro  Bartholomeo  ab  aliis  (fieri)  facere  prò  eo  ma- 
fori  magisterio,  quod  poterit  invenire.  Oue  omnia,  etc. —  Testes:  m.'  'Baptista  de  Auria  et  Antonius  Cathalanu. — 
Dal  registro  di  num.  3477  di  notar  Girolamo  Corraccino,  an.  1 519-21,  ind.  VIII-IX,  nell'archivio  de'  notai 
defunti  in  Palermo.  Documento  indicatomi  dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 

(  ■  )  «  Dissi  che  in  San  Francesco  (in  Polizzi)  esistesse  intera  una  cappella  di  marmo  con  tre  statue;  mostrai 
«  che  quella  sarebbe  annoverata  tra  le  migliori  opere  di  Antonio  Gagini  e  che  sosterrebbe  il  paragone  di  qua- 
«  lunque  altra ,  anzi  che  il  San  Francesco  è  una  delle  più  belle  concezioni  dell'  artefice  e  la  più  felicemente 
«  eseguita:  però  la  guardassero  come  tesoro.  In  questa  mi  narravano  come  la  Madonna  di  quella  cappella 
«  fosse  stata  danneggiata  da  un  fulmine,  ec.  »  Sopra  "Domenico  Gagini,  scultore  siciliano;  lettera  II  di  Paolo 
Giudice  a  Saverio  Cavallari,  nel  tomo  XXXI  delle  Effemeridi  scientifiche  e  letterarie  per  la  Sicilia  (Palermo, 
1840,  pag.  23). 


I46  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


partimenti,  de'  quali  sei  hanno  storie  o  miracoli  di  S.  Francesco  e  S.  An- 
tonio, due  l'Annunziata  ed  il  Gabriello,  ed  i  due  sottostanti  in  base  due 
putti  per  banda  ,  recando  scudi  con  le  armi  de'  Notarbartolo.  Ma  benché 
sieno  alquanto  a  lodarvi  il  gusto  e  la  leggiadria  del  comporre,  pure  vi  man- 
cano quella  bellezza  di  espressione  ed  insieme  quell'eleganza  di  forme,  che- 
pur  ivi  nelle  tre  statue  si  ammira,  notandosi  in  vece  una  cotal  trascuratezza 
ed  un  cotale  inferior  magistero  ,  che  ha  molto  riscontro  in  altre  opere  di 
Giuliano  e  di  Bartolomeo.  È  certo  intanto,  ch'entrambi  questi  due  scultori 
prima  dell'anno  15 17  si  erano  insieme  obbligati  in  Polizzi  a  Martino  o  Marino 
Notarbartolo  pel  lavoro  di  una  cappella  con  due  figure  grandi  per  la  detta 
chiesa  di  S.  Francesco;  e  poi  é  certo  altresì,  che,  sciolta  la  società  fra*  due 
sopraddetti ,  siccome  di  sopra  é  discorso  ,  nella  ripartizione  de'  lavori  fatta 
fra'  medesimi  in  Palermo  pel  pubblico  mentovato  strumento  del  19  di  ottobre 
del  medesimo  anno  andò  compresa  la  cappella  stessa  fra  le  opere  da  do- 
versi quindi  fornire  dal  solo  Mancino.  Morto  però  costui  due  anni  appresso 
nel  15 19,  è  probabil  che  quella  ei  non  avesse  ancor  fatta,  e  che  quindi, 
rimastone  tenuto  verso  il  Notarbartolo  il  Berrettaro,  abbia  indi  costui  dopo 
altri  due  anni  affidato  all'uopo  al  Del  Mastro  nel  1521  le  dette  due  figure 
in  marmo  del  S.  Francesco  e  del  S.  Antonio,  che  ivi  appunto  rimangono 
delle  misure  indicate  :  oltreché  ,  essendo  pure  certezza  aver  lo  stesso  Del 
Mastro  dinanzi  scolpito  al  Berrettaro  medesimo  una  Nostra  Donna,  che  ben 
può  essere  stata  l'altra  delle  tre  statue  colà  fin  oggi  esistenti,  è  da  sospet- 
tare o  che  questa  sia  stata  a  colui  primamente  lavorata  quand'egli  era  an- 
cora in  società  col  Mancino  (onde,  fornita  la  prima,  non  fu  poi  menzione 
che  delle  altre  due  sole  figure  o  statue  da  farsi  nella  cappella),  ovvero,  che, 
non  essendo  stata  essa  compresa  nel  primitivo  contratto  col  Notarbartolo, 
siasi  voluta  in  seguito  aggiunta.  Del  che  a  torre  ogni  dubbio  gioverebbe 
avere  in  mano  il  contratto  stesso,  che  fu  certo  rogato  da  notar  Giovanni 
Perdicaro  in  Polizzi,  benché  se  ne  ignori  precisamente  la  data. 

Ma  che  altro  è  dato  raccogliere  di  codesto  altro  scultore  Francesco  del 
Mastro,  ch'esser  dovette  per  fermo  di  molto  valore  nell'arte,  se  veramente, 
siccome  pare,  sono  sua  opera  le  tre  mentovate  statue  della  cappella  anzi- 
detta ?  Certo  é,  che  di  tal  cognome  sin  dalla  metà  del  quintodecimo  secolo  e 
per  gran  parte  del  seguente  furon  diversi  carraresi  scultori,  de'  quali  fa  men- 
zione l'egregio  marchese  Giuseppe  Campori,  siccome  in  prima  un  Antonio 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  147 


del  Mastro,  che  lavorava  con  buona  fama  in  Orvieto  nel  1455  ('),  e  poi 
un  Giambattista,  che  pare  aiutasse  il  celebre  scultore  spagnuolo  Bartolomeo 
Ordognez  nei  sontuosi  monumenti,  ch'egli  faceva  in  Carrara  nel  1520,  ed 
indi  un  Francesco  del  detto  Giambattista  nel  1545  (2),  e  un  altro  Francesco 
di  Filippo  Mastri  o  del  Mastro,  che  pure  fu  ivi  aiutatore  del  detto  Ordognez 
insino  alla  morte  di  lui  (>)  :  oltreché  anco  per  documenti  risulta,  che  un 
Giovanni  del  Mastro,  architetto  carrarese,  fu  già  capomastro  delle  fortificazioni 
di  Messina  e  poi  trovavasi  vecchio  in  patria  nel  1570,  e  che  un  Nicola  del 
Mastro  lavorava  di  marmi  pure  in'  Messina  nel  1576  (4).  A  così  estesa 
famiglia  di  carraresi  artefici  non  è  dubbio  quindi  sia  appartenuto  Francesco 
de  li  Mastri  da  Carrara,  scultor  di  marmi,  del  quale  la  più  antica  notizia  fin 
ora  è  in  Sicilia  del  1 5 1 3  ,  dacché  per  pubblico  atto  presso  notar  Filippo 
Giacomo  d'Ugo  di  Termini  in  data  del  18  di  aprile  di  detto  anno  si  ob- 
bligò egli  a  un  maestro  Francesco  la  Indivina ,  procuratore  colà  della  cap- 
pella del  Sacramento  in  quella  maggior  chiesa ,  pel  lavoro  di  una  custodia 
in  marmo  per  l'Eucaristia,  da  farla  ivi  stesso  per  la  detta  cappella.  Era  essa 
dunque  da  venir  larga  quindici  palmi  (m.  3,87),  alta  venti  in  ventuno  (m.  5,41), 
ossia  delle  dimensioni  del  muro,  dedottane  1'  altezza  dell'  altare,  in  buoni 
marmi  di  Carrara  e  con  tre  figure  di  oltre  a  mezzano  e  poco  men  che  tutto 
rilievo,  alte  ciascuna  cinque  palmi  (m.  1,29)  e  con  corrispondenti  storie  da 
destinarsi,  oltre  lo  scannello  con  figure  de'  dodici  apostoli  in  mezzo  rilievo, 
le  cornici  intagliate  a  fogliami  e  ad  ovolature,  e  l'architrave  e  i  pilastri  di 
buon  lavoro  con  loro  analoghi  capitelli  e  con  serafini  scolpiti  nel  fregio. 
Del  che  in  tutto  fissavasi  il  prezzo  in  onze  cinquantacinque  (1.  701,25),  di 
cui  l' Indivina  era  tenuto  pagare  un  terzo  allo  scultore  tostochè  sarebbero 
giunti  in  Termini  i  marmi  per  la  custodia,  e  un  altro  terzo  a  metà  dell'o- 
pera, e  l'ultimo  al  total  compimento  di  essa.  Doveva  quindi  l' artefice  im- 
prendere ivi  a  scolpirla  dal  primo  di  agosto  in  poi  dell'anno  stesso,  e  pro- 
seguirla fino  al  termine  senza  far  altro  lavoro  ,  se  non  quello  di  non  so 
che  quadro  in  marmo,  ch'era  pure  tenuto  fare  alla  confraternita  di  S.  Maria 


(')  Della  Valle,  Storia  del  duomo  d'Orvieto,  pag.   353.  Campori,  Memorie  biografiche  degli  scultori,  ar- 
chitetti, pittori  ec.  nativi  di  Carrara  e  di  altri  luoghi  della  provincia  di  Massa.  Modena,   1873,  pag.  85. 

(2)  Campori,  Memorie  cit.,  pag.  85  e  seg. 

(3)  Campori,  Memorie  cit.,  pag.  345  e  350. 

(4)  Campori,  Memorie  cit.,  pag.  86  e  seg. 


I48  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

in  Petralia  Sottana  e  che  ignoro  se  oggi  più  esista.  Era  pertanto  a  dargli 
casa  in  Termini  durante  ivi  il  tempo  del  suo  soggiorno  a  tal  uopo;  ed  egli 
poi  da  sua  parte  promettea,  che  pria  di  scolpire  le  principali  figure  dell'o- 
pera ne  avrebbe  fatto  modelli  in  carta,  mostrandoli  al  procuratore,  per  ese- 
guirli se  gli  fossero  a  grado.  Né  indi  è  dubbio,  che  al  tutto  fu  dato  effetto, 
sebbene  con  qualche  indugio,  laddove  in  data  del  17  di  maggio  del  15 14  si 
ha  un'apoca,  per  cui  lo  scultore  confessò  aver  ricevuto  once  trentasei  (1.  459) 
a  conto  del  lavoro  in  differenti  partite;  e  poscia  in  settembre  del  15 15  si 
obbligò  nuovamente  per  maggior  cautela  all'  Indivina  a  recarsi  in  Termini 
di  li  a  tutto  il  primo  del  venturo  novembre  per  continuar  la  custodia  e 
terminarla  ,  prendendo  anche  in  aiuto  alcun  altro  maestro  ;  ond'  è ,  che  in 
fine  apparisce  in  data  del  18  di  marzo  IV  ind.  1516  (1517),  che  il  detto 
procuratore  attestò  aver  già  ricevuto  finita  la  custodia  medesima,  ed  in 
cambio  l'artefice  sen  dichiarò  soddisfatto  del  prezzo  (J).  Ma  nulla  più 
ne  rimane  al  presente  ,  laddove  quella  per  fermo  andò  totalmente  distrutta 
allorché  ivi  la  maggior  chiesa  venne  ingrandita  e  rifatta;  e  non  si  ha  pur 
notizia  de'  soggetti  delle  tre  principali  figure  in  alto  rilievo,  che  vi  ebbero 
ad  aver  luogo,  siccome  nell'anzidetta  convenzione  si  accenna. 

Dal  cavaliere  Ignazio  De  Michele  da  Termini  mi  è  data  poi  notizia  di 
un  rogito  da  lui  colà  trovato  agli  atti  dello  stesso  notar  Filippo  Giacomo 
d'Ugo  in  data  del  19  febbraio  del  detto  anno  15 16  o  17,  onde  il  medesimo 
scultor  carrarese  Francesco  li  Mastri  obbligossi  per  once  otto  (1.  102)  scol- 
pire 'in  marmo  un'immagine  di  San  Giuseppe  da  collocarsi  con  quelle  di 
Nostra  Donna  e  del  bambino  colà  esistenti  nella  grotta  o  presepe  della 
chiesa  dell'Annunziata  (2).  Giova  però  a  tal  uopo  ricordar  cosa,  di  che  fu 
discorso  nel  capitolo  precedente,  cioè,  che  lo  scultore  Andrea  Mancino  per 
atto  del  30  giugno  del  1495  era  dinanzi  convenuto  co'  rettori  della  con- 
fraternita di  detta  chiesa  non  solo  per  la  scultura  della  Madonna  e  del  divin 
pargolo,  ma  ancor  per  quella  appunto  del  San  Giuseppe:  oltreché  mi  assi- 
cura il  De  Michele  suddetto  avere  altresi  veduto  uno  strumento  ,  per  cui 
cotali  figure  furon  di  poi  consegnate.  Ma,  dato  ciò  per  vero,  non  è  facile 
rilevare  il  motivo  perchè  un  altro  San  Giuseppe  sia  stato  indi  allogato  al 
Li  Mastri  ventidue  anni  appresso;  ed  è  a  sospettar  soltanto,  che,  non  pia- 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  XXXVII. 

(  *  )  Ne  è  ancor   cenno  in  un    opuscolo    del   detto    cavalier  De  Michele ,    Sopra  alcune  pitture  e  sculture 
esistenti  in  Termini-Imerese.  Palermo,  1865,  pag.  7. 


NEI    SI-COLI    XV    K    XVI.    CAP.  III.  Ijy 


cinto  quello,  che  forse  avea  prima  scolpito  il  Mancino,  siasi  dato  all'altro 
l'incarico  di  rifarlo,  quand'egli  appunto  era  in  Termini  in  sul  finir  del  la- 
voro della  custodia  anzidetta  del  Sacramento.  Pure  non  credo,  che  tale  ri- 
fazione abbia  egli  poscia  adempiuta  ,  giacche  contrariamente  a  quanto  os- 
serva il  De  Michele,  che  sia  il  San  Giuseppe  inferiore  di  molto  in  merito 
alla  Madonna  e  al  bambino,  io  trovo  in  tutte  e  tre  le  figure  di  quel  Presepe 
la  medesima  imperfezione  di  stile,  eh'  è  tutta  propria  di  debole  quattrocen- 
tista, siccome  Andrea  Mancino  fu  al  certo.  Né  dubito,  che  se  il  Li  Mastri 
o  Del  Mastro  avesse  veramente  rifatta  o  per  qualsiasi  motivo  supplita  la 
figura  del  detto  Santo  ,  non  avrebbe  mancato  di  mostrarvi  assai  migliore 
sviluppo  di  espressione  e  di  magistero,  che  non  é  nelle  sculture  dell'altro, 
ma  che  in  vece  si  ammira  nelle  tre  pregiatissime  statue  suddette  della  cap- 
pella de'  Notarbartolo  in  San  Francesco  in  Polizzi,  che  si  ha  argomento  a 
stimare  eseguite  dal  carrarese  scultore  pel  Berrettaro.  Duolmi  del  resto,  che, 
ricercati  da  me  nell'archivio  notariale  di  Termini  i  mentovati  contratti  di- 
nanzi trovativi  dal  De  Michele  intorno  alle  dette  tre  figure  del  Presepe  al- 
l' Annunziata,  non  mi  fu  dato  rinvenirli,  essendo  disperso  il  registro ,  che 
li  contenea;  e  forse,  più  attentamente  studiati,  avrebber  .potuto  recare  alcun 
po'  di  luce  in  tanta  oscurità  ed  incertezza  e  chiarir  soprattutto  il  merito 
del  Carrarese  anzidetto,  di  cui  più  oltre  nulla  ancor  si  conosce. 

Di  Bartolomeo  Berrettaro  intanto  è  qui  luogo  a  soggiungere,  che  dopo 
la  morte  di  Giuliano  Mancino,  suo  antico  socio,  durò  l'intimità  del  mede- 
simo con  la  famiglia  dell'  estinto  ;  il  che  appunto  fa  veder  più  probabile  , 
che  il  primo  abbia  indi  curato  far  compiere  la  detta  cappella  de'  Notarbar- 
tolo in  Polizzi ,  il  cui  lavoro  ,  assunto  insieme  da  entrambi  in  prima  ,  era 
poi  rimasto  al  secondo.  Appare  quindi  per  atto  in  Palermo  in  data  del  17  di 
febbraio  X  ind.  1521  (1522),  che  il  detto  Bartolomeo  e  la  vedova  Jacopella 
Mancino,  come  tutori  de'  figli  ed  eredi  del  morto,  vendettero  allo  scultore 
Antonino  Berrettaro,  fratello  di  Bartolomeo,  ogni  maniera  di  marmi  grezzi, 
ventotto  colonnette  di  diverse  dimensioni  e  vari  attrezzi  dell'  arte  ,  che  si 
trovavano  nella  bottega  del  defunto  Giuliano;  e  ciò  pel  valore  di  once  tren- 
taquattro e  tari  due  (1.  434.35),  giusta  l'apprezzamento  fattone  da  periti 
stimatori  chiamati  insieme  all'  uopo  dalle  due  parti  (!).  La  qual  tutela  al- 
tronde rilevasi  il  detto  Bartolomeo  avere  assunto  in  seguito  a  non  so  che 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti,  nura.  XXXVIII. 


i5o 


I    GAGINI    lì    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


cedole  emanate  dalla  regia  gran  corte,  essendosi  ricusati  accettarla  le  per- 
sone, che  in  suo  testamento  il  Mancino  avea  destinate.  Pcrlochè  si  ha 
inoltre  da  un  atto  in  Palermo  in  data  del  4  marzo  del  1521,  che,  confes- 
sandosi in  debito  di  once  nove  (1.  114.75)  ^  Berrettaro  un  Niccolò  Cito 
palermitano  per  restante  di  once  venti  (1.  255)  del  total  prezzo  di  un  mo- 
numento sepolcrale  già  ricevutone  e  collocato  nella  chiesa  di  San  Giacomo 
la  Marina,  attestava  lo  scultore  ad  un  tempo  avere  avuto  le  precedenti  once 
undici  (1.  140.25),  parte  in  diversi  pagamenti  in  danaro  e  parte  in  valore 
di  ventiquattro  carrozzate  di  canne  ad  uso  della  vigna  degli  credi  dell'  e- 
stinto  Mancino  (!).  Ma  di  ciò  poco  o  nulla  importa  alla  storia  dell'  arte, 
e  spiace  solo,  che,  totalmente  distrutta  a'  di  nostri  quella  chiesa,  che  pure 
innanzi  molte  devastazioni  avea  sofferto,  non  è  più  alcun  vestigio  del  cen- 
nato  monumento,  che  fu  per  fermo  dal  Berrettaro  scolpito.  Né  indi  è  con- 
tezza di  altre  rilevanti  sculture,  che  i  due  fratelli  abbiano  potuto  aver  fatto, 
non  avendosi  altro  documento  che  un'apoca  in  data  del  21  di  marzo  XII  ind. 
1523  (1524),  per  cui  ambi  essi,  Bartolomeo  ed  Antonino,  ad  istanza  del  ma- 
gnifico Geronimo  Bellacera,  palermitano,  si  dichiararono  soddisfatti  di  tutto 
il  prezzo  loro  pagato  pel  lavoro  di  porte  e  finestre  eseguite  in  marmo  nel 
tenimento  di  case  di  abitazione  di  quello  nel  quartiere  della  Yalcia  o  Kalsa 
in  Palermo  (2).  Nulla  però  di  cotali  architettoniche  decorazioni  rimane  fino 


(')  Eodcm  iiij  marcii  viiij.'  ind.  1520  (1521).  'N^icolaus  Cita,  civis  pauormitantts ,  prese ns  corani  nobis , 
sponte  se  debitorem  constituit  honorabill  magistro  Bartholomeo  Birrittario,  salitoti  marinorunt,  presenti  et  stipulanti, 
in  nnciis  novem  ponderis  generalls.  Et  sunt  ex  restanti  et  ad  complimentimi  unciarum  xx  prò  predo  unius  moni- 
menti  marmorei  facti  per  dietimi  magistrum  Bartholomeum  dicto  Nicolao  debitori,  et  per  eum  habiti  et  recepii  prò 
bono,  placito  et  actalenlato  in  ecclesia  Sancii  Jacobi  de  Maritima,  quoniam  nncias  xj  dictus  in.'  Bartholomeus  fia- 
tetnr  Imbuisse  et  recepisse  tam  in  pecuniis  diversimode  et  in  diversis  soluctionibus  et  tam  per  bancum  et  de  con- 
tanti, quani  in  carrociatis  xxiiij  cannarum  habilarum  et  receptarum  per  dietimi  magistrum  Bartholomeum  ad  opus 
vince  beredum  quondam  magistri  Juliani  Manchimi,  ut  dixerunt,  renunciantes  exceptioni  eie.  Quod  debitum  uncia- 
rum novem  dictus  debitor  prefato  creditori  stipulanti  solvere  promisit  per  totum  /estimi  Nativitatis  Domini  pro- 
ximo  veniens  in  pace,  etc. —  Testes:  'Petrus  lu  Feriti  et  Andreas  de  'Puma. —  Dal  volume  di  num.  3477  de'  re- 
gistri di  notar  Girolamo  Corraccino,  an.  15 19-21,  ind.  VIII-IX,  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 
Ed  havvi  in  margine  un'  apoca  in  data  del  d'i  ultimo  di  aprile  X  ind.  1522,  ond' è  disposta  la  cancellazione 
di  tale  strumento,  ch'è  in  fatti  cancellato,  per  essere  stato  il  Berrettaro  interamente  poi  soddisfatto. 

(2)  Eodcm  xxj.°  marcii  xij.'  ind.  :^2)  (1524).  Magister  'Bartholomeus  Berrictarius  et  magister  Antonimie 
Ber r idillio,  fruir es,  scullorcs,  presenta  corani  nobis,  ad  instanciam  et  requislcioncm  magnifici  d.  Hieronymi  'Bt na- 
chera, eortini  concivis,  presentis  et  pdentis,  spante  dixerunt  et  confessi  sunt  fiore  et  esse  solutos  et  integre  satisfiactos 
de  loto  magisterio  marmoreo  facto  et  conslructo  per  eosdem  fralres  scultores  in  januis  et  fenestris  tenimenti  do- 
morum  hàbiiationis  ejusdem  </.  Hieronymi,  siti  et  posili  in  quarteria  Yalcie  ....  —  Rimane  cosi  in  tronco  a  fog. 
533  del  volume  di  num.  2513  de'  registri  di  notar  Gerardo  La  Rocca,  an.  1523-24,  ind.  XII,  nell'archivio 
de'  notai  defunti  in  Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  III.  IJT 

a'  di  nostri,  giacche,  rifatte  poi  a  nuovo  del  tutto  le  antiche  fabbriche  delle 
case  de'  Bellacera  ,  sorse  nel  sito  stesso  1'  odierno  palazzo  de'  Lo  Faso  , 
marchesi  di  San  Gabriele  ,  in  via-  Alloro.  Non  manca  però  tuttavia  in  Pa- 
lermo un  bellissimo  esempio  di  simigliami  sculture  nell'odierna  facciata  o- 
rientale  del  palazzo  Galletti,  de'  marchesi  di  San  Cataldo  e  principi  di  Fiu- 
mesalato  ,  la  qual  fa  pena  vedere  oggi  priva  di  ogni  risalto  e  di  ogni  de- 
coro ,  rincantucciata  in  un  angusto  e  lurido  vicolo  ,  dacché  ne'  tempi  ap- 
presso vi  fu  dinanzi  eretta  a  breve  distanza  di  spazio  la  parte  posteriore  del 
palazzo  Palagonia,  da  cui  quel  vicolo  ha  nome.  Cotal  facciata  è  di  una  si- 
gnorile dimora  de'  primordi  del  secolo  decimosesto,  la  quale  non  fu  certo 
in  origine  de'  Galletti,  ma  bensì  d'una  nobil  famiglia  ignota  fin  ora,  della 
quale  in  più  luoghi  vi  son  ripetuti  gli  stemmi,  essendo  stata  in  seguito  in- 
corporata, ignoro  se  per  compra,  per  dote,  o  per  successione,  al  contiguo 
palazzo  di  quelli.  La  decorazione  vi  è  del  più  bello  e  più  puro  stile  del- 
l'architettura del  cinquecento,  non  ancor  del  tutto  spoglio  o  dimentico  delle 
medievali  influenze,  avendo  una  semplice  ma  elegante  porta  centrale  archi- 
travata con  due  finestre  bifore  ed  ornatissime  laterali ,  laddove  al  di  sopra 
tre  altre  maggiori  finestre  architravate  ricorrono,  una  più  grande  e  di  unico 
vano  nel  centro,  e  le  due  de'  lati  bifore  anch'esse,  cioè  col  vano  diviso  da 
un  pilastrino  centrale,  il  qual  sostiene  l'architrave  nel  mezzo.  Ma  ciò,  che 
qui  più  importa  osservare,  è  la  bellezza  degli  ornati ,  di  che  specialmente 
nelle  dette  finestre  è  dovizia ,  e  più  che  altrove  nelle  due  sottostanti ,  di 
una  delle  quali  giova  apprestare  inciso  un  bel  disegno  ,  che  si  degnò  rile- 
varne, e  donarmi  l'illustre  professore  G.  B.  Filippo  Basile  (l).  Tale  finestra, 
alta  in  tutto  m.  2,  435  e  larga  m.  2,  050,  è  bifora,  con  due  archetti  a  tri- 
foglio entro  il  semicircolare  o  pieno  centro,  sostenuti  da  tre  pilastri  dello 
stile  già  sviluppato  del  cinquecento,  de'  quali  i  due  estremi  più  larghi  son 
terminati,  oltreché  da'  loro  capitelli,  da  fascette  modanate,  che  servono  agli 
archi  d'impostatura.  I  campi  de'  fusti  de'  detti  pilastri  sono  scolpiti  elegan- 
temente con  festoni  verticali,  le  cui  corde  han  frutta,  foglie,  vasetti,  scudi, 
daghe,  turcassi,  archi,  freccie  ed  uno  pure  una  tavoletta  col  nome  di  Gesù: 
IHS.  Nelle  cennate  fascette  poi,  che  si  ergon  su'  capitelli  de'  pilastri  laterali 
nella  parte  degli  archi,  sono  due  identici  scudi ,  che  pure  simili  ricorrono 
nella  porta  e  nelle  altre  finestre  ,  ciascun  d'  essi  inquartato  ,    avendo    nella 


(')  Vedi  la  tavola  VII.  2I 


Ij2  I    GAGINI    K    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


metà  supcriore  una  spiga  verticale  di  grano  fra  una  mano  atteggiata  a  be- 
nedire a  destra  ed  una  mezza  luna  a  sinistra.  Sulla  ovolatura  quindi  ,  che 
segue  immediata  ,  ha  luogo  il  fregio  ,  trattato  di  stile  grandioso  con  pal- 
mette  diritte  e  rovesce,  legate  con  nastri  e  foglie,  e  terminato  dall'una  banda 
e  dall'altra  da  due  leggiadri  vasetti  con  fiori  e  frutta,  laddove  finalmente 
ricorre  semplice  la  cornice  al  di  sopra.  Nel  carattere  intanto  di  sì  fatte  scul- 
ture, benché  per  gusto  ed  eleganza  pregevolissime,  anziché  prevalere  il  far 
gaginesco  ,  che  contraddistinse  in  tal  genere  gli  egregi  lavori  del  sommo 
Antonello  Gagini  e  della  sua  scuola  ,  campeggia  in  vece  un  fare  alquanto 
diverso  ,  che  più  si  assomiglia  a  quello  di  altre  opere  del  Mancino  e  del 
Berrettaro,  de'  quali  non  sembra  dubbio  del  resto  esser  più  valsi  per  me- 
rito d'  arte  negli  ornati  che  nelle  figure.  Laonde  non  è  affatto  improbabile, 
che  quelle  siano  state  nella  detta  facciata  eseguite  di  loro  mano  ,  essendo 
certo  che  simili  altre  per  varie  case  o  palagi  in  Palermo  ne  condussero  , 
siccome  appare  da'  contratti,  onde  furon  loro  commesse. 

Un'  opera  poi  notevole  ,  che  Bartolomeo  in  quel  tempo  ebbe  allogata, 
non  fu  da  lui  eseguita  a  cagion  di  sua  morte.  Era  un  gruppo  in  marmo 
dell'  Annunziazione  di  Nostra  Donna  ,  al  cui  lavoro  egli  obbligossi  in  Pa- 
lermo in  data  del  20  di  aprile  del  1523  ad  un  magnifico  Niccolò  Antonio 
Fontana,  da  Nicosia,  qual  procuratore  di  quel  convento  di  S.  Maria  del  Car- 
melo, avendo  a  farvi  le  figure  dell'Annunziata  e  dell'angelo  in  tutto  tondo, 
alte  ciascuna  cinque  palmi  (m.  1,  31),  oltre  uno  (m.  o,  26)  di  piedistallo, 
con  1'  usato  leggìo,  ed  al  di  sopra  un  Dio  Padre  di  tre  palmi  (m.  o,  78) 
con  gli  angelici  troni  e  serafini  in  mezzano  rilievo  ;  il  tutto  pel  prezzo  di 
once  trentadue  (1.  408)  da  pagarsi  allo  scultore  in  tre  rate,  dovendo  l'in- 
tera opera  venir  fornita  in  Palermo  a  mezz'agosto  dell'anno  seguente  per 
indi  venire  imbarcata  e  consegnata  nella  marina  di  Tusa  a  rischio  dell'  ar- 
tefice ,  e  di  là  essere  in  fine  portata  in  Nicosia  a  rischio  del  detto  con- 
vento (')•  Morto  però,  siccome  vedremo,  Bartolomeo  fra  l'agosto  e  il  set- 
tembre del  1524,  nò  avendo  ancora  consegnato  il  lavoro,  andò  colà  di  per- 
sona Giovan  Michele  suo  figlio,  come  un  degli  eredi  del  medesimo  e  pro- 
curatore della  madre  Tornea  ,  tutriee  degli  altri  figli ,  e  ,  venuto  a  novello 
accordo  col  priore  e  co'  frati  di  quel  convento,  rilasciò  loro  once  sette 
(1.  89.25)  del  prezzo  già  stabilito,  come  per  atto  di  transazione  colà  ccle- 


(  >  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  nuni.  XXXIX. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  153 


brato  in  notar  Pietro  di  Baldo  a  15  di  novembre  dello  stess'anno.  Del  che 
in  seguito  avvenne,  che,  fatta  dalla  vedova  nuova  ed  ampia  procura  in  fa- 
vor del  cognato  Antonino,  e  da  costui  riconosciuto  l'accordo  precedente- 
mente statuito  dal  nipote  ,  convennero  essi  entrambi  in  solido  e  si  obbli- 
garono, per  pubblico  atto  in  Palermo  in  data  del  dì  primo  di  aprile  del  1525, 
consegnare  imbarcata  1'  intera  opera  per  tutto  il  di  4  del  mese  istesso,  re- 
stando in  obbligo  al  priore  ed  al  procuratore  pagar  loro  le  venticinque  once 
del  prezzo  (1.  318.75)  (r).  Ma  che  ne  fosse  indi  avvenuto  lo  ignoro.  Ciò 
solo  è  certo,  che  nella  chiesa  del  convento  oggi  abolito  del  Carmine  in  Ni- 
cosia  si  vedono  al  presente  due  pregiatissime  statue  in  marmo  del  più  bel 
gaginesco  stile,  1'  una  figurante  la  Vergine  Annunziata  e  1'  altra  il  celeste 
nunzio  ,  nella  prima  delle  quali  si  legge  dappiè    nella   base  :  xxvi  ivnii  xv 

INDS    I527    NOBILIS    PAVLVS    DE    ANGNELLO    HANC    INMAGINEM    DECORARE   FECIT. 

Vi  mancan  ora  l'intermedio  inginocchiatoio  o  leggìo  e  la  mezza  figura  del 
Dio  Padre  al  di  sopra  co'  serafini ,  giacché  probabilmente  ne  furon  tolti, 
quando,  costruita  sull'altar  maggiore  una  decorazione  di  legname  al  seicento, 
fu  stimato  riporvi  le  dette  due  statue  da'  lati,  dove  ora  sono.  Ma  intorno 
al  merito  di  esse  giova  ripetere,  che  sì  per  la  bellezza  dell'espressione  e  la 
soavità  del  sentimento,  che  per  la  somma  perfezione  del  magistero  dell'arte, 
rivelano  più  che  ogni  altro  il  genio  e  lo  scalpello  di  quel  sovrano  artefice, 
che  fu  allora  Antonello  Gagini,  e  quindi  inclino  a  credere,  che,  non  essendo 
giunto  Bartolomeo  Berrettaro  a  scolpirle,  non  le  abbia  il  suo  fratello  Anto- 
nino neppure  in  appresso  scolpite ,  e  che  nell'  interesse  della  famiglia  del 
morto  scultore  siano  state  esse  in  vece  affidate  allo  scalpello  del  gran  capo- 
scuola, ch'era  allora  nell'auge  della  sua  fama  e  che  in  buoni  rapporti  esser 
doveva  co'  Berrettaro  ad  un  tempo.  Di  ciò  dei  prova  il  trovare  il  Gagini 
segnato  fra'  testimoni  in  un  pubblico  inventario ,  fatto  in  Palermo  addì  4 
di  ottobre  del  1526,  di  tutto  il  contenuto  della  bottega  di  marmoraio,  che 
un  tempo  reggevano  il  detto  Bartolomeo,  già  defunto,  ed  il  suo  fratello  Anto- 
nino, andatone  poi  fuori  regno,  per  cautela  del  quale  l'inventario  stesso  avea 
luogo,  essendo  nella  detta  bottega  rimasto  il  giovine  Antonino,  figliuolo  del 
primo,  eppur  volendo  continuare  lo  zio  ad  avervi  suo  dritto.  Stante  anzi 
l'assenza  di  quest'  ultimo,  nulla  di  più  naturale,  che  il  Gagini  abbia  assunto 
l'incarico  di  fornire  le  statue  non  ancor  consegnate  dell'Annunziazione  per 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  XL. 


154  !    G  AGI  NT    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Nicosia,  e  ch'egli  in  fatti  le  abbia  condotte  a  termine,  siccome  dallo  stile 
pare  risulti.  È  chiaro  del  resto  dalla  riferita  iscrizione  sotto  la  statua  di 
Nostra  Donna,  che  fu  indugiato  ancor  qualche  tempo  a  totalmente  averla 
finita  insino  al  26  giugno  del  1527,  allorché  Paolo  Agnello  suddetto  ne 
fece  del  suo  la  spesa  per  devozione  al  convento,  che  l'aveva  commessa. 

Bartolomeo  Berrettaro  era  intanto  mancato  ai  vivi  in  Alcamo  dopo  il  3  di 
agosto  e  prima  del  12  di  settembre  del  1524,  avendosi  la  prima  data  nella 
protesta  di  lui  contro  Luigi  di  Battista  per  la  custodia  del  Sacramento  in 
Polizzi  ,  siccome  di  sopra  è  cenno,  e  la  seconda  in  una  transazione  fatta 
con  Antonino,  fratel  di  lui,  essendo  egli  già  morto,  per  l'altra  simil  custodia 
da  andar  locata  nel  duomo  di  Marsala ,  come  sarà  meglio  fra  non  guari  a 
vedere.  E  rilevasi  inoltre  da  pubblico  strumento  in  Alcamo  agli  atti  di  notar 
Andrea  Orofìno  in  data  ancor  di  settembre  di  quell'anno,  che,  passato  di 
questa  vita  ab  intestato  il  detto  Bartolomeo  pochi  dì  avanti,  lasciando  maggio- 
renni Giovan  Michele  ed  Antonino  e  minorenne  Antonina,  suoi  figli,  nati  da 
lui  e  da  Tornea  sua  consorte,  richiesero  i  due  primi  insieme  alla  madre  si  pro- 
cedesse legalmente  ad  un  generale  inventario  de'  beni,  che  quindi  in  tutte 
le  forme  fu  fatto  (x).  Risulta  da  esso,  che  lo  scultore,  non  ostante  l'operosità 
di  sua  vita,  non  era  riuscito  a  raccoglierne  che  una  ben  modesta  fortuna,  lad- 
dove, oltre  usuali  masserizie  e  pochissimi  oggetti  d'oro  e  d' argento  nella  sua 
casa  in  Alcamo,  non  lasciò  egli  in  campagna  che  sole  otto  salme  di  mag- 
gesi, due  schiavi,  l'un  bianco  e  l'altro  moro,  sei  buoi  di  vario  pelo,  due  vacche 
con  due  vitelli,  quattro  case  campestri,  un  mulino  e  due  tuguri  per  rico- 
vero de'  lavoratori.  Si  aggiungevano  crediti  di  alcune  somme,  in  prezzo  forse 
di  artistici  lavori,  dovute  da'  magnifici  Sebastiano  Romano  e  Vincenzo  Adra- 
gna  e  dagli  eredi  di  un  Andrea  Gandolfo  e  di  una  signora  Argenta  Gentile 
defunti  (2).  Ma  rimaneva  altresì  un  debito  di  once  sessanta  (1.  765)  verso 
Antonino  Berrettaro,  fratel  dell'estinto,  oltreché  alquanto  dopo,  a  23  del 
seguente  ottobre,  comparve  anche  un  Pietro  Vivona  da  Gibellina,  vantando 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  XLI. 

( 2  )  Quest'  Argenta  o  Argentea  Gentile,  moglie  un  tempo  di  un  Antonio  Failla,  per  suo  testamento  in 
notar  Adragna  di  Alcamo  a  27  di  giugno  III  ind.  151 5  avea  morendo  disposto  farsi  a  sue  spese  una  deco- 
razione di  marmo  nella  cappella  del  Sacramento  in  quella  chiesa  maggiore.  E  non  è  punto  improbabile,  che 
a  Bartolomeo  Berrettaro  sia  stato  primamente  allogato  cotal  lavoro  e  che  sia  indi  rimasto  in  tronco  a  ca- 
gion  di  sua  morte,  giacché  vedremo  in  seguito,  che  quarantasei  anni  più  tardi ,  per  atto  del  24  febbraio  IV 
ind.  1560  (1561),  fu  adibito  Antonino  Gagini  a  finirlo.  Ma  non  ne  resta  più  oggi  vestigio  alcuno. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  III.  IJ5 

un  credito  di  once  ventotto  (1.  357)  0  lì  presso,  a  saldo  del  prezzo  di  una 
massarìa  0  fattoria,  che  a  Bartolomeo  aveva  venduta  (!).  Imperocché  vivendo 
costui,  siccome  è  chiaro,  non  solo  avea  tratto  suo  prò  dall'attività  del  la- 
voro nell'arte,  ma  ancor  dall'  industria  de'  campi,  come  del  maggior  nu- 
mero degli  altri  scultori  è  noto  aver  fiuto  parimente  in  quel  tempo. 

De'  due  figli  di  lui,  Giovan  Michele  ed  Antonino,  l'un  non  si  addisse 
affatto  alla  scultura,  ma  esercitò  poi  l'ufizio  di  notaio  in  Alcamo  e  in  Ca- 
latafimi ,  e  quindi  appar  nell'elenco  de'  notai  alcamesi  in  quel  secolo  (2). 
Morto  suo  padre,  ch'era  rimasto  tutore  degli  eredi  Mancino,  e  insorte  dif- 
ferenze in  fare  i  conti  dell'amministrazione  di  lui  fra  essi  ed  i  Berrettaro, 
ottenne  il  suddetto  poter  definirle  per  un  compromesso ,  il  quale  ebbe 
luogo  in  Palermo  a  27  di  marzo  del  1525.  E  da  tal  documento  risulta,  che, 
morti  già  Marco  e  Simone,  figliuoli  di  Giuliano ,  e  rimaste  del  tutto  eredi 
universali  la  vedova  Jacopella  e  la  sua  figlia  Lorenzella  Mancino ,  maritata 
indi  quest'ultima  ad  un  Vincenzo,  figliuolo  di  un  maestro  Antonio  Lo  Pi- 
scopo,  Giovan  Michele  medesimo  alla  morte  del  suo  genitore  recossi  tosto 
in  Palermo  a  rendere  i  conti  della  tutela  da  lui  tenuta  e  pregò  vivamente  le 
dette  eredi  di  rimettersi  al  compromesso  cennato  per  compor  le  discordie. 
Laonde,  avendo  esse  a  ciò  consentito  mercè  l'intervento  di  loro  comuni 
amici  e  per  evitare  spese  e  molestie  di  litigi,  fu  rimesso  l'affare  a!  giudizio 
di  due  arbitri ,  cioè  di  un  Sigismondo  Scorsone  ,  eletto  da  Jacopella  e  da 
maestro  Antonio  Lo  Piscopo,  padre  del  genero  Vincenzo,  e  di  un  Antonio 
La  Quadragesima,  eletto  da  parte  di  Giovan  Michele  e  de'  suoi,  con  che 
si  sarebbe  venuto  alla  scelta  di  un  terzo,  qualora  i  due  non  si  fosser  trovati 
d'accordo  (ì).  Ma  non  più  oltre  al  certo  giova  saperne. 

Seguì  l'arte  paterna  intanto  il  secondogenito  Antonino:  ma,  essendo  co- 
stui ancor  giovanissimo  alla  morte  di  Bartolomeo,  la  direzione  della  bottega 
e  de'  lavori  non  fu  quindi  assunta  almen  per  allora  se  non  dall'omonimo  zio. 


(  '  )  E  dall'  aver  avuto  pur  egli  da  fare  con  gente  di  Gibellina  s'  ingenera  il  sospetto,  che  altresì  possa 
esser  sua  opera  una  pregevole  statua  in  marmo  di  S.  Caterina ,  esistente  nella  maggior  chiesa  dedicata  alla 
medesima  Santa  nella  vicina  terra  di  Salaparuta,  comunque  altri  supponga  rappresenti  essa  piuttosto  la  regina 
Bianca,  in  favor  della  quale  alcuni  baroni  del  Val  di  Mazara  si  radunavano  nel  141 1  in  Salemi  a  costituire 
una  lega.  Vedi  Polizzi,  /  monumenti  d'antichità  e  d'  arte  della  provincia  di  Trapani  indicati  e  descritti.  Tra- 
pani, 1879,  pag.  66  e  seg. 

(2)  A  fog.  830  retro  del  manoscritto  del  De  Blasi,  Della  opulenta  città  di  Alcamo,  discorso  storico,  esi- 
stente nella  pubblica  biblioteca  alcamese  a'  segni  I,  E,  io. 

(  3  )  Vedi  fra'  T)ocumenti  di  quest'opera,  num.  XLII. 


Ij6  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 

Di  quest'ultimo  è  indubitato,  che  sin  da  parecchi  anni  prima  avea  stanza  e 
famiglia  in  Palermo,  laddove  ne'  libri  della  parrocchia  di  S.  Niccolò  la  Kalsa 
trovasi  nota  in  data  del  6  agosto  VI  ind.  1518  pri  battimari  la  figla  di  wastru 
Antoni  cBirrictaru.  Avvenne  indi  dopo  la  morte  di  suo  fratello,  che,  essen- 
dosi costui  obbligato  insiri  dal  di  primo  di  febbraio  VI  ind.  15 17  (15 18)  per 
una  custodia  con  un  arco  in  marmo  per  la  cappella  del  Sacramento  nella 
chiesa  maggiore  di  Marsala  ,  ed  avendo  pur  egli  Antonino  posteriormente 
assunto  in  solido  con  1'  altro  un  tale  obbligo  per  atto  in  notar  Giacomo 
Lucido  di  Palermo  a  29  di  marzo  del  seguente  anno ,  un  prete  Benedetto 
Perniciaro,  da  parte  de'  procuratori  della  cappella  medesima  e  degli  ammini- 
stratori della  città  suddetta,  si  fé'  a  costringerlo  alla  consegna  dell'  opera.  Ma 
non  essendo  ancor  questa  finita ,  a  preghiere  dello  scultore,  si  venne  a  un 
accordo  o  transazione  per  pubblico  atto  in  Palermo  in  data  del  12  settembre 
del  1524,  per  cui  primieramente  fu  egli  tenuto  infra  due  mesi  recare  a  sue 
spese  e  rischio  in  Marsala  i  pezzi  della  custodia,  ch'erano  già  scolpiti  e  che 
avea  lasciato  per  fermo  il  defunto  Bartolomeo'.  Erano  essi  il  compartimento 
centrale  con  la  custodia  propriamente  detta  ,  o  il  ciborio  ;  due  pezzi  coi 
quattro  Evangelisti  ;  uno  di  S.  Giuseppe  ed  uno  di  S.  Crispino  ;  quattro 
pezzi  d'  arco  scolpiti  con  quattro,  serafini;  un  pezzo  incominciato  di  S.  Cri- 
spiniano;  uno  scannello  o  base  con  sei  apostoli  e  Cristo  nel  mezzo  in  pic- 
colo, ed  una  cornice  del  detto  scannello  ,  oltre  un  pezzo  di  marmo  ancor 
greggio.  Prometteva  anzi  Antonino  recarsi  pur  egli  di  persona  in  Marsala 
con  suoi  garzoni  e  lavoranti  e  co'  detti  marmi  per  dar  compimento  alla 
custodia,  essendo  altrimenti  tenuto  a  tutti  danni,  interessi  e  spese.  Del  che 
per  lui  del  resto  si  rendeva  garante  il  carrarese  maestro  Santino  di  Perin- 
cione,  trafficante  di  marmi  e  che  allor  soggiornava  in  Palermo  (:).  Ma  chec- 
ché ne  sia  stato  il  motivo,  cotale  accordo  non  ebbe  poi  effetto,  e  la  custodia 
non  fu  ancora  compiuta,  laddove  in  seguito  è  contezza  di  una  nuova  con- 
venzione, stipulata  in  Palermo  agli  atti  di  notar  Vincenzo  de'  Tintori,  per 
cui  all'  uopo  insieme  obbligaronsi  il  Berrettaro  ed  il  sommo  Antonello  Ga- 
gini.  Né  pure  indi  a  tale  convenzione  si  stette,  trovandosi  in  vece,  che  di 
poi,  non  essendo  più  motto  dell'altro,  obbligossi  di  nuovo  il  Gagini  con 
Giandomenico  suo  figlio  al  lavoro  medesimo  ,  servendosi  de'  pezzi  soprad- 
detti di  già  scolpiti,  siccome   appare  per  atto  del   19  di  aprile  del  1530.  E 


(')  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  XLIII. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  III.  I57 


la  fini  egli  in  fatti  senza  più  avervi  avuto  altri  alcuna  parte,  come  sarà  luogo 
ancora  in  seguito  a  dirne. 

Del  detto  Antonino  Berrettaro  non  s.on  poi  note  sculture  di  alcun  mo- 
mento. Si  ha  in  vece  pubblico  atto  in  Palermo  a  n  di  ottobre  del  1524, 
per  cui  Antonio  Moncada,  conte  di  Adcrnò,  in  nome  di  un  frate  Giovanni 
di  Falco,  domenicano,  promise  in  due  rate  il  pagamento  di  once  quattor- 
dici (1.  178.50)  al  detto  scultore  in  prezzo  di  venti  colonne  con  le  sue 
armi,  di  già  da  quel  frate  commessegli ,  da  servire  alla  chiesa  di  S.  Maria 
la  Grande  in  Catania  (').  Del  13  di  ottobre  del  medesimo  anno  rimane  al- 
tresì strumento  ,  onde  lo  stesso  Berrettaro  fu  tenuto  ad  una  Giovanna  di 
Mao  da  Rodi,  abitante  in  Palermo,  per  farle  in  marmo  un  monumento  se- 
polcrale con  cassa  in  quattro  pezzi  e  con  coperchio  di  mezzano  rilievo  , 
sorretta  da  tre  colonne  e  di  tal  lavoro  come  nel  sepolcro  di  Guglielmo  Aiu- 
tamieristo  ,  allora  in  San  Domenico  ed  ora  non  più  esistente.  Ma  neppure 
or  vestigio  si  ha  di  cotal  monumento,  che  lo  scultore  promettea  dar  finito 
e  far  collocare  nel  convento  di  San  Francesco  di  li  a  tutto  il  seguente  no- 
vembre ,  e  che  pur  non  doveva  esser  lavoro  di  molta  importanza  ,  stante 
non  solo  il  breve  tempo,  che  veniva  assegnato  a  consegnarlo,  ma  ancora  il 
prezzo  ben  tenue  di  once  otto  e  tari  quindici  (1.  108.37),  C^Q  nell'atto  ne 
venia   stabilito  (2).  E  il  fatto  poi ,    che  dopo  la  morte  di  suo    fratello  ne 


(  '  )  Die  xj.°  octobris  xìij.'  ind.  1524.  III.  domimis  don  lAiitonius  de  Montecatheno,  comes  Adernionis,  coram 
nobis  suo  proprio  nomine  et  principalità'  se  obligando  per  dictam  planam  more  mercatorum  et  ut  bancus,  nomine 
et  prò  parte  reverendi  fratris  Jobannis  de  Falco,  ordinis  Sancti  Dominici ,  ....  sponte  et  sollemniter  promisit  et 
conventi  bonorabili  magistro  intonino  'Birrittario,  scultori  marmorum,  presenti  et  stipulanti  ab  eo,  dare  et  solvere 
uncias  quatuordecim  p.  g Et  sunt  prò  vigiliti  colupnis  marmorum ,  quas  fieri  fecit  d'ictus  reverendus  f ratei- 
Johannes  ad  opus  ecclesie  Sancte  diarie  la  Grandi  de  clarissima  civitate  Cathanie,  cum  armis  dicti  ili.  domini 
comitis.  Quas  colupnas  fomitas  et  completas  dictus  magister  Antonius  dare  et  consigliare  promisit  dicto  reverendo 
frati  Jobanni,  presenti  et  stipulanti,  aut  persone  legitime  prò  eo,  ad  eius  prìmam  et  simplicem  requisicioneni,  et  juris 
et  facti  opposicione  et  exceptioue  remotis:  alias,  etc.  Que  omnia,  eie.  —  Testes:  reverendus  frater  Guillelmus  de  Bo- 
naajuto,  thesaurarius  cathaniensis,  et  nobilis  D\iarianus  de  Imperatore.  ■ —  Dal  registro  di  num.  3796  di  notar  Gio- 
vanni de  Marchisio,  an.  1524-27,  ind.  XIII-XV,  fog.  9,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Eodem  xiij."  octobris  xiij.'  ind.  1524.  Magister  Antoninus  Birrittaro,  presens  etc,  se  obligavit  et  obligat 
Joanne  de  Mao  de  T{pdo  et  habitatrici  Panormi ,  presenti  et  stipulanti ,  ad  expensas  dicti  magistri  Antonini  fa- 
cere,  compiere  et  expedire  unum  monumentimi  marmoreum  de  bono  marmare,  longitudinis  infrascripte  balate,  vi- 
ddicet  caxia  marmorea  in  quatuor  pedis  et  cum  copercho,  quod  est  diete  Joanne,  versus  quam  dictus  magister  An- 
toninus teneatur  laborare  dictum  coperchium,  ut  dicitur,  di  me%u  relevu  :  que  quidem  caxia  marmorea  sit  et  esse 
debeai  proul  est  magnifici  Guillelmi  Aiutamichristo  condam  in  Sancto  Dominico  et  illius  laboris,  cum  tribus  colum- 
nis,  prò  predo  unciarum  odo  et  tarenorum  xv;  de  quo  predo  presentialiter  habuit  et  recepii  ipse  magister  Antoninus 
ducatos  duos  auri  in  auro;  cum  hoc,  quod,  expedita  medietate  dicti  operis,  teneatur  solvere  ipsa  Joanna  eidem  ma- 
gistro Antonino  unciam  imam,  et  restans  expedito  dicto  magisterio:  promittens  ipse  magister  Antoninus  dictum  opus 


Ij8  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA   IN    SICILIA 


abbia  soprattutto  assunto  Antonino  l'amministrazione  degl'interessi,  risulta 
ancora  da  pubblico  documento  del  19  di  gennaio  XIII  ind.  1524  (1525), 
quand'  egli  si  costituì  debitore  in  dieci  ducati  d'oro  e  tari  cinque  al  soprad- 
detto maestro  Santino  di  Petrinsone  da  Carrara,  a  compimento  di  ducati 
ventotto  di  oro  e  tari  undici  in  prezzo  di  tanti  marmi  già  avutine  dal  de- 
funto Bartolomeo,  computando  due  pilastri  intagliati,  che  dato  aveva  que- 
st'ultimo al  medesimo  creditore  e  ch'eran  del  morto  Giuliano  Mancino  ('). 
Era  pure  anzi  avvenuto  alquanti  dì  prima,  a  5  di  gennaio  del  detto  anno,  che 
lo  stesso  scultore  Antonino  Berrettaro  ,  qual  procuratore  della  vedova  del 
suo  estinto  fratello  Bartolomeo,  tutrice  de'  propri  figli,  sostitui  da  sua  parte 
in  tal  procura  1'  omonimo  suo  nipote,  figliuol  del  detto  defunto ,  perchè  si 
recasse  in  Pizzo  di  Calabria  a  darvi  assetto  ad  una  icona  di  marmo  ,  che 
Bartolomeo  medesimo  vivendo  aveva  eseguita  in  virtù  di  contratto  rogato 
in  Palermo  da  notar  Giacomo  Lucido  a  5  di  marzo  del  1522,  ed  a  riscuo- 
terne quindi  il  prezzo  ed  a  farne  quitanza  (2).  Ma  nulla  si  ha  di  più  pre- 
ciso intorno  a  tale  opera,  mancando  anche  il  contratto  anzidetto,  dove  più 
distinta  notizia  sarebbe  a  trovarne:  e  solo  é  certo,  che  al  lavoro  di  essa  né  lo 
zio  né  il  nipote  ebber  parte,  costando,  che  l' altro  l' aveva  prima  condotta. 
Né  indi  più  altro  de'  detti  scultori  è  noto,  se  non  che  in  data  del  4  di  ot- 
tobre del  1526    in   Palermo  l'inventario    de'   beni   ed  oggetti   trovati   nella 


dare  et  assegnare  expedìtum  et  completimi  in  apotheca  per  totum  meiisem  novembris  proxime  venturum;  cimi  parto, 
quod  dictus  magister  Antoninus  teneatur  assectare  facere  dictum  opus  in  conventu  Sancti  Francisci  ad  omnes  expensas 
ipsius  Joanne,  versus  quam  dictus  magister  Antoninus  teneatur  sine  aliano  stipendio  intervenire  in  assectatione  ipsi- 
us  opcris.  Ouc  omnia,  etc.  —  Testes:  magni  ficus  Johannes  de  Sancto  Stephano  et  Antoninus  Jachi.  —  Dal  registro 
di  num.  3479  di  notar  Geronimo  Corraccino  nelP  archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  Documento  comu- 
nicatomi dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 

(')  Eodem  xviiij  januarii  xiij."  ind,  1524  (1525).  Magister  Antoninus  Binittaro,  scultor  marmorum,  pre- 
seus  corani  nobis,  sponte  se  debitorem  constituit  honorabìli  magistro  Sanclino  de  Titrinsuni  de  Carrara,  presentì  et 
stipulanti,  in  ducatis  decem  nitri  in  auro  et  tareuis  quinque  ponderis  generalis,  quos  et  quos  ducatos  x  auri  et  ta- 
rmo; quinque  dictus  debitor  prefato  creditori  stipulanti  solvere  promisit  lue  Pauonui  et  in  pecunia  numerata  ad 
requisitionem  diati  creditoris,  in  pace  etc.  Et  sani  ad  complimentum  ducatorum  xxvìij  auri  et  tarenorum  xj  prò 
tantis  marmoribus  habitis  et  receptìs  per  condoni  magistrum  Bartholomeutn  Birrittaro  ab  eodem  creditore ,  cotnpu- 
talis  duobus  pilastris  intaglatis ,  datis  per  dictum  condam  magistrum  ISartholomeum  eidem  creditori ,  que  duo  pi- 
lastra  erant  condam  magistri  Juliani  Manchino:  promitteus  ipse  magister  Antoninus  defendere  eie.  Que  omnia  etc. — 
Testes:  magister  Johannes  de  Guachi  et  Thomas  de  Januxp.  —  Dagli  atti  di  notar  Geronimo  Corraccino  nell'ar- 
chivio de'  notai  defunti  in  Palermo.  Documento  comunicatomi  dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 

(2)  Eodem  (5  gennaio  XIII  ind.  1524)  (1525).  Houorabilis  magister  ^Antoninus  de  'Berrictaiio ,  civis  pa- 
normitanus,  presens  corani  nobis,  tamquam  procura/or  houorabilis  Thomie  reliete  quondam  magistri  Bartolomei  de 
Berriclario,  tamquam  tutricis  filiorum  suorum  cimi  potestate  siibstitueudi  unum  ve!  plures  procuratore;  vietate  pro- 
curaciouis  facte  manu  egregii  notarli  Stefani  de  Toruerio  de  terra  Aleami  olim  die  xvij  novembris  xiij    ind.   in- 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.   GAP.  III.  1 59 


bottega  di  marmoraio,  che  reggevano  un  tempo  il  quondam  maestro  Barto- 
lomeo Berrettaro  e  maestro  Antonino  suo  fratello,  e  poscia  l'altro  Antonino, 
iìgliuol  del  primo;  qua'  beni  ed  oggetti  fece  descrivere  ed  annotare  il  detto 
maestro  Antonino,  cioè  lo  zio,  per  sua  propria  cautela  e  di  quanti  vi  avessero 
interesse,  giacche,  comunque  egli  si  fosse  partito  per  fuori  regno,  intendea 
sulla  detta  bottega  serbar  suo  dritto,  siccome  è  cenno  pur  dianzi.  Ma  scia- 
guratamente il  registro  di  notar  Geronimo  Corraccino,  dove  avrebbe  a  seguire 
cotale  inventario,  non  ha  che  appena  il  solo  principio  di  esso,  dove  soltanto 
si  accenna:  In  primis  quedam  imago  scuìpita  Sancii  Franasti;  e  tutto  poi  rimane 
per  quattro  pagine  in  bianco  ,  nell'  ultima  delle  quali  sono  segnati  i  nomi 
de'  testimoni,  qua'  furono  il  pittore  Antonello  di  Crescenza,  il  sommo  An- 
tonello Gagini  ed  un  nobil  Tomaso  Bonvicini  (:).  Né  più  esistono  i  vo- 
lumi di  minute  del  detto  notaio,  dove  l'originale  inventario  era  per  fermo 
a  trovarsi  ;  e  quindi  manca  un  importante  elemento  ,  da  cui  rilevare  a  che 
maniera  di  lavori,  morto  Bartolomeo  ,  si  fossero  addetti  nell'  arte  il  fratello 
ed  il  figlio  di  lui  e  se  di  alcun  momento  ne  avesser  forniti.  È  probabile 
altronde,  che  la  cennata  figura  del  Serafico  non  sia  che  una  statuetta  ben 
mediocre  e  sul  fare  berrettaresco ,  la  quale  ,  rappresentandolo  genuflesso  in 
atto  di  ricever  le  stimmate,  esiste  nella  chiesa  del  medesimo  Santo  in  Salemi. 
Ma  nulla  se  n'  ha  di  certo  :  oltreché  fin  qui  non  rimane  alcun  indizio  a 
poter  conoscere  dove  l' Antonino  zio  siasi  recato  fuori  dell'  isola,  e  che  sia 
andato  a  farvi,  e  che  ne  sia  stato  poi  del  nipote  del  nome  stesso,  che  pure 
non  fu  l'ultimo  rampollo  de'  Berrettaro  nella  scultura  in  Sicilia.  Imperocché 


stantis  13:24,  omni  jure,  modo,  vìa  et  forma,  ambili  mclius  potuti  et  juxta  formavi  juris,  sponte  fecit,  constituit  et 
sóllemniter  ordinavi t  in  eius  verum  et  legitimum  procuratorem ,  siibstitutum  nuncium  specialem  et  ad  infrascripta 
ventrale/m,  Antoninnm  de  'Berrictario,  filinm  dicti  quondam  magistri  Bartholomei,  presentirti  et  acceptantem,  ad  se 
portandum  et  conferendum  in  terra  Tixi  par  cium  Calabrie  et  illic  assectandum  yconam  imam  marmoriam  factam 
per  dietimi  quondam  magistrum  Bartboloineum,  tempore  vite  sue,  virtute  pallici  contractus  facti  marni  egregiì  quon- 
dam notarli  Jacobi  Lucidi  olim  die  v.°  marcii  viiij  ind.  ij2i  (1522)  et  juxta,  formatti  dicti  contractus,  et  ad  pe- 
tendum,  exigendum,  recipiendum,  recuperaudum  et  hdbendum  ac  imbuisse  et  recepisse  confitendum ,  nomine  et  prò 
parte  ipsius  constituentis,  precium  diete  ycone  virtute  supradicti  contractus,  etc.  —  Testes:  no.  Franciscus  Lucidus, 
m.'  Felicianus  Mangimi  et  Bartholomeus  de  S.  Elia.  —  Dal  registro  di  num.  1883  di  notar  Giovanni  Andrea 
Lucido,  an.  1524-25,  ind.  XIII,  fog.  162  retro  a  163,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  1  )  Iuventarium  prò  magistro  Antonino  Birrittaro.  Die  quarto  ottobris  x.°  ind.  1526.  Bona  et  stiviiic  re- 
perto in  apoteca  marmorarii ,  quam  olim  regebant  condam  magister  'Bartholomeus  de  cBirrittario  et  magister  An- 
toninus  de  Bìrriltario,  fratres,  et  postea  Au'.onìnus  de  'Bìrrittario,  eius  filius;  que  bona  describi  et  annotari  fecit 
dictus  magister  Antoninus  de  Birrittario  prò  eius  cautela  et  quorum  interest,  ex  quo  venti  extra  regnimi  et  intendit 
permanere  in  dieta  apolheca: — In  primis  quedam  imago  scuìpita  Sancti  Franciscì E  seguono  quattro  pagine 

22 


léo  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 

ancor  più  tardi  è  contezza  di  un  Paolino  Berrettaro,  scultore  in  marmo,  il 
quale,  siccome  appare  da  un  documento  del  31  di  ottobre  del  1571,  viveva 
in  Palermo  ed  insieme  ad  altri  vi  era  in  relazioni  d'interesse  co'  rettori  e 
marammkri  della  cappella  del  Sacramento  nella  chiesa  di  S.  Antonio  del 
Cassaro  ,  ond'è  a  sospettare  che  opera  di  lui  sia  una  custodia  in  bianco 
marmo,  colà  tuttavia  esistente  con  otto  storie  della  Passione  da'  lati  e  con- 
dotta sul  pregevole  stile  della  gaginiana  scuola,  a  cui  è  molto  probabile  che 
colui  sia  appartenuto  (r).  Nient'altro  però  se  ne  conosce  al  presente,  igno- 
randosi da  chi  mai  egli  fosse  nato,  se  dal  secondo  Antonino  o  da  altri  di 
quella  stessa  famiglia. 

Quanto  poi  soprattutto  è  dato  raccogliere  dal  fin  qui  detto  si  è  ,  che 
sin  dalla  metà  del  quattrocento  mirabile  operosità  spiegò  questa  terra  nel- 
1'  arte,  di  cui  è  discorso,  e  specialmente  in  Palermo,  mercè  principalmente 
l'opera  di  artefici  venuti  da  ogni  parte  della  penisola,  che  vi  fermaron  sog- 
giorno e  sempre  più  vi  venner  crescendo  in  numero  ,  procreandovi  figli , 
che  l'arte  paterna  appreser  pur  essi  e  seguirono.  Di  quelli,  a  parte  de'  molti 
scarpellini ,  non  pochi  furono  scultori  di  maggiore  o  di  minor  merito  ,  ed 
alcuni  altresì  dieder  prova  di  tanta  eccellenza  di  magistero  e  di  gusto  da 
non  tener  dietro  gran  fatto  a'  più  riputati  maestri.  Venuti  però  essi  in  Si- 
cilia di  già  provetti  nell'  arte ,  formati  alle  scuole  allor  si  fiorenti  di  Lom- 
bardia, di  Venezia  e  di  Toscana,  traevano  in  tutto  carattere  e  stile  da  quelle, 
e  vano  quindi  sarebbe  voler  trovare  un  aspetto  originalmente  proprio  della 
siciliana  scultura  in  quel  tempo.  Né  pure  é  da  rilevare  quel  progressivo  ed 


tutte  in  bianco,  nell'ultima  delle  quali  in  fine  si  legge  :  Tresentibus  prò  testìbus  honorabili  magistro  Antonello  de 
Grixenda  et  magistro  Antonello  de  Gagini  et  nobili  Thoma  Honvichini.  —  Dal  registro  di  num.  3481  di  notar 
Geronimo  Corraccino,  an.  1526-29,  ind.  XV-II,  fog.  77  retro  e  seg.,  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in  Pa- 
lermo. Documento  comunicatomi  dal  signor  Giuseppe  Cosentino. 

(')  Eodem  (31  ottobre  XV  ind.  1571).  Ex  quo  domini  rectores  et  maragmerii  Corporis  domini  nostri  Jesu 
Christi  capelle  fundate  in  ecclesia  Sancii  Anlonii  de  Cassaro  fecerunl  magistro  Paulino  Beirectaro  et  consortibus 
quamdam  apodixam  unciarum  duarnm,  quam  asserititi-  amisisse,  ideo  predictus  m.'  Paulinus  Berrectaro,  sculptor 
mannorum,  coguitus  etc,  corani  nobis  sponte  promisit  et  convenit  seque  sollemniter  obligavit  et  obligat  predictis  do- 
minis  rectoribus  et  maragmeriis ,  me  notar  io  prò  eis  stipulante ,  statini  et  incontinenti  quod  predicta  apodixa  pre- 
seutabitur  in  tabola  huius  urbis  in  debitum  predicte  ecclesie  et  capelle  illaruiu  unciarum  duaruni ,  solvere  et  sati- 
sfacci-e  predictis  dominis  rectoribus  et  maragmeriis ,  me  notano  prò  eis  stipulante ,  statini  et  incontinenti  expensis 
predictis  unciis  duabus  in  dieta  tabola,  stante  quod  dicto  de  Berrectaro  solute  fucrunt  predicte  uncie  due,  et  non 
aliter,  etc.  Que  omnia,  etc.  —  Testes:  Petrus  Anlonius  lanieri  et  presbite/-  Joseph  de  Coricane.  —  Dal  registro  di 
num.  8383  di  notar  Lorenzo  Isgrò  ,  an.  1570-72,  ind.  XIV-XV,  fog.  189,  nell'  archivio  de'  notai  defunti  iu 
Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  III.  l6l 


ordinato  sviluppo  ,  che  in  essa  siccome  altrove  sarebbe  dato  avvertire  ,  se 
avesse  avuto  luogo  infili  d'allora  una  scuola  affatto  propria  dell'isola,  pro- 
mossa e  sostenuta  da  riputati  artefici  del  paese,  che  avesscr  lasciato  in  pre- 
gevoli opere  chiari  argomenti  del  loro  ingegno.  Ma  fin  qui  non  appare,  che 
siciliani  scultori  di  conto  vi  siano  mai  stati  nella  seconda  metà  del  quat- 
trocento, priaché  fosse  sorto  in  Palermo  l'onor  maggiore  dell'arte  di  Sicilia; 
ed  i  venuti  dal  di  fuori,  lungi  di  avere  rappresentato  il  progredire  continuo 
di  una  medesima  scuola  ,  non  furon  generalmente  che  individuale  espres- 
sione di  loro  stessi  ne'  rispettivi  gradi  del  lor  diverso  valore.  Era  dunque 
mestieri,  che  un  genio,  nato  in  Sicilia  ed  allevato  in  essa  a'  migliori  esempì, 
di  che  certamente  non  era  allora  difetto,  avesse  preso  in  sue  mani  le  sorti 
dell'arte,  sovraneggiandola  con  l'altezza  del  suo  sentire  e  con  la  superiorità 
inarrivabile  del  suo  intelletto,  non  meno  che  con  l'eccellenza  del  più  esqui- 
sito e  perfetto  magistero ,  e  dato  avesse  principio  e  norma  ad  una  fioritis- 
sima scuola  di  siciliani  artefici ,  che  in  successione  continua  ne  avesser 
tenuto  il  vanto,  tramandando  a'  tardi  nepoti  le  gloriose  tradizioni  di  quello 
e  insiem  di  un'  arte  propria  dell'  isola.  Né  passò  guari ,  che  sorse  un  tal 
genio  in  Antonello  Gagini  palermitano  ,  a  cui ,  oltreché  pel  sovrano  suo 
merito  ,  si  dee  principalissimo  onore  ,  siccome  a  capo  ed  origine  di  quella 
grande  e  famosa  scuola  della  siciliana  scultura,  che  tal  potè  fin  da  lui  solo 
veramente  e  propriamente  appellarsi ,  e  che ,  serbata  in  pregio  da'  suoi  fi- 
gliuoli e  discepoli ,  a  lungo  pressoché  intatta  si  mantenne  sulle  più  pure 
norme  del  sentimento  e  del  gusto,  quand'anco  l'aura  malefica  e  soverchiarne 
della  corruzione  invadea  di  già  la  penisola,  cadendovi  l'arte  in  preda  a'  deliri 
degl'  imitatori  del  Buonarroti. 


.„,v: 


\ 


CAPITOLO  IV. 


ANTONELLO    GAGINI    PALERMITANO    E   SXJA    DIMORA   IN    MESSINA. 


a  Domenico,  lombardo  scultore  da  Bissone,  dal  1463  già 
dimorante  in  Palermo  ,  per  le  seconde  sue  nozze  con  una 
Caterina  dopo  la  morte  di  Soprana  sua  prima  consorte,  ivi 
nasceva  Antonello  Gagini  nel  1478.  La  certezza  dell'anno  di  tal  nascimento 
è  chiara  oggi  da  un  pubblico  atto  riportato  di  sopra  del  24  di  ottobre  del 
1491,  onde  lo  stesso  Domenico  riconosceva  indi  un  suo  debito  insieme  a 
Giovanni,  figliuol  della  prima  moglie,  e  ad  Antonello,  altro  figlio  della  se- 
conda, di  età  allora  di  tredici  in  quattordici  anni,  siccome  nell'atto  si  affer- 
ma (:);  e  quindi  precisamente  da  ciò  si  rileva  il  tempo,  in  che  ebbe  prin- 
cipio si  preziosa  esistenza,  meglio  che  non  si  ha  da  quanti  vagamente  as- 
serirono esser  nato  Antonello  circa  il  1480,  a  passarci  anco  del  messinese 
Cajo  Domenico  Gallo  ,  che  ne  riporta  la  nascita  al  1484  (2).  È  noto  poi 
siccome  palermitani  e  messinesi  scrittori ,   quando  ardevan  vivissime  e  fo- 


(')  Vedi  nel  secondo  capitolo  di  quest'opera,  pag.  98,  nota  1. 

(2)  Annali  della  città  di  Messina.  Ivi,   1758,  tomo  II,  libro  VII,  pag.   555. 


164  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


montate  da  iniqua  politica  di  governo  le  gare  municipali  fra  Palermo  e  Mes- 
sina, acremente  si  abbian  conteso  il  vanto  qual  delle  due  città  sia  stata  vera 
culla  del  grande  artefice;  e  vano  sarebbe  per  lungo  riferire  le  tante  accanite 
controversie  ,  a  cui  le  cerniate  gare  fra'  due  municipi  crebbero  per  più  di 
due  secoli  incitamento  e  calore  (').  Vi  fu  poi  anche  talun  di  Messina,  che, 
tratto  in  inganno  da  un  error  del  Vasari,  stimò  che  carrarese  fosse  il  Ga- 
gini  (2)  :  ma  gli  die  sulla  voce  1'  abbate  Bertini  in  Palermo,  che,  pago  pur 
di  serbarne  l'onore  de'  natali  alla  Sicilia,  il  reputò  messinese  per  nascita, 
palermitano  per  adozione  e  per  privilegio  (3).  Né  mal  costui  si  apponeva 
in  tale  avviso,  mentre  il  più  antico  documento  autentico,  che  infino  allora 
sen  conosce:1  della  vita  (in  data  del  di  8  di  novembre  del  1499,  quand'era 
Antonello  nel  suo  ventunesimo  anno) ,  il  dice  messinese ,  e  chiaramente 
ne  attesta  la  dimora  in  Messina  in  quel  tempo  (4).  Ma  da'  più  antichi  do- 
cumenti da  me  trovati  rilevavasi  poscia,  che  fosse  in  vece  a  tenerlo  paler- 
mitano ;  perchè  in  Palermo ,  e  non  in  Messina  ,  trovavasi  aver  suo  padre 
stabilito  il  soggiorno  da  quindici  anni  avanti  la  nascita  del  figliuolo  ,  ed 
esservi  poi  nel  continuo  esercizio  dell'arte  vissuto  quasi  altrettanto  fino  alla 
morte,  che  pure  or  si  conosce  ivi  avvenuta  nel  1492;  perchè  il  figlio  An- 
tonello, nella  tenera  età  di  tredici  in  quattordici  anni,  viveva  in  Palermo 
con  suo  padre  e  co'  suoi  nel  1491,  otto  anni  prima,  che,  morto  già  Do- 
menico, si  fosse  trovato  in  Messina;  perchè  in  fine  in  tutti  i  pubblici  stru- 
menti a  lui  relativi,  tranne  che  nel  messinese  cennato  del  1499  ed  in  pochi 
altri  di  quel  tempo,  viene  costantemente  appellato  palermitano.  Ma  oggi  su  di 
ciò  rimuovono  ogni  ombra  di  dubbio  altri  documenti  da  me  rinvenuti  nelP  ar- 
chivio notariale  della  stessa  città  di  Messina,  da'  quali  chiaro  apparisce  ivi  il 
soggiorno  del  giovine  scultore  per  più  di  otto  anni  dal  1498  al  1507,  e,  benché 
in  vari  di  essi  di  date    posteriori  ei  venga  qualificato  messinese    non  altri- 


(  1  )  Vedine  alcun  cenno  ne'  Preliminari  alla  storia  di  Antonio  Gagini  ...  per  Melchior  Galeotti.  Pa- 
L-rmo,   1860,  pag.  14  e  seg. 

(  -  )  Giuseppe  Grosso  Cacopardo  nella  sua  anonima  Guida  per  la  città  di  Messina,  scritta  dall'autore  delle 
Memorie  de  pittori  messinesi  (Ivi,  1826,  pag.  83),  ed  ampiamente  in  Alcune  osservazioni  all'  Elogio  storico  di 
jintonio  Gagini,  scritto  da  Agostino  Gallo  (Palermo,  1821),  delle  quali,  probabilmente  rimaste  inedite,  esiste 
una  copia  di  mia  mano  nella  Biblioteca  Comunale  di  Palermo  a'  segni  2Q.q  H   174. 

(3)  Nel  tomo  XXI  del  Giornale  di  sciente,  lettere  e  arti  per  la  Sicilia  (Palermo,  1828,  pag.  190  e  seg.). 

(  4  )  Intendi  il  contratto ,  che  sarà  luogo  in  seguito  a  riportare,  per  la  famosa  cona  o  custodia  in  marmo 
per  la  chiesa  di  Santa  Maria  in  Nicosia,  rogato  in  Messina  da  notar  Matteo  D'  Angelo  e  tuttavia  colà  esi- 
stente in  quell'archivio  de'  notai  defunti. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  IV.  l6j 

nienti  che  in  quello  teste  indicato,  in  quattro  di  data  precedente,  cioè  del 
1498  e  99,  qual  fu  certamente  colà  primo  tempo  di  sua  dimora  e  più  im- 
mediato al  suo  arrivo,  è  detto  con  la  maggiore  evidenza  de  Panormo,  com- 
morans  Smessane,  o  civis  urbis  Panarmi  et  mine  in  civitate  ^Cessane  comiuorans , 
o  civis  felicis  urbis  Tanormi,  o  civis  Tanormi.  Conferma  inoltre  cotal  cer- 
tezza il  contenuto  di  un  di  tali  strumenti ,  qual  si  è  una  procura  in  data 
de'  26  di  giugno  del  1499,  onde  maestro  Antonello  Gagini  da  Palermo, 
abitante  in  Messina,  marmoraio  ,  avendo  piena  fede  nel  suo  concittadino 
maestro  Antonio  Ranzano,  creavalo,  sebbene  assente,  e  costituivalo  suo  pro- 
curatore, giusta  la  forma  del  dritto,  a  chiedere  e  ricuperare  in  sua  vece  da 
Giovan  Domenico  Pellegrino,  dimorante  in  Palermo,  e  che  pur  ivi  non 
ci  è  ignoto  fra  gli  scultori  del  tempo  (:),  un  certo  disegno  in  pergamena, 
che  il  Gagini  per  tari  dodici  (1.  5.10)  gli  aveva  una  volta  impegnato,  ed 
insieme  a  pagargli  il  detto  danaro,  eh' ei  gli  doveva  (2).  Il  qual  prestito 
chiaramente  risulta,  ch'era  stato  già  finto  allo  scultore  quand'egli  tuttavia 
era  in  patria  e  innanzi  che  per  Messina  fosse  partito  :  oltreché  altronde  è 
certo  che  il  detto  Ranzano,  che  viene  enumerato  fra'  primi  nell'elenco  dei 
legnaiuoli  ne'  capitoli  di  quest'arte  in  Palermo  nel  1499,  tolse  ivi  in  mo- 
glie la  Caterina ,  vedova  del  defunto  Domenico  Gagini  e  madre  di  Anto- 
nello, e  fu  patrigno  perciò  di  quest'ultimo,  siccome  in  altri  atti  di  comune 
interesse  fra  loro  espressamente  il  vedrem  denotato.  Laonde  per  tanta  luce 
di  argomenti  non  è  adesso  più  dubbio,  che  ,  nato  essendo  il  nostro  scul- 
tore in  Palermo,  dove  passò  in  gran  parte  l'adolescenza,  ne  andò  poscia 
in  Messina  non  molto  pria  de'  vent'  anni ,  ed  ivi  pel  soggiorno  fermatovi 
ottenne  di  leggieri  la  naturalità  messinese  ,  e  non  men  per  le  nozze,  che 
vedremo  avervi  contratte. 

Qual    cagione  lo  avesse    indotto  a  colà  trasferirsi  mi  é  ignoto.    Giova 


(  '  )  Vedi  nel  secondo  capitolo  di  quest'opera,  pag.  50  e  seg. 

(2)  xxvj  junii  (1499).  Magister  Antoneìlus  de  Gagini  de  Tanormo,  commorans  Messane,  magister  marmo- 
rarius,  consenciens  et  sponte  confisus  ad  plenum  de  fide  magistri  lAntonii  de  Rancano  de  Tanormo,  ipsnm  eumdem 
magistrum  ^Antonimi!,  licet  absentem,  secundum  formam  juris,  constituit,  creavit  et  sollemniter  ordinavit  sunm  re- 
rum, legitimum  et  indubitatum  procuratorem  ...  ad  petendum  et  recuperandoli  et  habendum  nomine  et  vice  dicti 
coustituenlis  ...  a  Joanne  Dominico  de  Tilligrino,  ...  commorante  Tanormi,  illud  designimi  in  pargameno  ,  quod 
dictus  constitiuns  asserit  olim  prò  tarenis  xij  pignoravisse  dicto  Joanni  'Dominico,  dicloque  Joanni  'Dominico  sol- 
vendum  prò  recuperatone  dicti  designi  dictos  tarenos  xij,  et  apocam  faciendum  et  firmandum ,  ac  nomine  et  vice 
dicti  coustituenlis  recepisse  et  Imbuisse  confitendum,  et  si  opus  fuerit  in  judiciis  comparendoli,  etc.  —  Tresentibus 
ni.  Angelo  tarocca  et  Luciano  Freri.  —  Dal  registro  di  notar  Giacomo  Carissimo,  an.  1498-99,  fog.  754,  ai 
segni  P  39,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina. 


l68  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


c  da'  vicini  stati,  dove  già  furon  prime  a  destarsi  ri  eli'  Europa  occidentale 
le  idee  d'industria,  di  commercio  e  d' indipendenza,  e  donde  gran  numero 
di  artisti  ed  operai  per  ogni  dove  si  sparsero,  stretto  fra  loro  un  patto  di 
colleganza,  di  ospitalità  e  di  scambievole  aiuto  per  ovviare  a'  pericoli,  cui 
andavano  incontro  nelle  loro  emigrazioni.  Molti  di  costoro  ,  si  fabbricatori 
che  marmorai  di  gradazioni  diverse  dell'arte,  vedemmo  in  copia  passati  nel 
quattrocento  in  Sicilia  dalle  superiori  contrade  d'Italia,  e  specialmente  aver 
formato  un  lor  corpo  di  associazione  locale  in  Palermo  ,  dove  fu  a  capo 
de'  marmorai ,  scultori  e  scarpellatori ,  il  lombardo  Domenico  Gagini  ;  ol- 
treché par  che  fra  loro  col  nome  di  fratelli  gli  artisti  di  quella  medesima 
origine  si  appellavano  ,  e  non  potea  mancar  che  stretti  ancor  fossero  dal 
vincolo  dell'arte  e  di  vicendevol  soccorso  a  quanti  altri  ve  n'erano  altrove 
disseminati  per  l'isola,  ed  in  particolar  modo  nelle  città  marittime  e  prin- 
cipali, come  Messina.  Quivi  é  ben  verisimile  adunque,  che  un'altra  corpo- 
razione conforme  abbia  potuto  aver  luogo,  comunque  composta  di  fabbrica- 
tori e  scarpellini,  giacché  di  elevati  scultori  pria  dell'arrivo  del  Gagini  non  vi 
è  contezza;  e  sembra  che  magoni  vi  sieno  stati  appellati  i  membri  di  quella, 
essendosi  in  essi  serbato  il  nome,  con  che  i  lor  colleghi  dell'arte  eran  de- 
nominati nella  penisola  e  fuori.  Fu  facile,  che  nell'  aggregazione  medesima 
fossero  entrati  artefici  ed  operai  del  paese  ,  oltre  a'  molti  ,  che  dovetter  di 
altrove  arrivarne,  e  quindi  non  mancò  di  esservi  accolto  Antonello,  figliuol 
dell'antico  e  rinomato  lombardo  scultore  e  che  perciò  mettono  fu  anch'  egli 
detto.  Può  darsi  del  rimanente,  che  il  suo  passaggio  in  quella  città  e  non 
meno  le  nozze  contrattevi  con  la  figliuola  del  Di  Blasco  ma^pnio  abbian  po- 
tuto aver  motivo  da  intime  relazioni  corse  fra  colleghi  artefici  di  Palermo 
e  Messina  ,  e  che  si  fotte  relazioni  fossero  allor  più  vive  e  notevoli  ,  che 
adesso  non  pare,  rattaccandosi  ad  altre  più  estese  e  più  ampie,  benché  fin  allor 
contenute  nel  solo  campo  dell'arte  ed  alquanto  fors'anco  in  quello  del  traffico 
e  del  commercio.  Mancan  però  fin  qui  gii  elementi  a  conoscerne  e  dirne  più 
oltre,  e  solo  é  da  ripromettersi,  che  gravi  studi  in  proposito  conducano  a  ve- 
dere addentro  in  cotal  materia,  che  specialmente  per  la  Sicilia  non  é  affatto 
esplorata. 

Aggiungo  però  tal  notizia,  da  cui  si  dimostra,  che  al  tempo  stesso  che 
Antonello  ,  già  stabilito  in  Messina  ,  dava  continua  opera  a  ragguardevoli 
lavori  ,  onde  sempre  più  singolare  si  rendeva    nell'  arte  il  suo  nome  ,  non 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  1 69 


trascurava  pur  egli  tentar  le  vie  del  traffico  per  migliorar  di  fortuna ,  pre- 
standosi in  ciò  a  lui  quel  paese  per  la  felicità  del  suo  sito  e  la  sua  antica 
attività  commerciale,  lira  di  latti  una  privata  società  mercantesca  ,  che  ivi 
per  pubblica  scrittura  si  contraeva  in  data  del  16  di  agosto  del  1500  fra  il 
nostro  scultore  ed  un  cotal  Ferdinando  Marinculo,  detto  altrimenti  Gami- 
non,  per  cui  metteva  il  Gagini  un  valore  di  ducati  ventinove,  tari  due  e  grani 
dieci  (1.  it.  124.31)  in  tanto  panno  di  Piemonte,  già  consegnato  al  detto 
Ferdinando  ,  il  qual  doveva  all'  uopo  da  sua  parte  porre  altrettanta  somma 
e  non  men  anco  l'industria  di  sua  persona.  Era  pertanto  costui  tenuto  an- 
darne in  Calabria  a  vendervi  quel  panno  in  qua'  luoghi  e  mercati  più  gli 
piacesse,  e  poi  del  prezzo,  che  ne  ricaverebbe,  non  men  che  della  somma 
anzidetta  di  sua  parte  del  capitale  ,  comprar  colà  merci  di  suo  genio  per 
portarle  o  mandarle  in  Messina,  dove  Antonello  le  avrebbe  in  fine  vendute. 
Cosi,  terminando  indi  il  tempo  di  tale  società,  ch'era  a  durar  soltanto  in- 
sino  al  maggio  seguente,  ne  verrebber  fra  loro  spartiti  egualmente  i  gua- 
dagni, dedottine  prima  il  capitale  e  le  spese  (').  Ma  non  fu  questo  per  vero 
in  Sicilia  unico  e  singoiar  caso  di  uno  scultore  ,  che  non  meno  che  dalla 
virtù  del  proprio  scarpello  cercato  avesse  allora  trar  prò  dalla  mercatura,  lad- 
dove è  noto  aver  fatto  altrettanto  con  gli  zuccheri  Domenico  Gagini  in 
Palermo,  e  poi  Giuliano  Mancino  essersi  unito  al  carrarese  Lotto  di  Guido 
per  trafficar  di  derrate  e  grasce  con  Carrara  ed  altre  superiori  contrade  di 
terraferma.  Laonde    altresì  è  da  pensare  ,  che  le  intime    relazioni  suddette  , 


(')  Eodeiu  (21  ottobre  IV  ind.  1500;.  Magister  Antonellus  de  Gagino,  marmorarius  uiessanetisis ,  ex  una 
pari,;  et  Ferdinandus  f\CarincuIu,  alias  Gaminon ,  parte  ex  altera,  ad  iiivicem  stipulantes ,  spante  quandam  Inter 
eos  contraxeruiit  societatem  ...  bine  per  tatuili  nauseili  mail  proximo  venienti*,  tam  in  regno  Sicilie,  quam  in  par- 
tihus  Calabrie,  in  qua  quidem  societate  dìclus  magister  Antonellus  posuit  et  ponit  ducatos  currentes  xxviìij ,  tare- 
nos  ij  et  gr.  x  in  tanto  panno  de  'Piemonte,  eidem  Ferdinando  consigliato  et  per  eum  recepto  et  recipìendo  prò 
apcrtando  in  partibus  Calabrie,  et  industriam  eius  persone  in  hac  ch'itale;  et  idem  Ferdinandus  iebet  poncre  alios 
ducatos  xxviiij ,  tareuos  ij  et  gr.  x  et  industriam  eius  persone ,  que  debet  accedere  ad  illas  dictas  partes  Calabrie 
bentvisas,  et  ibi  debeat  explicare  dictos  pannos  in  mereatibus  sili  beuevisis,  et  exinde,  explicatis,  debeat  predimi  ip- 
soruin  una  cimi  dictis  ducatis  xxviiij  positis  per  ipsiiin  Ferdinandum  implicare  in  omnibus  mercibus  sibi  beuevisis 
et  ad  eius  beneplaciìuin;  et  deinde,  implicatis,  illas  debeat  onerare  super  quibusvis  vassellis,  una  vice  ve!  pluribus 
ad  eius  beneplacitum,  et  ultimo  illas  ducere  sett  aportart  facere  et  consigliare  seti  consigliare  facete  cileni  magistro 
Antonello  in  hac  civitate  Messane,  per  ipsum  magistrum  xAntonellum  explicandas.  Et  finito  dicto  tempore  societatis, 
deducto  ipso  capitali  et  expensis,  lucrimi  provenienduni  ex  dieta  societate  debeat  dividi  equali  pjrcione  Inter  eos,  et 
sic  de  dapno,  qnod  absit,  etc—  Tresentibus  magistro  Sebastiano  de  la  'Plana  et  magistro  Sebastiano  Foli,  e.  m.  — 
Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1 500-1 502,  fog.  94,  a'  segni  N  13,  nell'archivio  de'  notai 
defunti  in  Messina. 


iyO  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


ond'eran  fra  loro  collegati  ne'  vari  paesi  gli  artefici,  e  le  agevolezze  scam- 
bievoli, che  loro  da  ciò  derivavano ,  li  abbian  reso  attivi  e  operosi  nell'  e- 
sercizio  del  commercio  in  un  che  in  quello  dell'  arte  ;  e  però  non  è  pure 
improbabile  ,  che  ragioni  di  commerciali  interessi  abbian  potuto  trarre  in 
Messina  il  giovine  scultore  palermitano,  sapendosi  molto  più  che  in  mercan- 
teschi affari  anche  suo  padre  si  era  certamente  versato  alcun  tempo  innanzi. 
Ma  qui  sia  punto  alle  congetture,  e  cedan  esse  il  campo  a  sicure  e  fondate 
memorie. 

Checché  si  fosse  de'  motivi  del  suo  passaggio  in  Messina,  è  indubi- 
tato, ch'egli  vi  era  in  pieno  esercizio  dell'arte  sul  mezzo  del  1498,  essendo 
già  nelF  età  sua  di  vent'  anni.  Né  molto  pria  di  quel  tempo  dovette  per 
fermo  esservi  giunto ,  avendosi  certo  indizio  di  alcuna  sua  precedente  fac- 
cenda per  qualche  oggetto  d'arte  di  proprio  uso  in  Palermo,  com'è  del  disegno 
in  pergamena  ,  che  vedemmo  avervi  impegnato  ;  e  quindi  non  è  dubbio  , 
che  primamente  in  patria  egli  abbia  sviluppato  quell'  altissimo  e  singolare 
suo  genio ,  il  quale  ,  opportunamente  educato  a'  sani  principii  ed  alle  rette 
norme  dell'arte,  di  che  già  suo  padre  fu  sì  valente  maestro,  non  tardò  cer- 
tamente a  far  presentire  insin  da'  primi  lavori  qual  sommo  grado  di  eccel- 
lenza avrebbe  in  breve  raggiunto.  Nulla  però  fin  ora  ci  è  noto  delle  pri- 
mizie del  suo  scalpello  ,  né  de'  particolari  di  quell'  artistica  educazione  di 
lui,  la  qual  non  dubito  abbia  avuto  dall'insigne  suo  genitore  i  più  oppor- 
tuni e  felici  avviamenti.  Del  che  ci  è  chiara  prova  la  molta  corrispondenza 
di  stile  ,  eh'  è  dato  osservare  fra  le  poche  note  sculture  di  Domenico  e 
quelle,  che  si  han  sicure  della  gioventù  del  figliuolo,  notandosi  specialmente 
ne'  bassirilievi  cotal  simiglianza  d'  indole  e  di  gusto  e  tanta  medesimezza 
di  purità  ed  eleganza  di  forme  da  doversi  in  qualunque  modo  stimare,  che 
non  altrove  che  nella  scuola  del  padre  abbia  sortito  il  genio  di  Antonello 
il  suo  primo  e  migliore   sviluppo  (').  Né    per  la   morte  ben  presto   avve- 


(  1  )  In  tale  idea  mi  confermano  alquante  pregevolissime  opere  di  scultura  ,  che  in  una  più  recente  mia 
escursione  per  vari  luoghi  dell'isola  teste  mi  è  riuscito  vedere  e  che  stimo  indubbi  lavori  di  Domenico  Ga- 
eìrù  non  min  che  eli  altri  accennati  dinanzi.  Tale  i  una  custodia  in,  bianco  marmo  nella  cappella  del  Sa- 
cramento  nella  Madrice  vecchia  di  Collesano  ,  recando  un  piedistallo  con  figurine  in  bassorilievo  degli  apo- 
stoli e  d'altri  quattro  santi  con  Cristo  in  mezzo,  mentre  indi  è  nel  centro  il  ciborio  fra  dodici  cherubini,  e 
ricorron  da'  lati  gli  evangelisti  ed  i  padri  della  Chiesa  in  sei  leggiadri  scompartimenti  :  oltreché  poi  segue 
in  alto  la  Crocifissione  con  laterali  figure  degli  apostoli  Pietro  e  Paolo  e  due  candelabri  agli  estremi,  e  vien 
dato  luogo  al  di  sopra  alla  Nascita  di  Gesù  in  un  semicircolare  pennacchio,  ch'è  sormontato  in  fine  da  un 
Dio  Padre  fra  due  più  piccoli  candelabri  con  le  figure  dell' Annunziazione.  Dappiè  vi  ricorre    1'  iscrizione  se- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  IV.  I7I 

nuta  di  Domenico  nel  1492  ,  lasciato  in  tenera  età  d'  anni  quattordici  in 
quindici,  mutò  egli  scuola  e  indirizzo  :  ma,  pur  seguitando  le  paterne  vestigia 
e  quelle  de'  più  abili  maestri  sovravvissuti  in  Palermo  in  quel  tempo,  fraì 
quali  Giorgio  da  Milano,  fé'  si  che  il  resto  facesse  quella  incomparabile  at- 
titudine del  suo  spirito,  qual'egli  avea  da  natura  ottenuta,  e  per  cui  si  ra- 
pidamente e  mirabilmente  ei  progredir  dovette  nell'arduo  sentiero  dell'arte,, 
che  già  in  Messina  a  vent'anni  era  in  fama  di  egregio  scultore. 

Colà  egli  rinvenne  un  campo  molto  opportuno  a  che  la  rinomanza 
dell'artistico  suo  valore  si  fosse  ovunque  diffusa,  senza  che  per  nulla  l'in- 
vidia degli  emuli  gli  avesse  attraversato  il  glorioso  avvenire  ,  mentre  ivi , 
durando  vivo  e  sempre  più  promovendosi  il  miglior  gusto  dell'  arte  nella 
pittura,  in  cui  erano  sì  feconde  le  tradizioni  e  la  scuola  del  famoso  Anto- 
nello da  Messina,  non  avvenne  in  vece,  che  nella  scultura  fossero  artefici  di 
alto  merito  e  nome.  Il  che  mi  sembra  risulti  evidente  dal  fatto ,  che 
negli  studi  praticati  ne'  messinesi  archivi  per  indagar  memorie  di  tutti  gli 
anni  del  soggiorno  colà  del  Gagini  generalmente  non  mi  venne  fatto  d'im- 
battermi in  documenti  di  altri  riputati  scultori,  che  di  lui  solo,  laddove  in 
vece  quelli  de'  dipintori  vi  riboccano,  mostrando  neh' arte  loro  un' operosità 
veramente  ammirabile  ,  che  ancor  si  accrebbe  e  segnalossi  di  poi.  Primeg- 
giavan  pertanto  allora  per  valentia  di  pennello  un  Antonello  Resaliba  o  Sa- 
liba,  che,  figliuol  di  Giovanni,  intagliatore  in  legno,  congiunse  a'  pregi  di 
un  puro  e  perfetto  stile  il  merito  di  si  straordinaria  fecondità,    onde  forse 


guente:  MCCCCLXXXVIIII.  Vili  IND.  HOC  OPVS  LEGAVIT  CONSTRVI  VENERABILE  PRESBITER 
FRANCISCVS  DE  SVNZERIO  VICARIVS  TERRE  GOLISANI  AD  DECORACIONEM  SACRATISSIMI 
CORPORIS  CHRISTI.  Tale  ancora  è  un'altra  più  piccola  ma  elegantissima  custodia,  condotta  in  tutto  sul 
far  della  precedente  e  con  gli  stemmi  delle  principesche  famiglie  Aragona  e  Santacolomba,  nella  maggior 
chiesa  della  vicina  terra  d'  Isnello  ;  e  sì  nell'una  che  neh'  altra  son  soprattutto  ammirabili  a  mio  avviso  per 
soavissima  espressione  di  celestial  sentimento  e  squisitezza  incomparabile  di  scalpello  gli  svaiiati  angioletti, 
die  vi  ricorrono  in  copia,  secondo  quel  tipo  medesimo  di  oltrenaturale  bellezza,  a  cui  Antonello  poscia,  se- 
guendo pur  sempre  le  orme  paterne,  diede  il  maggiore  sviluppo  negli  stupendi  suoi  marmi.  Lo  stesso  dimo- 
stra una  leggiadrissima  figura  dell'Angelo  Custode  in  alto  rilievo  ,  tenendo  per  mano  il  piccolo  Tobia  ,  ora 
in  una  cappella  della  chiesa  di  San  Michele  in  Sciacca,  e  che  ivi  dinanzi  io  stimo  abbia  dovuto  far  parte  di 
qualche  gran  coita  o  custodia ,  oggi  distrutta ,  di  cui  probabilmente  occupava  il  centro  una  pregevole  statua 
del  titolare  ,  lavoro  della  seconda  metà  del  quintodecimo  secolo ,  posta  adesso  sulla  porta  maggiore  nell'  e- 
steriore  facciata  dei  tempio.  A  giudicar  dallo  stile  di  si  fatte  sculture,  assai  facil  mi  sembra,  ch'esse  sian  pure 
opera  di  Domenico,  e  molta  corrispondenza  vi  ha  sempre  con  quelle,  che  di  simil  soggetto  il  sommo  genio 
djl  figlio  con  maggiore  eccellenza  di  poi  condusse.  Laonde  non  dubito,  che  soprattutto  Antonello  abbia  tro- 
vato suo  maggior  prò  all'educazione  ed  allo  sviluppo  dell'altissimo  ingegno  da'  paterni  ammaestramenti  ed 
esempi. 


iy2  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA   IN    SICILIA 


più  che  tutti  i  pittori  messinesi  unitamente  del  tempo  suo,  dal  1498  al 
1534,  si  trova  aver  fornito  infinito  numero  di  pregiatissime  dipinture,  non 
sol  per  Messina  sua  patria,  ma  per  molti  altri  luoghi  di  Sicilia  e  della  Calabria 
vicina ,  rimanendone  ancora  parecchie  ad  attestarne  il  valore  insigne  ;  un 
Salvo  o  Giovan  Salvo  d'Antoni,  che  dal  1499  al  1508  appare  altresì  aver 
dipinto  per  varie  parti  dell'  isola  e  di  Calabria  istessa,  toltosi  alcuna  volta  a 
compagno  un  ignoto  Giovannello  d'Italia,  e  di  cui  basta  la  preziosa  tavola 
del  Transito  di  Nostra  Donna  nella  sacrestia  del  duomo  messinese  a  far 
valutarlo  fra'  primi  maestri  del  tempo  ;  un  Francesco  Lu  Re ,  altrimenti 
detto  Jufré  (an.  1493-1534),  ed  un  Antonio  o  Antonino  Campolo  (1496- 
1 504),  de'  quali,  benché  fin  qui  sia  stata  affatto  smarrita  ogni  memoria  dei 
nomi  e  delle  opere,  risulta  adesso  da  coeve  scritture,  che  furono  anch'essi 
artefici  di  non  commi  pregio  e  che  molti  segnalati  lavori  condussero;  oltreché 
forse  in  più  bassa  sfera  altri  pure  sen  trovano  avervi  in  copia  fiorito,  sic- 
come tutti  di  una  stessa  famiglia  de'  Pilli  un  Jacobino  o  Girobino  (1496- 
1506),  un  Antonino  (1516-29),  un  Domenico  ed  un  Sebastiano,  padre  e 
figliuolo  (1504-16),  un  Placido  Taroniti  (1497-99),  un  Bartolomeo  Ferraro 
(1506)  e  più  altri,  qua'  per  lo  più  son  detti  messinesi  e  tutti  più  o  meno 
concorsero  a  sostenere  il  vanto  di  quella  fioritissima  scuola  di  pittura, 
che  già  tant'alto  si  era  levata  in  fama  (').  Per  la  scultura  però  non  si  ri- 
leva altrettanto ,  laddove  per  tutti  gli  anni  della  dimora  in  Messina  del  Ga- 
gini  dal  1498  al  1507,  e  ancor  qualche  tempo  innanzi,  non  vi  é  notizia  di 
opere  ad  altri  scultori  allogate,  se  non  di  un  altare,  che  in  data  del  13  di- 
cembre del  1497  un  tal  maestro  Bernardino  Nobile  Mazolio,  cittadino  mes- 
sinese ,  obbligavasi  lavorare  ad  intaglio  nella  tribuna  meridionale  del  con- 
vento di  S.  Francesco  a  Giovan  Filippo  e  ad  un  altro  dell'  illustre  casato 
de'  Bonfiglio  :  ma  in  un  si  vede  dal  tenore  dell'  atto ,  che  quello  sia  stato 
più  propriamente    opera  da  scarpellino  ,    che  da    scultore  (2).    Accenna,    é 


(  '  )  Di  tutti  i  connati  dipintori  molti  strumenti  di  convenzione  per  gran  numero  di  opere  fu  dato  a  me 
rinvenire,  specialmente  agli  atti  de'  notari  Giovan  Matteo  e  Santoro  d'Angelo,  Giacomo  e  Geronimo  Caris- 
simo, Niccolò  Ismiridi,  Giulio  de  Pascalio,  Bernardino  Caserta,  Leonardo  Camarda,  Pietro  Funi,  Francesco 
C.-ilvo  e  Baldo  Pesce,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina,  ed  anco  taluno  nell'archivio  della  ma.ra.mma 
di  quel  duomo.  Non  essendo  però  qui  luogo  ad  espressamente  trattarne  ,  gioverà  in  vece  farne  tesoro  per 
qualche  speciale  lavoro  sulla  siciliana  pittura  in  quel  tempo. 

(2)  Eodem  (13  dicembre  1497).  Magister  Bernardini^  Nobilis  Ma\olius,  e.  m.,  sponte  se  conslituit  et  obi i- 

gavit  magnifici!  Jo.  Vhilippo  de  Honfilio,  quondam  Vicencìi,  et  de  Bonfilio,  e.  ni.,  prestntibus ,  od  laboraudum 

di  inlaghi  quoddam  altare  in  t  ribona  meridionali  conventus  S.  Francìsci  ^Cessane,  di  palmi  sei  et  nienti,  rum  sei 


NEI    SECOLI    XV      E    XVI.    CAP.  IV.  173 


pur  vero  ,  il  Galeotti  un  gruppo  maraviglioso  della  Pietà  ,  scolpito  da  un 
Giuseppe  La  Face  nell'anno  1500  per  la  chiesa  di  S.  Sebastiano  in  Messina 
e  poi  totalmente  con  essa  chiesa  perito  (')  :  ma  ignoro  donde  n'abbia 
cavato  notizia  e  non  mi  riesce  trovare  altrove  memoria  di  tale  artefice.  Né 
venne  al  certo  in  gran  rinomanza  un  maestro  Geronimo  Fiorentino,  mar- 
moraio,  abitator  di  Castrorealc  in  quel  di  Messina,  il  quale  per  pubblico  stru- 
mento in  data  del  io  di  aprile  del  1502  confessava  un  suo  debito  di  once 
due  e  tari  ventiquattro  (1.  it.  35.70)  per  restante  di  maggior  somma  di  già 
prestatagli  da  maestro  Antonello  Gagini,  a  cui  promettea  quindi  scontare 
il  debito  stesso,  lavorando  per  lui  nell'  arte  in  qualunque  luogo  e  maniera 

cui  orniti,  non  cintanti  chi  alu  iisignu  siano  chinqu,...  ante  ài  lu  die  tu  aitarti,  et  di  li  costati  siami  dui  scalimi  di 
petri  nigri,  di  li  quali  si  regna  alu  autarectu,  in  lu  quali  autarectu  sia  unti  pavimentu  a  scaceberi  di  pelei  russi' 
et  nigri  di  Zaffarla.  Ilem  tenelur  fari  lu  pavimentu  di  iurta  la  tribona,  incipiendo  di  la  fachi  di  fora  di  l'arai, 
lindi  finirà  lu  secando  scalimi  ;  in  lu  quali  principili  di  fora  di  lu  arca  di  la  dieta  tribona  si  ob/ìga  fari  dui 
scalimi  di  petri  nigri:  lu  quali  pavimentu  divi  esseri  laboratu  di  petri  russi  di  Tauromena,  nigri  di  Zaffarla  et 
mar  mitri,  juxta  formam  designi  pcncs  me  notarlo  conservati  et  depositati.  Item  se  obligavit  et  tenetur  d'ictus  tua- 
gister  Beriiardinus  di  fora  di  li  scalimi  di  lu  pavimentu  facere  dui  banchi  di  sepulturi  cum  li  lapidi  di  marinari 
cum  li  armi  di  li  'Bonfigli,  etc;  prò  predo  et  nomine  predi  unciarum  vigiliti  sex,  etc.  —  Vresentibits  m.  ^In- 
salalo de  ^Ansatone,  Francisco  "RJ^it  et  Matheo  Cathapano.  —  Dal  registro  degli  anni  1494-99  di  notar  Santoro- 
d'Angelo  nell'  archivio  de'  notai  defunti  in  Messina.  —  Rilevo  però  inoltre,  che  il  detto  Bernardino  era  oriundo- 
napolitano,  e  che,  sebben  fornito  della  messinese  cittadinanza,  trovossi  pure  in  Palermo  nel  medesimo  anno,, 
assuntivi  a  fare  altri  lavori,  de'  quali  è  discorso  ne'  seguenti  contratti  :  Eodem  vj."  fumi  xv.'  in,!.  149J.  M.i- 
gistcr  'Bernardinus  'SLobilis,  scultor  de  Neapoli  tt  civis  nobilìs  cìvitatis  Messane,  corani  uobis  spante  vendidìt  ma- 
gnifico domino  Gerardo  Marino,  utriiisque  juris  doctori ,  ch'i  Tanormi ,  presenti  et  ab  co  emeriti,  infrascriptas 
portas,  fenestras  et  gradus  sire  scalimi  de  infrascriptis  lapidibus  nigro  et  rubro,  hoc  est  prò  nigro  de  casali  Zafarìe 
et  prò  rubro  Taitromeiie,  vìdelicet  portant  aule  hospicii  domiis  habitaciouis  ipsius  magnifici,  eo  modo  et  forma  proni 
est  designimi  factum  et  assìgnatinn  per  venditorem  eidem  domino  emplori  ;  item  tres  portas  parvas  cum  Ioni  cor- 
nicili et  saghi  et  fenestrata  imam  aule  supra  la  porta  grandi  de.  lapide  rubro,  cum  lu  burduni  nigru  et  cum  co- 
lupna  aigra  ve!  rubra,  nec  non  et  gradus  sive  scalimi ,  sai  scalam,  per  quam  ascenditur  ad  dìctam  aulam,  di  xxif 
scalimi,  cum  lu  tavuleri  ci  cavai  catari  di  petra  di  Bavu.su,  juxta  designimi  existens  in  posse  ipsius  domini  emptoris; 
li  quali  scalimi  siami  di  grossieri  di  unii  spangii  et  largì  imu  palma  et  unii  tei\u  per  ebaschiduno  scalimi  di  dui 
pecn  ad  alcius,  et  chi  siami  ben  lavurati  et  beni  arrotundati;  prò  predo  unciarum  xxvj,  étc.  Testes  :  hou.  Joauues 
Sistoris,  Nicolaus  de  Lucchuni  et  Joannes  de  Letho.  —  Eodem  vj.'  junii  xv.'  imi.  149J.  ZMagishr  'Bernardinus  No- 
bilis,  scultor  de  Neapoli  et  civis  nobilis  cìvitatis  Messane,  corani  nobis  sponte  veadidit  magnifico  domino  Gerardo 
Marino,  utriiisque  iuris  doctori  et  ch'i  pianirmitano,  presenti  et  ab  eo  ementi,  tamquam  preposilo  et  magistro  ma- 
ragmerio  maragmatis  maioris  panormitaae  ecclesie,  tam  nomine  suo  quam  nomine  et  prò  parte  magnifici  Lucrecii 
de  Bononia ,  edam  prepositi  dìcti  maragmatis ,  absentis ,  pio  quo  de  rato  promisi t ,  quoddam  pavimentimi  ad  opus 
cappelle  Saiicte  Christine,  fumiate  iutits  d'ulani  majorem  ecclesiam ,  de  lapide  rubco  Taitiomene  et  nigro  Zafarìe,..* 
juxta  formam  designi  existentis  penes  dietimi  dominimi  preposi! uni ,  prò  iiuciis  triginta,  etc.  Tistes  :  hon.  Joannes 
Sistoris,  Nicolaus  de  Lucchuni  et  Joannes  de  Letho. —  Dal  volume  di  num.  1757  de'  registri  di  notar  Matteo 
Fallerà,  an.  1496-97,  ind.  XV,  fog.  982,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 
(')  'Preliminari  alla  storia  di  Antonio  Gagini.  Palermo,   1860,  pag.   102  e  108. 


174  !    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


avrebbe  costui  voluto,  o  a  restituirgli  il  danaro  dovutogli  (').  Dal  che  risulta, 
che  ben  colà  potè  aver  trovato  il  Gagini  abili  aiuti  in  molta  operosità,  che 
egli  ben  tosto  cominciò  a  dispiegarvi,  ma  non  affatto  cotal  tempra  di  arte- 
fici, che  a  lui  si  giovine,  ma  già  valentissimo,  contendessero  in  alcun  modo 
la  palma. 

Vi  trovò  senza  fililo  pur  egli  quel  vivo  sentimento  e  gusto  dell'  arte, 
infusovi  e  sempre  più  fecondatovi  da  quella  mano  di  elettissimi  dipintori , 
le  cui  opere  ,  condotte  con  tanta  bellezza  di  espressione  e  di  stile  e  con 
tanta  soavità  ed  ingenua  purezza  di  forme,  dovetter  anco  avere  influito  so- 
pra il  suo  spirito  e  sulla  venustà  incomparabile  del  suo  scalpello.  Valse  a 
ciò  quindi  quel  vivo  sentire  per  1'  arte,  generalmente  colà  diffuso  ,  eh'  egli 
ben  degnamente  vi  sia  stato  accolto  e  onorato,  avutevi  incumbenze  continue 
e  ben  di  sovente  notevoli  di  lavori.  Di  essi  pertanto,  cioè  di  quelli,  che  ci 
é  dato  trar  dall'obblio  mercé  la  scorta  de'  documenti  del  tempo,  giova  dar 
qui  particolareggiata  contezza  per  quanto  di  meglio  si  potrà  rilevarne.  E  già 
dal  23  di  agosto  del  1498  è  sicuro  ricordo  del  suo  soggiorno  in  Messina, 
quand'  egli  per  pubblico  atto,  in  cui  vien  detto  cittadino  delia  felice  città  di 
Talcrmo ,  si  obbligò  al  nobile  messinese  Bernardo  Faraone  per  la  scultura 
di  un  guarnimento  o  decorazione  marmorea  di  una  cappella,  da  venir  del- 
l' altezza  di  diciotto  palmi  (m.  4.64)  sino  ad  una  sovrastante  figura  del 
Dio  Padre,  ed  undici  e  mezzo  larga  (m.  2.84),  con  tutte  figure  in  rilievo, 
giusta  un  disegno  a  tal  uopo  eseguito;  il  tutto  pel  prezzo  di  once  trenta- 
cinque (1.  it.  446.25)  (2).  Ma  benché  poi  nell'atto  stesso  trovisi  aggiunta 


(')  Eodem  (  io  aprile,  VI  ind.  1502).  Magister  Hieronimus  Florentinus,  marmorarius,  habitator  terre  Ca- 
stri "\Rjgalis,  districtus  Messane,  consenciens  spante,  olim  mutui  nomine  confessus  est  se  recepisse  et  Imbuisse  a  ma- 
bistro  Antonello  de   Gagino ,  marmorario  in.,  ibidem    presenti ,  ancias   duas  et  tàrenós  xxiiij.'  de  restanti  majoris 

stimine,  prout  dixit  apparere  prò  quadam  apodixa    scripta    maini  fratris  Sara/mi  Quas  uncias    duas  et  tarenos 

XXÌiij."  idem  magister  Hieronimus  excompulare  promisi!  et  ìenealur  et  sic  se  constituit  et  abligavit  per  se  in  dieta 
arte,  dance  exconipiilaveril  ipsum  debitum,  et  semper  et  quomodacitinque  idem  magisler  %Antonellus  voìuerit  et  vo- 
caverit,  ìenealur  ire  ad  labaraiiduin  ,  ani  resliluere  ipsam  pecuniali/.  Et  casa  caiitraveuciauis  possit  fieri  exequutio 
brevi  indilli  in  persona  ed  in  bouis  in  quolibet  faro,  ctc.  —  Tresentibus  magistro  Francisco  Degregorio  et  Salvo 
de  Raynerio. — -Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1 502-1 505,  fog.  361,  a'  segni  N  13,  nel- 
l'archivio de'  notai   defunti  in  Messina. 

(2)  Eodem  (23  agosto  1498).  Magisler  Antanellus  de  Cachino,  civis  fclicis  urbis  Tanhoimì ,  ut  dixit, 
consenciens  eie,  spante  se  constituit  et  per  sollepnem  stipulacionem  abligavil  per  se  in  pace  in.  Bernardo  Para- 
goni, e.  m.,  ibidem  presenti,  ad  fticieudutii  et  labaiaudiiiu  et  sculpendiiin  quaddain  guarnimentum  cablile  marmare 
ipsins  magnifici,  qne  debet  esse  altitudinis  usque  ad  'Deiiiu  Talreiii  pahiiariun  xviij  et  hiigitudiuis  palinariiin  xj 
Clini  dimidio,  cimi  omnibus  figuris  subievatis  juxta  farmain  ciiiiisdam  desiniti,  quad  esl  in  posse  ipsins  magistri  An- 


NE]    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  I75 


nota  in  data  del  14  di  luglio  del  1507,  donde  è  certezza,  che  quel  lavoro 
fu  dal  Gagini  consegnato  al  nobiluomo  anzidetto,  non  però  si  conosce 
dove  sia  stato  posto  e  se  oggigiorno  più  esista.  E  anzi  da  sospettare,  che 
nulla  or  più  ne  rimanga  e  che  sia  perito  insieme  ad  una  chiesuola  o  cap- 
pella di  S.  Tomaso  apostolo,  cennata  già  dal  Samperi  in  Messina  come  di 
pertinenza  della  famiglia  de'  Faraoni  (J). 

Indi  per  altro  pubblico  strumento  del  26  di  novembre  del  1499,  dove 
è  pure  appellato  palermitano  ed  allor  dimorante  in  Messina,  quivi  obbli- 
gossi  il  giovine  scultore  al  magnifico  Giacomo  Campolo  messinese ,  qual 
procuratore  generale  dell'ordine  di  San  Francesco  dell'Osservanza,  scolpirgli 
pel  prezzo  di  once  diciassette  (1.  it.  216.75)  una  figura  sedente  di  Nostra 
Donna  col  figlio  in  grembo,  di  tutto  rilievo  in  marmo,  dell'altezza  di  palmi 
quattro  e  mezzo  (m.  1.16),  oltre  uno  di  piedistallo  (m.  0.26),  da  dover 
consegnarla  in  tutto  fornita  e  dorata  di  lì  al  vegnente  aprile  nella  chiesa  di 
S.  Maria  di  Gesù  in  Messina.  In  seguito  però  in  una  nota  o  postilla  ag- 
giunta a  quell'  atto  addì  8  del  seguente  gennaio  promettea  lo  stesso  scultore, 
che  quell'  immagine,  eh'  egli  era  tenuto  scolpir  sedente ,  1'  avrebbe  in  vece 
eseguita  in  piedi ,  a  simiglianza  di  un'  altra  di  già  esistente  in  Nicotra  o 
Nicotera  in  Calabria,  e  dichiarava  di  poi  riceverne  once  tre  (1.  38.25)  in  conto 
del  prezzo  agli  11  di  marzo  (2).  Ignoro  se  quella  statua  di  Nicotra  sia  stata 
(coiti'  è  probabile)  suo  precedente  lavoro,  ovvero  d'  altrui  scalpello;  e  ben 


tonelli  et  subscriptum  marni  mei  infrascriptì  notarli  Nicolai  hmiridi.  Qnod  guarnimt-ntum  cabelle  idtm  m.'  Anlonel- 
lus promisit  dare  et  assimilare  expeditum  eid'-m  magnifico  in  potheca  ipsius  magistri  Antonelli  hinc  ad  arnium  imitili 
proxiino  venturuin,  pio  predo  et  predi  nomine unciarum  trigiiitaqniiiqiie,  qiias promisit  idem  mag:i-'ficus  dare,  traddere 
et  assonare  ac  solvere  et  pagare  in  pace  in  pecunia  eie.  eidem  magistro  Antonello,  laborando  solvendo.  Et  si  idem 
in.'  Anlonellus  contravenerit,  etc.  —  Preseniibus  in.  Jacopello  Mollica,  m.'°  Blacito  Taruaiti  et  Franchisco  Safonti, 
e.  m.  —  xiiij  julii  vj  ind.  ijoy  vacat  presens  contrada:  de  voluntate  ambarum  parduin,  confilenciv.m  imam  esse 
con'entam  et  satisfactam  ab  alia,  et  eiiindem  magnificimi  dictam  yconam  eiusdem  magistri  Antonelli  predicto  modo 
recepisse,  r enunciando  etc,  in  presencia  Hyerommi  Tellicaiw  et  'hLicolai  de  Bonfilio.  —  Dal  volume  di  regi^ri  di 
notar  Niccolò  Ismiridi,  an.   1496-98,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina. 

(  '  )  Il  detto  Samperi  vi  accenna  esistente  fino  al  suo  tempo  un  dipinto  del  Santo  titolare  di  mano  di 
Polidoro  da  Caravaggio.  Messami ...  illustrata.  Messanae,  MDCCXLII,  voi.   I,  lib.  VI,  pag.  617. 

(2)  Eodem  (26  di  novembre  III  ind.  1499).  Migister  Anlonellus  de  Gagino,  civis  urbis  Tanormi  et  mine  in 
civitate  Messane  comiiiorans ,  consencievs  sponte ,  coustituit  et  per  sollepnem  stipuJacionem  obligavit  se  ni.  Jacobo 
Campalo,  messaneusi,  ibidem  presenti,  velati  procuratori  generali  ordinis  S.  Francisci  de  Obscrvancia,  ut  dixerimt» 
ad  facìendum  et  scurpiendum  et  laboraiidum  quamdam  imaginem  mannoream  Virginis  Marie  cimi  filìo  in  bracca, 
de  tucto  rilevo,  assectata,  altitudinis  palmorum  quatuor  cimi  dimidio  et  unii  palimi  de  scandio.  Guam  imaginem 
idem,  maoister  Antonellus  dare,  traddere.  et  assìgnare  expeditam  tt  deoraiam,  item  innauratiirain  ininagiiiis  piedicle, 
in  ecclesia  Sancte  Marie  de  Jesu  Messane,  promisit  et  per  sollepnem  stipulacionem  obligavit  se  in  pace   eidem  ma- 

24 


Ij6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

farebbe  mestieri  più  di  una  gita  in  quelF  estremo  lembo  della  terraferma 
•d'  Italia  a  discoprirvi  e  richiamarvi  in  pregio  ampli  tesori  d'  arte,  che  dalla 
Sicilia  vi  provennero  e  che  adesso  vi  giacciono  in  profondissimo  obblio. 
Ma  più  notevol  notizia  al  caso  nostro  si  è,  che,  oltre  al  cennato  atto  in  data 
del  26  di  novembre  III  indiz.  1499,  per  cui  promise  il  Gagini  scolpire  al 
Campolo  la  statua  sopraddetta,  trovasene  ancora  un  altro  in  data  del  20  di 
agosto  della  medesima  indizione  (ma  in  realtà  dell'anno  seguente  1500, 
secondo  il  calendario  odierno),  ond' egli  si  obbligò  al  magnifico  Antonio 
La  Rocca  ,  come  procuratore  del  convento  di  S.  Maria  di  Gesù  in  Mes- 
sina, per  altra  statua  di  Madonna,  a  simiglianza  pur  essa  di  quella  di  Ni- 
cotra  ,  lunga  sei  palmi  (m.  1.55)  e  due  dita  e  con  base  alta  una  spanna, 
dove  fossero  a  scolpirsi  figure  a  piacimento  de'  frati,  oltre  a  doversi  toccar 
d'oro  e  d'azzuolo  la  statua  dovunque  meglio  bisognasse,  come  allor  costu- 
mavasi  fare.  Questa  poi  dovea  consegnarsi  spedita  dallo  scultore  nella  sua 
stessa  bottega  di  lì  a  tutto  il  vegnente  giugno  ,  pel  prezzo  di  once  venti 
(1.  it.  255),  qua'  promettea  pagargli  il  La  Rocca  da  tre  in  tre  a  terzo,  com- 
presene sei  da  pagargli  in  prima,  non  appena  arrivati  i  marmi,  che  si  aspetta- 
vano (!).  Non  é  agevole  intanto  poter  chiaramente  discernere,  se  in  que'  due 


vilifico,  nomine  quo  supra,  bine  per  totum  mensem  aprilis  proximo  ■venientem,  puro  predo  et  predi  nomine  unciarum 

decem  et  septein,  de  quibus  idem  magister  Antonelìus  recepii  et  hàbuit  et  confessiti  est  recepisse  et  babttisse  a  àiclo 
magnifico,  nomine  quo  supra,  uncias  dnas,  renuncians  etc;  et  reìiquas  uncias  xv  idem  magnificiti,  nomine  quo  supra, 
dare ,  tradderc  et  assignare  ac  solvere  et  pagare  promisit  et  per  sollepnem  stipulacionem  obligavit  se  in  pace  in 
duabus  solitcionibus,  vidélicet  uncias  tres  in  principio  qualragesime  proximo  venientis,  et  totum  restaus  ad  compli- 
mentimi tempore  assigiiacionis  predille  iumagiuis.  Et  si  aìiquid  diete  partes  contravenerìut  in  premissis  vel  in  a- 
liquo  premissoriiiu,  teueanlur  ad  omnia  dapna  et  expensas  et  interesse,  prò  quibus  possit  fieri  exequulio  brevi  maini 
in  persona  et  in  bonisx  etc— Trescai ibus  supradictis  testìbus  (cioè  i  testimoni  di  un  precedente  atto,  Giovan  Ber- 
nardo Muleti,  Niccolò  Antonio  Muleti  ed  Antonino  Mazza).  —  E  segue  in  fine  del  riferito  contratto  la  nota 
seguente  in  minuto  carattere:  vii)  januarii.  Prefatus  magister  Antonelìus,  presens,  ut  supra  sit  obligattis  facere 
didatti  inmaginem  asceta  la  prout  in  Udo  contrarili,  propterca  idem  magister  lAntonellus  constituit  et  obligavit 
se  eidem  magnifico,  nomine  quo  supra,  facere  dictam  inmaginem  a  l'adrida,  juxta  formavi  iumagiuis,  que  est  in 
terra  Nicotre,  non  obstanli  quod  supra  appartai  aseclala  ,  etc.  —  Ed  indi  vi  ha  pure  quest' apoca  in  margine: 
xp.  marcii  iij.'  ini'  i-j'j'j  (1500)  prefatus  magister  lAntonellus  spante  confessiti  est  recepisse  et  Imbuisse  ...  uncias 
tres  prò  seennda  solucione  presencialiter  in  oro,  rannidando  il:.,  in  presotela  d.  tAntonii  Delusaìis  et  d.  Tauli 
Grassa,  caiiouicorinii  nnssanensiiim,  e.  in. — Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1499-1500, 
fog.   174,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina,  a'  segni  N   13. 

(  '  )  xx."  augusti  (III  ind.).  Magister  .lui.''  Caligini  sponte  se  constituit  et  sollemniter  obligavit  magnifico  An- 
tonio La  lioeea,  ibidem  presenti,  velali  procuratori,  ut  dtxil,  convelli us  Saucle  Marie  de  Jesu  i\Cessaue,  const mere 
quamdaiu  yinagiuem  'Domine  lustre  de  marniera,  bene  couslruclam,  ad  instar  et  similitudinem  allerius  iniagiiiis  de 
iiiarmora  civitalis  Nicotre  parcium  Calabrie,  que  sii  longitudinìs  palmorum  sex  et  digitorum   duorum  de  uccio, 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  IV.  177 

atti  di  date  cosi  vicine  debbasi  intendere  di  due  statue  distinte  ,  ovver  di 
una  sola,  giacché,  sebben  diverse  nell'uno  e  nell'altro  sian  le  persone,  che 
contrattarono  col  Gagini  ,  ed  altre  differenze  si  notino  delle  dimensioni  e 
del  prezzo  del  lavoro  ,  appar  nondimanco  da  entrambi  ,  che  una  statua  di 
egual  soggetto  pel  convento  del  titolo  istesso  dovea  scolpirsi,  e  ben  si  può' 
dare,  che  un  precedente  atto,  per  qualsivoglia  causa  non  adempiuto,  abbia  di 
leggieri  potuto  dar  luogo  a  un  secondo,  ancorché  con  modificate  condizioni 
e  con  commettitore  diverso.  Ma  non  mancano  al  tempo  stesso  ragioni  da 
far  sospettare  il  contrario. 

Giova  in  prima  osservare  ,  che  due  conventi  del  titolo  medesimo  di 
S.  Maria  di  Gesù  e  della  stessa  regola  de'  frati  Francescani  dell'Osservanza, 
distinti  sol  dall'aggiunto  di  supcriore  ed  inferiore  in  ragione  della  condizione 
diversa  del  loro  sito,  esistettero  fino  a  non  guari  in  Messina,  de'  quali  anzi 
rimangono  in  piedi  le  fabbriche.  L'uno,  a  due  chilometri  circa  dalla  città  sul 
torrente  di  San  Michele,  si  afferma  essere  stato  primo  in  Sicilia  di  tal  re- 
gola, fondato  già  dal  beato  Matteo  da  Girgenti  nel  141 8;  e  l'altro  indi  per 
maggior  comodo  de'  frati  ebbe  origine  in  sito  più  basso  e  poco  distante 
dalla  città  stessa,  fabbricato  a  pubbliche  spese  e  dedicatane  la  chiesa  dall'ar- 
civescovo Jacopo  Tedeschi  a  2  di  settembre  del  1463,  siccome  rilevavasi  da 
un'  antica  iscrizione  ivi  apposta  (2).  Or  nella  chiesa  di  quel  primo  convento 
di  S.  Maria  di  Gesù  superiore,  detto  poi  ancora  comunemente  il  Ritiro  perchè 
servi  a  ritiramento  e  noviziato  de'  frati  dopoché  sorse  e  venne  abitato  il 
secondo,  non  è  affatto  dubbio  che  sino  a'  di  nostri  era  sull'altar  maggiore 
una  lodatissima  statua  di  Nostra  Donna  in  piedi  col   bambino,  la  quale  a- 


cum  eius  scannello,  qui  sit  altitudinìs  uuius  spanai,  in  quo  sint  sculpitc  imagines  prout  fuerit  siby  significatimi  per 
fratres  dicti  convenìus  Sancte  Marie  de  Jesu  Messane,  ita  quod  ipsa  imago  sit  bene  constructa,  pulcri  visus  et  bene 
pannata,  et  in  ilio  loco,  in  quo  oportuerit  apponi,  aurum  et  a^orum  teneatur  apponerc,  prout  est  consuelum  fieri 
in  similibus  imaginibus.  Quam  imaginem  bene  construclam,  ut  supra,  promisii  et  tenetur  dare  ipse  magister  Ant." 
expeditam  in  eius  apoteca  per  toluiii  meusem  junii  proxime  venturum  ;  et  hoc  prò  jure  riscactili  uiiciarum  xx.[', 
quas  magnificus  prefatus  Antonius ,  veluti  yconymus  conventus  Sancte  Marie  de  Jesu,  dare  promisit  et  tenetur  hoc 
modo,  videliect:  uncias  sex  in  adventu  lapidimi  de  marmora,  quas  de  proximo  ipse  magister  expectat,  et  totuin  re- 
slans  tertiaìiiu  un^ias  }  et  infra  istud  tempiis  :  cuin  hoc  etiain,  quod  lapis  pr  e  dieta  sit  bene  necta  et  siue  macebis. 
Et  casti  contraveationis  possi t ,  etc.  Pnsentibus  Leonardo  Fan-uni,  Jacobo  Fronti  si  et  prrsbitero  Antonio  de  'Pa- 
lermo. —  Dal  volume  di  registri  di  notar  Antonino  Mangiami,  an.  1499-1502,  fog.  429  retro  a  450,  nell'  ar- 
chivio de'  notai  defunti  in  Messina. 

(')  SamPeri,  Iconologia  della  glorics.i    vergine  madre  di  Dio  otaria,  protettrice  di  Missina.  Ivi,  1644  e 
J739,  lib.  II,  pag.   149. 


178  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 

desso  mercè  i  documenti  trovati  sarebbe  indubitatamente  a  tenere  opera  del 
Cugini  ,  sebbene  per  tale  non  mai  conosciuta  dinanzi  ;  ed  era  appunto 
quella,  che  il  messinese  Grosso  Caeopardi  nella  sua  anonima  Giuda  notò 
vaghissima  statua  in  marmo  carrarese  di  valenti'  maestro  (').  Questa  è  anzi  molto 
probabile  non  sia  stata  che  la  medesima,  per  la  quale  il  palermitano  scultore 
fé'  già  contratto  col  La  Rocca,  procurator  del  convento,  giacché,  come  pur 
sopra  cennammo,  era  in  detta  chiesa  il  sepolcro  di  costui,  qual  vedesi  or 
trasferito  nel  pubblico  camposanto.  Ma  sciaguratamente  la  statua  non  più 
rimane  oggigiorno,  giacché  andò  travolta  fra  la  piena  del  torrente,  che  notte- 
tempo investi  e  distrusse  la  chiesa  nel  1863;  e  quindi  sarebbe  d'uopo  ten- 
tare scavi  ed  indagini  nel  letto  ora  a  secco  di  esso  per  riuscire  in  qualun- 
que modo  a  disseppellirla. 

Però  un'altra  di  pregevole  stile  e  dell'epoca  stessa  riman  tuttavia  sopra 
un  altare  a  destra  dall'ingresso  della  chiesa  dell'altro  abolito  convento  di  S. 
Maria  di  Gesù  inferiore  in  Messina.  Rappresenta  del  pari  la  Diva  in  piedi 
col  divin  pargolo,  alta  m.  1,  40,  oltre  il  sottostante  piedistallo  di  m.  o,  25, 
dove  in  elegantissimi  bassirilievi  sta  in  mezzo  espressa  la  visita  di  Nostra 
Donna  ad  Elisabetta,  ricorrendo  da'  lati  l'Annunziala  e  l'angelo,  S.  Francesco 
e  S.  Antonio.  Né  sembra  inverisimile,  eh'  essa  sia  giovanile  opera  del  Ga- 
gini,  giacché,  oltre  la  preziosità  somma  de'  cennati  bassirilievi,  che  par  ve- 
ramente tramandino  l'ingenuità  e  la  purezza  del  primitivo  stile  di  lui,  va- 
ghissima è  ancor  quella  nel  volto  e  nel  portamento  e  con  bel  gusto  e  de- 
licatezza eseguita;  e  se  vi  é  da  notare  alcun  manco  di  espressione  e  di  leg- 
giadria nell'infantil  sembiante  del  figlio,  é  questo  altresi  difetto  comune  a 
qualche  altra  secondaria  statua  di  egual  soggetto  dell'età  stessa  dello  scul- 
tore, e  che  quivi  ha  compenso  nella  grazia  e  nella  morbidità  delle  carni  del 
corpicciuolo  del  putto  stesso,  qua'  son  di  un  pregio  notabile  e  fan  preve- 
dere il  sommo  sviluppo  dell'arte,  che  indi  avrebbe  quel  singoiar  genio  rag- 
giunto. Laonde  ben  può  darsi,  che  tale  statua  sia  quella,  che  fu  in  prima 
al  Gagini  allogata  dal  Campolo,  procurator  generale  dell'  ordine  de'  France- 
scani Osservanti,  la  quale  da  sedente,  che  prima  si  volea,  dovè  poi  egli 
obbligarsi  scolpirla  in  piedi  ,  come  notammo ,  e  tale  in  fatti  ebbe  a  farla , 
non  ingranditala  che  di  soli  ventiquattro  centimetri  di  altezza  di  come  si  era 


(')   Guida  per  la  città  tìi  Messina,  scritta  dall'  autore  delle  Memorie  de'  pittori  messinesi.  Messina,  184 1 , 
pag.   100. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  1 79 


pria  stabilito,  e  fiutane  della  prescritta  misura  la  base  storiata  con  sola  dif- 
ferenza appena  di  un  altro  centimetro.  Pare  anzi,  che  non  si  fosse  in  tutto 
liberi  a  poterla  ingrandir  di  vantaggio,  laddove  è  certo  ch'essa  non  doveva 
da  sola  venir  locata ,  ma  bensì  doveva  far  centro  ad  una  gran  decorazione 
di  dipinture,  per  le  quali  ancor  si  convenne  con  un  de'  più  segnalati  pit- 
tori, che  fiorivano  allora  in  Messina.  Perocché,  non  più  tardi  che  il  di  ap- 
presso della  convenzione  fatta  col  Gagini  per  la  statua,  un'altra  convenzione 
ebbe  luogo  agli  atti  dello  stesso  notaio  in  data  del  27  di  novembre  del 
1499,  per  cui  maestro  Salvo  d'Antoni,  pittore  messinese,  si  obbligò  al  me- 
desimo Campolo,  come  a  procurator  generale  dell'ordine  francescano  anzi- 
detto ,  per  pingere  e  dorare  un'  icona ,  che  avrebbe  costruito  un  maestro 
Giovanni  Barbicella  ,  nella  quale  doveva  egli  lateralmente  dipingere  ai  due 
capi  esteriori  di  essa  da  una  banda  S.  Francesco  e  dall'  altra  S.  x\ntonino, 
ed  al  di  sopra  un  Deposto  di  croce  con  le  consuete  figure,  e  nella  base  i 
dodici  apostoli  con  Cristo  in  mezzo  ,  tutti  con  diademi  dorati  ,  essendo  a 
dar  luogo  ad  una  tribuna  in  mezzo  alla  detta  icona  per  collocarvi  la  statua 
di  marmo.  Cotale  opera  Salvo  promettea  poscia  consegnare  spedita  al  Cam- 
polo  ,  pel  prezzo  sol  di  once  otto  (1.  it.  102),  di  lì  a  tutto  il  vegnente 
maggio,  cioè  un  mese  dopo  del  tempo  prefìsso  allo  scultore  per  la  consegna 
di  detta  statua  (!).  Così  un  de'  maggiori  artefici,  da  cui  la  pittura  messi- 
nese prendeva  allora  principalissimo  vanto  ,  era  chiamato  e  consentiva  ad 
impiegare  il  pennello  a  decoro  dell'  opera  del  giovine  Gagini;  e  ben  dovea 
da  ciò  ingenerarsi  il  più  bello  e  stupendo  effetto,  trovandosi  così  riuniti  si 
grandi  ingegni  a  gareggiar  con  mezzi  diversi  nel  campo  stesso  della  bel- 
lezza e  dell'arte.  Ma  non  so  poi  che  ne  fosse  della  cennata  pittura  allogata 


(')  Eodem  (27  novembre  III  ind.  1499).  Magister  Salvus  de  Antoni,  pictor  messanensis ,  sponte  constituit 
et  per  sollepnem  stipulacionem  obligavit  se  m.  Jacóbo  Campulo,  messanensi,  veluti  procuratori  generali  ordinis  Sancii 
Francisci  de  Observancia,  ut  dixerunt,  ad  pingendum  et  deorandum  quamdam  feonant,  ciuu  infrascriptis  pactis  et 
coitdicionibus  faciendam  et  ìaborandam  per  in.  Jo.  'Barbicbella  ;  in  qua  quidem  icona  idem  habeat  pingt  re  seti  fa- 
cere  in  li  dui  capi  de  fora  ipsius  icone  in  una  farle  figuravi  seu  imaginem  Sancii  Francisci  ti  in  alia  Jìguram 
Sancii  Antonini ,  et  supra  diete  coyne  (sic)  //(  xindiri  di  la  persuna  di  Christu  da  erudii  cimi  personis  consuetis 
et  solitis,  et  in  scandio  xij  apostoli  cuiu  figura  Chrìsti  in  medio,  in  omnibus  supradictis  cimi  taddemis  deoratis,  et 
la  tribona  in  medio  ipsius  ycoue,  ubi  debet  stare  imaginem  et  figuram  Virginis  Marie  in  mannara  (sic),  laborata 
de  a\pro.  Guam  iconam  idem  magister  Salvus  dare  et  assignare  promisit  expeditam  ut  supra  in  pace  eidem  magni- 
fico nomine  quo  supra  bine  per  totum  mensem  madii  proximo  venturi:  et  hoc  prò  jure  picture  unciarum  odo,  de 
quibus,  etc.  —  Presentibus  ven.  presbitero  Nicolao  de  Basilio,  V\ialeo  %omano  et  magistro  T."  Ciinddlu,  e.  m.  — 
Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1499-1500,  fog.  180  e  seg.,  nell'archivio  de'  notai  de- 
funti in  Messina,  a'  segni  N  13. 


iSo  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

a  Salvo  ,  giacché  non  ne  riman  vestigio  al  presente ,  e  niuno  anzi  degli 
scrittori  di  cose  messinesi  ne  ha  motto.  Soltanto  apprendo ,  che  al  tempo 
del  Samperi  trovavasi  in  detta  chiesa  la  statua  nell'ala  sinistra  nell'entrar  dalla 
porta,  in  altare  e  cappella  molto  onorata  della  famiglia  de'  Cordoni  (1),  mentr'essa 
in  vece  al  presente   ha  luogo    sopra  un  altare    dell'  ala  opposta. 

Pure  dinanzi  e  fin  dal  principio  di  quel  suo  soggiorno  in  Messina,  a 
19  di  luglio  del  1498,  appare  inoltre  obbligato  Antonello  a  Gregorio  Infon- 
tanella  e  Giovanni  di  Rosa,  abitanti  della  fiumara  di  Bordonaro,  come  mae- 
stri della  confraternita  di  S.  Maria  della  Grazia  in  detta  fiumara,  pel  lavoro 
di  un'altr;!  statua  in  marmo  di  Nostra  Donna  del  medesimo  titolo  col  figlio 
in  braccio,  dell'altezza  di  cinque  palmi  (m.  1.29)  ed  uno  di  base  (m.  0.26), 
ornata  la  detta  statua  d'oro  ed  azzuolo  ed  in  tutto  simile  all'altra  della  chiesa 
di  S.  Maria  di  Gesù  di  Messina  (di  cui  quindi  almeno  allora  doveva  essere 
stato  eseguito  il  modello  pria  del  contratto)  ,  eccetto  sol  nelle  mani  e  nel 
modo  di  tenere  il  putto,  in  che  lo  scultore  avrebbe  modificato  a  sua  voglia. 
Cotale  statua  poi  egli  promettea  dare  fornita  nella  prossima  festa  di  San  Mar- 
tino pel  prezzo  di  once  sedici  e  tari  quindici  (1.  it.  210.37),  cne  gn"  avrebbero 
corrisposto  in  rate  diverse;  e  la  forniva  egli  in  fotti  e  consegnavala  in  breve, 
giacché  in  pie  della  convenzione  trovasi  poi  aggiunta  nota  in  data  de'  25 
di  maggio  del  seguente  anno,  con  che  per  volere  di  ambe  le  parti  dichia- 
ravasi  essa  in  tutto  annullata  e  cassa  (com'era  allora  costume  di  fare),  es- 
sendo già  interamente  adempiuta  con  soddisfazione  comune  di  quelle  (2). 
Vidi  la  statua  tuttora  esistente  nella  chiesa  di  Bordonaro  ,  a  due  o  tre  chi- 
lometri a  mezzodì  da  Messina  ;    ed  a  si  umile    ed   oscuro  casale  del   mes- 


('  )  Iconologia  della  gloriosa  vergine  madre  di  'Dio  D\(aiia,  protettrice  di  Messina.  Ivi,  1644  e  1739,  lib.  II, 

pag.   149- 

(2)  xviiij.'  eiusdem  (luglio  1498).  Magisler  Antondlus  de  Gargino,  civis  Panormi,  constìtuens  se  sponte  óbligavii 

per  se  Gregorio  Infuntanella  et  Jobanni  de  7{psa,  habitatoribus  flomarie  de  Bordonari,  e.  in.,  ibidem  presentibus, 
velati  magistris  confratie  Sancte  Marie  de  la  Grada  diete  flomarie,  ad  frabicandum  seufaciendum  quamiatn  ima- 
'inem  marmorie  sub  vocàbulo  Sancte  Marie  de  la  Grada  cimi  eius  filio  in  brachili,  guani  imaginem  (sic)  debet 
esse  altituJiiiis  d:  neclo  palinorum  aitinone  et  cimi  eius  scandio  iuipede  palmi  unius,  ornatavi  de  oro  et  a^oro, 
prout  est  inmago  ecclesie  Sancte  Marie  de  Jesu  Messane  et  cimi  illis  nicmbris ,  qualitalibus ,  proporcionibus  et  bo- 
nitatibus  similibus  a.l  dictam  inmaginem,  preter  de  manibus  et  tenuta  filli ,  quam  debeat  stare  ad  discrecionem  it 
opinionem  ipsius  magistri  Jintonelli.  Quam  inmaginem  idem  in.'  Antouellns  promisit  et  teneatur,  et  sic  se  cousti- 
luil  et  óbligavit,  dare  d  assimilare  expeditam  dittis  magistris  in  pace  bine  ad  /estimi  Sancii  Martini  proximo  ven- 
titi-,mi,  prò  predo  ti  predi  nomine  ituciaritm  sexdecim  et  larenoriim  qiiintìecim.  Pro  qua  causa  itimi  ni:  tuto- 
li llits  recepii  et  hdbttit  et  confessus  est  a  diclis  magistris  in  parte  solucionis  unciam  imam ,  reniinciando  etc.  Et 
restans  ad  complimenlum  tocius  predi  dirli  magistri  promiserunt  et  siili  mniter  obligaverunt  per  eos  in  pace  et  in 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  IV.  l8l 


sinese  contado,  senza  che  nulla  quo'  poveri  terrieri  ne  sappiano,  è  riserbato 
il  vanto  di  possedere  la  più  antica  sicura  opera  ,  che  possa  fin  qui  con 
ogni  evidenza  provarsi  uscita  dal  giovanile  scalpello  del  Gagini,  l'unica,  che 
oggi  in  Messina  senz'  alcun'  ombra  di  dubbio  sen  riconosca.  In  essa  è  già 
tale  sviluppo  di  espressione  e  di  forme,  a  cui  non  era  alcuno  de'  più  va- 
lenti scultori  quattrocentisti  giammai  pervenuto  in  Sicilia ,  benché  Anto- 
nello ivi  non  si  mostrasse  in  tutta  la  singolare  perfezione  ed  eccellenza  di 
stile  e  di  magistero  ,  che  in  altre  opere  di  cgual  soggetto  indi  eseguite  ei 
raggiunse.  Nel  volto  della  Diva  si  ammira  già  quel  sentimento  ineffabile,  in 
cui  si  compenetrano  P  ingenuità  della  Vergine  e  la  maestà  augusta  della 
Madre  del  Verbo  di  Dio  con  quel  carattere  di  sacra  e  celestiale  bellezza,  di 
che  il  Gagini  fu  inimitabil  maestro.  Tien  ella  in  grembo  sul  manco  braccio 
il  divin  figliuolo  ,  che  lieve  il  capo  sul  seno  materno  declina,  mentre  la 
destra  mano  di  lei  si  sta  posata  soavemente  sul  petto,  corrispondendo  nel 
miglior  modo  all'  indole  sacra  e  piissima  della  figura  la  posa  tranquilla  e 
l'atteggiamento  maestoso  della  persona.  L'esecuzione  fa  prevedere  i  portenti, 
che  non  sarebber  tardati  ad  uscire  da  quel  giovanile  scalpello;  e  specialmente 
nel  viso  e  nelle  mani  di  Nostra  Donna  è  tanta  morbidezza  e  sì  delicato  ar- 
tificio, di  che  nelle  anteriori  sculture  dell'  isola  non  erasi  ancora  avvertito 
mai  alcun  esempio.  Maggiore  sviluppo  di  finitezza  e  di  eleganza  é  forse  a 
desiderar  ne'  piegheggiamenti  e  nelle  sinuosità  de'  panni  e  del  manto  :  ma 
pure  in  ciò  é  da  osservare,  che  molto  effetto  ivi  scemano  all'arte  le  dora- 
ture a  fiorami  del  manto  stesso,  non  men  che  gli  argenti,  i  drappi  e  i  gin- 
gilli, di  che  la  stolta  pietà  de'  fedeli  ha  tutta  ingombra  la  statua,    la  quale 


pecunia  dare,  traddere  tt  assimilare  ac  solvere  et  pagare  eidem  magistro  Antonello  hoc  modo,  videlicet:  uncias  qua- 
titor  infine  inensis  augusti  proximo  venturi,  et  uncias  sex  illinc  ad  àictum  festina  Sancii  (Martini,  et  totum  re- 
statitela ad  compi imentum  illinc  ai  festina  TsLativitatis  domini  nostri  Jesu  Còristi  proximo  ■vcuturuiu,  ctc.  Et  si  ali- 
qua  iictarum  parcium  contravenerìt,  etc.  Tresaitibus  m."  Blacito  Tai  uniti  et  Consilio  de  Aìcclia,c.m. — E  si  aggiunge 
la  nota  seguente:  xxv  maij  ij.'  imi.  i^yy  vacai  et  cassus  est  prcsens  contructus  de  mandato  et  volitulate  aiabarum 
parcium,  que  confesse  sunt  fuisse  et  esse  solutas  et  satisfactas  una  prò  altera,  rcnunciando  etc.  In  presencia  Auto- 
nclli  Marra  et  Angeli  de  Sinopuli,  e.  in.  —  Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1496-98,  nel- 
l'archivio de'  notai  defunti  in  Messina.  Gioverà  intanto  osservare,  che,  stante  la  confusione  di  alcuni  di  quei 
registri,  alla  meglio  accozzati  in  tempi  posteriori,  non  è  sempre  facile  sicuramente  accertare  l'indizione  e 
l'anno  in  taluno  degli  atti  qui  riportati,  specialmente  in  quelli,  che,  recando  la  sola  data  del  giorno,  si  rife- 
riscono in  lungo  a'  precedenti  atti  non  solo  per  quella  del  mese,  ma  ancor  per  l'indizione  e  Tanno  anzidetti, 
che  per  lo  più  affatto  vi  mancano,  potendo  perciò  dar  luogo  ad  alcun  equivoco  di  sol  qualche  anno  od  in- 
dizione in  più  o  in  meno,  sia  per  alcun  errore  negli  atti  stessi,  o  pel  disordine,  con  che  si  trovali  raccolt'. 


lS2  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


a  di  più  non  è  dato  poter  vedere  se  non  a  traverso  a  cristalli,  de'  quali  é 
chiusa  la  nicchia,  dov'  ella  è  posta.  Gretto  però  alcun  poco  vi  è  certamente 
il  bambino,  in  cui  pure  disdice  la  vesticciuola,  di  che  si  vede  coperto  e  che 
nasconde  le  grazie  del  nudo,  quale  nel  più  bel  modo  espresse  altrove  l' arte- 
fice. Ma  ivi  tuttavia  egli  era  in  sul  principio  della  sua  gloriosa  carriera  ,  e 
molto  ancora  restavagli  a  progredire  alla  maggiore  perfezione  mercè  il  con- 
tinuato esercizio  e  lo  sviluppo  deli'  altissimo  ingegno. 

Di  lui  è  inoltre  contezza  da  un  atto  anche  in  data  di  Messina  addì  2 
di  marzo  III  indiz.  1499  (1500),  onde  un  maestro  Lazzaro  Masfiole,  car- 
rarese, faceva  al  Gagini  una  vendita  di  marmi  da  lui  commessigli  giusta  un 
memoriale  scrittogli  da  costui  di  sua  mano,  i  quali  quello  prometteva  per  lui 
consegnare  sul  lido  dell'Avenza  nel  prossimo  giugno  e  poscia  imbarcarli  per 
conto  del  medesimo  e  mandarglieli  tosto  in  Messina  (').  Assai  proba- 
bilmente appartenne  codesto  Lazzaro  ad  una  stessa  famiglia  di  carraresi 
scultori,  de'  quali  specialmente  ricorda  il  Campori  un  Antonio  di  Mafiolo, 
che  assunto  avea  lavori  in  marmo  in  Macerata  nel  1450,  e  sopratutto 
un  Alberto  Mafiioli,  valente  artefice,  rimasto  quasi  ignoto  fino  a'  di  nostri, 
e  che  or  si  rileva  dal  i486  al  95  aver  molto  scolpito  in  Parma,  in  Pavia, 
in  Cremona ,  dove  diresse  da  architetto  la  costruzione  della  facciata  del 
duomo,  ed  essere  stato  indi  chiamato  in  Ispagna  nel  1499  (2).  Ma  chec- 
ché ne  sia  di  costoro  ,  importa  soltanto  a  noi  vedere  come  in  relazione 
fosse  il  Gagini  con  marmorai  di  terraferma  per  ragione  de'  marmi,  eh' ei 
commetteva  e  che  sono  sicuro  indizio  di  sua  grande  attività  nel  lavoro  e 
del  notevol  numero  di  opere  continuamente  allogategli.  E  fu  appunto  in 
quel  tempo  ,  che  ,  cominciata  ovunque  a  diffondersi  la  rinomanza  del  suo 
valore  nell'arte,  il  di  8  novembre  del  1499  gli  venne  in  Messina  affidato 
il  sontuoso  lavoro  di  una  conci,  o  gran  decorazione  di  molte  figure  e  bas- 
sirilievi  in  marmo  ,  per  la  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore  in  Nicosia.  A  tal 
uopo  egli  obbligavasi  al  prete  Giovanni  Capra,  procuratore  e  cappellano  di 
detta  chiesa ,  dovendo  scolpir  quella  giusta  un  disegno  precedentemente 
fatto  e  approvato.  Vi  doveano  aver  luogo  nel  basso  quattro  figure  in  tutto 


(')  Dal  volume  de'  registri  di  nctar  Niccolò  Ismiridi,  an.  1499-1500,  fog.  341  retro  a  342,  a'  segni  N  13, 
nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina. 

(J)  Campori  ,    Memorie  biografiche  degli  scultori,  architetti,  pittori  ce.  nativi  di  Carrara  r  di  altri  luoghi 
.Illa  provincia  di  Massi.  Modena,   1873,  pag.   153-157. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  IV.  1 85 


tondo,  ciascuna  di  cinque  palmi  (m.  1.29),  distribuite  dai  due  lati,  la- 
sciando spazio  ad  un  quadro  o  storia  nel  mezzo.  Altre  figure  eran  da  farsi 
al  di  sopra  con  altri  quadri  o  storie  intermedie ,  con  sei  spiriti  ed  in  cima 
una  statua  dell'  arcangelo  Michele  col  dragone  di  sotto  ai  piedi  :  il  tutto 
dell'  altezza  di  ventisei  palmi  (m.  6.  76)  fino  dappiè  del  detto  arcangelo  , 
che  poi  doveva  esser  alto  altri  cinque  (m.  1.29).  Cotale  opera,  elegante- 
mente ed  ottimamente  eseguita ,  conforme  al  detto  disegno  ed  alle  con- 
venienze della  prospettiva  e  dell'  arte,  era  tenuto  lo  scultore  consegnarla  di 
li  a  tre  anni  ,  ed  anzi  far  trasportarla  a  sue  spese  in  Catania  ,  ovvero  in 
Tusa,  dove  a  lui  meglio  sarebbe  parso,  perchè  di  là  fosse  poi  trasferita  in 
Nicosia  e  collocata  a  spese  del  procuratore  anzidetto.  Aggiungeasi  per  patto, 
che  per  la  collocazione  di  essa  doveva  il  Gagini  stesso  da  Messina  colà  re- 
carsi con  tutti  i  suoi  discepoli  e  lavoranti  ,  in  parte  a  proprie  spese  ed  in 
parte  del  Capra,  con  particolari  condizioni  convenute  per  quella  gita  e  sog- 
giorno. Si  stabiliva  in  fine  il  prezzo  in  oncie  cenquaranta  (1.  it.  1785),  di 
cui  già  dichiarava  1'  artefice  riceverne  undici  a  conto  (1.  it.  140.  25),  ed  il 
resto  avrebbe  poi  avuto  in  diverse  rate  insino  al  total  termine  del  lavoro  ('). 
Di  questo  adunque  non  è  dubbio,  che  fu  allor  concepito  tutto  il  congegno, 
qual  poscia  ebbe  effetto  come  fin  oggi  si  ammira;  e  non  è  poca  gloria  per 
fermo  pel  genio  del  Gagini  sin  dal  principio  dell'artistica  sua  carriera  aver 
raggiunto  cotanta  bellezza  e  cotanta  elevazion  di  concetto  (2).  Ma  indi 
la  detta  cona,  almeno  in  massima  parte,  non  venne  in  Messina  eseguita, 
benché  fin  qui  lo  si  abbia  generalmente  creduto  ,  e  chiaro  in  vece  appare 
da  documenti  del  tempo,  eh'  era  ancora  bisogno  di  provvidenze  e  di  mezzi 
per  essa  nel  1503,  e  che  poi  venne  consegnata  in  Palermo  nel  1511,  e  non 
collocata  che  nel  seguente  anno  in  Nicosia.  Del  che  toccherà  meglio  tener 
discorso  in  appresso. 

Pur  non  mancarono  allo  scultore  di  venir  commesse  altre  opere,  ài 
ch'ei  dovette  incessantemente  occuparsi,  e  alcuna  delle  quali,  più  che  le 
altre  riuscita  di  maravigliosa  bellezza  di  espressione  e  di  sommo  merito 
di  scalpello  ,  giovò  soprattutto  ad  accreditarlo  ,  benché  sì  giovine  ancora  , 
qual  massimo  ed  incomparabile  artefice    ed  a  diffondere  altissimo  il  suono 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera  num.  XLIV. 

(2)  Per  avere  almanco    un'idea  del  tutt' insieme    della  cona  di  Nicosia    vedine  un  picciol    disegno  nella 
tavola  Vili  di  quest'opera. 

25 


1^4  *    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


della  sua  fama,  siccome  specialmente,  a  mio  credere,  la  stupenda  statua  di 
Nostra  Donna  col  bambino  nella  chiesa  di  S.  Maria  di  Gesù,  che  fu  prima 
de'  Francescani  Osservanti  e  poscia  de'  Riformati,  in  Catania.  Di  essa  trovo 
asserito  nella  Descrizione  di  tale  città,  pubblicata  anonima  nel  1841  da  Fran- 
cesco Paterno  Castello,  duca  di  Carcaci,  che  la  si  attribuisce  al  Camini,  piovane 
di  vent'anni  (');  il  che  sebbene  fin  ora  non  sia  provato  da  alcun  documento 
contemporaneo  a  cagion  della  somma  trascuratezza,  eh' è  a  lamentare  gene- 
ralmente intorno  alle  cose  catanesi,  non  é  difficile  abbia  fondo  in  tradizione- 
assai  prossima  al  vero.    E  vi  corrisponde  quanto    si    narra  in  proposito  da 
Vito  Amico  nella  sua  Catana  illustrata,    giacché,  lodando  egli  il  vescovo  di 
Catania  Francesco  di  Prades  per  aver  curato  la  riparazione  di  quel  duomo, 
che  pure  decorò  di  sontuose  porte  lavorate  giusta    il    disegno  del  catanese 
architetto  Parisio  Calici,  nell'anno   1500,  aggiunge,  che  appunto  sotto  il  pa- 
storale governo    del    medesimo  fri  recata  in  Santa  Maria   di    Gesù   con   so- 
lenne processione  di  tutto    il    clero  la  statua  di  Nostra  Donna ,    opera    del 
Gagini ,   che  sol  per  materiale  errore  viene  appellato  Giovanni,  in  vece  che- 
Antonio  (2).  Laonde,  dato  per  vero  ciò,  che  l'Amico  da  qualche  autorità 
storica  ebbe  per  fermo  ad  attingere  ,    non    par   dubbio  che  quella  sia  stata 
scolpita  non  più  tardi  del   1500,    essendo  morto  quel  prelato    in    Catania, 
dopo  soltanto  un  anno  e  mezzo  di  vescovado,  a  23   di  ottobre  dello  stes- 
s'anno.    Sembra    poi  ,    che    il   giovine    artefice    non    abbia    voluto    lasciarsi 
sfuggire  occasion  sì  propizia  di  dar  mostra  del  proprio  valore    in    un'  altra 
delle  principali  città  dell'  isola,  dove  nulla  ancora  ammiravasi    di  sue  opere, 


(')  Descrizione  ili  Catania   e  delle  cose  notevoli  ne'  aintorni  di  essa.   Ivi,   1841,  pag.    150. 

(  2  )  Joanni  (Deza)  Franciscus  di'  'Prades,  Valcntinae  ecclesia?  alumnus  ,  r.ge  volente  XIII  hai.  apriìis ,  ac 
ponti fice  confi  r  mante  XVI  kal.  majas,  anno  MCCCCXCVIII  snbrogatur,  qui  ne  principi  s  templi  aedi  fida  vet usiate 
sordescerent ,  ni  in  ìllorum  refectione  anri  unciae  centum  ex  juribus  episcopatus  quetannis  impender  enlur ,  a  rrge 
literas  exoravit  sub  dal.  Granatele  XI  kal.  octobris.  Idem,  ut  ecclesiae  sitar  privilegia  sarta  teda  custodirenttir  ab 
omnibus ,  apud  Joanuem  de  La  uu\a  ,  Siciliani  prò  rege  moderante ,  egit,  qui  observatoriales,  ut  vocaut,  IX  kal. 
decembris  ejusdem  anni  expedi  ri  mandavi!.  Titnc  etiam,  sollemni  totius  cleri  siipp/icatione,  devòta  B.  ^Cariar  Vir- 
ginis  statua  ex  liguro  marmare,  Joanuis  Cagini  opus  (corr.  Antonii),  ad  Minorimi  fratrum,  quos  de  Observanlia 
diclini,  ecclesiali!  sub  titillo  S.  Marine  et  Jesu  deducta  est,  ubi  hodie  a  piis  fidelibus  religiosissime  colitur.  Saettilo 
sextodeenno  ii/labente,  calli,  dra/is  basilicae  valvas,  eniblemùtis  sententiisque  affabre  expolitas,  ex  integro  Franciscns 
ponti/ex  instituil;  genlilitic  stemmata  atque  epigraphelìi  adjecit  •  «  Sub  divo  Ferdinando ,  rege  Castellai  et  Arago- 
«  mini,  Granatile  rxpitgnatort  et  Judeornm  expulsore,  anno  'Domini  MD,  ad  laudali  Dei  divaeque  Agatliae,  Fran- 
ti ciscus  Del{  Prati,  umiditi  aposto/icus,  episcopus  catanensis,  iias  portas  fieri  jussit,  procurante  domino  Pascasio  de 
«  Ansano,  e/us  provisore,  per  I'arisiuin  Calichi,  architedorem  calanensem.  »  Amico,  Catana  illustrala,  pars  secunda. 
Catanae,  MDCCXLI,  lib.  VII,  cip.   IV,  pag.  354  e  seg. 


NEI    SECOLI    XV    E    XV!.    GAP.  IV.  1 8  5 


senza  sforzarsi  a  rivelarvi  l'altissima  tempra  del  suo  mirabile  ingegno.  Seb- 
bene quindi  pur  essa  sia  da  stimare  fra  le  più  giovanili  sculture  del  suo 
lungo  soggiorno  in  Messina,  vi  riusci  egli  ad  un  lavoro  di  assai  maggior 
bellezza  e  sviluppo,  che  non  in  altre  statue  di  egual  soggetto  ,  che  di  lui 
si  conoscono  di  quel  tempo,  siccome  quella  del  casale  di  Bordonaro  ed  ancor 
Valtra  non  guari  dopo  eseguita,  di  cui  sarà  luogo  fra  poco  a  dire  ,  or  nel 
tesoro  del  duomo  palermitano.  In  questa  di  Catania  nulla  quasi  più  manca 
del  magistero  più  perfetto  ,  il  qual  nel  tutto  della  bellissima  figura  prevale 
e  non  men  nelle  singole  parti  ,  mercè  il  profondo  possesso  dell'  arte  e  la 
più  delicata  esecuzione  ,  che  rispondono  al  tocco  animatore  di  quel  genio 
divino.  Non  può  concepirsi  più  bello  e  celestial  tipo  della  Vergine  Madre 
di  Dio  di  come  ivi  il  Gagini  l'espresse,  e  non  men  vi  risponde  in  bellezza 
il  divin  pargolo,  ch'ella  ha  in  grembo  e  che,  rivolto  di  faccia  allo  spetta- 
tore, anziché  sentir  come  altrove  alcuna  grettezza  o  timidità,  rende  nel  mi- 
gliore sviluppo  delle  attraenti  sue  forme  quel  misto  ineffabile  di  maestà  e 
di  avvenenza  celeste,  si  proprio  della  persona  del  divin  Verbo  umanato.  Vi 
ricorrono  inoltre  nel  piedistallo  delicatissimi  bassirilievi ,  cioè  nel  mezzo  la 
Visitazione  di  Maria  ad  Elisabetta,  e  da'  lati  S.  Francesco  d'Assisi  e  S.  An- 
tonio di  Padova,  senza  stemmi  di  sorta  né  iscrizione  :  onde  sembra  proba- 
bile ,  che  sotto  il  mentovato  vescovo  Francesco  di  Prades  i  frati  Minori 
Osservanti  di  Catania  abbiano  allogato  cotale  statua  all'  artefice  ,  dopoché 
ebber  veduto  coni'  egli  egregiamente  avesse  adoprato  lo  scalpello  pe'  frati 
della  lor  medesima  regola  di  Messina. 

Quivi  egli  alquanto  più  tardi  seguiva  inoltre  ad  obbligarsi,  per  pub- 
blico strumento  in  data  del  3  di  aprile  del  1503,  a  Jacopo  Stagniti  e  Mi- 
chele di  Copa  o  di  Coppa  ,  siccome  maestri  di  una  chiesa  del  titolo  di  S. 
Maria  di  Loreto  (de  luritu),  a  scolpirvi  un'icona  o  figura  in  rilievo  di  Nostra 
Donna  col  divin  fighuoletto  ignudo,  adorna  d'oro  ed  azzuolo  e  dell'altezza 
di  sei  palmi  (m.  1.  57),  oltre  uno  di  base  (m.  o.  26),  a  simiglianza  di 
quella  del  messinese  convento  di  S.  Maria  di  Gesù,  pel  prezzo  di  once  sedici 
(1.  it.  204),  di  cui  già  egli  riceveva  una  parte  in  conto.  Del  restante,  che  gli 
sarebbe  stato  in  seguito  corrisposto  ,  rendevansi  a  lui  mallevadori  un  prete 
Andrea  Barsanna  ed  un  maestro  fabbricatore  Luca  Barsanna,  fratelli,  ambi 
del  villaggio  di  Pézzolo  in  quel  di  Messina.  Perloché  indi  a  primo  di  giu- 
gno i  detti    Stagniti  e  Coppa  e  seco  loro  un  maestro  Francesco  Barsanna, 


1 86  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


come  maestri  di  quella  chiesa,  confessarono  avere  già  ricevuto  il  simulacro, 
ed  in  fine  il  Gagini,  addi  1 1  di  aprile  del  seguente  anno,  si  dichiarò  sod- 
disfatto interamente  del  prezzo  (!).  Ma  dove  oggi  tale  opera  esista  mi  è 
ignoto,  mentre  per  mero  caso  o  trascuratezza  rimase  nella  penna  al  notaio, 
che  stipulò  1'  atto,  il  nome  della  terra,  per  cui  si  doveva  scolpirla,  e  non 
vi  si  trova  punto  espresso.  Il  che  come  sia  cosa  da  far  perdere  la  pazienza 
a  un  povero  scrittore,  che  vede  da  ciò  scemarsi  l'importanza  del  documento 
trovato ,  ciascun  sei  pensi.  Sospettai  dovesse  appunto  intendersi  del  casale 
cennato  di  Pézzolo,  a  capo  della  fiumara  di  tal  nome  a  mezzodì  del  mes- 
sinese distretto  ;  e  quasi  men  dava  certezza  non  solo  il  conoscere,  che 
gente  appunto  di  quel  luogo  si  era  resa  garante  al  Gagini  pel  pagamento 
del  prezzo  ,  siccome  chiaro  risulta  dall'  atto ,  ma  più  ancora  l 'aver  notizia, 
che  una  chiesa  del  titolo  della  Madonna  di  Loreto  con  una  statuina  in 
marmo  tuttavia  fin  oggi  esistesse  nella  campagna  di  quell'  antica  terricciuola. 
Quivi  adunque  recatomi  nell'aprile  del  1878,  e  cercato  di  quella  chiesa,  vi 
fui  condotto  per  balze  e  burroni  sulla  vetta  di  un  colle  vicino  :  ma  per 
quanto  ansioso  mi  fossi  a  rintracciarvi  l'opera  dell'insigne  scultore,  non  vi 
rinvenni  in  vece  che  un  brutto  marmo,  comunque  forse  scultura  anch'esso 
del  cinquecento,  figurante  la  Vergine  col  bambino,  posta  a  sedere  fra  nubi 
sopra  la  santa  casa  lauretana  ,  ma  che  pel  manco  di  ogni  merito  d'  arte  e 
di  espressione,  anziché  stimarlo  lavoro  del  Gagini,  non  è  da  attribuirlo  nem- 
manco  ad  alcuno  de'  più  inesperti  suoi  allievi.  Manca  ivi  per  altro  la  con- 
dizione già  stabilita  nell'atto,  che  la  figura  di  Nostra  Donna  avesse  dovuto 
esser  conforme  a  quella  del  convento  di  S.  Maria  di  Gesù  di  Messina,  cioè 
in  piedi,  e  con  una  base  di  un  palmo  (m.  o.  26),  laddove  in  vece  quivi 
è  sedente  e  non  ha  base  di  sorta.  Non  desistei  pertanto  dalle  indagini 
per  rinvenire  la  statua  in  altri  siti  li  attorno  ,  giacché  par  certo  che  non 
lungi  da  Pézzolo  dovette  pure  aver  luogo  :  ma  né  di  essa  mi  riusci  avere 
indizio,  né  d'altra  chiesa  del  medesimo  titolo  in  vicine  terre  o  casali.  Tro- 
vai sol  di  notevole  in  Pézzolo  la  porta  della  maggior  chiesa,  adorna  di  fre- 
giature bellissime  in  marmo  bianco  dell'età  più  fiorente  dell'arte  e  che  sen- 
tono assai  di  gaginesca  eleganza  :  onde  non  saria  strano  il  supporre  ,  che 
in  quelle  sia  stata  pure  la  mano  del  nostro  artefice,  con  cui  altronde  é  certo 


(')  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera  num.  XLV. 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  187 


aver  praticato  varie  persone  di  tal  luogo  in  quel  tempo.  Ma  non  è  in  vero  a 
dar  peso  alle  ipotesi  allorché  non  si  ha  prova  dagli  argomenti  di  fatto. 

In  ragione  delle  pregevoli  opere  eseguite  cresceva  intanto  e  sempre  più 
diffondevasi  la  fama  del  giovine  scultore,  e  non  potea  mancar  che  in  Pa- 
lermo, sua  patria,  si  venisse  ancor  ella  propagando  e  che  v'ingenerasse  la 
brama  di  averne  e  ammirarne  i  lavori.  Né  ciò  fu  certamente  difficile  otte- 
nere, giacché  il  Gagini,  sebben  lontano  di  soggiorno,  ebbe  a  tenersi  in  vivi 
e  continui  rapporti  con  quel  massimo  centro  di  attività,  che  fu  allora  la  me- 
tropoli di  Sicilia,  e  non  lasciò  anzi  sfuggirsi  il  destro  di  recarvisi  di  per- 
sona egli  stesso  quante  volte  gli  fu  mestieri  ad  assumervi  gravi  incumbenze. 
Prima  sicura  opera,  che  di  lui  rimane  in  Palermo,  è  una  piccola  statua  di 
Nostra  Donna  in  piedi  col  figliuolino  in  grembo,  la  quale,  posta  in  prima 
in  una  cappella  presso  il  fonte  battesimale  e  poi  trasferita  in  altra  ,  ora  si 
vede  sopra  un  altare  nella  sala  del  tesoro  del  duomo,  recando  intorno  alla 
base  l'iscrizione:  op.9  antonelli  gagini  panhormitani  dominico  scvltore 
geniti  xii  die  nov.  1503.  Ch'essa  abbia  a  dirsi  di  messinese  provenienza, 
a  parte  di  ogni  altro,  sembra  altresi  risulti  dal  soggetto  ,  che  in  piccola  e 
preziosa  composizione  di  leggiadrissime  figurine  in  bassorilievo  ricorre  nella 
base,  rappresentando  in  mezzo  una  scala,  giù  calata  dal  cielo,  con  due  de- 
vote schiere  di  fedeli,  uomini  e  donne,  che  in  atto  di  preghiera  stan  gi- 
nocchione  da'  lati;  e  non  é  dubbio  vi  si  alluda  al  culto  di  S.  Maria  del  ti- 
tolo della  Scala,  molto  allora  in  voga  segnatamente  in  Messina  per  un'im- 
magine di  Nostra  Donna  con  una  scala  daccanto,  qual  si  volle  prodigiosa- 
mente recatavi  nel  monistero  di  S.  Maria  della  Valle  insin  da'  tempi  nor- 
manni, ed  a  cui  nel  1347,  in  occasione  di  pestilenza,  fu  edificato  in  città 
un  nuovo  tempio.  Certo  però  tale  statua  fu  fatta  pel  duomo  palermitano, 
di  cui  pure  vi  ricorron  gli  stemmi  con  1'  aquila  bicipite  da'  lati  del  piedi- 
stallo ,  e  forse  fu  chiesta  in  saggio  della  valentia  dell'  artefice  allorché  pri- 
mamente venne  in  pensiero  di  affidargli  l' ingente  lavoro  della  maggior 
tribuna  di  quello.  Pure,  a  giudicarla  qual  saggio,  non  sembra  ch'ella  in 
tutto  risponda  al  valore  altissimo  di  poi  spiegato  dal  Gagini  nelF  arte  ,  e 
pare  in  vece  più  tenga  di  alquanta  timidità  della  scuola,  che  il  precedette. 
Perocché ,  sebbene  generalmente  essa  renda  il  tipo ,  il  carattere ,  il  sen- 
timento proprio  di  lui ,  che  indi  egli  impresse  con  maggior  vigoria  ed  e- 
videnza  ne'  più  famosi  marmi  animati  dal  suo  scalpello ,    vi  é  ancora    non 


l88  I    GAGIXI    Ji    LA    SCULTURA     IX    SICILIA 


poco  a  desiderare  di  quel  sapiente  magistero,  ond'egli  poi  rese  tanto  arren- 
devo! la  pietra  a  rivelare  l'eccelso  suo  genio,  lì  dato,  è  vero,  ammirarvi  la 
più  cara  soavità  verginale  nel  volto  della  Diva  ,  e  delicate  e  morbidissime 
le  sue  mani,  e  un  tutto  di  un'eleganza  e  di  una  preziosità  incomparabile: 
ma  pure  non  si  può  a  meno  di  avvertirvi  un'  esecuzione  non  ancor  giunta 
al  perfetto,  qual  principalmente  risulta  dalla  forma  un  po'  tozza  della  figura, 
dal  manco  di  sviluppo  e  di  felice  espressione  del  putto,  non  meno  che 
da  un  generale  ritegno,  che  quasi  asconde  il  genio  e  la  scienza.  Pregevole 
però  più  che  altro  è  il  mentovato  bassorilievo,  di  che  la  base  è  storiata, 
laddove  la  delicatezza  e  la  purità  delle  linee  ,  con  che  tale  scultura  è  con- 
dotta, han  molto  riscontro  con  quelle  de'  più  progrediti  maestri  dell'età  in- 
nanzi, e  specialmente  di  Domenico,  alla  cui  scuola  Antonello  educò  prima- 
mente il  suo  ingegno.  Laonde,  recando  egli  da  lungi  in  patria  quella  sua 
giovanile  opera,  non  trascurò  far  ricordo  in  essa  mercè  la  riferita  iscrizione 
a'  suoi  concittadini  com'egli  fosse  della  stessa  ior  terra  nativo  e  figlio  ap- 
punto di  quel  Domenico,  di  cui,  come  egregio  scultore,  morto  non  più  che- 
undici  anni  innanzi,  viva  e  onorata  durava  ancor  la  memoria. 

Comunque  poi  generalmente  fin  ora  siasi  stimato  ,  che  quella  statua 
fosse  un  de'  primi  lavori  da  lui  eseguiti  in  patria  dopoché  stabilmente  vi 
fu  ritornato  da  Messina,  e  ch'essa,  dappiè  segnata  del  nome  dello  scultore 
e  della  data  del  12  di  novembre  del  1503,  accertasse  avvenuto  alcun  tempo 
innanzi  quel  ritorno,  pare  che  adesso  in  vece  non  sia  più  da  dubitare, 
che  in  Messina  sia  stata  scolpita  e  di  là  recata  in  Palermo,  laddove  della 
dimora  colà  dell'  artefice  nel  precedente  aprile  e  nel  febbraio  seguente  e 
per  altri  quattr'  anni  appresso  è  ora  certezza  da  documenti  testé  rinve- 
nuti, non  men  che  dell'assoluto  suo  ritorno  di  poi,  quando  gli  fu  mestieri 
per  l'ingente  opera  assunta  della  tribuna  del  duomo  palermitano.  Pure  per 
altri  documenti  è  chiaro  ad  un  tempo  ,  che  ,  soggiornando  ancor  egli  in 
Messina,  più  d'una  volta  ne  partì  recandosi  in  patria,  dove  il  troviamo  ap- 
punto in  novembre  del  1503,  non  sol  perchè  certo  allora  dovette  avervi  re- 
cato e  messo  a  luogo  la  mentovata  statua  di  Nostra  Donna  nel  duomo, 
siccome  la  data  dell'iscrizione  dimostra,  ma  ancor  perchè  in  quel  tempo 
ebbe  ad  iniziarvi  altre  sue  pratiche  per  assumere  più  notevol  lavoro.  Laonde 
si  ha  per  pubblico  atto  del  17  di  novembre  di  detto  anno,  ch'egli  in  Pa- 
lermo istituì  suo  procuratore    maestro    Antonio  di   Ransano ,    suo    patrigno 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  IV.  189 

(quel  medesimo,  cui  vedemmo  ad  alti"'  uopo  aver  fatto  egli  dinanzi  pro- 
cura da  Messina  nel  1498),  acciò  per  parte  di  lui  promettesse  ai  fidecom- 
missarì  del  nobil  uomo  defunto  Francesco  Diana  ed  al  convento  di  S.  Cita, 
ch'egli  farebbe  loro  i  lavori  in  marmo  per  la  tribuna  dell'aitar  maggiore  della 
chiesa  del  detto  convento,  de'  quali  aveva  di  già  fornito  i  disegni  (').  Mo- 
tivo torse  di  tale  procura  era  il  non  potere  più  a  lungo  trattenersi  lo  scul- 
tore in  Palermo ,  allorché  altre  faccende  dell'  arte  non  gli  permettevan  di 
molto  assentarsi  da  Messina  ;  e  quindi  ,  poiché  indugiavasi  a  stabilire  il 
contratto  per  quell'  opera  ,  lasciando  egli  il  Ransano  a  rappresentarvelo  a 
suo  tempo  e  ad  obbligatisi  in  tutto  per  lui  ,  iacea  tosto  in  Messina  ri- 
torno. Quivi  appare  di  fatti  a  23  di  febbraio  VII  ind.  1503  (1504),  che  il 
Gagini,  mettono  messinese,  obbligossi  scolpire  in  marmo  per  la  chiesa  dei  mo- 
nastero o  convento  di  S.  Maria  di  Gesù  nell'isola  di  Malta  una  statua  di 
Nostra  Donna  col  bambino  sulla  sinistra  e  con  la  destra  in  atto  di  tenere 
un  fiore,  convenendo  a  tal  uopo  pel  detto  convento,  un  Antonello  Faga, 
procuratore,  ed  un  frate  Antonio  da  Terranova;  la  quale  statua,  dell'al- 
tezza di  sette  palmi  (m.  1.81),  compresone  uno  di  base,  e  adorna  d'oro 
ed  azzuolo  nelle  parti  opportune,  dovea  lo  scultore  consegnar  compiuta  in 
Messina  per  la  vegnente  festività  del  Signore,  pel  prezzo  in  tutto  di  once 
venti  (1.  it.  255)  (2).  F  circostanza  notevole,  che  nel  pubblico  atto  stipulato 
per  tal  lavoro  sono  segnati  qua'  testimoni  il  magnìfico  Antonio  La  Rocca  ed 
un  Pantaleone  Giurba:  onde  par  molto  probabile,  che  il  La  Rocca,  che  già 
vedemmo  avere  allogato  al  Gagini  una  statua  di  egual  soggetto  pel  convento 
di  S.  Maria  di  Gesù  in  Messina,  gli  abbia  poi  fatto  affidar  l'altra  per  la 
chiesa  dell'  omonimo  convento  di  Malta.  E  certamente  fu  essa  eseguita,  e 
tuttavia  colà  debb'esistere,  avendo  rilevato  l'Abela  «  da  alcune  memorie  no- 
ce tate  in  un  antico  libro  del  convento,  che  l'immagine  della  Beata  Vergine, 


(')  Eodtui  xvij*  novftnbris  vij.'  imi.  i$o$.  3/CagUter  xAntonius  de  Gàginis,  scultor,  civis  pa.,  corani  iio!>i<, 
onnii  jure,  modo,  via  et  forma,  quibus  meiius  pclnit  ci  poìest,  sponte  constituit,  fecit  et  sollemniter  ordinavit  smini 
vanni  et  legitimum  pfocuratorem  magistrum  Antonium  de  'Rjinsan?,  eius  vitrìcum,  preseuteiu  et  volentem  oc prc- 
mictentem,  racione  et  prò  parte  ipsins  constituentis ,  magnifici*  fidecommissarìis  quondam  magnifici  d.  Francisci  de 
'Diurni  et  venerabili  convertili  Sancte  Cile  Panonni,  qnod  dictus  constituens  construeret  et  faceret  iìla  opera  mar- 
morea uà  opus  t ribone  aìtaris  magni  ipsius  convmtiis ,  ju.xta  designa.  —  Ttstis:  magnificiti  domimis  Antonius  de 
'Kjixnaldo,  no.  Jo.  l'ine, veius  de  Luna  et  no.  Lucius  Pasture/la.  —  Dal  volume  di  num.  1764  de'  registri  di  no- 
tar Matteo  Fallerà,  an.   1503-4,  ind.  VII,  log.   567-8,  nell'archivio  de'  nctai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera  num.  XLVI. 


I9O  1    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


«  di  fino  alabastro,  di  altezza  naturale,  sia  stata  fatta  in  Messina  l'anno  1504, 
«  opera  egregia  d'  un  certo  Antonio  della  città  medesima ,  »  pel  quale  non 
è  da  intendere  che  senza  fililo  il  Gagini  (')•  Da  ciò  del  resto  ben  chiara- 
mente si  vede  siccome  al  giovine  artefice  in  Messina  non  mai  ristassero  di 
provenire  occasioni  di  nuove  opere,  non  pur  da  varie  parti  dell'  isola,  ma 
anche  di  fuori,  dove  di  già  estcndevasi  la  fama  del  suo  gran  nome. 

Non  ostante  poi  la  mentovata  procura  fatta  al  Ransano  per  l'opera  da 
assumere  nella  tribuna  della  chiesa  di  S.  Cita  ,  fece  il  Gagini  ritorno  in 
patria  nel  seguente  anno  1504  ad  esserne  presente  egli  stesso  alla  stipula- 
zione del  contratto.  Non  dove  oggi  si  vede  era  allora  la  detta  chiesa  ,  ma 
in  prossimo  sito,  rimpetto  quella  in  pria  di  San  Luca  ed  or  di  San  Giorgio 
de'  Genovesi,  con  la  tribuna  ad  oriente  rivolta  e  con  la  porta  ad  occidente, 
contigua  al  convento  de'  frati  Predicatori  ,  cui  apparteneva  ,  nel  luogo  ap- 
punto dell'ospedale  militare  odierno.  Ivi  avendo  que'  frati  ottenuto  nel  1429 
una  più  antica  chiesa,  che  sotto  il  titolo  di  S.  Cita  vi  avevano  con  un  loro 
spedale  i  mercadanti  lucchesi  da  più  tempo,  quella  riedificarono  nel  1458: 
ma  benché  intitolato  l'avessero  in  San  Vincenzo  Ferreri,  allor  da  recente  ca- 
nonizzato ,  non  mai  ella  depose  1'  antico  nome.  Era  la  maggior  tribuna  di 
essa  ,  con  tutto  intero  il  coro  e  1'  aitar  maggiore  ,  di  assoluta  spettanza  o 
patronato  della  nobil  casa  de'  Diana  ,  per  dritto  precedentemente  acquista- 
tone, com'era  costume.  Avvenne  dunque,  che,  venuti  da  non  guari  a  morte 
i  patroni  Federico  e  Francesco  Diana,  padre  e  figliuolo,  legarono  insieme 
entrambi ,  a  crescere  ornamento  e  decoro  a  quella  ,  una  somma  di  onze 
cencinquanta  (1.  it.  1912.50),  da  pagarsene  e  spendersene  quindici  in  cia- 
scun anno  (1  it.  191.25),  dieci  cioè  per  legato  di  Federico  e  le  altre  cin- 
que per  quello  del  figlio.  Trovandosi  poi  tutore  testamentario  della  loro 
eredità  il  magnifico  Francesco  Bologna,  e  volendo  puntualmente  adempire  le 
disposizioni  e  i  voleri  di  quelli  ,  non  trascurò  andare  in  traccia  di  alcun 
buono  e  sperimentato  scultore  per  decorar  degnamente  in  marmo  la  tribuna 
di  S.  Cita  ,  e  ,  preso  anche  all'  uopo  il  parere  del  magnifico  dottore  Giovan 
Luigi  Settimo,  contutore  ,  determinò  prescegliervi  lo  scultore  Antonio  Ga- 
gini, che  si  offeriva  costruire  quell'opera  (2).  Meglio  anzi  risulta  da  più  parti- 
colareggiato documento  ,  che ,  volendo  il  Bologna  spendere  a  tale  scopo  la 


(')  Abela,  Malta  illustrata.  In  Malta,  MDCCLXXX,  lib.  Ili,  notiz.  X,  §  VII,  pag.  308. 
(2)  Vedi  fri'  'Documenti  al  num.  XLVII. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  IV.  191 


detta  somma,  i  frati  di  S.  Cita  il  pregarono  perchè  non  altri  scegliesse  che 
il  Gagini ,  siccome  quello  ,  di  cui  eran  essi  informati  esser  perito  ed  ottimo 
scultore,  che  V  ape  ni  avrebbe  fatto  più  bella  e  delicata  che  ogni  altro  (').  Per  la 
qual  cosa,  addì  27  di  agosto  del  1504,  convennero  per  pubblico  atto  in 
Palermo  il  giovine  artefice  ed  il  detto  tutore  per  parte  de'  minori  eredi 
Diana,  obbligandosi  il  Gagini  a  costui  per  tutto  il  lavoro,  eh'  era  da  fare  a 
decorazione  della  maggior  tribuna  della  chiesa  anzidetta.  E  prima  un  arco, 
lavorato  e  figurato  da  ambi  i  lati,  alto  di  suo  vano  ventotto  palmi  (m.  7.21) 
e  largo  diciotto  (m.  4.64),  con  suoi  ampli  pilastri  e  contrapilastri  e  sovra- 
stante cornice  di  determinate  larghezze  e  con  tutte  quelle  sculture  ed  ogni 
maniera  di  lavori,  quali  apparivano  nel  disegno  di  già  eseguito.  Indi  l' icona 
del  detto  aitar  maggiore  ,  di  buono  e  perfetto  marmo,  alta  ventidue  palmi 
e  mezzo  (m.  5.80)  dal  sottostante  scannello  sino  alla  testa  dell'  angelo  in 
cima,  e  larga  quattordici  palmi  (m.  3.62)  nell'inferiore  cornice  del  detto 
scannello  ;  ed  altresì  un  grande  altare  in  marmo  con  due  porte  pure  in 
marmo  da'  lati  e  delle  dimensioni  medesime  di  quello  ,  che  fin  allora  ivi 
era,  ma  con  le  sculture  e  lavori  e  proporzioni  giusta  il  tenore  del  mentovato 
disegno.  A  tali  opere  lo  scultore  era  tenuto  dar  principio  dal  primo  di  del- 
l' entrante  settembre,  e  proseguire  in  tal  guisa  ,  che  fra  un  anno  e  mezzo 
desse  compiuto  il  detto  arco,  facendo  a  sue  spese  imbarcarlo  e  portarlo  in 
Palermo  al  convento;  con  che  poi  dovesse  tosto  imprender  l'opera  del- 
V icona  per  darla  in  tutto  spedita  un  altr'anno  e  mezzo  appresso,  curandone 
parimente  il  trasporto  a  sue  spese  ed  a  suo  rischio  e  pericolo.  Pel  tutto 
stabilivasi  il  prezzo  di  onze  cencinquanta  (1.  it.  1912.50),  delle  quali  l'arte- 
fice dichiarava  già  ricevutene  trenta  (1.  it.  382.50),  e  del  restante  ne  avrebbe 
avute  quindici  alla  fine  di  marzo  in  ogni  anno  sino  a  venir  soddisfatto  del- 
l'intera somma.  Siccome  però,  stipulato  cotal  contratto  col  Bologna,  non  ri- 
manea  pago  il  Gagini  del  prezzo  in  esso  convenuto  ,  stimò  rivolgersi  ai 
frati  di  quel  convento,  perché  da  lor  parte  avesser  voluto  accrescere  altre  once 
trenta  a  quanto  si  era  già  stabilito.  Né  quelli  indugiarono  a  condiscen- 
dere a  sì  ragionevol  dimanda,  laddove,  ratinatisi  tutti  in  capitolo  con  fa- 
coltà e  consenso  di  fra  Giovanni  di  Oddo,  provinciale  dell'ordine  de'  Pre- 
dicatori in  tutto  il  regno  di  Sicilia,  non  sol  promisero  allo  scultore  le  dette 
once  trenta  al  total  compimento  dell'opera,  ma  tolsero  anche  a  lui  l'obbligo, 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  al  num.  XLVIII. 

26 


1^2  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 


ch'egli  avea  assunto,  delle  spese  di  trasporto  de'  marmi  dalla  marina  di  Pa- 
lermo al  convento  e  non  meno  del  loro  assetto  nella  chiesa,  con  che  però 
egli  dovesse  intervenirvi  in  persona,  prestandosi  anche  il  convento  a  dare 
al  medesimo  ed  a'  suoi  lavoranti  il  vitto  per  tutto  il  tempo  opportuno. 
Del  che  in  nome  de'  detti  frati  si  obbligò  espressamente  al  Gagini  il  loro 
sottopriore  fra  Giovanni  de'  Branci  per  pubblico  strumento  in  data  del  30  di 
agosto  del  medesimo  anno,  tre  giorni  dopo  appena  dalla  stipulazione  del  prin- 
cipale contratto.  È  chiaro  poi  da  tali  notizie,  qua'  si  raccolgono  da  documenti 
del  tempo,  che,  dovendo  quelle  sculture  venir  trasmesse  per  mare  in  Pa- 
lermo, non  altrove  l'artefice  si  proponeva  eseguirle  che  in  Messina,  dov'egli 
ancora  aveva  stabil  soggiorno  ,  neppur  d'  allora  prevedendosi  il  suo  vicino 
diffìnitivo  ritorno  in  patria,  quai  pochi  anni  appresso  indi  avvenne.  Ma  poi 
nel  fatto  di  tutti  que'  lavori  della  mentovata  tribuna,  i  quali  egli  dovea 
fornire  e  collocare  in  tre  anni,  nulla  in  cotale  spazio  venne  in  Messina  e- 
seguito,  né  trasmesso  in  Palermo  ;  e  bisognò  passassero  quasi  altri  dodici 
anni,  perché,  già  morto  il  Bologna  e  ripresa  l'opera  sotto  il  nuovo  tutore 
Guglielmo  Spatafora ,  non  fu  essa  totalmente  finita  e  collocata  se  non 
nel  1517.  Laonde  di  tal  sontuosa  decorazione  ancora  esistente,  la  qual  senza 
fallo  è  il  più  insigne  lavoro  in  tal  genere  di  ornamentali  congegni,  che 
tuttavia  rimanga  del  sovrano  artefice  in  patria,  gioverà  tornare  a  dire  a  suo 
luogo  più  tardi,  quand'essa  effettivamente  in  Palermo  fu  lavorata,  dopoché 
egli,  come  vedremo,  vi  fermò  sua  stabil  dimora. 

Questo  per  ora  é  innegabile,  che,  spediti  i  contratti  col  Bologna  e  coi 
frati  per  la  detta  tribuna  negli  ultimi  giorni  di  agosto,  non  indugiò  il  Ga- 
gini a  rendersi  in  Messina,  avendosi,  che  addi  7  di  ottobre  del  1504  con- 
venne colà  con  un  Giovanni  Coco  da  Catanzaro  pel  lavoro  di  un'altra  sta- 
tua di  Nostra  Donna  in  marmo,  che  dovea  essere  in  tutto  simile  a  quella  so- 
praddetta della  chiesa  di  S.  Maria  della  Grazia  in  Nicotra,  pel  prezzo  di 
once  venti  (1.  it.  255),  di  cui  una  metà  venivagli  tosto  anticipata,  doven- 
dosi corrispondergli  l' altra  al  compimento  ed  alla  consegna.  E  non  par 
dubbio,  che  appunto  per  Catanzaro  sia  stata  essa  eseguita  ,  laddove  si  ha 
fra  le  condizioni  dell'atto,  che  il  Gagini  dovea  curar  d' incassarla  a  spese  del 
compratore  (I).  Ma  non  mi  é  noto  in  qual  luogo  fu  posta  e  se  oggigiorno 
più  esista. 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  num.  XLIX. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  I95 


Primeggiava  intanto  in  Messina  fra'  più  qualificati  soggetti  del  clero  il 
messinese  Antonio  de  Lignaminc,  figliuol  di  quelF  insigne  Giovan  Filippo, 
il  quale  da  medico  di  Sisto  IV  pontefice    dato  avea  prova    di    grandissimo 
amore  alle  scienze  ed  alle  lettere,  celebre   per   avere    in  Roma  promossa  la 
stampa  nascente.    Il  detto  Antonio,    siccome  altamente  stimato    dalla  corte 
romana  e  non  meri  dal  governo  dell'  isola  ,    avea    già   conseguito  in  patria 
gran  dignità  e  prebende,  fra  cui  più  contavano    la  commenda    di  S.  Maria 
di  Gala  e  il  decanato  del  duomo  messinese ,   dov'  egli    poi   fra   non  molto 
assumer    dovea  il  pastorale    e   distinguersi  fra'  più  illustri    arcivescovi.  Es- 
sendo costui  dunque  prelato  di  splendido  animo    e  delle  arti  amantissimo, 
non  men  che  di  pingue  avere  fornito  ,    ben   di    leggieri  concepi    la    nobile 
idea  di  affidare  al  Gagini  tale  opera,  da  cui  molto  decoro  provenisse  all'arte, 
alla  propria  famiglia  ed  alla  chiesa,  ossia  una  grande  e  sontuosa  decorazione 
in  marmo  di  una  sua  cappella  nel  detto  duomo.  A  lui  pertanto  in  Messina 
si  obbligò  lo  scultore,  in  data  del  7  di  marzo  VII  indiz.  1503  (1504),  per 
l' intero  lavoro  di  essa,  in  cui  principalmente  andar  dovea  locata  una  figura 
o  statua  di  S.  Maria  del  Soccorso,  conforme  ad  un  disegno  di  già  eseguito 
e  approvato.  Era  l'arco  di  tale  cappella  da  farsi  della  larghezza    di  vano  di 
nove  palmi  (m.  2.32),    ed    alto   tredici  (m.   3.35),    con  pilastri  larghi  due 
palmi  (m.  0.52)  al  di  dentro  e  al  di  fuori  di  esso,  e  con  ornati  a  rosoni 
nella  parte  interiore  al  di  sopra.  Vi  avrebbe  dato  nella  sommità  compimento 
un  architrave  con  fregio  e  cornice  di  tre  palmi  (m.  0.77),  ricorrendo  anche 
sulla  cornice  stessa  due  figure  di  tutto  rilievo  dell'Annunziata  e  dell'angelo, 
alte  ciascuna  altrettanto:  oltreché  in  mezzo  all'arco  della  cappella  al  di  dentro 
dovea  prender  luogo  la  detta  statua  di  Nostra  Donna  del  Soccorso,  alta  sette 
palmi,  inclusovi  uno  di  base  (m.   t.8i),   e  sotto  la  statua  il  sepolcro  dello 
stesso  De  Lignamine  con  la  figura   di  lui  al  naturale   scolpita  sopra  il  co- 
perchio. A  di  più  ancora  una  lastra  di  marmo   era   dallo   scultore  da  lavo- 
rarsi con  una  figura  di  donna    di  palmi  cinque  (m.   1.29)  ed  uno  di  spazio 
agli  estremi  (m.o.  26)  e  con  analogo  epitaffio:  ma  non  si  dice  in  che  sito  pre- 
cisamente doveva  andar  posta  in  detta  cappella.  Questa  con  tutti  i  cennati 
lavori  diligentemente  eseguiti  era  egli  poi  tenuto  fornire  fra  un  anno  e  mezzo 
a  contar  dalla  prossima  Pasqua,  e  farne  consegna  nella  sacrestia  del  duomo 
di  Messina,  e  poi  murar  la  cappella  stessa  nel  luogo  destinato  :  il  tutto  pel 
prezzo  di  onze  cinquanta  (1.  it.  637.50)  da  pagarsi  a  rate  di  dieci  ogni  qua- 


194  l    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


driniestre,  durante  il  corso  dell'opera  (!).  Ma  checche  ne  sia  stato  il  motivo, 
non  fu  indi  essa  scolpita  dal  Gagini  ,  il  quale  ,    partitosi  poi  da  Messina  e 
ritornato  in  patria,  pare  n'  abbia  deposto  interamente  il  pensiero.  Non  fece 
però  altrettanto  il  generoso  De  Lignamine,  il  quale,  indi  promosso  al  mes- 
sinese arcivescovado  nel   15 14,  fra  le  molte  e  svariate  opere,  onde  crebbe 
sempre  decoro  alla  sua  chiesa,  effettuò  più  tardi  l'antica  idea  di  ornar  son- 
tuosamente   di    marmi    cotal    cappella,    dove   una  latina  iscrizione   fin    oggi 
accenna,   che  fu  da  lui    dedicata  nel    1530.   Venne    ivi   però    mutato    quasi 
del  tutto  il  disegno,  che  col  Gagini   si  era  già   stabilito,  laddove    non    fu 
più  essa  intitolata  a  S.  Maria  del  Soccorso,  ma  bensi  a  Nostra  Donna  della 
Pace,  in  ricordanza  e  sacro  monumento  della  concordia  fermata  in  Messina 
fra  nobili  e  popolani  dopo  accanite  ed  intestine  contese,  che  la  conciliatrice 
opera  del  prelato  avea  di  già  riuscito    a    comporre.    Al   di  dentro  pertanto 
dell'arco,  tutto  all'  intorno  decorato  di  fregiature   ricchissime    e    di    elegante 
stile,  vi  andaron  locate  nella  parete  sull'altare,  del  pari  ornatissimo  di  scul- 
ture, nel  mezzo  una  Nostra  Donna  sedente  col  Cristo  morto   sulle  ginoc- 
chia, e  da'  lati  S.  Pietro  e  S.  Antonio  di  Padova  :  statue  di  buona  scuola, 
ma  di  non  molta    delicatezza  di  gusto.    Sulla  cornice    però    sovrastante  al- 
l' arco ,    in  un  frontispizio    di   emisferica  forma ,  fu  posta  e   tuttora  si  vede 
in  alto  rilievo  la  Vergine  del  Soccorso,  primitiva  titolare  ,    in  atto  di  per- 
cuotere con  la  consueta  clava  il  demonio  e  liberarne  un'anima  dalle  insidie, 
standovi  dall'una  banda  e  dall'altra  devotamente  genuflessi  S.  Antonio  sud- 
detto e  lo  stesso  arcivescovo.  La  tomba  di  costui  con  la  sua  figura  giacente 
in  abiti  ponteficali  non  ha  più   luogo,  coni'  erasi  già  convenuto  col  Gagini, 
sotto  la  figura  di  Nostra  Donna  nella  cappella,  ma  vedesi  in  vece  con  altre 
tombe  di  arcivescovi  in  vicinanza  di  essa,  a  capo  della  nave  minore  del  lato 
destro  del  tempio.  E  tutte  le  cennate  sculture  è  poi  molto  probabile  siano 
state  condotte  dal  carrarese  Giambattista  Mazolo  ,  il   quale  non  guari  dopo 
la  partenza  del  palermitano  scultore  assunse  il  primato  dell'arte  in  Messina, 
e,  siccome  vedremo,  fiori  appunto  nel  tempo,  in  cui  effettuò  il  De  Lignamine 
nel   1530  la  decorazione  della  cappella  suddetta,  qual  non  avea  potuto  aver 
dal  Gagini  eseguita. 

Di  costui  trovasi  inoltre,  che  a   19  di  ottobre  del   1504  si  obbligò  pa- 
rimente in  Messina  ad  un  Rainieri  Romano  pel  lavoro  di  una  custodia  del 


(')  Vedi  fra'  Documenti  rum.  L. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAI».  IV. 


195 


Sacramento  in  marmo,  dell'  altezza  di  palmi  cinque  (m.  1.  29)  dal  piede 
sino  alla  sovrastante  cornice,  e  tre  larga  (m.  o.  77),  con  al  di  sopra  un 
semicerchio  e  dentrovi  un  gruppo  della  Pietà  tra  due  angeli,  e  sopra  il  vano 
della  custodia  un  calice  con  l'ostia  ed  altri  fregi  e  fogliami  ben  lavorati  e 
scolpiti.  Cotale  opera  prometteva  1'  artefice  consegnar  fornita  in  Messina  di 
li  alla  prossima  festa  del  Natale  ,  pel  prezzo  di  onze  cinque  e  tari  quindici 
(1.  it.  70.  12),  di  cui  già  una  ei  ricevevane  a  conto  (x).  Ma  non  accennan- 
dosi punto  nel  contratto  il  luogo,  in  cui  quella  doveva  andar  collocata,  non 
è  agevole  al  certo  rintracciarla  ,  se  pure  esista.  Aggiungo  solo  ,  che  molto 
sente  l'elegantissimo  stile  del  Gagini  un  importante  avanzo  di  un'  altra  cu- 
stodia o  ciborio  in  marmo  bianco,  che,  da  non  guari  trovato  sotterra  sca- 
vando non  so  per  qual  causa  vicino  al  duomo  di  Messina,  venne  incastrato 
in  una  parete  interna  del  sotterraneo  del  duomo  stesso.  Vi  ricorrono  in  mez- 
zano rilievo  da  ciascun  de'  due  lati  tre  gruppi,  ognuno  di  tre  cherubini  in 
adorazione,  tenendo  i  sei  sovrastanti  di  essi  dall'una  banda  e  dall'altra  due 
strisce  coi  versi  seguenti  del  sacro  inno  :  verbvm  caro  panem  vervm  verbo 

CARNEM    EFFICIT.  —  TANTVM    ERGO    SACRAMENTVM    VENEREMVR     CERNVI.    VedeSl 

inoltre  al  di  sopra  in  mezzo  il  Cristo  legato  alla  colonna  fra  vari  angio- 
letti ,  che  recano  gli  strumenti  della  sua  passione ,  e  più  su  ancora ,  a 
compimento  dell'opera,  una  maggior  figura  del  Redentore  con  altri  angio- 
letti da'  lati,  librandosi  vagamente  sull'ali  e  adorando.  Dalla  molta  eleganza 
del  tutto  e  dall'  esecuzione  pregevolissima  dello  scolpito  ben  si  ha  intanto 
ragione  da  sospettare,  che  il  Gagini  abbia  potuto  altresì  avere  eseguito  pel 
duomo  di  Messina  cotal  ciborio ,  che  indi  é  facile  siane  stato  rimosso  e 
vandalicamente  buttato  fra  le  macerie,  quando  nel  secolo  XVII  fu  ivi  dato 
luogo  alle  barocche  decorazioni  di  marmi  a  vari  colori  nella  cappella  ed 
altare  del  Sacramento.  Ma  non  ne  é  del  resto  alcuna  certezza. 

È  indubitato  però,  che  anche  in  Messina,  per  atto  in  data  del  7  di 
novembre  del  1504,  veniva  ad  Antonello  affidato  il  lavoro  della  decorazione 
in  marmo  di  una  porta,  ond'  egli  obbligossi  ad  un  frate  carmelitano  Barto- 
lomeo di  Parisio,  procuratore  del  convento  minore  della  sua  regola  in  Cata- 
nia (2).  Dovea  la  detta  porta  esser  d'  altezza  di  vano  otto  palmi  (m.  2.06), 
e  quattro  larga  (m.  1.  03),  con  suo  guardapolvere  o  dadi  ornati  a  fogliami, 

(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  nuni.  LI. 
(2)  Vedi  fra'  Documenti  num.  LII. 


I96  1    GAGIKI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


co'  pezzi  laterali  di  un  palmo  e  mezzo  di  larghezza  e  con  l'architrave  tutto 
d' un  pezzo  ed  altri  particolari,  giusta  il  disegno  di  già  eseguitone  pria.  La 
quale  opera  (pel  prezzo  di  once  undici  (1.  it.  140.  25),  di  cui  già  tre  si  c- 
rano  ricevute  dallo  scultore)  promettea  egli  consegnarla  fornita  in  Messina 
il  primo  del  prossimo  gennaio,  laddove  indi  il  procuratore  suddetto  a- 
vrebbe  curato  imbarcarla.  Ma  indarno  oggidì  sen  cercherebbe  traccia  in  Ca- 
tania, giacché  gli  antichi  edifìci  de'  due  conventi  carmelitani,  eh'  erano  in 
essa,  andarono  totalmente  in  ruina  con  le  rispettive  lor  chiese  nel  tremuoto 
del  1693,  e  non  vi  ha  vestigio  di  antico  nelle  nuove  fabbriche,  che  vi  furono 
erette  di  poi. 

In  seguito,  a  27  di  settembre  del  1507,  trovasi,  che  in  Messina  pari- 
mente convenne  Antonello  per  pubblico  atto  con  un  Federico  Blandina  da 
Milazzo,  come  podestà  della  chiesa  di  S.  Maria  del  Crispino,  per  una  piccola 
statua  in  marmo  dì  Nostra  Donna  col  figlio  in  grembo  ,  alta  soltanto  due 
palmi  e  due  terzi  (in.  o.  70),  oltre  un  palmo  di  piedistallo  (m.  o.  26),  toccata 
d'oro  a  mistura  e  d'azzuolo  e  ben  lavorata,  la  quale  pel  prezzo  di  once  sei 
e  tari  quindici  (1.  it.  82.  87)  dovea  lo  scultore  consegnare  a  quello  spedita 
nella  propria  bottega  o  studio  di  lì  alla  metà  del  vegnente  novembre  (!). 
Non  mi  é  chiaro  però  fin  ora  qual  sia  precisamente  la  detta  immagine,  che 
pare  abbia  dovuto  il  Gagini  puntualmente  avere  eseguita  ,  avutane  già  egli 
anticipata  un'oncia  a  conto  del  prezzo  alla  stipulazion  del  contratto.  Che  se 
per  poco  non  vogliasi  stare  nel  più  stretto  senso  alla  lettera  del  contratto 
medesimo ,  che  accenna  la  mentovata  chiesa  del  Blandina  situala  in  terra 
C\Cilacii,  stimo  che  per  essa  piuttosto  sia  da  intendere  il  santuario  rinoma- 
tissimo del  titolo  appunto  della  Madonna  del  Crispino,  compreso  nell'an- 
tica comarca  milazzese  nel  vicino  bosco  di  Monforte ,  dov'  è  ancora  in 
gran  culto  e  molto  tenuta  in  pregio  di  bellezza  una  statuina  della  Vergine 
Madre  col  putto,  che  (non  ostante  la  volgare  tradizione  di  essere  stata  colà 
nascosta  durante  il  musulmano  dominio)  ben  può  darsi  non  sia  che  1'  o- 
pera  del  nostro  Antonello.  Ma  non  ne  ho  ancora  certezza  per  non  averla 
osservata. 

Più  notevole  opera  di  lui,  e  certo  una  delle  più  segnalate,  cui  die  oc- 
casione la  sua  dimora  in  Messina,  vidi  però  in  Castroreale,  qual  è  il  son- 
tuoso sepolcro  di  Geronimo  Rosso  nella  chiesa  dell'  abolito  convento  de'  frati 


(')  Vedi  fra'  "Documenti  num.  LUI. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  IV.  I97 


Minori  Osservanti  di  San  Francesco.  Poggia  ivi  la  cassa  sepolcrale  orna- 
rissima  su  tre  pilastrini  pur  vagamente  fregiati,  recando  sul  coperchio  una 
stupenda  figura  giacente  dell'  estinto  in  atto  di  profondo  sonno  con  una 
mano  sotto  la  guancia  e  con  un  cane  fra'  piedi  ,  mentre  vi  accresce  de- 
coro all'esterno  un  arco  adorno  di  vaghissime  fregiature,  qua'  son  de'  primi 
esempi  del  più  perfetto  gusto  ,  a  cui ,  non  men  che  la  figurativa  ,  venivasi 
ognor  più  sollevando  l'ornamentale  scultura.  E  vi  si  legge  :  prò  mag.co  hie- 
ronimo  rvbeo  a.0  D.'  m.°  ecce.0  vi0.  Ma  tale  iscrizione  allude  certamente  al 
solo  sepolcro,  che  prima  il  Gagini  dovette  avere  scolpito  e  collocato ,  lad- 
dove indi  per  maggiore  ornamento  venne  stimato  aggiungervi  l'arco  anzi- 
detto, qual  da  lui  pure  in  appresso  fu  fatto.  Per  pubblica  scrittura  quindi 
del  dì  11  di  ottobre  del  1507  si  ha,  che  in  Messina  lo  scultore  obbligavasi 
ad  un  frate  Antonino  Zanchi ,  guardiano  del  luogo  della  terra  di  Castro- 
reale,  pel  lavoro  di  un  arco  in  marmo  da  farsi  appunto  sul  sepolcro  del 
magnifico  Geronimo  Rosso  defunto ,  dell'  altezza  di  palmi  nove  di  vano 
(m.  2.  32),  ed  otto  e  mezzo  largo  (m.  2.  19),  con  ornati  a  fogliami  larghi 
un  palmo  (m.  o.  26)  e  di  mezzo  palmo  di  spessezza,  lavorati  giusta  un 
disegno  già  fattone  dall'  artefice  ,  e  con  uno  scudo  con  armi ,  tenuto  da 
due  gemetti  (spiritelli)  nella  chiave  dell'arco  istesso.  Cotal  lavoro  il  Gagini 
dovea  consegnar  fornito  infra  due  mesi  nella  sua  bottega  in  Messina  ,  pel 
prezzo  di  once  sedici  (1.  it.  204),  da  pagarglisi  in  tre  rate  diverse,  con  che 
fosse  anch'  egli  tenuto  recarsi  alla  fine  in  Castroreale  ,  a  spese  del  nobile 
Angelo  Saccano,  per  la  collocazione  di  quello  (').  Fu  consegnato  in  fatti  e 
collocato  insieme  al  sarcofago  in  perfetta  corrispondenza  alle  condizioni  già 
stabilite;  e  dalla  splendida  riuscita  di  tutta  l'opera  di  quel  monumento,  eh'  é 
certo  ad  annoverare  fra  le  migliori  ,  da  cui  nella  gioventù  dello  scultore  si 
rivelarono  il  suo  genio  e  l'eccellenza  del  suo  invidiabile  stile,  si  destò  senza 
fallo  fervida  brama  di  possedere  altre  sculture  di  lui  in  quella  nobile  e  pri- 
maria terra  del  messinese  distretto ,  per  cui  altre  diverse ,  e  di  non  picciol 
momento  ,  glien  furon  poscia  in  vari  tempi  allogate,  siccome  sarà  luogo  a 
vedere  appresso.  Noto  qui  solo  per  ora,  che  nella  medesima  chiesa  de'  Mi- 
nori Osservanti  in  Castroreale  in  tutto  ancor  sente  il  giovanile  scalpello  del 
Gagini  una  statua  bellissima  in  marmo  di  Nostra  Donna  col  figliuolino  in 
grembo  ,  alla  qual  cresce  pregio  un  bassorilievo   della   nascita  di   Gesù  nel 


(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  num.  LIV. 


I98  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


presepe  ,  con  somma  vaghezza  e  perfezione  di  stile  condotto  nella  base  : 
onde  molto  probabil  mi  sembra,  che  essa  dall'insigne  artefice  sia  stata  pure 
fornita  non  lungi  dal  tempo ,  quando  vi  fece  il  sarcofago  sopraddetto.  Ma 
non  se  n'  ha  fin  qui  certezza  alcuna  per  documento. 

In  data  inoltre  del  14  di  febbraio  XI  ind.  1507  (1508)  conveniva  in 
Messina  Antonello  col  magnifico  Gilforte  Rizzo  e  col  nobile  Niccolò  Andrea 
di  Palermo,  quali  maestri  o  marammieri  della  chiesa  o  cappella  de'  discipli- 
nanti, che  allor  di  nuovo  colà  si  costruiva  nella  chiesa  e  spedale  dell'Acco- 
mandata, per  l'opera  di  una  porta  da  farsi  per  detta  chiesa  in  bianchi  marmi, 
che  avrebbe  pure  apprestati  lo  scultore,  giusta  un  disegno  appo  lui  già  esistente. 
Dovea  cotal  porta  esser  larga  sette  palmi  e  mezzo  di  netto  (m.  1.  94),  ed 
undici  e  mezzo  alta  (m.  2.  96),  e  lavorata  in  più  che  mezzo  rilievo  ,  la 
quale  era  egli  tenuto  consegnar  loro  fornita  nella  sua  propria  bottega  per 
tutto  il  venturo  settembre,  pel  prezzo  di  once  trentadue  (1.  it.  408),  di  cui 
confessava  l'artefice  averne  ricevuto  già  dodici,  e  delle  rimanenti  gliene  sa- 
rebbero pagate  otto  all'arrivo  de'  marmi ,  e  dodici  poscia  alla  consegna  del 
lavoro  (1).  Ma  per  l'esecuzione  di  esso  passò  molto  più  tempo  di  quanto 
erasi  stabilito,  giacché  appunto  allora,  siccome  vedremo  ,  fece  il  Gagini  ri- 
torno in  patria  ,  dando  così  termine  alla  sua  lunga  dimora  in  Messina. 
Quindi  è  ,  che  in  margine  del  riferito  atto  per  detta  porta  'trovasi  poi  ag- 
giunta nota  in  data  del  24  di  aprile  del  1509,  ond'egli  dichiarava  avere  a- 

(■)  xiiij."  fi chiarii  (XI  ind.  1 507)  (1508).  Magister  Aiilonellus  de  Gelmini  sponte  se  constituit  et  óbligavit 
iiiignìfico  Giliforii  Ri^o  et  nobili  Kicolao  Andree  de  Talcruio,  relitti  magìstris  ecclesìe  discipliuantis,  quae  de  novo 
conslruitur  in  ecclesia  il  hospitali  déla  Accomandata ,  presentibus  etc,  (facere)  quandam  janilam  mannoream  ad 
opus  dietae  ecclesie  cimi  marmoribus  ciusdem  magistri  Antonelli,  quae  sit  et  esse  debeat  de  marmoribus  bonis,  albis, 
pulchcrrimis,  nectis  et  juxta  formarti  designi  existentis  penes  ipsum  viagistrum  Anloneìlum  et  prò  cantiate  partium 
subscripti  inalili  mey  notarti  Jacobi  de  Carissimo.  Quae  quìdeni  janua  erit  ìatitudinis  palmellati  srpìim  et  dimidii 
de  uccio  et  altitudinis  palmorum  undecitn  et  dimidii  de  necto;  quatti  expeditam  eis  dare  et  consigliare  teneatur  per 
tolutn  mensem  septembris  proximo  venturum  in  apoteca  ipsius  magistri  ^intornili;  et  ìabor  sit  ultra  dimidium  relevi. 
Et  hoc  prò  predo  et  predi  nomine  unciarum  trigiuta  dilaniti;,  de  qiiibus  uuciis  triginta  diiabus  idem  tn.'  Anlo- 
nellus confessus  est  se  recepisse  il  Imbuisse  uncias  duodecini  hoc  modo,  videlicet  uncias  decem  per  tnaiius  magistri  Do- 
minici 'Bonaria  argenlarii,  il  uncias  duas  per  banani!  magnifici  Tetri  ZMirulla  per  manus  il  idi  magnifici  Gilifortis, 
1  enunciando,  de.  Htjliquas  vero  uncias  vigiliti  didus  inagnificus  Gilifortis  et  nobilis  Nicola us  Andreas,  corinti  proprio 
nomine  et  in  solidum  per  eos  etc,  in  pace  etc.  et  in  pecunia  numerata  cidein  ntagistro  Antonello  etc.  solvere  pro- 
iniserunt  et  tencanlur  per  stipulacionem  sol/emnem  hoc  modo,  videlicet  uncias  odo  in  adventu  marmorum  ,  quas 
expedat  (sic),  et  uncias  duodecim  ad  complementum  in  consignacionc  diete  janue.  Et  casa  contraventionis,  etc. — 
Presentibus  C\(atbeo  Scarichi,  Vitro  de  Benedicto  ci  Jo.  'Domiiiico  de  Caslellis  et  clerico  Jacoho  Roddoricc.  —Dal 
volume  di  registri  di  notar  Giacomo  Carissimo,  an.  1507-8,  fog.  374,  nell'archivio  de'  njtai  defunti  in  Messina, 
a'  segni  P   39. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  IV.  1 99 

vute  altre  once  otto  a  compimento  di  venti  in  parte  del  prezzo  dell'opera; 
e  nella  nota  istessa  si  afferma ,  che  ,  trasferito  già  lo  scultore  il  suo  sog- 
giorno in  Palermo  e  scorso  il  tempo  della  consegna  di  quella,  nuovamente 
egli  obbligavasi  consegnarla  in  Messina  per  tutto  il  prossimo  giugno  al  più 
tardi  con  tutte  le  condizioni  del  precedente  contratto.  Si  aggiungeva  altresi, 
che  in  caso  d'  inadempimento  da  parte  dell'artefice  potessero  i  marammieri 
mandare  a  spese  di  lui  un  procuratore  ed  una  o  più  navi  in  Palermo  a 
prendervi  con  qualunque  interesse  la  detta  porta  e  recarla  in  Messina  a  tutto 
suo  rischio  e  pericolo  (').  Ma  benché  da  tutto  ciò  sia  da  credere,  ch'essa 
sia  stata  eseguita  in  Palermo  e  colà  trasmessa,  non  é  pur  focile  trovarne  più 
traccia  al  presente,  affermando  il  Samperi  ed  il  Gallo,  che  nel  luogo  mede- 
simo dell'antica  chiesa  e  dell'ospedale  di  S.  Maria  l'Accomandata  poi  sorse 
nella  seconda  metà  del  cinquecento  la  Casa  Professa  de'  Gesuiti,  che  dopo 
la  loro  espulsione  nel  passato  secolo  fu  conceduta  in  seguito  a'  Cistercensi 
con  la  contigua  chiesa  di  S.  Niccolò,  senza  che  vi  rimanesse  vestigio  delle 
fabbriche  anteriori. 

Degli  ultimi  tempi  del  soggiorno  in  Messina  di  Antonello  è  finalmente 
certezza  da  pubblico  strumento  de'  16  di  agosto  del  1508,  ond'  egli  colà 
obbligossi  ad  Antonino  Ansalone  ed  Antonino  Cefilio,  due  de'  confrati  di 
una  confraternita  di  S.  Maria  Maddalena  probabilmente  in  Buccheri,  pel  la- 
voro di  un'immagine  o  statua  in  marmo  di  detta  Santa  con  un  suo  pomo  in 
una  mano  e  nell'altra  un  libro,  alta  sei  palmi  (m.  1.  55),  oltre  uno  di  piedi- 
stallo (m.  o.  26),  dove  si  dovesse  scolpire  anco  una  storia  di  essa.  Cotale 
statua,  fornita  in  tutto,  dorata  ed  incassata,  era  tenuto  l'artefice  consegnarla 
a  coloro  in  Messina    di    lì  a  tutto  il  giugno  del  vegnente  anno  pel  prezzo 


(')  Die  xxiiij.°  aprilis  xij.'  imi.  1/09  prefatus  magister  Antonelìus  Gazini  confessus  est  se  recepisse  et  Im- 
buisse a  prefatis  marameriis  diete  ecclesie,  preseti tibus  etc,  uucius  odo  per  lancimi  magnifici  Tetri  Mimila  in 
partem  pretii  diete  jannae;  et  sunt  ad  complimentum  unciarum  vigiliti.  Et  quia  dictus  magister  Antonelìus  habitat 
'Panhonni  et  teiupus  cousiguacionis  dite  janiie  est  elapsum ,  ideo  veruni  et  de  novo  se  cibi  ig  avi  t  dictis  marameriis 
dictam  januam  juxta  formatti  dicti  contractus  dare  et  consigliare  hi  e  Riessane  per  totittu  metiseni  junii  proxituo  ven- 
turi ad  altius,  et  hoc  modo,  cimi  omnibus  obligationìbus  et  pactis  in  ipso  proxituo  contractu  contentis  et  juxta  eius 
serietà  et  teuorem  etc.  Cinti  parto,  quod  ad  interesse  ipsius  magistri  Antonelli  contravenientis  mittere  possint  ipsi 
maraiiierii  cantra  eum  procuraloretn  ad  expeusas  viaticas  ad  tareuos  quatuor  prò  qualibet  die ,  et  etiain  vaxellutn 
sca  vaxellos  in  Panhormimi  sub  quocumque  interesse  prò  capiendo  ipsatn  januam ,  que  in  omiieni  evoltimi  illinc 
Messanani  veuiet  sub  risico,  periculo  et  expensis  eiusdeni  magistri  Antonelli.  Et  sic  fuit  conventiiiti,  etc. —  Presen- 
libus  u.  Mariano  de  Alwci,  Jo.  de  'Bono  et  Jo.  'Domiiiico  de  Castellis. — Ncta  marginale  aggiunta  nel  precedente 
atto  de'   14  di  febbraio  XI  indiz.   1507  (1508),  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Messina. 

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200  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


di  once  ventiquattro  (1.  it.  306),  confessando  già  egli  averne  ricevuto  di 
presenza  fiorini  dodici,  e  promettendo  i  confrati  pagargli  in  Palermo  il  re- 
stante ,  cioè  il  compimento  di  once  dodici  a  metà  del  lavoro  e  tostoché 
fosse  già  digrossata  la  statua,  e  il  rimanente  di  tutto  il  prezzo  al  termine 
di  essa,  con  che  foss'  egli  in  obbligo  di  mandarla  a  suo  rischio  e  pericolo 
in  Messina,  dove,  di  poi  pervenuta,  starebbe  a  rischio  e  pericolo  de'  con- 
frati (').  Non  ho  assoluta  certezza  intanto,  che  la  medesima  sia  stata  al  Ga- 
gini  allogata  per  Buccheri,  terra  del  Val  di  Noto,  giacché  non  sen  legge  con 
tutta  evidenza  il  nome  a  causa  della  diffidi  grafia  nel  contratto  testé  rife- 
rito. Apprendo  però  dall'Amico  ,  che  quivi  appunto  in  gran  culto  é  tenuta 
la  Maddalena,  a  cui  una  delle  primarie  chiese  trovasi  pur  dedicata  (2);  e 
quindi  stimo  assai  probabile  che  non  per  altrove  la  statua  fu  commessa. 
Nulla  pure  fin  ora  mi  é  riuscito  saperne,  se  veramente  da  Antonello  sia  stata 
di  poi  eseguita,  e  se  colà  per  cura  de'  detti  confrati  abbia  avuto  luogo ,  e 
se  tuttavia  vi  rimanga  fino  al  presente.  Ma  quel,  che  sempre  risulta  notevole 
dal  riferito  documento,  si  é,  che,  comunque  abbia  avuto  o  no  effetto  il  la- 
voro di  quella  statua,  é  certo,  che,  dovendo  essa  venir  lavorata  in  Palermo, 
da  ciò  si  prova  avvenuto  il  diffinitivo  ritorno  dell'artefice  in  patria  nel  1508, 
coni'  é  ancor  chiaro  per  altro  documento  dinanzi. 

Diverse  gite  intanto  per  ragioni  dell'arte  aveva  egli  dovuto  aver  fiuto, 
non  meri  che  in  Palermo,  in  vari  luoghi  dell'isola,  durante  il  decennio  circa 
di  sua  dimora  in  Messina,  essendo  assai  probabile,  che  andato  fosse  in  Ca- 
tania a  consegnarvi  e  collocarvi  sue  opere  ,  ed  in  Castroreale  ,  dov'  era  in 
obbligo  di  recarsi  per  1'  assettamento  del  cennato  arco  marmoreo  dattorno 
al  sepolcro  del  Rosso:  oltreché  par  sicuro  ,  eh'  ei  si  trovasse  in  Nicosia  il 
2  di  novembre  del  1506,  laddove  é  chiara  notizia  di  un  secondo  contratto 
in  tal  data,  rogato  colà  da  notar  Giovanni  Sillitto  ,  per  cui  di  nuovo  egli 
obbligossi  al  gran  lavoro  della  cona  di  S.  Maria,  da  dover  farla  e  consegnarla 
in  Messina  e  spedirla  per  mare  in  'Fusa  (>).  Per  tale  opera  non  meri  che 
sett'  anni  avanti  aveva  il  Gagini  primieramente  convenuto  nel   1499  per  do- 

(  '  )  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  LV. 

(2)  Amico,  Lexicon  topographkum  Siculum.  Panormi,  M.DCC.LVII,  toni.  I,  p.  I,  pag.  9$  e  seg. 

(  3  )  Tal  secondo  contratto  in  Nicosia  del  1 506  viene  allegato  in  un  posteriore  atto  di  consegna  della 
più  parte  di  detta  comi,  rogato  indi  in  Palermo  a'  18  di  marzo  XV  ind.  1 5 1 1  (15 12)  e  che  sarà  riportato 
in  appresso.  Ma  indarno  colà  mi  recai  a  fare  ricerca  di  quello,  giacché  nulla  più  vi  esiste  dell'antico  archivio 
notariale,  che  fu  vandalicamente  mandato  in  fiamme  nel   184S  e  nei    1860. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAI'.  IV.  201 


ver  darla  fornita  in  tre  anni,  come  vedemmo:  ma  per  difetto  di  danaro 
nulla  ancor  si  era  fatto,  e  dovevano  indi  ancora  scorrere  quasi  altri  cinque 
anni  a  finirla,  giacché,  trasferitosi  poi  lo  scultore  in  Palermo  ,  non  altrove 
che  in  patria  la  diede  in  fine  compiuta.  Di  ciò  sarà  luogo  ad  intrattenerci 
più  a  lungo  appresso;  e  qui  solo  importa  notare,  che  la  presenza  in  Ni- 
cosia  dell'insigne  maestro  nel  1 506,  quando  ancora  alla  detta  conti  non  erasi 
dato  principio,  può  far  sospettare  di  qualche  altro  lavoro,  che  ben  potè  egli 
essere  andato  a  collocarvi.  Laonde,  sebben  di  altre  sue  diverse  sculture  pre- 
gevolissime colà  esistenti  sia  certo,  che  furono  in  tempi  posteriori  eseguite, 
non  è  fuor  del  probabile  ,  che  appunto  allora  da  lui  vi  sia  stata  condotta 
una  bella  statuii  fin  oggi  esistente  nella  parrocchia  di  San  Michele,  figurante 
con  corazza  e  scudo  l'arcangelo  in  atto  d' infigger  l'asta  in  bocca  all'infer- 
nale dragone,  che  gli  sta  a'  piedi  prosteso,  storiatavi  all'intorno  la  base  di 
un  prezioso  bassorilievo  con  una  devota  processione  alla  chiesa  del  Santo, 
dove,  non  meno  che  nella  statua,  è  dato  ammirare  quell'ingenuità  e  vergi- 
nale purezza  di  forme  ,  che  pare  rivelino  la  giovanile  maniera  del  sommo 
artefice.  Checché  di  ciò  sia,  risulta  evidente  inoltre  ,  eh'  egli  poscia  recossi 
in  Palermo  nel  seguente  anno,  dove  a  28  di  luglio  del  1507  vedremo  come 
solennemente  abbia  assunto  l'ingente  lavoro,  nel  quale  aver  doveva  il  maggiore 
e  più  splendido  campo  a  segnalarsi  infaticabile  per  tutta  la  vita  il  suo  genio, 
cioè  l'immensa  decorazione  marmorea  della  gran  tribuna  del  duomo.  Ma  è 
chiaro  poi,  che,  fermato  in  patria  il  contratto  per  sì  grand' opera,  dovendo 
passar  non  breve  tempo  a  mettervi  mano  perchè  facea  mestieri  commetterne 
i  marmi  ed  aspettarne  l'arrivo,  ritornò  tosto  il  Gagini  in  Messina,  dove, 
non  men  che  la  famiglia  rimastavi ,  gravi  interessi  dell'  arte  ancora  il  chia- 
mavano, costando  da'  documenti  già  riferiti  ,  che  tuttavia  per  un  anno  al- 
meno egli  ebbe  a  farvi  dimora  e  che  non  pria  della  fine  del  1508  lasciò 
quel  suolo  per  lui  sì  caro  e  ospitale.  Ivi  pertanto  è  innegabile,  ch'egli  per 
quasi  un  decennio  dal  1498  abbia  fatto  costante  soggiorno  ,  dove  anco  la 
Caterina  di  Blasco,  che  vi  avea  tolto  in  moglie,  ebbe  a  renderlo  padre  del 
suo  primogenito  Giandomenico  ,  e  non  so  poi  se  ivi ,  ovvero  in  Palermo, 
del  secondogenito  Antonino.  Né  son  da  ammettere  in  quel  tempo  altre  as- 
senze di  lui  da  Messina  se  non  molto  brevi  e  temporanee  per  le  diverse 
sue  gite  dianzi  cennate  nella  stessa  isola,  come  da  tanta  evidenza  di  do- 
cumenti apparisce,    laddove   altronde    la    pretesa    dimora    del    medesimo  in 


202  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA     IX    SICILIA 


Roma  o  in  Firenze  sotto  Michelangelo  o  Rafaello  in  tempo  della  sua  gio- 
vinezza non  va  che  fra'  tanti  sogni,  che  sul  suo  conto  si  vennero  accumu- 
lando poiché  il  più  detestabile  obblio  ne  avea  totalmente  travolto  le  genuine 
memorie  della  vita. 

Fra  l'indigesta  farragine  di  fandonie,  che  non  ebbe  PAuria  ritegno  d'inti- 
tolare II  Gcigiiio  redivivo  nel  noto  suo  opuscolo  stampato  in  Palermo  nel  1698, 
non  è  delle  ultime  questa,  di  cui  è  da  lasciargli  tutto  il  merito,  riportando 
le  sue  stesse  parole:   «  Finalmente  è  opinione  di  alcuni,  conforme  ha  rife- 
ce rito  il  signor  Pietro  del  Po,  celebre  pittore  palermitano,  che  nel  sepolcro 
«  del  pontefice  Giulio  Secondo  in  Roma  nella  chiesa  di  S.  Pietro   in  Vin- 
ce cula,  fatto  dal  famoso  Michelangelo  Buonarota,  vi  siano  alcune  opere  del 
«  nostro  Antonio  Gagino;    e  queste    sono  gli  ornamenti  di  mezzo    rilievo 
«  ne'  pilastrini  a  canto  al  Moisè ,  e  gli  ornamenti  di  tutto  il  primo  ordine, 
«  dove  sono  le  statue  di  due  Virtù,  come  pure  i  piedistalli  :  lavori  fotti  dal 
«  Gagino  mentre  ritrovavasi  in  Roma  col  detto    Michelangelo  ,  che    lodò  , 
a  anzi  non  lasciò  d'ammirare  lo  scalpello  del  nostro  ingegnoso  scultore  (').  » 
E  del  gran  conto,  in  che  lo  si  volle  tenuto  da  quel  divino,  fa  capo  la  sto- 
riella già  sciorinata  da  Francesco  Baronio  ne'  pochi  scompigliati  cenni    del 
Gagini  e  de'  suoi  figliuoli,  che  si  hanno  nel    terzo    libro    della    sua    opera 
De  majestette  panormitana,  edita  in  Palermo  nel   1630.  Imperocché  narra  egli, 
che,  avendo  il  Buonarroti  fornito  il  suo  Cristo  ignudo  ed  espostolo  in  Roma 
alla  Minerva,  ne  sembrò  sconcia  quella  total  nudità  al  sagrestano,  che  stimò 
ripararvi,  coprendolo  in  alcuna  parte  di  un  pannolino.  Venuto  però  Miche- 
langelo e  ciò  mal  soffrendo,  stracciò  tosto  quel  panno;  e  poiché  l'importuno 
sagrista  volle  tornare  ad  apporvelo,  il  mandò  quegli  di  nuovo  in    brani ,  e 
gli  disse  :    Vanne  hi  meglio  ad  ^Antonio  Gagini  in  'Palermo ,  se  vuoi  un   Cristo 
vestito;  che  quello  è  iuver  singolare  a  vestir  figure  (2).  Da  ciò  accreditavasi  me- 
glio la  favola,  che  già  il  Buonarroti  ne  avesse  conosciuto    il    merito    nella 
sua  scuola  in   Roma.  Né  pur  ciò  bastando  all'annalista  messinese  Caio  Do- 
menico Gallo  ,  che  va  in  tutte  furie  avverso  al    Pirri    ed    all'  Auria    perché 
affermarono  palermitano  il  Gagini,  il  vuole  ad  ogni  modo  nato  in  Messina 
nel    1  i»S4,  e  ito  incontanente  a  Roma  ad  apprender  l'arte  del  disegnare    da 


(')  Auria,  //  Gagino  redivivo,  »  vero  notitia  dilla  vita  ed  opere  d' Antonio  Gagino,  nativo  della  città  dì 
Talenno,  scultori  famosissimo.  In  Palermo,  MDCXCVIII,  cap.  Vili,  pag.   34  e  scg. 

( 2  )  Baronii  ac  Manfredis  (1).  Francisci),  'De  majestate  panormitana,  lib.  111.  Panormi,  M.DC.XXX, 
pag.   103. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  GAP.  IV.  203 


Raffaele,  e  dello  scolpire  da  Michelangelo,  sotto  il  quale  ti  dice  aver  cotanto 
avanzato  in  perfezione,  che  quell'austero  non  isdegnò  di  far  lavorargli  or- 
nati e  bassirilievi  nel  mentovato  sepolcro  di  papa  Giulio  (').  lì  quando?  Pria 
del  1500.  Da  che  indi  a  poco  leggi,  che,  compiti  i  suoi  studi  (sotto  il 
Sanzio  e  il  Buonarroti,  innanzi  al  1500  in  Roma!  lui  nato  al  1484!),  se  ne 
tornò  in  Messina,  ed  oltre  una  statua  di  Madonna  ed  una  del  Battista  (quale- 
io  non  credo  affatto  sua  opera  per  la  virilità  somma  ,  che  sente  di  altrui 
scalpello,  laddove  Giuseppe  La  Farina  dovette  poi  esser  certo  a  scrivere  , 
che  fu  eretta  in  quel  duomo  nel  1525)  (2),  iccc  in  bronzo  un  giovinetto 
in  atto  di  cavarsi  una  spina  dal  piede,  imitando  la  statua  di  egual  soggetto, 
ch'egli  avea  visto  in  Campidoglio;  ed  in  cotal  simulacro,  che  il  principe  di 
Alcontres  avea  collocato  in  una  fonte  a  capo  della  scala  del  suo  palazzo, 
si  leggeva:  Opus  Antonii  Gagìnu  an.  M2)(3).  Ma  essendo  pure  ad  ammet- 
tere per  vero  un  tal  lavoro,  che  altronde  l'artefice  potè  aver  condotto  sopra  un 
qualunque  gesso  o  disegno,  siccome  ora  è  chiaro  da  un'altra  simile  statua 
commessagli  più  tardi  dal  marchese  di  Pietraperzia,  le  osservazioni  gratuite  e 
paradossali,  gli  anacronismi  e  gli  svarioni  intorno  al!'  educazione  artistica  del 
Gagini  nella  penisola  non  ristettero  dal  farsi  strada,  avendo  poi  anco  il  paler- 
mitano Agostino  Gallo  a  furia  di  congetture  procurato  acconciarli  a  suo  modo 
perché  men  facessero  a  calci  con  la  cronologia  e  con  la  storia.  Laonde,  non 
avendo  egli  affatto  contezza  di  memorie  del  grande  scultore  in  Sicilia  dal  no- 
vembre del  1503  al  luglio  del  1507,  stimò,  «  che  verso  quell'epoca,  cioè  intorno 
«  al  1504,  si  recasse  in  Italia,  e  guardasse  con  istudiosa  attenzione  i  disegni  e  i 
«  dipinti  di  Rafaello,  e  s'imbevesse  la  mente  dello  stile  de!  medesimo,  come 
«  le  sue  opere  posteriori  lo  attestano,  convenendo  inoltre  supporre,  ch'ei  fre- 
«  quentasse  lo  studio  di  Michelangelo  in  Roma,  e  forse  prima  in  Firenze, 
«  benché  in  nulla  ne  seguisse  la  maniera  ardita  e  fièra,  troppo  opposta  al- 
ce l'anima  sua  dolce  e  gentile,  ma  soltanto  il  magistero  dello  scarpello  (4).  » 
Ignorandosi  quindi  del  tutto  quanto  adesso  è  innegabile  da'  preziosi  do- 
cumenti da  me  rinvenuti   intorno    alla    grande    operosità    e    rinomanza    de! 


(')  Gallo,  Amidi  della  città  di  Messina.  Ivi,  MDCCLVI1I,  tomo  II,  pag.   555  e  seg. 

(-)  La  Farina,  Messina  ed  i  suoi  monumenti.  Messina,   1840,  pag.  86. 

(  >  )  Però  non  ne  rimane  alcun  vestigio  al  presente,  benché  tuttavia  esistesse  al  tempo  del  Gallo.  E  sem- 
bra sia  andato  a  male  ne'  tremuoti  del   1783. 

(4)  Gallo  (Agostino),  Elogio  storico  di  Antonio  .Gagini,  scultore  ed  architetto  palermitano.  Palermo,  1821, 
pag.  9  e  seg. 


204  1    GAG1NI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Gagini  in  Messina  merce  l'eccellenza  e  l'originalità  del  suo  genio  nel  de- 
cennio colà  di  sua  dimora  dal  1498  al  1508  nel  più  bel  fior  de' suoi  anni, 
non  sapevasi  in  miglior  maniera  all'onor  di  lui  provvedere,  se  non  volendo 
a  ogni  casto,  ch'ei  fosse  andato  nella  penisola  a  tener  dietro  a  que'  sommi. 
Ma  primo  a  levare  alto  la  voce  contro  tanta  fallacia  di  opinioni  e  di 
congetture  fu  poi  Melchior  Galeotti  ,  il  quale  ,  benché  quasi  privo  di  ogni 
scorta  di  documenti,  per  solo  acume  d'  ingegno  e  di  giudizio,  pervenne  a 
smentir  fra'  molti  errori  sul  conto  del  Gagini  anche  questo  di  aver  egli 
potuto  alcuna  volta  seguir  que'  grandissimi  in  Roma,  ovvero  in  Firenze,  e 
trarne  prò  al  suo  sviluppo.  Rilevò  quindi  quell'abile  critico  ,  siccome,  es- 
sendo chiarissimamente  mostrato  quanto  il  Gagini  fosse  eccellente  artefice 
innanzi  al  principio  dell'anno  1500  (del  che  gli  fu  argomento  il  gran  la- 
voro della  corta  di  Nicosia,  un  anno  innanzi  affidatogli),  non  era  affatto  a 
stimarlo,  coli' annalista  messinese,  allievo  in  Roma  del.  Buonarroti,  quando 
costui  vi  fu  chiamato  da  papa  Giulio  II,  come  leggesi  nel  Vasari  (').  Né 
tenne  il  Galeotti  medesimo  se  non  in  conto  di  favola  quanto  l'Auria  fa  nar- 
rare a  Pietro  del  Po,  che  indi  in  Roma  il  Gagini  la  facesse  da  scarpellino 
a  Michelangelo  per  alcuni  ornati  nel  famoso  sepolcro  di  quel  pontefice,  lad- 
dove non  è  affatto  da  credere,  che  l'aretino  biografo,  il  qual  notò  fin  anco 
un  siciliano  macinator  di  colori  appo  quel  suo  divino ,  nulla  ne  abbia  sa- 
puto, o  non  fattone  caso;  né  che  il  Gagini,  già  riputato  scultore  in  Mes- 
sina, siasi  ridotto  in  un  tratto  sì  in  basso,  da  servire  di  scarpellino  in  pic- 
cioli ornati  allo  studio  del  Buonarroti;  né  che  poi,  tornato  dalla  scuola  del 
tremendo  Michelangelo  ,  nelle  statue  ,  che  venne  a  fare  in  Palermo  ,  non 
abbia  dato  sentore  di  quel  michelangiolesco,  che  sedusse,  o  costrinse  a 
imitarlo  chiunque  trattato  ebbe  vicino  a  quel  terribile  artefice  lo  scarpello  (2). 
Aggiungo,  che  Pietro  del  Po  forse  potè  aver  detto,  che  nella  sepoltura  di 
papa  Giulio  lavorò  anche  il  siciliano  Jacopo  del  Duca  ,  rilevandosi  da  un 
documento  ditto  in  Roma  a  27  di  febbraio  del  1542,  che  Raffaello  da  Mon- 
telupo  ,    tolte  a  finire  da  Michelangelo  tre  figure  della  sepoltura    anzidetta, 


(')  GALEOTTI,  Preliminari  alia  storia  di  Antonio  Gagini,  sailtor  siciliano  del  secolo  XVI.  Palermo,  1860, 
pag.  20.  Vasari,  Le  vite  ce.  Firenze,  Le  Mounier,  1856,  voi.  XII,  pag.  180.  —  Sbaglia  però  lo  stesso  Ga- 
leotti, affermando,  che  Michelangelo  non  fu  mai  in  Roma  pria  della  fine  del  505,  o  del  principio  del  504, 
laddove  è  certo,  che  la  prima  volta  vi  giunse  a  25  di  giugno  del  1496  in  età  di  ventidue  anni  (quando  il 
Gagini  non  ne  contava  che  diciotto)  e  vi  dimorò  circa  un  anno.  Vasari,  op.  cit.,  voi.  XII,  pag.   168  e   339. 

(2)  Galeotti,  'Preliminari  cit.,  pag.   57. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  IV.  205 

confessò  insieme  ricevuti  scudi  dicci  per  conto  (a  suo  dire)  dì  quattro  teste 
di  Termini  per  San  Pietro  in  l'incoia,  che  li  à  falli  Jacomo  mio  garzone  ('). 
Perlochè  ,  stimandosi  che  questo  Jacopo  non  sia  stato  che  il  Del  Duca,  e 
avendo  il  Del  Po  facilmente  di  lui  asserito,  che  aveva  avuto  parte  in  quel- 
l'opera del  Buonarroti,  fu  ciò  poi  frainteso  da  quel  balzano  cervello  dell'Au- 
ria,  il  quale  alla  sua  volta,  scambiando  il  detto  Jacopo  pel  Gagini,  trasse  da 
questo  errore  argomento  al  sognato  soggiorno  del  sovrano  artefice  in  Roma. 
Ripugna  del  pari  intanto  la  congettura  di  Agostino  Gallo,  che  fosse  andato  in 
terraferma  ad  ammaestrarsi  nell'arte  nel  1504  uno  scultore,  che  da  parecchi 
anni  avea  dato  prova  del  suo  stile  posato  e  puro  e  leggiadro  nel  disegno, 
nella  forma  e  nell'espressione  ,  e  diciamo  raffaellesco  ,  quando  il  pennello 
del  Sanzio  era  ancora  in  erba;  un  artefice,  che,  lavorando  in  Sicilia  con  molto 
credito  e  fama  e  grandezza  di  opere,  non  era  verisimile  si  fosse  recato  in 
Firenze  ad  imitare  la  seconda  maniera  di  Rafaello,  massimamente  non  pochi 
anni  prima  che  il  Sanzio  mostrasse  il  secondo  stile.  Laonde  (  assai  retta- 
mente lo  stesso  Galeotti  conclude),  se  vogliamo  riporre  minore  orgoglio 
nel  vanto  di  essere  andati  dietro  agli  altri,  per  sommi  che  fossero,  di  quello, 
che  dobbiamo  avere  dell'essere  stati  talvolta  primi,  ci  pare  di  dover  pori  e 
mente  al  dipingere  di  Salvo  d'Antonio  e  d'Antonello  Resaliba  ,  innanzi  e 
dopo  il  1500,  in  Messina,  per  cessare  le  meraviglie,  che  molto  di  quel  tino, 
che  dicesi  raffaellesco  di  secondo  stile  ,  si  trovi  nelle  statue  del  Gagini ,  e 
per  deporre  l'ostinato  volere  il  sommo  e  originale  scultore,  a  furia  di  ana- 
cronismi, acconciare  per  alcun  tempo  coll'Urbinate:  del  che  viene  da  ridere 
agli  eruditi,  e  da  dolersi  a  quanti  fra  noi  hanno  verace  sentimento  di  patrie 
glorie  (2). 

Non  meno  mi  sembra  aver  tutta  1'  aria  di  favola  il  riferito  aneddoto 
messo  in  campo  dal  Baronio  intorno  al  detto,  che  sul  Gagini  si  volle  at- 
tribuire al  Buonarroti  in  proposito  del  suo  famoso  Cristo  alla  Minerva. 
Perocché  narra  il  Vasari,  che,  stando  in  Firenze  Michelangelo,  «  mandò  in 
«  quel  tempo  (non  molto  prima  del  sacco  del  1527)  Pietro  Urbano,  pìsto- 
«  lese,  suo  creato,  a  Roma,  a  mettere  in  opera  un  Cristo  ignudo,  che  tiene 
«  la  croce,  il  quale  è  una  figura  mirabilissima,  che  fu  posto  nella  Minerva 


(  1  )  Le  kttcrc  di  Michelangelo   Buonarroti   pubblicate  coi  ricordi   ed  i  contratti   artistici  per  cura  di 
Gaetano  Milanesi.  In  Firenze,  M.DCCG.LXXV,  pag.  709. 
(2)  Galeotti,  'Preliminari  cit.,  pag.  20  e  seg. 


206  I    GAGIN!    L    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

«  allato  alla  cappella  maggiore  per  messer  Antonio  Metelli  (!)  ».  Risulta 
inoltre  adesso  evidente  da  un  ricordo  dello  stesso  Michelangelo  in  data 
del  26  di  ottobre  del  1521,  che  non  da  lui  fu  finita  in  Roma  tale  figura, 
ma  bensì  da  un  tal  Federigo  Frizzi  ,  scultore  fiorentino  (2).  Da  ciò  vede 
ognuno  quanto  perda  di  verisimiglianza  il  racconto  del  Baronio  ,  che 
contro  il  vero  afferma  in  Roma  il  Buonarroti  quando  la  detta  statua  in 
quella  chiesa  fu  esposta,  dando  luogo  allo  screzio  di  lui  col  sagrista  e  quindi 
al  suo  detto  sul  palermitano  scultore.  Laonde  l'Orlandi,  che  nel  suo  *Abe- 
cedario  alla  voce  Gagini  racconta  pure  quel  detto  ,  a  conciliar  la  faccenda, 
non  lo  asserisce  profferito  dal  Buonarroti  se  non  quand'  egli  consegnò  il 
Cristo  in  Firenze  per  portarlo  in  Roma,  nient'altro  all'  uopo  allegando  che 
la  pur  troppo  labile  autorità  di  un  padre  Resta,  di  cui  mano  si  ha  postillato 
nella  libreria  Corsini  un  esemplare  a  stampa  del  Gcigino  redivivo  dell' Auria.  Ma 
di  rimando  il  Bottari  osserva  aver  detto  il  Vasari,  che  Michelangelo  mandò 
Pietro  Urbano  non  a  condurre  a  Roma  il  suo  Cristo  ,  ma  a  metterlo  su; 
e  quindi,  non  potendo  in  qualunque  modo  dar  peso  alla  storiella,  conclude  : 
«  Se  poi  sia  verisimile,  che  il  Buonarroti  dicesse  quel  motto  senz'aver  ve- 
ce duto  opera  veruna  del  Gagini  ,  lo  lascerò  giudicare  ad  altri  (>)  ».  E  di 
questi  altri  non  vi  aggiustò  pure  alcuna  tede  l'abbate  Giuseppe  Bertini  (-*), 
essendo  altronde  affatto  inverisimile  ,  che  Michelangelo  ,  cosi  difficile  alla 
lode  e  peritissimo  anch'egli  net  panneggiare,  siasi  lasciato  sfuggir  di  bocca 
un  tal  detto,  per  cui  non  meno  egli  avrebbe  in  ciò  confessato  l'inferiorità 
propria,  che  il  singoiar  merito  del  lontano  scultore. 

Ma  benché  in  tutto  ripugni  alla  ragion  cronologica  e  al  vero  ,  che  il 
Gagini  nella  sua  gioventù  siane  andato  nella  penisola  ad  ammirar  le  opere 
del  Sanzio  ed  a  frequentare  la  scuola  del  Buonarroti,  non  dee  per  questo  tra- 
sandarsi un'osservazione  notevole,  che  dalle  sue  stesse  sculture  risulta,  cioè, 
che  molto  riscontro  è  da  rilevarvi  sovente  con  quelle  dell'arte  continentale, 
soprattutto   di    Lombardia  e  di  Toscana ,    e    specialmente   negli    ornati.-  Di 

(  '  )  Vasari,  Le  vite  cit.,  voi.  XII,  pag.  206. 

(2)  Vasari,  Le  vite  cit.,  voi.  XII,  pag.  360  e  seg.  Le  lettere  di  Michelangelo  Buonarroti  ce,  ediz. 
cit.,  pag.  585. 

(  3  )  l'ite  ilei  più  eccellenti  pittori,  scultori  e  architetti,  scritte  da  Giorgio  Vasari,  ...  illustrate  con  note.  Mi- 
lano, 181 1,  voi.  XIV,  pag.   131   e  seg.,  nota   1. 

(  -t  )  Nel  breve  cenno  biografico  da  lui  scritto  di  Antonello  Gagini  ed  inserito  nel  tomo  secondo  della 
Biografia  degli  uomini  illustri  della  Sicilia,  ...  compilata  dall'  avvocato  Giuseppe  Emanuele  Ortolani.  Napo- 
li, MDCCCXVIII. 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  IV.  207 


questi,  di  ch'ei  fu  maestro  di  perfezione  ed  eleganza  incomparabile,  notansi 
già  i  primi  bellissimi  esempì  nel  mentovato  sarcofago  di  Geronimo  Rosso 
in  Castroreale  ,  oltreché  altri  in  copia  dinanzi  avea  egli  dovuto  produrne 
in  Messina  in  tante  opere  ,  che  certo  fece  e  di  cui  non  è  più  notizia  ,  e 
poi  stupenda  e  quasi  infinita  ricchezza  ne  diede  ,  siccome  vedremo  ,  nella 
tribuna  del  duomo  palermitano  ,  de'  quali  oggi  molti  preziosi  avanzi  de- 
corano in  esso  la  cappella  di  S.  Rosalia,  dove  chiunque  abbia  gusto  e  sen- 
timento dell'  arte  non  può  a  men  di  restarne  attonito  come  di  cosa  ,  che 
più  d'ogni  altra  si  approssimi  alla  classica  squisitezza  ed  alla  maestria  degli 
antichi.  Bandita  affatto  quella  maniera,  che  in  genere  fu  detta  gotica,  ancor 
prevalsa  in  Sicilia  insino  a  mezzo  il  secolo  precedente,  con  quelle  filagrane 
o  andirivieni  di  linee  ,  o  capricci  cascanti  in  acutezze  e  frastagli  minuti  e 
confusi,  quali  eran  tanto  irragionevoli  e  lontani  da  ogni  studio  del  vero, 
il  gusto  del  classico  essenzialmente  prevale  in  quegli  ornati ,  condotti  con 
tanta  grazia,  leggerezza,  varietà,  ordine,  convenienza,  armonia  da  essere  in 
vero  esempio  di  alta  perfezione.  Corrispondendo  essi  nel  genere  a  quelli, 
che  piacquero  a  Rafaello  nelle  logge  vaticane,  e  di  cui  le  invenzioni  e  la 
spiritosa  maniera  si  dovettero  a  Giovanni  da  Udine,  avendone  costui  model- 
lato il  gusto  su'  preziosi  ruderi  ornamentali  allora  scoperti  de'  grandi  edi- 
fìci dell'antica  Roma,  e  che  per  essersi  trovati  in  alcune  grotte  sortirono 
il  nome  di  grotteschi,  é  chiaro,  che  unico  fondo  di  analogia  degli  uni  e  degli 
altri  non  è  che  dallo  studio  dell'antichità  e  dalla  viva  propensione  al  clas- 
sico stile  degli  antichi,  qual  già  prevaleva  in  Roma  non  solo  ,  ma  da  per 
tutto  in  Italia.  Del  resto  opportunamente  venne  da  altri  osservato,  che  fra 
gli  ornamenti  scelti  o  diretti  dal  Gagini  e  quelli  dipinti  e  plasticati  dall'U- 
dinese corre  molto  divario,  e  che  la  semplicità  e  leggerezza  e  parsimonia, 
che  si  ammiran  nel  nostro,  non  sono  dell'altro,  che  é  più  vario,  più  com- 
plicato, più  ingegnoso  e  bizzarro  (').  Né  può  in  alcun  modo  ammettersi 
quanto  erroneamente  fu  scritto,  che  Antonello  ritraesse  da  Roma  quell'uso 
e  forma  di  fregiature,  laddove,  sapendosi,  che  Giovanni  da  Udine  andò  colà 
dopo  il  Sanzio  ,  e  che  condusse  il  suo  maestro  a  vedere  i  grotteschi  del- 
l'arte antica,  qua'  poscia  furon  divisati  adoprarsi  nel  palazzo  pontefìcale,  non 
è  possibile,  che  il  Gagini  ne  prendesse  cognizione  e  gusto  da  loro,  quando 
fra  gli  ornati  da  lui  scolpiti  o  di  sua  invenzione  son  quelli  del  sepolcro  del 


(  '  )  Galeotti,  Preliminari  cit.,  pag.  48. 


208  I    GAGIN1    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Rosso  in  Castroreale  del  1506  e  1507,  e  gli  altri  della  tribuna  del  duomo 
di  Palermo,  segnati  dell'anno  15  io,  de'  quali  certamente  l'artefice  era  venuto 
preparando  i  disegni  e  i  modelli  sin  da  tre  anni.  Tai  fregi  però  ,  in  tutto 
intorniati  del  tipo  classico  ,  che  già  i  migliori  maestri  seguivano  ovunque 
in  Italia,  han  foglie  e  frutta  e  maschere  e  figure  di  bella  e  naturai  forma, 
quali  da  quelli  in  molte  loro  opere  si  adoprarono,  e  per  cui  ben  a  propo- 
sito fu  dato  luogo  a  osservare,  che  con  gli  ornati,  allora  o  da  poco  innanzi 
prodotti,  di  Desiderio  di  Settignano,  di  Andrea  Contucci  Sansovino,  di  Giu- 
liano da  Sangallo  ,  di  Benedetto  da  Rovezzano  e  d'  un  Simon  Fiorentino 
tengon  conformità  i  gaginiani  anzidetti.  Afferma  specialmente  il  Galeotti,  che- 
li deposito  del  Tartagni,  il  cammino  di  casa  Gondi  ed  altri  monumenti  di 
quel  tempo,  o  di  non  molto  prima,  recati  in  disegno  dal  Cicognara  nel  vo- 
lume secondo  della  sua  Storia  della  scultura  in  Italia,  han  fregiature,  alle  quali 
si  rassomigliano  quelle  del  nostro ,  e  massime  certi  gruppi  di  foglie  e  frutta, 
che  paiono  del  medesimo  stampo  (:).  Parimente  i  capitelli  del  Gagini ,  e 
specialmente  quelli  da  lui  adoprati  in  Palermo  nella  maggior  tribuna  del 
duomo,  sebbene  rivelino  il  suo  genio  non  meno  che  altrove  originalissimo, 
per  cui  egli  di  suo  vi  accorda  le  più  leggiadre  ed  eleganti  forme  ed  inven- 
zioni di  foglie,  di  vasetti,  di  grifi,  di  volute,  di  maschere,  e  non  tien  dietro 
ad  altri,  né  pur  servilmente  imita  gli  antichi  marmi,  han  sempre  evidente  in 
tondo  un  grande  riscontro  di  fare  con  quello  de'  sommi  maestri  contempora- 
nei delle  migliori  scuole  d'Italia,  mercè  lo  stesso  felice  avviamento  del  gusto 
nell'amore  del  classico  e  nello  studio  dell'antichità  (2).  Laonde,  innegabili  es- 
sendo questi  rapporti,  non  può  dubitarsi  che  il  Gagini,  benché  certo  or  sem- 
bri non  aver  mai  frequentato  alcuna  artistica  scuola  della  penisola,  partecipò 
nondimeno  nella  stessa  sua  nativa  Sicilia  al  gran  movimento  e  al  progresso 
continuo  dell'arte  continentale,  che  vi  aveva  esteso  e  seguiva  ad  estender  vi- 
vissime le  sue  influenze,  le  quali  egli  dominò  poi  mercè  il  gran  genio  e  l'in- 
coili parabil  sentire,  che  gli  ebbe  largito  natura.  Giova  quindi  osservare  col 


(  '  )  Galeotti,  Preliminari  cit.,  pag.  49.  E  vedi  nella  tavola  IX  di  quest'opera  tre  diversi  esempi  di  or- 
nati del  Gagini,  oggi  esistenti  nelle  pareti  della  cappella  di  S.  Rosalia,  e  che  decorarono  già  i  pilastri  della 
gran  tribuna,  di  cui  parleremo,  nel  duomo    di  Palermo. 

(2)  Vedi  la  tavola  IX  bis  di  quest'opera,  dove  son  riportati  in  disegno  sei  de'  cennati  capitelli,  de'  quali 
alquanti  nello  scorso  anno  ne  rinvenne  l'ingegnere  cav.  Giambattista  Palazzotto  in  un  sotterraneo  del  palazzo 
arcivescovale,  oltre  uno  bellissimo,  che  fu  già  messo  in  serbo  dinanzi  dal  canonico  Alessandro  Casano  nel 
sotterraneo  del  detto  duomo,  dove  rimane.  Devo  intanto  il  disegno  della  detta  tavola  alla  gentilezza  del  gio- 
vine ingegnere  signor  Francesco  Palazzotto. 


NEI    SLCOLI    XV    E    XVI.   CAP.  IV.  209 


Galeotti  medesimo,  eh  essendosi  il  padre  di  lui  portato  in  Sicilia  coli'  arte 
di  statuario,  non  doveva  ignorarne  i  progressi  nelle  città  italiane,  ond'  egli 
era  venuto  ,  e  che  inoltre  il  comunicarsi  de'  disegni  co'  maestri ,  eh'  egli 
ebbe  dovuto  conoscere,  è  si  plausibile  a  pensarlo,  che  non  sarebbe  il  cre- 
dere, che  alieno  da  ogni  corrispondenza  restasse  un  artefice  venuto  di  luogo, 
in  cui  avea  lasciato  amicizie  e  parentele:  oltreché  dovrebbesi  ancora  por  mente, 
che  di  quei  tempi  il  diffondersi  delle  cognizioni  dell'  arte  era  tanto  in  pregio 
quanto  è  adesso  delle  fogge  del  vestire  e  de'  capricci  della  mollezza  (J). 

Aggiungo  ,  che  lo  sviluppo  e  1  attività  della  scultura  in  Sicilia  nel- 
P  età  di  Domenico  non  furono  a  lui  solo  dovuti  ,  siccome  è  chiaro  dai 
precedenti  capitoli  ,  ma  ancora  a'  molti  altri  artefici  ,  che  nel  tempo  mede- 
simo o  dopo  egualmente  vi  si  recarono  e  vi  trasferiron  soggiorno  da  di- 
verse contrade  d'Italia,  dove  più  l'arte  era  in  fiore,  e  de'  quali  più  d'uno 
gareggiaron  con  lui  per  ingegno  e  per  valentia  di  scalpello.  Nelle  loro  scul- 
ture, specialmente  ornamentali,  prevale  già  quel  tipo  di  classicismo,  ch'essi 
avevano  appreso  nelle  famose  scuole  italiane,  e  che  per  loro  opera  s'intro- 
duceva  e  difTondeasi  per  l'isola.  Si  guardino  quindi  per  poco  i  ricchi  ornati 
marmorei  dell'arco  della  cappella  Mastrantonio  in  San  Francesco  in  Palermo, 
il  cui  lavoro  vedemmo  assunto  da  Pietro  di  Bori  tute  e  dal  veneto  Francesco 
di  Laurana  nel  1468,  ed  altre  simili  opere,  che  ovunque  per  l'isola  nel  se- 
colo stesso  e  ne'  primordi  del  seguente  produssero  i  vari  scultori  venuti 
da  terraferma;  e  si  dovrà  rimanere  convinti  a  vedervi  in  molta  simiglianza  di 
forme  un  tal  carattere  di  scultura,  il  quale,  benché  allora  non  raggiungesse  il 
perfetto  per  manco  di  sviluppo,  era  in  fondo  il  medesimo,  che  indi  con  tutta 
perfezione  ed  eccellenza  impresse  il  Gagini  ne'  pregiati  suoi  marmi  (2).  Del 
che,  a  mio  giudizio,  in  vece  che  da  alcun  soggiorno  di  Antonello  nella  peni- 
sola, il  qual  non  risulta  punto  dalle  più  certe  memorie  della  sua  vita,  si  dà 
spiegazione  ed  argomento  dal  finto  innegabile,  ch'egli  sin  dal  principio  del- 
l'artistica sua  carriera  trovossi  ognor  circondato  in  Sicilia  da  scultori  oriundi 


(  >  )  Galeotti,  'Preliminari  cit.,  pag.  49. 

( 2  )  Non  pure  mancarono  esempi  di  un  bizzarro  ibridismo ,  clic  riunì  al  vecchio  stile  tedesco  il  nuovo 
classico  gusto  del  risorgimento,  siccome  nella  bellissima  decorazione  esteriore  in  marmo  bianco  della  porta 
della  chiesa  di  S.  Margherita  in  Sciacca,  opera  d'ignoto  scultore  del  cadere  del  XV  o  del  sorgere  del  XVI 
secolo,  della  quale  nell'interesse  dell'arte  sarebbe  a  fare  oggetto  di  attento  studio.  Ma  tali  esempi,  ben  na- 
turali nell'età  di  passaggio  dall'antico  gusto  al  novello,  cedettero  affatto  il  campo  al  total  prevalere  di  questo, 
ch'estese  ovunque  il  suo  esclusivo  dominio. 


210  I    GAGINI    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 

dal  continente  italiano,  de'  quali  ebbe  a  valersi  come  di  aiuti  nella  notabtl 
copia  di  sue  opere  :  oltreché  ancora  non  pochi  ne  chiamò  all'  uopo  di  là 
espressamente  egli  stesso,  specialmente  da  Carrara,  priachè  fosser  cresciuti  i 
suoi  figli  e  seco  lui  avesser  potuto  addirsi  all'immensa  attività  de'  lavori.  Dei 
molti  collaboratori  pertanto,  che  non  poteron  mancargli  in  Messina  nell'ope- 
roso decennio  colà  di  sua  dimora,  l'unico,  che  or  si  conosca,  è  quel  marmo- 
raio  Geronimo  Fiorentino,  di  sopra  cennato  ,  che  nel  1502  promettea  met- 
tersi a  disposizione  e  servigio  di  lui  nell'arte  a  sconto  di  danaro  dovutogli, 
che  dal  medesimo  in  prestito  aveva  già  ricevuto  (I).  Carraresi  di  origine  fu- 
rono gli  scultori  Giuliano  Mancino  e  Bartolomeo  Berrettaro  ,  che  prima  e 
dopo  del  suo  ritorno  in  Palermo  vi  furon  tenuti  in  conto  nell'  arte,  e  che 
poi,  siccome  vedremo,  ne'  lavori  della  gran  tribuna  del  duomo  non  man- 
carono di  prestargli  1'  opera  loro.  Vedremo  altresi  più  innanzi  siccome,  di- 
fettando egli  in  Palermo  di  lavoranti  in  tanta  sua  operosità  prodigiosa,  ne 
ingaggiò  quattro  di  Carrara  a'  propri  servigi  nel  15 12,  perchè  gli  servissero 
di  scarpellini  e  di  aiuti  ,  fattosi  di  essi  mallevadore  un  carrarese  maestro 
Santino  di  Chicco  di  Petrincione ,  che ,  tenendo  corrispondenze  vivissime 
fra  Carrara  e  Sicilia,  faceva  continuo  commercio  di  marmi  col  Gagini ,  ed 
indi  anche  obbligavasi  a  fare  di  là  venire  lavorato  un  intero  cancello  in  marmo 
con  sue  cornici  e  balaustri  pel  duomo  stesso.  In  molto  stretti  rapporti  di 
intimità  noteremo  inoltre  Antonello  con  un  Fedele  da  Carona,  altro  lom- 
bardo scultore,  che  poi  ancor  gli  fu  genero,  mentre  non  pure  mancò  di  a- 
verne  con  Antonino  Berrettaro  più  tardi,  dopo  la  morte  di  Bartolomeo  so- 
praddetto. Né  d'  altri  marmorai  carraresi  ,  lombardi  e  d' altre  parti  di  ter- 
raferma fu  mai  difetto  in  Palermo  in  tutto  il  tempo,  in  cui  singolarmente 
ei  vi  tenne  il  sommo  dell'  arte  ,  laddove  in  copia  ne  appariscon  memorie , 
non  men  che  di  veneti  intagliatori  in  legno  ,  e  poi  altresì  di  plasticatori 
toscani  e  d'altri  artefici  del  regno  di  Napoli,  de'  quali  sarà  luogo  in  appresso 
a  dire.  Così,  essendo  egli  nato  in  Palermo  da  quel  valente  lombardo  scul- 
tore, che  fu  Domenico  ,  ed  ivi  anche  allevato  all'  arte  dopo  la  morte  del 
padre  fra'  buoni  esempi  degli  altri  italiani  artefici ,  che  gli  sopravvissero  , 
trovossi  poi  sempre  in  mezzo  ,  cosi  in  Messina  che  in  patria,  a  scultori, 
scarpellatori  ed  artisti  di  ogni  specie,  oriundi  dalla  penisola ,  che  trovavan 
lor  prò  nel  loro  soggiorno  in  Sicilia,  e  che  di  leggieri  gli  prestarono  la  loro 


(')  Vedi  sopra  in  quest'opera,  pag.   174,  nota  1. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAI'.  IV.  211 


assistenza  quand'  egli  mercè  il  suo  gran  genio  assunse  incontrastabilmente 
il  primato  nella  scultura.  Laónde,  trovatosi  egli,  benché  sempre  nella  nativa 
sua  isola,  costantemente  ricinto  dalle  più  vive  tradizioni  ed  influenze  lom- 
barde e  toscane  dell'arte,  è  da  ciò  appunto  che  trasse,  non  pur  negli  ornati, 
ma  in  tutto,  quel  bello  e  mirabile  stile,  che  spesso  ha  riscontro  in  pregiate 
opere  delle  fiorenti  scuole  d'  Italia  ,  senza  che  perciò  gli  sia  stato  mestieri 
recarvisi  di  persona  ad  educarsi  all'arte  in  Roma  o  in  Firenze,  come  a  ri- 
troso del  vero  venne  asserito. 

Col  suo  altissimo  ingegno  e  con  quel  gusto  e  sentire  incomparabile, 
onde  fu  primo  fra  tutti,  sin  dalla  sua  dimora  in  Messina  diede  pertanto  il 
Gagini  al  maggiore  sviluppo  dell'  arte  un  si  vivo  impulso  ,  per  cui  !a  bel- 
le/za, la  grazia,  1'  espressione,  il  disegno  e  1'  esecuzione  esquisita  delle  sue 
opere  cominciarono  in  lui  a  palesare  un  artefice,  che  vincea  di  gran  lunga 
in  merito  quanti  lo  avean  preceduto,  e  che,  seguendo  pur  egli  le  loro  orme 
nella  soavità  del  carattere  e  del  sentimento,  levavasi  ad  una  eccellenza  non 
mai  da  altri  raggiunta.  «  Sino  allora  (ben  si  può  qui  a  proposito  applicar 
le  parole  del  Cicognara  sull'  età,  che  prevenne  Michelangelo)  gli  artefici 
«  avean  quasi  mostrato  di  dubitare  delle  loro  torze,  e,  procedendo  con  mi- 
«  sura  e  con  infinito  ritegno  ,  non  osavano  dipartirsi  con  libertà  dal  loro 
«  modello  per  abbandonarsi  interamente  alla  parte  ideale,  a  cui  però  eransi 
«  molto  approssimati.  Quella  timidità,  che  gli  scultori  del  quattrocento  ave- 
«  vano  riconosciuto  nelle  opere  de'  loro  maestri,  teneva  in  certo  modo 
«  imbrigliata  la  loro  esecuzione,  onde  non  iscostarsi  con  troppa  incertezza 
«  da  questi  modelli.  Non  presumevano  ancora  della  loro  forza  e  non  ca- 
«  devano  in  difetto  per  troppo  ardimento;  di  modo  che  ponevano  grandis- 
«  sima  cura  nell'ascondere  moderatamente  la  scienza,  proponendosi  di  pia- 
ce cere  e  di  commuovere  piuttostochè  di  sorprendere.  Il  disegno  era  dolce 
«  e  delicato,  piuttostochè  sapiente  e  profondo.  La  prospettiva  non  presen- 
«  tava  complicate  soluzioni  di  problemi,  limitandosi  appena  a  quanto  basta 
«  per  la  degradazion  degli  oggetti.  L'  anatomia  serviva  soltanto  a  rendere 
«  ragione  della  costruzione  de'  corpi  e  de'  loro  movimenti,  non  mai  a  far 
«  primeggiare  agli  occhi  dell'osservatore  l' istruzione  dell'artista.  In  generale 
«  il  ritegno  era  maggiore  del  coraggio,  e  la  purità  dello  stile,  la  precisione 
«  dell'esecuzione,  la  finezza  dell'espressione  erano   le  prerogative  più  emi- 


212  1    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


«  nenti ,  che  distinguessero  allora  le  arti  (0-»  Ma  nel  Gagini  in  mirabile 
accordo  si  unirono  il  genio  e  la  scienza,  il  più  eletto  gusto  e  l'intero 
possesso  dell'arte.  Benché  bravi  artefici  della  penisola  lo  avessero  in  Sicilia 
preceduto  e  ne  fiorissero  ancora  al  suo  tempo,  niun  di  essi  avea  da  natura 
sortito  quell'indole,  ch'egli  sorti,  quanto  amorosa  e  gentile,  altrettanto  no- 
bile ed  elevata  ,  che  ,  guidando  il  suo  eccelso  ingegno  al  bello  ideale  ,  alla 
grazia,  all'espressione  con  maggiore  vivacità  ed  evidenza,  qua'  non  eran  mai 
state  dinanzi,  fece,  che  a  tanto  naturale  potere  corrispondesse  egregiamente 
la  forma,  resa  da  lui  sempre  più  bella  e  perfetta,  mercè  lo  studio,  1'  esercizio 
e  l'amore,  o  meglio  mercè  la  singolare  attitudine  del  suo  genio.  Imperoc- 
ché, sebbene  a  tanto  sviluppo  molto  abbia  dovuto  giovargli  1'  educazione- 
attinta  da'  precedenti  maestri,  senza  le  cui  norme  ed  esempì  ei  non  avrebbe 
trovato  agevole  il  sentiero  a  potere  elevarsi  al  sommo  ,  valsero  in  lui  so- 
prattutto le  rarissime  doti,  di  che  arricchì  natura  il  suo  spirito,  superiore  ad 
ogni  studio  e  ad  ogni  arte.  Un  gusto  naturale  e  soavissimo  per  la  scelta 
del  bello;  una  facoltà  intellettuale  di  concepire  fra  tante 'ideali  bellezze  la 
più  perfetta  e  la  più  confacente  all'  indole  degli  svariati  soggetti  ;  un  vivo 
sentimento  e  quasi  un  estro  inesausto  a  rivelar  nella  forma  la  vita  del  pen- 
siero, l'attività  degli  affetti  e  fino  i  più  ascosi  e  i  più  delicati  sensi  degli 
animi  ;  una  facilità  di  scalpello  la  più  pieghevole  a'  concetti  dell'  immagi- 
nativa e  la  più  sorprendente  per  varietà  e  fecondità  incomparabile:  questi 
eran  mezzi,  che  sol  potè  natura  largirgli,  e  che,  alacremente  coltivando- 
li, in  grado  eminente  egli  tenne.  Quindi  è  ,  che  pure  nelle  giovanili  sue 
opere,  dov'egli  più  partecipa  del  ritegno  e  dell'  incertezza  dell'  età  ,  che  lo 
precedette,  siccome  specialmente  nelle  due  mentovate  statue  di  Nostra  Donna 
in  Bordonaro  e  nel  tesoro  del  duomo  di  Palermo  ,  non  si  può  a  meri  di 
ammirare  ad  un  tempo  un  tal  carattere  di  espressione,  inspirato  ad  una  no- 
biltà si  leggiadra  di  sentimento,  di  che  prima  di  lui  nell'isola  non  fu  veduto 
altro  esempio.  Né  si  conoscon  oggi  che  pochi  de'  molti  preziosi  lavori, 
ch'egli  sul  fior  degli  anni  operosamente  in  Messina  produsse  ,  per  potere 
andar  dietro  alla  progressione  ammirabile  del  suo  ingegno  e  del  suo  sin- 
goiar magistero  e  dar  ragione  di  quella  gran  Lima  di  valentissimo  ed  esimio, 
che  per  tutta  Sicilia  e  fuori  i'ecc  di  là  celebrato  il  suo  nome.  Ma  rende 
di  ciò  ragion  bastante  l'altra  Nostra  Donna  bellissima  in  S.  Maria  di  Gesù 


(')  Cicogn-ara,  Storia  della  scultura  ...  in  Italia.  Prato,   1825,  voi.  V,  lib.  V,  cap.   II,  pag.   108. 


Xi;i    SKCOL.I    XV    E    XVI.    GAP.   IV. 


21 3 


in  Catania,  la  quale  ad  ogni  modo  par  sia  da  attribuire  a  quel  tempo,  ed 
é  veramente  cosa  divina  per  ineffabile  maestà  e  grazia  di  espressione  non 
solo,  ma  ancor  per  esecuzione  perfetta  e  per  somma  valentia  di  scalpello. 
Ne  dà  pure  argomento  con  simigliarne  altezza  di  merito  e  di  gusto,  non 
meno  nella  stupenda  figura  giacente,  che  negli  elegantissimi  ornati  e  nella 
preziosità  e  bellezza  del  tutto,  il  più  volte  cennato  sarcofago  del  Rosso  in 
Castroreale ,  alla  cui  alta  perfezione  fu  pur  mestieri  avessero  corrisposto  le 
tante  altre  sculture,  che  nel  medesimo  tempo  si  sa  aver  prodotto  l'artefice 
e  che  o  l'avverso  destino  distrusse,  o  sciaguratamente  sono  ancor  preda  di 
obblio.  Cosi  egli,  straordinario  ed  immortale  ingegno  ,  unico  nella  soavità 
dell'espressione  cristiana  come  il  Buonarroti  nella  terribilità  ('),  non  come 
costui  ,  disdegnando  ogni  genere  di  servii  dipendenza  ,  trasportò  1'  arte  a 
toccar  le  ardue  sfere  del  terribile  e  del  sublime,  dove  a  lui  sol  fu  dato  pa- 
droneggiarla con  la  potenza  del  tremendo  suo  spirito,  ma,  progredendo  in 
vece  sulle  orme  de'  maggiori  e  tutti  avanzandoli  per  sovranità  d' intelletto 
e  di  sentire,  recò  per  la  lor  via  l'arte  stessa  a  quel  maggior  grado  di  ec- 
cellenza e  di  gloria,  che  a  genio  umano  fu  conceduto  raggiungere,  e  tanta 
virtù  insiem  trasmise  ad  una  grande  successione  di  artisti  ,  suoi  figli  e 
nepoti  in  gran  parte,  nati  in  Sicilia  ,  pe'  quali  1'  arte  in  una  grande  scuola 
affatto  propria  dell'isola  si  mantenne  in  moltissimo  onore  fin  tardi,  quando 
già  in  tutto  il  resto  dell'Italia  volgeva  essa  in  vece  a  ruina.  Ma  più  che  in 
Messina,  dove  avea  sviluppato  1'  ingegno  ed  acquistato  fama  d' insigne  ar- 
tefice, di  tanto  inestimabil  vantaggio  fu  apportatore  all'  arte  il  Gagini  in 
Palermo,  sua  patria,  ove  poscia  per  tutta  la  vita  fermò  soggiorno  ed  operò, 
siccome  vedremo,  i  maggiori  portenti. 


(')  Galeotti,  'Prt-Iimiiuri  cit. 


"4. 


CAPITOLO  V. 


ANTONELLO    GAGINI    I-    LA    TRIBUNA    DEL    DUOMO    DI    PALERMO. 


l  duomo  di  Palermo,  sontuoso  edificio  già  eretto  nel  sito 
di  altra  più  antica  basilica  per  opera  dell'inglese  arcivescovo 
Gualtiero  OfTamilio  (of  Milì,  del  Mulino)  intorno  al  1185, 
rendeva  cosi  nell'interno,  come  ancor  oggi  in  parte  all'esterno,  quel  carattere 
di  augusta  magnificenza,  che  sì  prevalse  e  prevale  ne'  rinomatissimi  esempì 
di  sacra  architettura  dell'età  normanna  in  Sicilia,  e  che  ne'  tempi  posteriori 
vi  venne  ognor  più  crescendo  per  nuovo  decoro  e  ricchezza  d'  ogni  ma- 
niera di  ornamenti,  che  la  liberalità  de'  prelati  e  la  pietà  de'  fedeli  con  am- 
mirabile armonia  vi  profuse.  Non  sembra  però,  che  nella  maggiore  abside  o 
tribuna  di  esso  alcuna  rilevante  decorazione  siasi  mai  fatta  innanzi  al  sorgere 
del  sestodecimo  secolo,  giacché,  avendosi  per  fermo  avuto  a  principio  l'idea 
di  tutta  ornarla  di  musaici  insieme  forse  ad  ogni  altra  parte  del  tempio,  a  nulla 
per  manco  di  mezzi  o  per  altro  sì  era  di  poi  riuscito.  Vien  fatto  sol  cenno  dai 
palermitani  scrittori,  che  ivi  fu  già  un  antico  musaico  di  Nostra  Donna  della 
Luce,  che  poi  ne  fu  tolto  nel   1510  (r):  oltreché  é  noto  per  testimonianza 


(')  Mongitore,   Talenno  divoto  di  3(nria   Vergine.  Palermo,  1719,  tomo  I,  pag.  651.  Amato,  T)e  prin- 
cipe tempio  panormitano.  Panormi,   1728,  Kb.  VII,  cap.  IV,  pag.   151.  29 


2 1 6  I    GAGIN1    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


di  Pietro  Ranzano,  che  siili'  altare  maggiore  in  detta  tribuna  fé'  già  V  ar- 
civescovo Niccolò  Puxades  nel  1466  ergere  una  gran  tavola  di  meraviglioso 
artifìcio,  la  qual ,  rimossane  poscia,  durava  infino  al  tempo  del  Mongitore 
in  sito  avanti  l'antica  cappella  di  Nostra  Donna  di  Libera  inferni,  figurando 
in  precipuo  soggetto  la  Presentazione  di  Maria  Vergine  al  tempio,  con  una 
gran  croce  al  di  sopra  e  molte  figure  ,  dinanzi  e  dietro  egregiamente  di- 
pinta (!).  Ma  non  è  affatto  notizia  di  alcuna  sorte  di  ornamenti  nelle  pareti 
dattorno  all'abside  istessa,  la  quale  era  allora  ben  differente  di  forma  di  come 
poi  vandalicamente  fu  ammodernata,  e  che  non  avea  riscontro  a  un  di  presso 
se  non  in  quelle  degli  altri  famosi  templi  non  molto  prima  sorti  sul  mede- 
simo stile  in  Cefalù,  in  Messina  ed  in  Monreale  (2).  Laonde  dovea  certo 
pesar  sull'  animo  de'  Palermitani,  siccome  cosa  non  rispondente  al  decoro 
della  lor  patria,  metropoli  della  Sicilia,  che  il  massimo  tempio  di  essa  ancor 
nel  più  augusto  sito  del  santuario  difettasse  di  decorazione  opportuna  e  con- 
forme alla  maestà  veneranda  della  magnifica  mole  del  suo  edificio;  e  quindi 
vivo  favore  ed  universale  approvazione  ebbe  da  tutti  a  riscuotere  l'altissima 
idea,  di  che  sin  da'  primi  anni  del  cinquecento  si  fé'  principal  promotore 
Giovanni  Paterno  arcivescovo,  di  dare  effetto  a  quell'opera  con  ogni  sfoggio 
dell'arte  e  con  la  maggiore  sontuosità  ed  eccellenza. 

Fu  il  Paterno  un  de'  prelati  siciliani  di  più  elevato  ingegno  e  generoso 
animo,  che  non  meno  in  que'  tempi  promossero  le  arti  e  le  lettere,  che  il 
divin  culto  e  lo  splendor  della  Chiesa.  Nato  cadetto  d'  illustre  famiglia  in 
Catania  ed  entrato  ancor  giovine  nell'ordine  benedettino,  anziché  avere  im- 
bozzacchito negli  ozi  del  chiostro  ,  vi  crebbe  acquistando  alto  corredo  di 
scienza,  specialmente  del  dritto  sacro  e  civile:  onde,  di  leggieri  riconosciu- 
tone il  merito,  non  passò  guari,  che  a  grandi  cariche  e  dignità  ecclesiastiche 


(')  Ranzano,  Delle  origini  e  vicende  di  Palermo,  ce.  Ivi,  1864,  pag.  80  e  seg.  e  9;.  Mongitorr  ,  La 
cattedrale  di  'Palermo;  ms.  della  Biblioteca  Comunale  Palermitana,  a'  segni  Q.q  E  3;  cap.  XXXIII,  pag.  239 
a  242. 

( 2  )  Una  pianta  del  duomo  di  Palermo  ,  rilevata  accuratamente  nella  seconda  metà  del  passato  secolo 
priachè  fosse  stato  quello  ridotto  all'odierna  forma  sul  disegno  di  Ferdinando  Fuga,  conservasi  tuttavia  in  gran 
dimensione  dagli  egregi  ingegneri  palermitani  cavalier  Giambattista  e  Francesco  Palazzotto ,  che  si  propon- 
gono farla  oggetto  di  loro  particolare  studio  e  pubblicarla.  Cedendo  però  i  medesimi  con  ammirabile  cortesia 
alle  mie  vive  istanze,  perchè  almeno  essa,  fotograficamente  ridotta,  venga  data  in  luce  in  piccole  dimensioni 
in  questa  mia  opera,  vi  consentono  con  la  seguente  gentile  lor  lettera  a  me  diretta  in  data  del  22  del  cor- 
rente gennaio  1881:  «  Conoscendo  quanto  sìa  utile  per  la  sita  opera  sui  Gag  ini  l'antica  pianta  da  noi  posseduta 
dtìla  nostra  cattedrale  palermitana,    e   specialmente  per  munito  riguarda  la  disposizione    della    tribuna   decorata  dal 


NEI    SECOLI    XV    i;    XVI.    GAP.  V.  217 


gradatamente  fa  sollevato,  per  cui,  vicario  in  prima  e  poi  priore  ed  arcidia- 
cono della  chiesa  della  sua  patria,  non  men  che  priore  di  S.  Leone  di  As- 
solo ed  indi  abbate  di  S.  Maria  di  Nuovaluce,  venne  in  progresso  creato 
vescovo  di  Malta  nel  1478  ,  la  quale  sede  avendo  poi  egli  permutato  nel 
1490  col  cardinal  Pietro  di  Foix  ,  cugino  del  re  Ferdinando  ed  infante  di 
Xavarra.  arcivescovo  di  Palermo,  sorse  cosi  a  capo  della  prima  chiesa  di  Sici- 
lia (').  Di  essa  chiesa  più  che  altri  mai  promosse  egli  allora  i  vantaggi  e  la 
dignità  in  ben  venti  anni  di  pastorale  governo,  eennate  ancor  venendo  con 
molta  lode  varie  allegazioni  da  lui  composte  De  priinatu  Ecclesiae  Panormitanctc 
in  sostegno  delle  sue  preminenze  :  nel  che  non  solamente  giovar  dovevano  il 
merito  e  1'  efficacia  dell'  alta  dottrina,  ma  più  la  somma  autorità  del  nome 
dell'insigne  prelato,  siccome  di  colui,  che  per  grandi  pregi  della  mente  e  dell'a- 
nimo era  universalmente  in  estimazione  ed  onore,  e  che,  pure  accettissimo 
alla  lontana  corte  ed  a'  grandi  del  regno,  fu  ben  tre  volte  destinato  a  tenere 
in  mancanza  di  viceré  il  governo  civile  dell'isola.  Né  si  gravi  incumbenze  mai 
per  altro  il  distolsero  dal  farsi  fervido  promotor  delle  arti ,  e  specialmente 
della  scultura  :  onde  di  molti  ornamenti  e  della  famosa  statua  del  Bat- 
tista decorò  la  chiesa  di  Baida,  e  di  verzieri  e  fonti  il  suo  episcopio,  e  so- 
prattutto ad  immensa  dovizia  de'  più  segnalati  lavori  di  scalpello  die  luogo 
nel  duomo ,  dovendosi  a  lui  singolarmente  1'  onore  di  avervi  intrapreso  ed 
iniziato  la  gran  decorazione  marmorea  della  maggior  tribuna,  che,  poi  for- 
nita assai  tempo  dopo  la  sua  morte,  diede  per  molta  parte  di  quel  secolo  in- 
cessante opera  ad  innumerevole  schiera  di  artefici,  qual  supremo  argomento 
all'attività  prodigiosa  del  genio  di  Antonello  Gagini  e  massimo  centro  della 
fiorente  sua  scuola  (2). 

Dovendosi    quindi   affidare  sì  grande   impresa  ad  un  artefice  di  singo- 


sommo  Antonello  e  da'  suoi  figliuoli,  consentiamo  che  sia  pubblicato  in  detta  sua  opera  un  sì  pregevole  documento,  die 
gelosamente  conserviamo  e  che  pubblicherai!  guanto  prima  con  tutti  i  particolari  di  un  apposito  lavoro  sulla  cat- 
tedra/e medesima,  al  quale  da  noi  già  si  attende.  Ci  riserbiamo  pertanto  il  dritto  di  proprietà  della  pubblicazione 
della  pianta  anzidetta  per  1'  avvenire.  E  con  la  più  alta  osservanza  ci  pregiamo  in  fine  segnarci:  Suoi  dev.mi : 
G.  B.  Palazzotto.  F.  Palazzotto.  »  Rendo  perciò  loro  pubblicamente  vivissime  grazie  in  dar  fuori  si  pre- 
ziosa pianta  nella  tavola  X  di  quest'opera,  mini,  i,  giovando  essa  a  chiarire  non  solo  la  forma  della  tribuna 
come  fu  decorata  dal  Gagini,  ma  a  da; e  ancora  distinta  idea  delle  altre  parti  di  quell'insigne  tempio  e  meglio 
illustrarne  i  lavori,  ch'egli  e  i  suoi  figli  ed  allievi  per  circa  un  secolo  vi  produssero. 

(')  PiRRl,  Sicilia  sacra;  Melitensis  ecclesiae  not.    VÌI.  Panormi,   1733,  toni.  II,  pag.  910. 

(2)  Pirri,  Sicilia  sacra;  Xot.  pi  ima  ecclesiae  panonnil.  Panormi,  1733,  tom.  I,  pag.  183  e  seg.  Mongi- 
tore,  Tìibìiotlhca  Sicilia.  Panormi,   1708,  tom.   I,  pag.   357  e  seg. 


2l8  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 

lar  valore  è  d'  indubitata  eccellenza,  il  qual  ne  avesse  formato  il  disegno 
e  poi  tutto  assunto  l'incarico  dell'immensa  esecuzione,  non  furon  tenuti  da 
tanto  i  carraresi  Giuliano  Mancino  e  Bartolomeo  ed  Antonino  Berrettaro 
fratelli,  benché  allora  in  Palermo,  specialmente  i  due  primi,  si  distinguessero 
in  merito  sovr'  altri  inferiori  artisti,  che,  per  lo  più  venuti  dalla  penisola, 
coltivavano  la  scultura;  e  poiché  in  vece  in  Messina  su  tutti  segnalavasi  il 
nome  del  giovine  Gagini  palermitano,  la  cui  somma  bravura  nell'arte  do- 
vette dal  Paterno  e  dalle  autorità  del  paese  venire  altamente  provata  e  ri- 
conosciuta, non  altri  che  lui  soltanto  fu  determinato  prescegliere  a  mandare 
ad  effetto  quell'opera,  a  cui,  recatosi  in  patria,  non  tardò  egli  a  obbligarsi  per 
solenne  convenzione.  Stipulavasi  questa  in  Palermo  addi  28  di  luglio  X  ind. 
1507  agli  atti  di  notar  Pietro  Tagliante,  in  presenza  del  viceré  stesso  don 
Raimondo  Cardona ,  assistendo  da  testimoni  Gerardo  Bonanno ,  maestro 
razionale  del  regno ,  e  Geronimo  Franco  ,  giudice  della  gran  corte  ;  e  di- 
chiarava in  essa  1'  arcivescovo  Paterno  voler  far  costruire  a  maestro  An- 
tonello Gagini ,  scultore  esimio ,  un  grande  ed  eccellente  e  sontuoso  edificio  mur- 
morco,  con  varietà  di  rilievi,  figure,  storie  ed  ornati,  nella  maggior  tribuna 
del  duomo  palermitano,  consentendo  a  ciò  stesso  il  pretore  della  città  Nic- 
colò Antonio  degli  Afflitti,  gli  uffizioli  e  giurati  Francesco  la  Xabica,  priore, 
Jacopo  del  Castrone,  Bartolomeo  Mastrantonio,  Enrico  Diana,  Vincenzo  de 
Benedictis  e  Bernardino  Termini,  e  il  niaraininiere,  o  deputato  della  maramma 
o  fabbrica  della  chiesa,  Giovanni  Ventimiglia  (:).  Laonde,  convenendosi  fra  il 
detto  prelato  e  lo  scultore  a  stabilire  i  capitoli  d'un  memoriale  dell'  opera,  giusta 
un  disegno  già  fattone  e  presentatone  dal  Gagini  in  pergamena,  qual  dovea 
conservarsi  nell'archivio  della  detta  maramma,  ne  erano  del  tenore  seguente 
le  principali  condizioni  (2).  Doveva  esser  quella  dal  pavimento  alla  sommità 
di  altezza  di  dieci  canne  e  quattro  palmi  (m.  21.63),  e  di  ampiezza  quanto 
l'intero  vano  semicircolare  della  tribuna,  a  contar  dalle  due  ultime  colonne 
sotto  il  grand'arco  esteriore  di  essa.  Stabilivasi  per  allora  ,  che  ,  decorando 
tutto  questo  spazio  di  marmi  con  corrispondenti  basi  ,  pilastri,  cornici  ed 
ogni  maniera  di  opportuni  ornamenti ,  eravi  a  dar  luogo  a  due  ordini  di 
statue,  dodici  per  ciascuno,  oltre  di  quelle  della  parte  centrale  in  fondo,  e  tutte 


(')  Maramma,  voce  proveniente  dall'arabo,  in  siciliano  dialetto  vai  propriamente  fabbrica ,  dond' anco 
presero  e  prendono  il  nome  di  marammieri,  lo  stesso  che  fabbricieri,  i  deputati  a  soprantendere  alla  fabbrica 
di  una  gran  chiesa,  o  simile. 

(2)  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  mini.  LVI. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  V.  219 


alte  otto  palmi  (m.  2.06),  collocate  in  lor  nicchie  fra'  lor  pilastri  rispettivi. 
Ricorrer  doveva!)  nel  primo  i  dodici  apostoli  in  lor  vari  atti  al  vivo  ,  con 
altrettante  storie  della  lor  vita  e  martini  al  di  sotto,  e  negli  spazi  sovrastanti 
alle  loro  nicchie  altrettanti  angeli,  ciascuno  di  quattro  palmi  (m.  1.03), 
in  più  che  mezzo  rilievo  e  con  simboli  in  mano:  nel  secondo  i  quattro 
evangelisti,  i  quattro  dottori  ossien  padri  della  Chiesa  e  quattro  sante  vergini, 
cioè  S.  Cristina,  S.  Agata,  S.  Lucia  e  S.  Cecilia,  con  che  al  di  sopra  di  dette 
dodici  statue  si  desse  luogo  all'architrave  con  fregio  e  cornice,  e  nel  fregio 
medesimo  ad  una  schiera  di  angeli  di  oltre  a  mezzano  rilievo  e  di  altezza 
proporzionata  a  tre  palmi  (m.  o.  77),  conforme  sempre  al  tenor  del  disegno. 
Nello  spazio  centrale  in  iondo,  fra'  detti  due  ordini,  sul  luogo  appunto,  dove 
sorgeva  allora  il  seggio  dell'arcivescovo  dietro  l'altare,  era  intanto  a  dar  luogo 
in  basso  a  due  storie  di  Nostra  Donna  in  corrispondenza  a  quelle  degli 
apostoli,  e  poi  ad  una  figura  di  lei  sedente  col  figlio  in  grembo,  da  porsi 
in  una  nicchia  o  tribuna  tutta  di  marmi,  con  fogliami,  rosoni,  angeli  e 
tutt'altri  opportuni  lavori,  e  più  su  infino  al  sommo  ad  una  grande  storia, 
in  più  che  mezzo  rilievo,  dell'Assunzione  della  medesima,  con  gli  apostoli 
attorno,  ed  in  alto  Cristo  in  rilievo  e  in  sembiante  di  accoglierne  l' anima. 
Nella  suprema  parte  dell'abside  e  nel  concavo  di  essa  al  di  dentro,  seguendo 
le  antiche  tradizioni  dell'  arte,  avevasi  poscia  idea  di  fare  a  musaico  il  Dio 
Padre  in  mezzo  alle  gerarchie  de'  celesti  spiriti  :  ma  ciò  non  entrava  a  far 
parte  de'  lavori  di  quella  convenzione  ,  e  sen  sarebbe  trattato  di  poi.  Re- 
stava però  convenuto  con  lo  sculture,  ch'egli  dovesse  decorar  tutto  di  marmi 
l'interiore  arco,  sovrastante  a  quelP  ideato  musaico,  con  serafini,  fogliami  e 
rosoni ,  giusta  il  modello  ,  e  parimente  dar  luogo,  in  fronte  al  grand'  arco 
esterno  della  tribuna,  a  dodici  figure  di  profeti,  in  più  che  mezzo  rilievo  pur 
esse  e  di  proporzionata  altezza  di  oltre  a  sette  palmi  ciascuna  (m.  1.  81),  e 
nella  sommità  ad  un  tondo  o  scudo  con  simboli,  oltre  ad  ornati  di  fogliami 
e  simigliami  lavori  al  di  dentro  dell'arco  stesso.  Cotanta  opera  imprendeva  il 
Gagini  a  far  tutta  a  sue  spese  di  marmi  e  di  magistero,  secondo  le  condi- 
zioni de'  prezzi  e  delle  misure,  che  ne  venivano  altresì  stabilite.  Prendendo 
norma  dal  compartimento  del  San  Pietro,  da  farsi  nel  primo  sottostante  or- 
dine degli  apostoli,  doveva  esser  alto  cinque  canne  e  cinque  palmi  (m.  11.  59) 
dal  suolo  infino  alla  superiore  cornice,  largo  sette  palmi  e  due  terzi  con 
ambi  i  suoi   collaterali   pilastri  (m.  1.  98),  avendo  a  comprender  la  nicchia 


220  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


con  la  statua  del  Santo  è  suoi  rispettivi  ornamenti,  la  figura  dell'angelo  al 
di  sopra  e  la  corrispondente  storia  in  picciole  figure  al  di  sotto;  e  ne  venia 
stabilito  il  prezzo  ad  onze  centoquindici  (1.  it.  1,466.25),  qual  pure  s' in- 
tendea  per  ciascuno  degli  altri  undici  scompartimenti,  compresine  i  pilastri 
con  ogni  lor  maniera  di  ornati.  Parimente  pel  second'  ordine  sovrastante 
degli  evangelisti ,  dottori  e  vergini  toglievasi  norma  dal  compartimento  da 
farvisi  per  la  statua  di  S.  Cristina,  il  quale  in  tutto  lo  spazio  fra  le  cornici 
di  su  e  di  sotto  di  esso  dovea  risultare  alto  due  canne  ed  un  palmo 
(m.  4.  38),  largo  sette  palmi  e  due  terzi  co'  due  pilastri  (m.  1.  98),  dentrovi 
la  statua  suddetta  in  sua  nicchia  e  gli  analoghi  fregi  ;  e  ciò  pel  prezzo  di 
once  ottanta  (1.  1,020),  che  rimanea  bensì  convenuto  per  ogni  scomparti- 
mento delle  altre  undici  statue.  Quello  però  di  centro  in  unico  ordine,  con 
tutti  i  lavori  già  mentovati  delle  due  storie  di  Nostra  Donna  ,  della  figura 
sedente  di  essa  e  della  gran  composizione  dell'  Assunta  in  alto  rilievo  ,  il 
tutto  di  sette  canne  e  quattro  palmi  di  altezza  (m.  15.  45)  e  largo  una  canna 
da  pilastro  a  pilastro  (m.  2.06) ,  sarebbesi  pagato  il  prezzo  di  once  due- 
cenquarantotto  (1.  3,162);  e  per  trecencinquantuna  (1.  4,475.25)  si  stabi- 
liva il  valore  della  decorazione  del  grand'  arco  esterno  con  le  cennate  fi- 
gure de'  profeti,  ampia  una  canna  (m.  2  .06),  e  di  tutt'altri  lavori  di  riqua- 
drature e  ornamenti  nel  sopraccielo  o  volta  della  tribuna  ,  aggiuntevi  altre 
onze  cinquanta  (1.  637  .50)  per  l'arco  interno,  da  decorarsi  di  serafini,  di 
sopra  all'anzidetto  musaico  del  Dio  Padre.  Ogni  cosa  intanto  promettea  lo 
scultore  eseguire  in  ottimi  marmi  e  con  massima  perfezione,  volendosi  anzi, 
che  le  figure  in  rilievo,  o  statue,  ed  i  quadri  o  soggetti  di  Nostra  Donna 
avesse  egli  a  scolpirli  e  fornirli  di  propria  mano  ,  come  anche  al  possibile 
qualunque  altro  lavoro.  Pur  tuttavia  egli  era  tenuto  di  tutte  le  dette  statue, 
prima  di  cominciare  ad  eseguirle  sul-  marmo,  farne  i  modelli  e  mostrarli  ai 
marammieri  dinanzi  a  persone  esperte  e  ad  un  messer  Antonio  di  Rinaldo, 
che  rimanea  pure  scelto  come  terzo  perito  ne'  casi  di  controversia  insieme 
a  due  gentiluomini ,  che  si  sarebbero  a  tale  scopo  chiamati  ,  1'  un  per  la 
chiesa  e  1'  altro  per  1'  artefice,  a  dare  imparziale  giudizio,  previo  lor  giura- 
mento solenne.  Di  tutte  le  somme  di  danaro  da  anticiparsi  al  Gagini  per 
compra  di  marmi  obbligavasi  anch'egli  recare  opportuna  malleveria  e  sicurtà 
alla  maremma,  dovendo  curare  che  al  più  presto  venissero  quelli  in  Palermo 
per  dar  principio  a'  lavori.  Si  conveniva  in  fine  ,   che  una  somma  di  onze 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.    V.  221 


cencinquanta  (I.  1,912.50),  o  anche  maggiore,  dovesse  a  lui  darsi  per  ogni 
anno  in  tre  rate,  obbligandosi  egli  alla  ter/a  consegnare  finito  un  intero 
quadro  0  compartimento,  0  ancor  due  o  tre,  se  più  gli  si  anticipasse,  per  dar 
proseguimento  e  sollecito  fine  all'impresa.  Non  passò  guari  in  fatti,  che  in 
data  del  4  di  agosto  del  medesimo  anno,  sol  sette  giorni  dopo  dalla  detta 
solenne  convenzione  ,  fu  ad  Antonello  anticipata  una  somma  di  cent'  once 
(1.  1275)  per  prima  commissione  e  compra  di  marmi  per  la  tribuna,  datane 
per  lui  sicurtà  alla  niaraiiuiìa  del  duomo  un  suo  cognato  Giovanni  di  Blasco, 
fratello  della  messinese  sua  moglie  Caterina  ,  e  che  a  ciò  probabilmente  in 
Palermo  si  era  seco  lui  allor  da  Messina  tradotto  (:). 

Nonpertanto  è  innegabile,  che  subito  dopo  tutto  ciò  nuovamente  l'ar- 
tefice si  parti  dalla  patria,  facendo  ritorno  in  Messina,  dove,  siccome  ve- 
demmo, trovavasi  egli  di  già  il  27  del  seguente  settembre,  allorché  vi  fece 
col  Blandirla,  il  contratto  per  la  piccola  statua  della  Madonna  del  Crispino. 
Né  ivi  per  poco  tempo  continuò  a  trattenersi,  ma  bensì  per  più  di  un  altro 
anno,  laddove,  a  parte  de'  vari  cennati  strumenti,  che  nel  corso  di  esso  ne 
provano  evidente  colà  il  soggiorno,  insino  al  16  di  agosto  del  1508  ne  è  cer- 
tezza da  quello,  ond'egli  vi  si  obbligò  per  la  suddetta  statua  della  Maddalena. 
Quivi  per  fermo  attiravanlo  ancora  gravi  interessi,  qua'  provenivano  dal  pre- 
cedente decennio  all'  incirca  di  sua  dimora,  dall'operosità  somma  spiegatavi 
nell'arte,  dall'alto  nome  acquistatovi ,  dalle  sue  commerciali  relazioni  e  più 
ancora  da'  vincoli  di  famiglia  per  la  Caterina  di  Blasco  anzidetta,  che  vi  avea 
tolto  in  isposa.  Giunti  però  i  marmi  in  Palermo  ,  ed  obbligato  egli  a  por 
mano  alla  grande  intrapresa ,  da  cui  dovea  conseguire  alti  vantaggi  e  la 
maggior  celebrità  del  suo  nome,  vi  ebbe  trasferito  del  tutto  casa  e  famiglia 
sulla  fine  del  1508,  ovver  nel  sorgere  del  seguente  anno,  fermatovi  perma- 
nente soggiorno  per  attendere  senza  posa  a'  lavori.  Soprattutto  a  principio 


(  '  )  'Die  iiij."  menni  augusti  x  ind.  ijoy.  Tro  prefato  magistro  Antonello  Gagini,  qui  Imbuii  per  bancum 
Hereduni,  virìule  cambiorum,  uncias  centutn  ad  opus  emptionis  inannorum  ad  opus  diete  trilione  et  dus  parietum, 
erga  dietimi  maragma  majoris  panormitane  ecclesie,  de  solvendo  et  restituendo  dictas  uncias  centutn  in  casa  con- 
tiavenl ioni 's  dicto  inaragmati  seu  maragmerio  ejusdem,  ...  nobilis  Joanues  de  'Blasco,  cognatus  dicti  iv.agistri  Ant., 
presens  corani  nobis,  sponte  fidejubsit  et  se  fuìejussorem  et  pnncipalein  pagalo  rem  et  solutorem  constiluit ,  renuii- 
ciaudo  juri  de  primo  et  principali  conveniendo,  alias  sicut  primus  de  fide / iisso ribus,  super  bonis  omnibus  habitis  et 
babendis,  presentibus  et  futuris,  prò  causa  presentis  fidejussionis  maragmati  specialiter  et  expresse  obligatis  et  \po- 
thecatis,  prout  ipse  Joanues  fidejussor  primum  serie  obligari  et  ypotbecari  voluit ,  eie.  Testes  :  Johannes  de  Mar- 
chisio et  Joanues  de  Monacho.  —  Da  un  volume  incompleto  di  minute  degli  atti  di  notar  Pietro  Tagliarne, 
an.  X  ind.   1507,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


222  I    GAGINI    lì    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


gli  fu  mestieri    occuparsi    della  generale    scompartizione  della   tribuna ,  dei 
preparativi  di  base  e  dell'  adattamento  di  marmi  piani  nelle  pareti    per   indi 
procedere  alle  parti  di  maggior  momento  dell'opera.  Ma  insin  d'allora,  non 
anco  scorso  un  anno  dacché  vi  si  lavorava,  essendo  sembrato  a  molti  della 
città,  e  specialmente  all'arcivescovo,  al  pretore,  a'  giurati  ed  a'  marammieri, 
che  quel  cominciamento  non  rispondesse    in    effetto  alla  ricchezza    e  son- 
tuosità somma ,  che  da  tutti    richiedevasi  in  quella ,  fu  determinato   recarvi 
notevoli    modificazioni  ed  aggiungimenti  a  quanto  si  era  stabilito   per  essa 
nel  precedente  contratto  di  luglio  del  1507,  e  ciò  mercè  un  secondo  con- 
tratto in  notar   Antonino  Lo  Verde  in  Palermo  a  25  di  gennaio  XIII  ind. 
1509  (15  io)  (').  In  presenza    quindi    dell'  arcivescovo    Paterno  e  del  ma- 
gnifico Fabio  di  Bologna,  allora  tesoriero  e  marammicre  del  duomo  e  che  pur 
compariva   per  parte  e  nome  del  pretore  e  de'  giurati    della  città  ,    nuova- 
mente si  obbligava  il  Gagini  a  que'  mutamenti  ed  aggiunte  ,  che  stimavasi 
utile  recare  a  quella  prima  convenzione,  rimanendo  però  essa  per  tutt'  altra 
parte  in  pieno  vigore  e  fermezza.  Sembra ,  che,  giusta  il  tenore  della  me- 
desima ed  il  primo  disegno  approvato  ,    un    notevole    spazio  con  incrosta- 
mento di  semplici  lastre  di  marmo  ,  o  ,   come  allora  fu  detto,  tavolaggio  di 
marmi  piani,  corresse  intermedio  fra  il  basamento  ed  i  lavori  del  prim'  or- 
dine   della    tribuna ,  cioè   quel    degli  apostoli    con   le    analoghe    decorazioni. 
Stimatosi  quindi,  poiché  una  certa  parte  del  tavolaggio    e  del  basamento  fu 
posta,  che  ciò  rendesse  effetto  assai  povero  riguardo  all'opera  da  seguire,   si 
volle  in  vece  dar  luogo  a  un  cosi  essenzial  mutamento,  per  cui  sopra  una 
base  più  grande  venisse  tosto    sostituito  al  tavolaggio  piano  Y  incrostamento 
de'  marmi   ornati    dell'  anzidetto    prim'  ordine ,    giusta  un    nuovo    disegno 
con  corrispondenti  dimensioni,  che  avea  già  lo  scultore  fornito.  Veniva  per 
tal  modo  cotal  prim'  ordine  con  le  statue    degli  apostoli    a   farsi  molto  più 
basso  ,    che  non  si  era  prima  ideato  ,  talché  nel  primitivo  spazio  di  quelle 
andrebber  locate  in  vece  le  statue  del  secondo,  ossia  degli  evangelisti,  dot- 
tori e  vergini ,    rimanendo  al  di  sopra  spazio  novello   ad    una  terza  fila  di 
statue  di  martiri  ed  altri  santi  con  una  finestra  centrale  in  fondo.   I  parti- 
colari delle  misure  e  de'  prezzi  ,    modificati  e  accresciuti  in  ragione  di  tali 
mutamenti  e  notevoli  aggiunte  da  farsi,  potrà  chi  n'abbia  vaghezza  trovarli 
nell'atto  sovraccennato,  dove  ne  é  minuzioso  ragguaglio,  essendo  ancor  ivi 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  LVII. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  V.  22  5 


fra  varie  altre  condizioni  da  notar  questa  ,  che  ,  quando  all'artefice  si  fosse 
anticipata  una  maggior  somma  di  quanta  glien  si  doveva  di  terzo  in  terzo, 
sarebbe  stato  egli  tenuto  adibire  un  maggior  numero  di  lavoranti  o  maestri 
per  fornire  in  un  anno  due  o  tre  scompartimenti  ,  con  che  però  le  figure 
tutte  ,  cosi  di  statue  che  d' istorie,  dovesse  con  ogni  perfezione  e  bellezza 
di  propria  sua  mano  eseguirle.  Né  poi  que'  soli  aggiungimenti  e  mutazioni 
si  fecero,  che  in  quella  seconda  convenzione  si  eran  disposti  :  ma,  volutosi 
altresì  estendere  la  gran  decorazione  al  fronte  esterno  de'  due  lati  in  sull'in- 
gresso della  tribuna,  fu  dato  così  luogo  per  ciascun  lato  ad  altre  sei  statue  con 
tutti  i  loro  relativi  ornamenti  ,  facendo,  che  quattordici ,  e  non  più  dodici, 
ne  ricorressero  nel  prim'ordine  e  nella  serie  inferiore  del  secondo,  oltre  ad 
essenziali  mutamenti  praticati  anco  in  fondo  o  nel  centro.  Cosi  incessante- 
mente fin  da  principio  veniva  provveduto  alla  maggiore  magnificenza  di  si 
ammirabile  opera,  che  senza  fallo  non  ebbe  pari  in  Italia,  ed  il  cui  sommo 
concetto  fu  parto  di  quell'altissimo  genio,  cui,  benché  indi  non  gli  bastasse 
la  vita  ad  interamente  fornirla,  rimastone  a'  suoi  figli  il  fortunato  retaggio 
del  compimento,  sen  dee  pur  tutto  intero  riferirgliene  il  singoiar  vanto  di 
averla  ideata  ed  a  grande  eccellenza  condotta. 

Giova  qui  intanto  rilevare  qual  fosse  il  totale  congegno  della  tribuna, 
com'ella  ancor  durava  al  tempo  del  Mongitore,  priachè  la  stoltezza  e  la  ce- 
cità di  nuovi  Vandali  non  l'avessero  manomessa  e  distrutta.  Dal  suolo  del 
tempio  in  sino  all'  estremo  cornicione  sovrastante  era  essa  tutta  di  bianchi 
marmi,  ripartita  in  due  grandi  ordini  del  più  elegante  corinzio ,  1'  un  dal- 
l' altro  divisi  da  cornice  con  vaghissime  fregiature.  Ricorrevan  nel  primo 
all'  intorno  ben  ventidue  pilastri,  con  molta  ricchezza  anch'essi  e  varietà  e 
leggiadria  di  ornamenti,  dando  luogo  da  ambi  i  lati  a  quattordici  nicchie, 
entro  le  quali  a  destra,  cominciando  dal  centro  ,  eran  le  statue  degli  apo- 
stoli Pietro,  Giovanni,  Jacopo  il  minore,  Tomaso  e  Filippo,  ed  al  di  fuori  in 
prospetto  quelle  di  Bartolomeo  e  di  Paolo,  mentre  vi  rispondevano  in  egual 
modo  a  sinistra  quelle  di  Andrea,  Jacopo  il  maggiore,  Matteo,  Simone  e  Giuda 
Taddeo,  ed  all'esterno  due  altre  di  Mattia  e  del  Battista.  Il  second'  ordine  poi, 
distribuito  siccome  il  primo  con  altrettanti  pilastri,  aveva  un'altra  serie  di  quat- 
tordici nicchie,  in  cui,  contando  pure  dal  centro,  eran  dal  destro  lato  le  statue 
de'  santi  Luca,  Cosma,  Domenico,  Cristina  e  Ninfa,  e  fuori  quelle  di  Am- 
brogio e  Cristoforo,   laddove  corrispondevano  dal  sinistro  le  altre  de'  santi 

30 


2  24  l    GAGI^I    li    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

Marco,  Damiano,  Francesco  d'Assisi,  Lucia  ed  Oliva,  e  parimente,  di   fronte- 
air  esterno,  di  Agostino  e  Sebastiano.  Afferma  intanto  il  Mongitore,  che  un 
terz'ordine  ben  distinto  dava  luogo  al  di  sopra  ad  altri  venti  pilastri  con  una 
terza  serie  di  dodici  statue  degli  altri  Santi  (r):  ma  da  un  disegno  ad  inta- 
glio della  prospettiva  interna  del  duomo  di  Palermo,  pubblicato   nel    1760, 
dov'è  per  incidente  come  uno  schizzo  del  generale  congegno  architettonico 
della  tribuna  (unico  e  solo  ricordo,  che  ora  in  figura  ne  rimane),  vien  dato 
in  vece  rilevare  con  evidenza  ,  che  la  terza  serie  delle  statue  ,  anziché  aver 
formato  distintamente  un  terz'ordine,  non  si  comprendeva  che  nel  secondo, 
dove  perciò  1'  una    sull'  altra    ricorrevano  due  file  di  statue  scompartite  fra 
gli    stessi    pilastri ,    che    quindi  si  prolungavano    ad  aver    compimento    coi 
lor  capitelli    fino  alla  gran  cornice    sovrastante  (2).    Non  é  facile  però  dar 
conto    della    mancanza  di  due    statue    nella    terza    serie    anzidetta ,    né    dei 
venti  pilastri,  che  vi  accenna  il  Mongitore  e  che  probabilmente  formavano  una 
special  decorazione  di  essa  ,    di   cui    or   non  può  affatto  più  darsi  un'  idea 
distinta.  Sol  si  conosce  in  fine,  che  vi  erano  a  destra  le  statue  di  S.  Gio- 
vanni evangelista,  S.  Lorenzo,  S.  Antonio  abbate  e  S.  Caterina,  ed  in  pro- 
spetto quelle  di  S.  Maria  Maddalena  e  S.  Gregorio,  corrispondendovi  a  si- 
nistra le  altre  di  S.  Matteo,  S.  Stefano,  S.  Benedetto  e  S.  Agnese,  e  fuori 
quelle  di  S.  Agata  e  S.  Girolamo.  Così  le  statue  degli  evangelisti,  de'  dot- 
tori e  delle  vergini,  che    si  era  pria  stabilito  dovessero  esclusivamente  for- 
mare la  seconda    serie  ,    andarono    poi    divise  e  locate    fra  la   seconda  e  la 
terza  ,    dispostevi  con  esse    quelle    degli   altri  Santi  ,    con    che   però  i  detti 
evangelisti  ben  opportunamente   occuparono  i   quattro  capi   delle    dette  due 
serie  in  maggior  vicinanza  del  centro,  dove,  siccome    vedremo,  fu  posta  la 
statua  del  Cristo  risorto  dal  sepolcro. 

Imperocché  altresì  in  eseguire  la  decorazione  della  parte  centrale  della 
tribuna  alcun  notevole  mutamento  poi  vi  fu  fatto  di  come  si  era  in  prima  or- 
dinato ;  e  non  più  postavi  la  figura  sedente  di  Nostra  Donna  col  figlio  in 
grembo  ,    qual  si  era  già  stabilito  farvi  entro    una  nicchia  assai  riccamente 


(')  Mongitore,  La  cattedrale  di  Talerino;  ms.  cit.,  cap.  XXVII,  pag..  164  e  seg.  E  lo  stesso  asserisce 
I'  Amato,  De  principe  tempio  panormilano.  Pan.,  1728,  Kb.  VII,  cap.  IV,  pag.  151   e  seg. 

( 2  )  Il  detto  schizzo,  di  cui  può  vedersi  un  facsimile  nella  tavola  X  di  quest'opera,  num.  2,  fa  parte  del 
cernuto  disegno  ad  intaglio  nel  volume  intitolato  'Descrizione  dello  solenne  acclamazione,  e  del  giuramento  dì 
fedeltà  prestato  al  re  di  Sicilia  Ferdinando  'Borbone,  compositi  dai  dottor  DOMENICO  SCHIAVO,  palermitano.  In 
Palermo,  MDCCLX,  in  40. 


NE]    SECOLI    XV    E    XVI.     GAP.  V. 


225 


adorna,  nel  modo  seguente  andò  in  vece  composta  quell'opera.  Nel  basso, 
in  corrispondenza  alle  preziose  storie  in  giro  ,  sottostanti  alle  statue  del 
prim'  ordine,  era  come  per  base  una  nicchia  più  larga  che  alta,  dentrovi  a 
destra  in  piccole  figure  in  rilievo  Maria  Vergine  giacente  morta,  con  Cristo 
in  atto  di  accoglierne  in  cielo  l'anima  corteggiata  dagli  angeli,  ed  a  sinistra  in 
un  portico  gli  apostoli  e  discepoli  di  Gesù,  recando  in  processione  sul  feretro 
il  corpo  della  sua  madre.  Seguiva  al  naturale  al  di  sopra  il  sepolcro  di  lei, 
ornato  in  fronte  di  una  croce  di  porfido,  con  due  figure  di  vergini  genu- 
flesse da'  lati  pregando  con  libro  in  mano,  e  dietro  pur  ginocchioni  la  Madre 
di  Dio,  levate  in  alto  le  braccia  e  come  esalando  l'immacolato  spirito  (').  Si 
ergeva  indi  al  vero  su  quella  tomba  la  bella  figura  della  Diva,  recata  in  cielo 
da  sette  leggiadri  angeli;  e  cosi  era  decorato  tutto  il  prim'ordine  in  fondo, 
a  cui  mettevan  capo  da'  lati  le  statue  degli  apostoli ,  ricorrendo  fra'  loro 
pilastri  e  compartimenti.  Era  poi  nel  secondo  un  più  ingegnoso  congegno, 
laddove,  pur  sovrastando  alla  cornice  e  agli  ornati  frapposti  in  basso  l'avello 
scoperchiato  del  Cristo  con  dattorno  tre  belle  figure  di  soLdati  o  guerrieri  in 
armi  bianche,  immersi  in  profondo  sonno,  levavasi  al  di  sopra  la  statua  del 
Risorto,  locata  in  mezzo  ad  una  gran  finestra  centrale  con  ammirabile  effetto 
di  luce,  che  parea  da  esso  diffondersi.  Alquanti  angeli  con  gli  strumenti  della 
Passione  in  mano  decoravano  i  lati  della  finestra  medesima,  nella  cui  parte 
superiore,  formata  a  guisa  di  cielo,  era  fra  raggi  d'oro  la  simbolica  colomba  del 
Paracleto.  Compiva  finalmente  all'intorno  quella  sontuosa  architettura  un'ampia 
cornice  di  proporzioni  e  modanature  della  maggiore  eleganza  e  bellezza,  con- 
finando con  la  gran  volta,  la  quale,  non  più  stimatosi  decorarla  a  musaico, 
come  si  era  innanzi  pensato  ,  venne  più  tardi  ornata  di  magnifici  stucchi 
per  opera  di  Vincenzo  Gagini,  ultimo  de'  figliuoli  dell'altissimo  caposcuola, 
e  specialmente  nel  mezzo  con  una  colossale  figura  del  Dio  Padre  fra  molti 
angeli,  ergendo  la  destra  in  atto  di  benedire  ed  impugnando  con  la  sinistra 
uno  scettro.  Cosi  la  maggior  tribuna  del  duomo  palermitano  fu  monumento 
stupendo  non  meno  del  singoiar  genio  di  Antonello,  il  quale  si  felicemente 


(')  Secondo  la  pia  credenza  di  alcuni  scrittori  ecclesiastici  e  specialmente  di  Clictoveo  (De  <Assumpt., 
cap.  VI),  di  cui  riporta  le  parole  l'Amato  (op.  cit.,  pag.  152):  Crediderim  eam  non  decubuisse  in  ledo,  more 
agrotaniium  ci  qui  morbo  pressi  claudunt  batic  vitam,  cum  venia  pictorum  et  sculptorum ,  cum  ncque  infirmila/c 
vexata  credi  polius  dibeat ,  neque  debilitate  prostrata,  sed,  flexis  reverenter  genibus  et  sublatis  in  coelum  manibns, 
inter  orandum ,  acceptissimum  lDeo  spiritimi  exhalasse ,  quemadmodum  Pavìum  primum  ereniitam  obiisse  tradii 
Hieronymus. 


226  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


la  concepì  e  con  la  più  grande  perfezione  la  recò  innanzi  in  gran  parte,  che 
del  notabil  valore  della  sua  scuola  ,  rappresentata  soprattutto  da'  figli ,  che 
riuscirono  a  totalmente  compirla,  e  meglio  dell'  attività  prodigiosa  dell'  arte 
in  Sicilia  per  tutto  il  corso  di  quel  fioritissimo  secolo.  Perloché  indi  a  di- 
sdegno vien  concitato  l'animo,  pensando,  che  un  altro  secolo  ben  diverso, 
e  quasi  agli  antipodi  di  quello  per  gusto  e  sentire  dell'arte,  non  ebbe  ritegno 
ad  interamente  distruggere  con  la  tribuna  stessa  la  più  straordinaria  creazion 
dell'ingegno  del  sommo  artefice,  fattosene  anche  un  prelato  promotore  della 
ruina  ,  qual  contrapposto  all'  altro  ,  che  ad  ergerla  avea  dato  il  maggiore 
impulso. 

Chiamato  espressamente  in  Sicilia  dal  napolitano  Serafino  Filangeri , 
arcivescovo  di  Palermo,  il  fiorentino  architetto  cavalier  Ferdinando  Fuga,  che 
in  Napoli  era  in  servizio  della  real  corte,  ed  avutone  incarico  di  proporre 
checché  stimasse  opportuno  fare  nel  duomo  palermitano,  che  si  dicea  biso- 
gnevole di  risarcimento  in  molte  parti  delle  sue  fabbriche,  non  aveva  esi- 
tato costui  nel  maggio  del  1767  a  dar  fuori  un  disegno  di  total  rinnovazione, 
per  cui,  distruggendo  quanto  più  si  potesse  di  preziosità  dell'antico  in  quel 
famoso  tempio,  si  desse  luogo  ad  ammodernarlo  di  pianta,  a  svecchiarlo  del 
gotico  ed  a  tutto  rifarlo  sul  nuovo  toscano  stile.  Alla  vandalica  proposta  vi- 
vamente si  opposero  i  Palermitani  e  lungo  tempo  resistettero  ,  esponendo 
con  continui  richiami  e  querele  al  governo,  che  non  si  volea  già  la  distru- 
zione del  loro  antico  duomo  sotto  il  pretesto  di  un  totale  rinnovamento  , 
ma  sol  che  ne  venisse  risarcito  e  migliorato  l'edificio  in  quanto  fosse  bi- 
sogno. Su  di  ciò  insistettero  ancora  con  efficaci  loro  consulte  il  capitolo  e 
clero  con  a  capo  il  nuovo  arcivescovo  Sanseverino  ,  successore  del  Filan- 
geri, dacché  dalla  sede  di  Palermo  era  stato  costui  trasferito  a  quella  di  Na- 
poli. Ma  per  disavventura  prevalsero  colà  in  fine  1'  autorità  ed  i  maneggi 
del  napolitano  prelato,  spinto  com'egli  era  a  tutt'uomo  dal  Fuga,  suo  fa- 
vorito, che  in  'K.apoli  di  presenta  e  con  la  foraci  della  sita  voce  ficea  la  sua  causa 
nel  far  valere  il  suo  gran  modello  (');  e  così  a  re  Ferdinando  fu  carpita 
nel  1781  la  decisiva  deliberazione  di  dare  effetto  ad  un  de'  più  pazzi  e  dan- 
nosi devastamenti,  che  segnano  di  maggiore  onta  e  vergogna  l'umana  stol- 


(  '  )  Sono  parole  di  Francesco  Maria  Emanuele  e  Gaetani,  marchese  di  Villabianca,  nel  suo  'Diario  pa- 
lermitano pubblicato  nella  'Biblioteca  storica  e  letteraria  di  Sicilia  ...  per  cura  di  Gioacchino  Di  Marzo  (Pa- 
lermo, 1880,  parte  I,  voi.  XVIII,  pag.   124),  dove  con  molti  particolari  è  narrato  un  si  deplorabile  fatto. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  V.  22J 


tezza.  Fu  allora  ,  che  ,  datosi  corso  per  quasi  vent'  anni  all'  opera  di  spie- 
tata distruzione,  andarono  manomesse  del  tutto  nell'interno  le  auguste  e 
sveltissime  forme  archiacute  del  gran  tempio  normanno,  e,  non  rimastone 
più  vestigio  dell'antica  architettura,  scomparve  affatto  la  grand' abside  per 
dar  luogo  al  cappellone  odierno,  andando  con  quella  totalmente  distrutta  e 
scomposta  la  mirabile  opera  del  Gagini.  Di  quell'immensa  composizione  di 
pregiatissimi  marmi,  che  contenea  non  meno  di  quarantacinque  statue,  oltre 
le  mezze  ligure  ,  le  storie  ed  ogni  bellezza  di  ornati ,  nulla  più  fu  lasciato 
a  serbarne  a'  posteri  alcuna  distinta  idea  della  passata  magnificenza,  scon- 
voltone, divisone  e  sperperatone  il  tutto.  Si  videro  allora  poste,  come  ancor 
sono,  le  statue  del  prim'  ordine  della  distrutta  tribuna,  con  al  di  sopra  le 
mezze  figure  degli  angeli  e  con  le  sottostanti  preziosissime  storie,  a  note- 
vole altezza  fra  le  nude  e  bianche  pareti  dentro  e  fuori  del  cappellone  an- 
zidetto, sparnicciate  le  altre  su  pe'  merli  della  facciata  meridionale  del  tem- 
pio, nel  portico  ed  accanto  alle  porte  laterali,  e  tutto  il  restante  (sol  tranne 
alquanti  fregi  locati  ad  ornamento  di  una  delle  cappelle)  sacrilegamente  di- 
strutto, involato  o  disperso.  Ma  da  quel  tanto,  che  di  si  pregiate  sculture 
scampò  alla  sfrenata  barbarie  de'  rinnovatori,  risalta  tuttavia  in  modo  insi- 
gne, e  non  men  forse  che  dal  miglior  numero  di  altre  opere,  l'altissimo  va- 
lore di  Antonello  e  della  sua  scuola. 

A  lui  ritornando ,  è  chiaro  potere  osservare ,  che  dopo  la  seconda 
convenzione  da  lui  fatta  in  gennaio  del  15 io,  con  che  si  notevoli  riforme 
ed  aggiunte  furon  recate  al  primitivo  disegno  del  1507,  egli  dovè  imman- 
tinente essersi  messo  all'opera  con  numerose  schiere  di  maestri  e  di  lavo- 
ranti, qua'  potè  avere  in  aiuto.  E  che  fin  d'allora  avesse  cominciato  a  dare 
effetto  alla  parte  ornamentale  del  prim'  ordine  appare  innegabile  dall'  anno 
medesimo  15  io,  che  si  vede  segnato  in  un  vaghissimo  fregio  esistente  oggidì 
con  altri  nella  cappella  di  S.  Rosalia,  e  che  ricorrea  prima  daccanto  alla  statua 
di  S.  Bartolomeo  nella  tribuna  (:).  Parimente  d'allora  dovette  il  Gagini 
essersi  accinto  a  scolpire  le  prime  statue  degli  apostoli,  comunque  non  possa 
con  precisione  affermarsi  quai  primamente  ne  avesse  fornito  e  collocato.  Ma 
quand'erano  già  nel  miglior  modo  avviati  i  lavori  dell'insigne  opera,  di 
cui  pur  molto  cominciava  a  vedersi  del  mirabile  effetto  di  sontuosità  e 
magnificenza  ,  che  fra  non  guari   avrebbe  essa  raggiunto  ,    moriva  il  gene- 


(  '  )  Vedine  il  disegno  nella  tavola  IX,  num.  2. 


228  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


roso  arcivescovo  Paterno  ,  che  V  avea  più  che  altri    promossa  ,    addi   24   di 
gennaio  del   1 51 1.  Nondimeno,  stando  a  cuore  a  tutti  di  proseguire  inces- 
santemente un'  impresa  di  sommo  decoro    non  meno  al    culto  di  Dio    che 
di  segnalatissimo    onore  ed  ornamento  alla  patria,    fu  a  così    grave   perdita 
supplito  con  altri  mezzi,  che  ovunque  si  cercarono  e  si  riusci  ad  ottenere. 
Perloché  indi,  non  valendo  le  sole  entrate  della  chiesa  a  far  fronte  alle  in- 
genti spese,  che  all'uopo  si  richiedevano,  trovò  spediente  il  senato  palermi- 
tano implorar  dalla  Santa  Sede  un'  indulgenza  per  quanti  avrehber  concorso 
con  elemosine  o  pie  largizioni  alla  fabbrica  della  tribuna  ;    e  per  opera  del 
cardinal  Francesco  Remolino,  successore  del  Paterno    nell'arcivescovado  di 
Palermo,  ma  che  nonpertanto  faceva  in  Roma  soggiorno,  non  indugiò  papa 
Leone  X  a  concederla  per  coloro,  che  avrebbero  visitato   il  duomo  dal  24 
al  26  di  marzo  del  15 14,  soccorrendo  elemosine  pel  proseguimento  de'  lavori. 
Laonde  a'  9  di  gennaio  di  quel  medesimo  anno,  di  già  ottenuto  il  breve,  indi- 
rizzò il  senato  al  Remolino  una  lettera,  rendendogli  grazie  delle  premure  da  lui 
prodigate  in  vantaggio  della  sua  chiesa  (x):  oltreché  pure  a'  7  del  mese  istesso 
avea  già  scritto  al  viceré  Ugo  Moncada  in  Messina,  perché  ordinasse  V esecutoria 
del  breve  anzidetto  per  l' indulgenza  e  desse  altresi  facoltà  di  spendere  per  la 
tribuna  una  somma  di  circa  once  sessanta  (1.  765),  rimaste  da'  fondi  del  monte 
di  pietà  di  Palermo  (2).  Il  giubileo  di  fatti  ebbe  luogo  ne'  giorni  prefissi,  e  ge- 
nerosamente i  fedeli  concorsero   in  prò  di  quell'opera,  talché,  apertasi  quindi 
a  27  di  marzo  la  cassa  delle  elemosine  ,  trovossi  in  soli  tre  giorni  versata 
la  somma  di  once  quattrocento  (1.   5,100),  per  que'  tempi  considerevole,  la 
quale  il  pontefice  destinò  alla  tribuna  (3).  Ciò  essendo  di  aggiunta  a  quanto 
continuamente   spendevasi  da'  fondi  della  maremma    ossia    dell'  opera    della 
fabbrica  della  chiesa,  é  ben  da  credere,  che  i  lavori    abbiano  allora  dovuto 
aver  preso  molto  incremento    e    che    alquante    statue    degli   apostoli  abbia 
fatto  in  quel  tempo  il  Gagini  ,    laddove  poi   del   resto  ,    siccome    vedremo, 
non  ci  volle  a  men  di  uno  spazio  di  quindici  anni  perché    le  avesse  inte- 
ramente fornito.  Imperocché,  come  é  noto,  si  aggiungevano  alle  quattordici 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  LVIII. 

(2j  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  muli.   LIX. 

(3)  Si  legge  in  fatti  la  noti  seguente  in  fronte  al  volume  degli  Atti,  Bandi  e  Provvisti  dell'anno  1515- 
14,  ind.  II,  nell'archivio  comunale  palermitano,  a  fog.  1:  Die  27  di  marxp  ij  ini.  1^14  fu  aperta  la  caxa  di 
lu  jubìllO  intra  lo  Inauro  di  la  mairi  eclesia,  presenti  li  officiali;  et  trovamela  nn;i  qualrocelìto,  li  quali  si  ob- 
liuui  da  papa  Leone  decimo  per  la  /rabica  di  la  corta  di  la  dieta   ee/isia. 


NEI    SliCOLI    XV    li    XVI.    GAP.    V.  22y 

Statue  del  prim'  ordine  le  altrettante  storie  in  rilievo  di  complicate  compo- 
si/ioni e  della  maggior  finitezza  ed  eleganza,  le  mezze  figure  degli  angeli, 
condotte  anch'esse  a  grande  perfezion  di  lavoro,  e  tutta  l'immensa  copia 
e  varietà  di  architettonici  ornati,  che  decorar  dovettero  i  vari  scompartimenti. 
\Tè  si  può  a  meno  inoltre  di  computare  i  tempi,  in  cui  doveva  indugiarsi 
per  deficienza  di  mezzi ,  o  per  difetto  de'  marmi ,  o  perchè  il  sovrano  ar- 
tefice, distolto  dall'infinito  numero  di  altre  opere,  diche  da  ogni  dove  a- 
vea  continue  richieste,  era  colà  pure  astretto  a  dover  rimettere  dall'ordinaria 
sua  attività  insino  al  segno  di  provocarsi  contro  ingiunzioni  e  minacce. 

È  induhitato  pertanto,  che  le  statue  e  tutt' altre  sculture  del  prim' or- 
dine della  tribuna  del  duomo  palermitano  appartengono  all'  età  del  più  vi- 
goroso scolpire  del  Gagini,  da'  trenta  a'  cinquant'anni.  Non  può  determi- 
narsi, ripeto,  con  qual  precisa  successione  siano  esse  state  eseguite,  né  vai 
ridarsi  ad  indovinarlo  su  vaghe  impressioni,  senza  che  del  tempo  della  più 
parte  di  quelle    sia  fin  ora   certezza  da  documenti.    Imperocché  si  può   at- 
tribuire sovente  a  naturai    progresso    dell'  artefice    quanto  non  è  eh'  effetto 
di  svariate  condizioni,  che  valsero  per  avventura  a  dargli  un  fare  più  largo 
e  risoluto  in  un'  opera  anteriore  ad  altra,  che  pur  sembri  accennare  ad  al- 
quanto   minore    sviluppo,   e  quindi  sen    trarrebbe  facil    cagione  di  abbaglio 
a  voler  giudicarne  dell'ordine  di  tempo,  con  che  furon  esse  scolpite.  Quel, 
che  però  indubbiamente  da  tali  statue  risulta,  si  è,  che  né  per  elevazione  o 
profondità  di  concetto  e  di  sentimento,  né  per  magistero  stupendo  di  ese- 
cuzione,   come  ivi  è  dato  generalmente  ammirarne,  non  erasi    giammai  da 
altri  toccato  in  Sicilia  cotanta  altezza  e  perfezione  dell'arte  a  quanta  il  Ga- 
gini allora  pervenne,  traendo  il  maggior  prò  dall'augusta  e  mirabile  indole 
de'  soggetti  stessi,    che  gli  fu  dato  in  sorte   ad   esprimere.    Imperocché  gli 
apostoli,  eletti  dal  Cristo  a  diffondere  il  suo  evangelo  per  tutta  la  terra,  a 
governare  il  suo  gregge  in  qualità  di  pastori  delle  anime  ed  a  suggellar  col 
martirio  l'eroismo  della  lor  fede,  offrivano  all'arte  de'  tipi  di  gran  lunga  e- 
levati  sopra  il  comune  degli  uomini  ed  ispirati  dall'ideale  cristiano.  Ed  An- 
tonello, rappresentandoli  sul  marmo,  valse  egregiamente  a  rivelare  quel  ca- 
rattere di  santità  profonda,  di  maestà  e  di  vivissima  fede  ,  che  a  tutti  essi 
è  comune,  pur  variando  in  ciascuno  di  sentimenti  e  di  espressione,  giusta 
le  individuali  lor  differenti  condizioni  dell'indole  e  della  vita.  Laonde  dal- 
l' evangelica    soavità    del  diletto  Giovanni  e  dal    piissimo    raccoglimento  di 


23O  I    GAGINT    li    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

Giacomo  alla  maestà  sublime  di  Paolo,  il  convertito  apostolo  delle  genti,  si 
percorrono  i  più  eminenti  gradi  di  bellezza,  che  il  solo  genio  dell'arte  cristiana 
potè  ispirar  tali  all'incomparabile  artefice.  Da  un  disegno  del  San  Giacomo 
Maggiore,  che  qui  dò  in  luce  per  saggio,  si  scorge  come  il  Gagini  sia  riuscito 
ad  esprimere  un  cosi  eccelso  modello  di  santità  e  di  dolcezza,  di  pietà  e  di 
penitenza,  di  zelo  e  di  mansuetudine,  che  il  Cristianesimo  appresta  nel  ver- 
gine figliuolo  di  Zebedeo,  un  de'  più  cari  al  divin  Nazareno,  dopo  la  di  cui 
morte  andò  pellegrinando  di  terra  in  terra  per  diffondere  ovunque  la  fede, 
che  confermò  in  fine  col  sangue  (').  Laonde  poi  da  questa  e  non  meno  dalle 
migliori  statue  degli  altri  apostoli  deesi  ascrivere  a  singoiar  merito  dello 
scultore,  ch'egli,  non  mai  uscito  dalla  nativa  sua  isola,  a  quanto  pare  a- 
desso  evidente  da'  documenti  della  sua  vita ,  né  perciò  veduto  o  studiato 
checché  di  grande  in  eguali  soggetti  si  fosse  innanzi  prodotto  al  di  fuori, 
né  pur  venendo  preceduto  da  artisti ,  che  in  simil  guisa  giammai  li  trat- 
tarono, creò  tutti  di  suo  quegli  stupendi  tipi  di  sacra  bellezza  ,  mercé  la 
singolarità  del  suo  intelletto  e  la  squisita  vena  del  suo  sentire  ,  comin- 
ciando a  dar  luogo  a'  prodigi  di  quella  straordinaria  originalità  e  fecondità 
di  concepimenti,  che  furono  in  lui  sovrana  dote  del  genio.  Che  se  indi  si 
attenda  al  merito  dell'esecuzione,  vedesi  come  Antonello  generalmente  vi  at- 
tinga il  sommo  dell'  intelligenza,  signoreggiando  la  forma  come  organo  del 
pensiero,  perchè  in  tutto  evidente  e  perfetta  vi  corrisponda.  Anziché  sfog- 
giar di  scienza,  che  in  lui  fu  veramente  grande  e  profonda  nell'arte,  egli  la 
immedesima  quasi  nell'alto  suo  magistero  con  la  maggior  naturalezza  e  spon- 
taneità di  scalpello,  e  da  ciò,  senza  esagerazione  di  sorta,  s'ingenera  tanta 
bellezza,  che  non  men  si  tramanda  nelle  sue  statue  dalla  verità  ed  eleganza 
delle  parti ,  siccome  del  nudo  ,  delle  pose  e  delle  attitudini  delle  singole 
membra,  che  da  quell'armonia  di  tutte  le  linee,  che  si  accompagnano  e  con- 
vergono al  più  bello  effetto  del  tutto.  Al  che  ancor  precipuamente  concorre 
quella  sua  grande  valentia  nel  trattare  i  panneggiamenti  ,  per  cui,  spirando 
egli  l'anima  e  la  vita  nelle  sembianze  e  negli  atti  delle  figure  ,  fa  che  le 
vestimenta  in  conformità  vi  corrispondano  al  carattere,  all'indole  ed  al  mo- 
vimento della  persona,  e  con  sommo  gusto  e  giudizio  sceglie  i  più  vaghi 
partiti  di  pieghe,  rendendo  conto  dove  incominciano,  dove  si  distendono, 
dove  vanno  a  finire,  giusta  la  diversità  de'  panni  e  la  differente  natura  dei 


(')  Vedi  il  detto  disegno  nella  tavola  XI  di  quest'opera. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.     CAP.  V.  23 1 


soggetti,  onde  spesso  riesce  a  tanta  eleganza  e  perfezione  da  non  trovarsi 
in  ciò  chi  lo  arrivi.  Perloché  in  vero  1!  italiana  scultura  non  ha  migliori  e 
più  ani  mirabili  esempì  di  eleganza  e  bellezza  di  piegheggiamenti,  che  nelle 
statue  del  S.  Filippo,  del  S.  Tommaso  e  del  S.  Giovanni  evangelista  del  Ga- 
gini,  come  non  vi  ha  forse  altro  scultore  per  grande  e  celebrato  che  fosse  in 
quell'aureo  secolo,  che  la  maggiore  soavità  dell'  ispirazione  cristiana  in  tanta 
varietà  di  condizioni  e  di  soggetti  abbia  cosi  altamente  saputo  esprimer  nel 
marmo.  Che  se  alcun  che  di  tozzo  e  di  pesante  pure  si  avverte  nelle  statue  del 
S.  Pietro,  del  S.  Andrea,  del  S.  Bartolomeo  ed  in  qualch' altra  della  tribuna, 
molta  probabilità  induce  a  credere  ,  che  siano  state  fra  le  prime  eseguite,, 
risentendo  la  giovanile  maniera  dello  scultore  ,  quand'  egli  ancora  potè  più 
essersi  avvalso  dell'opera  del  Mancino  e  di  Bartolomeo  Berrettaro,  inferiori  a 
lui  di  gran  lunga,  ma  che  certo  ivi  pur  lavorarono.  Però  ad  un  tempo  alcuna 
delle  più  belle  fra  le  statue  degli  apostoli  è  chiaro  sia  stata  fra  le  prime  scol- 
pita e  collocata ,  com'  è  appunto  quella  già  detta  bellissima  del  San  Tom- 
maso, la  quale  per  documento  risulta  di  già  compiuta  con  la  sua  sottostante 
storia  di  piccole  figure  in  rilievo  nel  maggio  del  151 3,  allorché,  come  ap- 
presso vedremo ,  ne  fu  chiesta  al  Gagini  una  replica  per  altrove.  E  certo 
cotanta  eccellenza  e  multiplicità  grande  di  opere  ,  cui  egli  infaticabilmente 
attendeva  nella  tribuna  del  duomo  palermitano,  furon  precipua  cagione  del- 
l'altissima  rinomanza  e  del  primato,  ch'ei  venne  acquistando  nell'arte  per 
tutta  l'isola  e  che  niuno  si  attentò  di  contendergli. 

Ma  non  meno  che  nelle  statue  conviene  ornai  singolarmente  ammirarlo 
nel  genere  di  scultura  il  più  diffìcile  ad  ottenere  felici  risultamenti,  e  che 
fu  pure  quivi  da  lui  trattato  d'in  sul  principio  con  tal  profondità  di  sapere 
e  finezza  di  gusto  da  parer  egli  in  ciò  veramente  inimitabile  ;  dico  nelle 
composizioni  di  storie  in  rilievo.  Sotto  ciascuna  delle  quattordici  statue,  che 
ricorrevano  nel  prim' ordine  della  detta  tribuna,  egli  scolpiva  in  altrettanti 
bei  quadri,  come  anco  di  sopra  è  cenno,  un  de'  più  notevoli  atti  della  vita 
di  ciascun  Santo  ;  ond'  è  che  rappresentan  essi  Pietro  costituito  da  Cristo 
nella  suprema  potestà  della  Chiesa,  il  martirio  di  Giovanni  dinanzi  la  porta 
Latina,  il  martirio  di  Giacomo  il  minore,  Tommaso  in  atto  di  toccar  le  fe- 
rite del  Cristo ,  Filippo  nel  miracolo  del  soggiogato  dragone ,  lo  scortica- 
mento di  Bartolomeo  ,  la  conversione  di  Paolo  ,  la  vocazione  di  Andrea  , 
un  miracolo  di  Giacomo  il  maggiore,  Matteo,  che  lascia  il  telonio,  Simone 

31 


2j2  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


decapitato  insieme  a  Taddeo,  Giuda  Taddeo  medesimo  in  atto  di  conver- 
tire Abagaro  re  di  Edessa  e  fargli  adorare  il  Cristo ,  Mattia  ascritto  fra  gli 
apostoli  e  finalmente  la  decollazion  del  Battista  nell'istante  che  il  suo  capo  re- 
ciso vien  presentato  ad  Erode.  Tali  preziose  sculture  nella  gran  decorazione 
della  tribuna,  come  fu  dal  Gagini  congegnata,  ricorrevano  nel  più  basso  di 
quella  sul  basamento,  talché  fu  mestieri  custodirle  con  graticole  di  fil  di  ferro 
dall'imprudente  pietà  de'  fedeli,  e  per  esser  vedute  da  vicino  vi  pose  l'artefice 
tanta  diligenza  e  delicatezza  di  lavoro ,  che  or  non  più  si  riesce  ad  ammirar 
facilmente  all'altezza,  in  cui  nel  moderno  cappellone  furon  riposte  ('). 

Or  dovutosi  colà  esprimere  in  principal  modo  e  con  tutta  la  pompa  e 
il  decoro  dell'arte  cotanta  varietà  di  soggetti  di  si  notevoli  personaggi  del 
Cristianesimo,  assunse  quel  grande  ingegno  un  nuovo  e  tutto  suo  metodo 
di  scultura,  per  cui  le  composizioni,  riunendo  in  perfetto  accordo  ogni  ma- 
niera di  rilievo  dal  tutto  tondo  al  più  basso,  riuscirono  a  conseguire  il  più 
felice  effetto  del  vero.  Il  Ghiberti,  é  pur  noto,  era  stato  il  primo  nella  penisola 
ad  aprir  tal  sentiero  al  grande  sviluppo  dell'arte,  che  non  era  mai  stato  di- 
nanzi da  altri  tentato  ,  e  nelle  famose  porte  del  San  Giovanni  in  Firenze 
riuscì  ad  una  felice  gradazione  ,  usando  i  diversi  modi  di  rilievo  in  tanta 
multiplicità  di  figure,  che  son  maravigliose  a  vedere,  alcune  in  gruppi  più 
lontani  e  ben  poco  sporgenti,  altre  in  mezzo  rilievo  intermedie,  ed  altre  più 
avanti  e  quasi  di  tutto  tondo  con  bello  e  stupendo  artificio.  Ma  del  Gagini 
non  affatto  risulta  da  documenti  della  vita,  che  siasi  giammai  recato  nella 
penisola,  e  niun  riscontro  del  rimanente  si  avverte  fra  le  sue  opere  e  quelle 
dell'altissimo  fiorentino  maestro.  Ben  di  costui  e  degli  altri  insigni  Toscani 
ebbe  in  vece  potuto  vedere  i  grandi  lavori  Domenico,  padre  di  Antonello, 
siccome  quegli,  che,  Lombardo  di  origine,  non  è  improbabile  abbia  prati- 
cato con  quelli ,  de'  quali  ne'  suoi  bassirilievi  di  Polizzi  arieggia  anche  al- 


(  r  )  Ne  lasciò  scritto  il  rinomato  architetto  Paolo  Amato  da  Ciminna  nel  proemio  alla  sua  Nuova  pril- 
lila di  prospettiva  (Palermo,  1714-33,  pag.  6):  «  E  sicuramente  che  si  palesò  istruttissimo  di  tali  opere  (di 
«  scultura)  il  sempre  famoso  palermitano  scultore  Antonio  Gaggino  ne'  suoi  bassi  rilievi,  scolpiti  in  marmo  e 
«  collocati  alti  da  terra  non  più  che  sette  palmi  in  circa  nell'absida  o  tribuna  della  Metropolitana  di  Palermo. 
«  Stanno  come  in  quadri  sotto  li  nicchi  delle  statue  delli  santi  apostoli,  e  si  vede  in  ogn'uno  figurato  il  loro 
«  diverso  martirio,  con  espressione  vivacissima  di  atteggiamenti  e  con  proporzione  assai  esatta  di  prospettiva. 
«  Ricevono  dall'  occhio  di  ogni  riguardante  in  piedi  e  dal  punto  visuale  si  partono  tutte  le  linee  e  r.igione- 
<'  voli  degradamenti ,  e  delle  numerose  figurine  e  delle  parti  de'  paesi  e  dell'  architettura ,  che  riescono  cos'i 
«  ben  intesi,  che  non  saprebbe  l'occhio  decidere,  se  gode  maggiormente  del  suo  dotto  inganno  in  un  quadro 
<'  dipinto  da  colori,  0  in  questi  quadri  formati  dallo  scalpello.  » 


MI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  V.  233 


quanto  lo  stile.  Presa  adunque  dal  padre  o  da  altri  contezza  di  quel  genere 
di  scultura  sin  da'  suoi  più  giovani  anni,  il  recò  quindi  Antonello  a  si 
nuovo  e  mirabil  grado  di  sviluppo  e  di  eccellenza,  a  cui  né  Domenico  né 
altri  giammai  pervennero,  ed  ove  in  singoiar  modo  rivelasi  la  grande  ori- 
ginalità del  suo  ingegno.  Avvertendo  adunque  il  difetto  di  una  estesa  di- 
stanza reale,  egli  nelle  dette  sue  storie  per  lo  più  rappresenta  una  limitata 
prospettiva,  sia  nell'interno  d'un  tempio,  o  d'un  vestibolo,  o  d'un  telonio, 
e,  quando  il  soggetto  stesso  richieda  una  più  ampia  prospettiva  in  piazza, 
marina  o  campagna,  riduce  tutta  sul  dinanzi  l'azione  e  decora  di  quella 
il  fondo.  Cosi  quel  suo  insigne  artificio  consiste  nel  dar  risalto  al  maggior 
numero  di  figure  ,  disponendole  nella  parte  anteriore  del  quadro  in  piani 
vicini,  talché  l'inclinazione  prospettiva  del  breve  sfondo  dia  veramente  un 
effetto  di  distanza,  che  non  riesce  interamente  supposta.  Più  indietro  alcune 
figure  secondarie  in  mezzo  rilievo  prendon  talvolta  luogo  in  un  piano  più 
interno,  riunendo  effetto  dalla  maniera  dello  scolpito,  dalla  stessa  loro  collo- 
cazione e  dalla  projezione  delle  ombre,  mentre  tutt'altre  figure,  che  debbono 
apparire  più  internamente,  vengon  poi  delineate  nel  fondo  in  bassissimo  rilievo 
sull'estremo  del  piano  prospettivo.  Tutto  il  quale  artificio  riesce  a  rendere 
un  sorprendente  effetto  di  vero,  laddove,  essendo  le  figure  per  la  più  parte 
sul  dinanzi  in  piani  poco  distanti  gli  uni  dagli  altri,  tutte  in  rilievo  e  senza 
che  spesso  quelle  del  secondo  sembrino  affatto  aderenti  a  quelle  del  primo, 
ne  ottiene  la  composizione  la  maggiore  evidenza  e  risalto.  Le  prospettive 
poi,  che  formano  il  campo  dell'azione,  comincian  talora  d'in  sul  davanti  e 
ricorrono  per  tutto  lo  sfondo,  soccorrendo  con  gli  scorci  e  le  ombre  allo 
effetto  della  distanza,  cosicché  le  prime  arcate  d' un  tempio  o  d' un  vesti- 
bolo poggiano  in  primo  piano  con  un'  ampiezza  quasi  proporzionatamente 
reale,  e  le  successive  ristringonsi  conforme  all'elevazione  e  all'effetto  delle 
prospettive  medesime.  In  somma  il  Gagini  in  quelle  sue  storie  trae  anche 
partito  da  una  piccola  realtà  dello  sfondo  a  grandi  risultamenti,  e,  per  lo 
più  dando  luogo  ne'  piani  anteriori  alla  più  notevole  parte  del  soggetto,  vi 
fa  prevalere  il  tutto  tondo  al  mezzo  e  stiacciato  rilievo,  di  cui  fa  uso  al  di 
dietro  negli  accessori,  e  quindi  riesce  unico  e  singolare  in  tal  genere,  quale 
non  so  da  altri  giammai  trattato  egualmente.  E  aggiungi ,  che  tutte  quelle 
composizioni  preziose  e  così  confacenti  a'  soggetti,  che  rappresentano,  do- 
tate di  tanta  verità  e  naturalezza  e  non  men  di  bellezza  somma  e  di  estre- 


234 


I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


ma  eleganza  di  espressione,  son  tutte  originai  parto  della  mente  del  grande 
artefice  ,  senza  che  simiglianza  o  riscontro  se  n'  abbia  in  tipi  o  tradizioni 
figurative  anteriori,  né  in  opere  di  precedenti  o  contemporanei  maestri.  Dal 
che,  egualmente  che  dal  gran  numero  delle  statue  ed  altre  sculture ,  quai 
son  da  lui  tutte  esclusivamente  ideate  e  composte  ,  è  chiaro  com'  egli  sol 
per  potere  del  proprio  genio,  primo  su  tutti  in  Sicilia  in  quel  fortunato  se- 
colo, sali  nell'arte  a  cotanta  eccellenza. 

A  dar  meglio  un'  idea  dell'originalità  e  valentia  somma  del  nostro  scul- 
tore nel  nuovo  e  stupendo  artificio  di  quelle  quattordici  storie  produco  in- 
tanto nella  tavola  XII  di  quest'opera  il  disegno  di  una  delle  più  belle  e  pre- 
gevoli fra  esse,  cioè  di  quella,  che  or  vien  la  terza  dal  lato  destro  dell'  al- 
tare sotto  la  statua  di  San  Filippo.  Narrano  le  antiche  leggende  della  vita 
di  questo  apostolo,  ch'essendo  egli  andato  nella  Scizia  a  predicare  il  Van- 
gelo, que'  Gentili  il  condusser  dinanzi  alla  statua  d'  un  loro  nume,  probabil- 
mente Marte ,  costringendolo  a  sacrificargli  :  ma  che  subito  dalla  base  del- 
l' idolo  venne  fuori  un  tremendo  dragone  ,  il  quale  uccise  il  figliuolo  del 
pontefice  e  due  tribuni  e  sparse  lo  spavento  nella  moltitudine,  appestandola 
col  suo  alito.  Allora  promise  l'apostolo  di  fugare  il  dragone  e  richiamare  in 
vita  i  morti,  purché  l'idolo  cadesse  infranto;  e,  avendo  consentito  a  ciò  tutti, 
operò  tosto  il  prodigio  (r).  Or  questo  solenne  momento  prescelse  il  Gagini 
a  soggetto  della  composizione  di  quell'ammirabile  istoria.  Vi  si  vede  l'interno 
d'un  gran  tempio,  tripartito  da  quattro  ampie  file  di  arcate  poggianti  a  pieno 
centro  su  dorici  pilastri,  con  magnifico  e  classico  sfoggio  di  architettura.  In 
fondo  al  più  largo  spazio  del  centro  é  la  cella,  di  cui  a  capo  sull'altare  sorge  la 
statua  del  guerriero  nume  con  da'  lati  due  fiaccole  ardenti.  Dappiè  vi  ha  il 
terribil  drago,  che  spalanca  la  gola  contro  l'apostolo,  mentr'egli  sul  dinanzi, 
forte  nella  sua  fede,  erge  pacato  ad  un  segno  di  croce  la  destra,  stupenda- 
mente composto  nella  semplicità  delle  sue  vesti  e  stando  in  una  posa  di 
pieno  equilibrio  su  d'ambe  le  piante,  come  chi  nulla  operi  di  straordinario, 
eppur  disponga  di  sovrumano  potere  (2).  In  primo  piano  intanto  giace  boc- 
cone da  un  lato  un  cadavere,  e  dall'  altro  un  bel  giovine,  prosteso  pur  egli 
al   suolo  e  pocanzi  estinto,   sente   che    insolita   virtù  di  già  lo  richiama  in 


(')  Henscìien'IUS  et  Papf.brochius,  Ada  Sandonim  Ma/i,  etc.  Venetiis,   1737,  toni.  I,  Ada  S.  Philip pi 
pag.  12. 

(2)  Peccato  però  che  ora  in  questa  bellissima  e  principale  figura  manca  totalmente  la  destra  mano  an- 
zidetta, di  cui  è  facile  altronde  indovinare  l'atteggiamento. 


NEI   SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  V.  235 


vita,  e,  poggiando  le  mani  sul  terreno,  rivolgasi  al  Santo  per  riconoscere  in 
lui  l'autore  di  tanto  prodigio:  sono  i  due  tribuni.  Di  dietro  però  all'apo- 
stolo un  altr'  uomo  si  avanza,  recando  ravvolto  in  un  lenzuolo  1'  esanime 
corpo  dell'ucciso  figliuol  del  pontefice  ed  anelando  che  per  virtù  di  quello 
sia  desto  dal  mortai  sonno;  e  poi  dall'una  banda  e  dall'altra  é  d'ogni  maniera 
gente  in  isvariate  attitudini,  specialmente  a  destra  un  gruppo  di  un  bellis- 
simo vecchio  e  di  un  giovine  ,  che  guardano  attoniti ,  ed  all'  opposto  lato 
soldati,  che,  compresi  come  son  dal  terrore,  non  sanno  ancor  decidersi  a 
rimanere  o  fuggire,  laddove  ornai  fugge  scomposta  la  moltitudine  in  fondo. 
Ma  del  resto  le  nude  parole  non  valgono  a  più  oltre  rappresentar  la  bel- 
lezza, il  sentimento,  la  vita  e  l'esquisita  esecuzione,  che  pose  il  Gagini  in 
questo  mirabil  soggetto,  di  cui  quindi  miglior  contezza  darà  certo  l'annesso 
disegno.  Aggiungo  qui  soltanto,  che,  sebben  questa  scultura  appartenga  al- 
l'età matura  di  lui,  siccome  quella,  che  insieme  alle  storie  del  San  Paolo  e 
del  San  Matteo  si  vedrà  indi  fornita  nel  1527,  non  pure  per  l'eccellenza  del 
magistero  generalmente  ne  differiscon  le  altre ,  delle  quali  talune  sono  per 
fermo  anteriori;  e  quindi  non  è  a  dubitare,  che  sin  da  principio  Antonello 
abbia  recato  quel  genere  d'arte  a  si  fatta  elevazion  di  sviluppo. 

Che  varietà,  che  leggiadria  ,  che  vaghezza  non  é  poi  negli  ornati,  dei 
quali  già  sopra  toccammo  (!)  e  che  fregiavano  con  infinita  eleganza  e  ric- 
chezza quell'ammirabile  architettura!  De'  quattordici,  che  or  ne  rimangono 
nella  cappella  di  S.  Rosalia  (oltre  un  frammento  d'un  altro,  che  conservasi 
in  ripostiglio),  giova  qui  apprestarne  disegni  di  tre  differenti  esempi  a  mostrar 
come  il  Gagini  con  somma  fecondità  d'invenzione  e  squisitezza  di  gusto,  va- 
riando incessantemente  ne'  modi  e  nelle  forme,  vi  sia  pur  sempre  maestro  di 
altissimo  pregio.  Il  primo  (tav.  IX,  num.  1),  con  un  gruppo  bellissimo  di  due 
allegoriche  figure  virili  ignude,  l'una  con  una  fiaccola  e  l'altra  galeata  e  con 
una  scure,  entrambe  sovrastanti  a  segni  del  zodiaco  e  ad  una  sfera,  sembra  che 
con  qualche  ornato  compagno,  che  adesso  manca,  abbia  potuto  comprendere 
alcuna  di  quelle  allegorie,  che  soprattutto  ne'  suoi  famosi  grotteschi  introdusse 
il  genio  del  Sanzio,  e  che  sotto  un'apparente  stranezza  nel  riunire  e  comporre 
le  più  discordanti  forme  ascondono,  se  così  può  dirsi,  un'idea  morale,  che 
discoperta  dà  ragione  del  tutto.  L'altro  (tav.  IX,  num.  2),  segnato  dell'anno 
15 io  e  che  fu  al  certo  un  de'  primi  locati  nella  tribuna,  recando  un  ricco  fe- 


(  '  )  Vedi  nel  precedente  capitolo,  pag.  207  e  seg. 


2}6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


stono  verticale,  in  cui  si  annodano  bei  frutti  in  ciocche,  avvicendati  ad  armi 
bianche  e  fra  le  altre  a  uno  scudo  con  aquila  bicipite,  qual  si  è  lo  stemma 
della  chiesa  palermitana,  par  voglia  alludere  alla  prosperità  ed  al  potere  della 
medesima  nel  suo  trionfo  contro  il  maligno  spirito,  figurato  dappiè  in  una 
testa  recisa  e  pendente  d'un  Oloferne  o  d'  un  Golia,  con  cui  si  termina  il 
fregio  e  che  non  so  con  qual  senno  potè  venire  stimata  ritratto  dello  scul- 
tore. Non  trascuro  però  di  notare,  che  la  parte  superiore  di  quest'  ornato, 
dove  ricorre  l'anno,  manca  di  attacco  con  tutto  il  resto  di  sotto,  dove  anco  si 
vedono  infrante  le  punte  di  due  nastri,  mostrando  l'accozzamento  di  due 
pezzi  diversi.  Nel  terzo  in  fine  (tav.  IX,  num.  3),  con  vaghi  avvolgimenti 
di  foglie,  con  putti,  vasi,  maschere,  sirene  e  strani  e  grotteschi  animali, 
vien  dato  libero  campo  a'  capricci  del  gusto  ,  il  quale  però ,  guidatovi  dal 
miglior  sentimento  dell'arte,  vi  attinge  in  vero  il  sommo  della  bellezza.  Né 
minor  pregio  vi  ha  in  altri  del  resto  degli  ornati ,  che  ivi  ricorrono  ,  co- 
munque non  si  possa  concepire  più  adesso  qual  sorprendente  effetto  dovean 
produrre,  posti  nella  tribuna  a  decoro  di  sì  gran  copia  di  pilastri  terminati 
da  conforme  eleganza  di  capitelli  (tav.  IX  bis).  Che  se  poi  taluni  di  essi 
ornati  fra  tanta  copia  e  ricchezza  non  raggiungono  l' eccellenza  di  altri  ed 
anzi  di  molto  vi  sottostanno  per  evidente  inferiorità  di  scalpello,  è  appunto 
in  ciò  a  discernere,  come  altresì  fu  notato  di  alcune  delle  statue,  la  secon- 
daria opera  de'  discepoli  e  degli  aiuti,  di  che  per  fermo  il  sovrano  artefice 
in  quell'ingente  lavoro  dovè  in  gran  numero  ed  in  ogni  tempo  avvalersi. 

Imperocché  nella  maravigliosa  operosità  da  lui  spiegata  in  Palermo  da 
quando  assunse  la  straordinaria  intrapresa  della  tribuna  del  duomo  ,  e  che 
sempre  più  venne  ad  accrescersi  per  infinito  numero  di  lavori  quanto  più  si  e- 
stendeva  la  singolare  sua  fama,  è  certo,  che  di  molteplici  aiuti  gli  fu  mestieri 
circondarsi,  non  sol  di  provetti  maestri,  che  ivi  da  prima  del  suo  ritorno  trova- 
vansi  ad  esercitar  l'arte  e  che  con  lui  si  acconciarono  ad  aiutarlo  nella  più  no- 
bile ed  elevata  esecuzione,  ma  ancor  di  notevol  numero  di  giovani,  ch'egli  da 
ovunque  raccolse  e  nella  sua  scuola  venne  all'  arte  educando,  giovandosene 
di  scarpellini  e  di  minori  lavoranti  di  vario  grado  di  merito,  de'  quali  ebbe 
tanto  bisogno.  Quando  di  lui  si  scriveva  checché  frullasse  ne'  cervelli  sen- 
z'alcun'ombra  di  ragione  o  criterio  (come  nel  corso  di  più  di  tre  secoli  a 
contare  dal  tempo  della  sua  morte  da  pochi  e  sciamannati  scrittori  fu  fatto) 
non  si  ebbe  scrupolo  al  mondo  di  asseverare,  che  le  quattordici  statue  ed  i 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.    V.  2}J 


bassirilievi  è  le  altre  decorazioni  del  prim'  ordine  di  essa  tribuna  li  comin- 
ciò egli  bentosto  unitamente  a'  suoi  figli  Vincenzo,  Giacomo  e  Fa^io  nel  1507  (J). 
Né  passava  per  mente  quanto  da  storica  certezza  è  ora  evidentissimo,  che 
non  erano  allora  ancor  nati  quei  tre  figliuoli  al  Gagini,  i  quali,  siccome  ve- 
drem  fra  poco,  egli  poi  ebbe  dalla  seconda  sua  moglie,  e  che  sol  da  quat- 
tr'anni  la  prima  lo  avea  reso  padre  del  suo  primogenito  Giovan  Domenico, 
e  che  il  secondogenito  Antonino ,  quand'  anche  pria  del  ritorno  in  patria 
gli  fosse  stato  dalla  medesima  partorito  e  non  dopo,  non  poteva  che  starsi  a 
vagire  in  fasce.  Perlochè  solo  è  da  render  merito  all'  acuto  ingegno  di  Mel- 
chior Galeotti,  che,  non  capacitatosi  punto  de'  tanti  sogni  e  stoltezze,  che 
con  la  maggiore  disinvoltura  si  eran  venuti  sciorinando  sul  conto  del  grande 
artefice,  stimò  rettamente  in  vece,  che  ove  la  storia  non  soccorresse  a  de- 
terminare di  quai  lavoranti  ei  si  fosse  giovato,  sarebbe  a  concluder  sempre  col 
dritto  ragionamento,  che  aiutatori  possenti  ei  dovette  avere,  essendo  fuori 
d'ogni  credibilità ,  che  facesse  tanto  un  sol  uomo ,  o  eh'  egli  solo  fosse 
scultore  in  Sicilia  in  quell'età  gloriosa  di  monumenti,  e  lasciando,  che  va- 
gissero ancora  entro  la  culla ,  o  meglio  che  avesser  nascimento ,  i  fi- 
gliuoli (2). 

Ma  la  storia  oggidì  chiarisce  ad  evidenza  un  tal  fatto  mercè  i  docu- 
menti contemporanei,  che  si  è  riuscito  rinvenire,  talché  se  non  si  può  dar 
conto  di  tutti  i  diversi  artisti ,  che  prestarono  ad  Antonello  la  loro  opera 
durante  la  sua  lunga  e  gloriosa  carriera  nell'arte,  se  n'ha  pur  tanto  da  rile- 
vare abbastanza  com'egli  abbia  potuto  far  fronte  a  si  straordinario  numero 
di  lavori ,  che  gli  eran  da  ovunque  richiesti  e  eh'  egli  in  gran  parte  inces- 
santemente produsse.  Pertanto  ,  lasciando  star  anche  quanto  é  sol  da  rite- 
nere probabile,  ma  che  fin  qui  non  ha  prova  di  storica  certezza,  ch'egli, 
tornato  in  Palermo  da  Messina  ad  imprendervi  quell'  immenso  lavoro  della 
tribuna,  abbia  dovuto  seco  portarvi  almeno  alcuno  de'  più  valenti  aiuti,  che 
colà  fin  allora  aveva  avuto  in  suo  servigio  ,  è  indi  innegabil  cosa  ,  che  in 
patria  siesi  veramente  giovato  dell'opera  di  tutti,  che  in  differenti  gradi  dal 
più  alto  al  più  basso  esercizio  dell'  arte  vi  maneggiavano  lo  scalpello  ,  ag- 
giuntivi anco  gli  allievi,  che  si  venne  formando  egli  stesso.  Ivi  di  già  tro- 
vavans.i  stabiliti  i  carraresi  scultori  Giuliano    Mancino  e  Bartolomeo  Berret- 


ta') Gallo,  Elogio  storico  di  /Intorno  Gagini.  Palermo,  1821,  pag.  11. 

(2  )  Galeotti,  Preliminari  alla  storia  di  Antonio  Gagini.  Palermo,  1860,  pag.   11. 


238  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


taro,  che,  come  già  fu  veduto,  si  tennero  legati  molt' anni  in  società  nel- 
l'operoso magistero  dell'arte  loro,  venendo  in  molte  opere  adibiti  da  un 
capo  all'  altro  dell'  isola ,  dove  non  poco  furon  tenuti  in  conto.  Comun- 
que costoro  in  sul  principio  non  abbian  dovuto  forse  avere  a  grado ,  che 
il  giovine  Gagini  fosse  stato  su  loro  prescelto  alla  grand'  opera  della  tri- 
buna e  che  fosse  venuto  in  Palermo  a  togliergli  la  preminenza  neh"  arte, 
che  già  da  più  anni  vi  avevano  acquistata,  è  certo  però,  che  vi  fu  tempo, 
in  che  a  lui  unitamente  si  prestarono  ne'  lavori  della  tribuna  anzidetta: 
ond'  è,  che  indi  in  un  conto  generale  delle  spese  di  già  erogate  per  essa  , 
fatto  fra  il  Gagini  ed  il  marammiere  Bernardino  Perdicaro  a  29  di  agosto 
del  1524,  è  fra  le  altre  nota  di  una  somma  di  once  dieci  (1.  127.  50),  di 
che  pretendeva  il  Perdicaro  tosse  in  debito  lo  scultore  per  altrettanta  som- 
ma dinanzi  pagata  dalla  maramma  a  Giuliano  Mancino .  già  morto  ,  ed  al 
vivente  Bartolomeo  Berrettaro  a  cagion  di  lavori ,  che  gli  avean  forniti 
per  quella  (').  È  facile  anzi  (comunque  ancor  non  risulti  da  documenti 
dal  tempo),  che  col  Gagini  avesse  ancor  ivi  lavorato  Antonio  o  Antonino 
Berrettaro,  fratel  di  Bartolomeo,  essendo  di  poi  certezza,  che  in  artistiche 
relazioni  gli  fu  legato  talvolta,  siccome  quello,  che  secolui  si  obbligò  per 
la  custodia  del  Sacramento  nella  maggior  chiesa  di  Marsala  nel  1530:  ol- 
treché in  minori  servigi  potè  altresi  a  lui  essersi  prestato  Antonino ,  gio- 
vine figlio  dello  stesso  Bartolomeo  e  nipote  dell'altro  di  quel  nome.  Da  al- 
quanti spogli  intanto  da  me  fatti  nel  1859  da'  libri  de'  conti  nell'archivio 
poi  totalmente  distrutto  della  maramma  del  duomo  palermitano  (i  quai  libri 
non  cominciavano  che  dal  1527,  mancandovi  affatto  quelli  di  epoca  ante- 
riore) rilevo,  che  sotto  il  Gagini  in  quel  tempo  colà  trovavansi  addetti  ad 
opere  di  scalpello  vari  minori  artisti,  che  vi  eran  pagati  con  giornaliera  mer- 
cede, per  lo  più  di  tari  due  e  grani  dieci  al  giorno  (1.  1.  06),  e  segnata- 
mente Pietro  di  Battista  ,  Vincenzo  Carrara  e  Fedele  Carona,  o  meglio  da 
Carona,  de'  quali  non  dubito,  che  già  da  più  anni  attivamente  vi  fossero 
adoprati  in  tale  esercizio  insieme  anche  a  un  Giovanni  marmoraio,  di  cui  fin 


(  '  )  Leggesi  quindi  nel  cennato  documento,  che  pure  vien  pubblicato  intero  a  suo  luogo  fra'  Documenti 
di  quest'opera:  Item  etiam  dicttu  magnificus  (il  marammiere  Bernardino  Perdicaro,)  pretendit  dictum  magittrum 
Antonella»!  teneri  ad  uncias  decem  vd  circa  per  totidem  factas  bonas  per  dictum  marasma  quondam  magistro  ]u- 
liano  Manchino  et  magistro  Bartolomeo  'Berrittaro  prò  totidem  babilis  per  ipsum  magistrurn  Antontìlum  a  dictis 
Jidiano  et  Bartholomeo  nomine  ditti  maragmatis,  ac  etiam  rescrvatis  dicto  maragnwJi  prò  tribus  aliis  parlitis  b  an- 
corum,  etc. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.     CAP.  V.  239 


ora  non  é  altro  ricordo  (r).  Del  detto  Pietro  di  Battista  non  è  intanto  ben 
chiaro,  se  debba  intendersi  il  figlio  del  lombardo  scultore  Gabriele  ,  ovver 
l'omonimo  e  bastardo  nipote  di  quello,  allievo  già  del  Mancino  e  che  testò 
in  Palermo  nel  1533,  dovendo  recarsi  in  Loreto  (2).  Stante  però  la  par- 
tenza per  colà  di  quest'ultimo  dopo  il  29  di  settembre  del  detto  anno,  qual 
si  è  la  data  del  suo  testamento,  credo  più  focile  che  i  conti  de'  lavori  nella 
tribuna  del  duomo  nell'anno  appresso  debbano  invece  riferirsi  a  Pietro  suo 
zio,  essendo  altronde  certo ,  che  molto  costui  ancor  visse  e  che  non  chiuse 
i  suoi  giorni  se  non  nel  1550  (>).  Vincenzo  Carrara  o  da  Carrara  fu  poi 
certamente  de'  molti  Carraresi  venuti  a  far  fortuna  in  Sicilia  nell'arte  infin 
dal  sorgere  di  quel  secolo,  costando,  che  a  16  di  novembre  del  1518  si  ob- 
bligò a  Giacomo  Agliata,  regio  milite,  barone  di  Castellammare  del  Golfo  e 
luogotenente  del  regno ,  per  non  so  qual  componimento  ossia  ornato  in 
marmo  da  fargli  pel  prezzo  di  onze  cinque  e  tari  quindici  (1.  70.  12)  per 
un  giardino  di  pertinenza  del  medesimo  in  contrada  Ciambralingo  ,  fuori 
le  mura  di  Porta  Nuova  in  Palermo  (4);  e,  venendo  poi  al  termine  di  sua 


(')  Ed  ecco  alcune  partite  di  que'  conti,  come  furon  da  me  rilevate  da'  detti  libri.  Dal  libro  III  degli 
anni  1528  a  1 5 3 1 ,  a  fog.  115:  Mastro  V incenso  Carrara,  marmoraro ,  deve  dare  a  dì  v  di  giugno  tari  xxviij, 
et  sono  in  conto  de  io  servigio,  chi  esso  fa  ad  annittari  li  capitelli  di  la  ditta  desia;  et  per  noi  D.  Cosimo  Xi- 
rotta  e  conpagnia  posto  on^e  ..,  tari  xxviij. — Dal  libro  IV  degli  anni  1532-33,  a  fog.  100:  ^Castro  Fidili  Ca- 
fona, marmoraro,  in  conto  di  lavorar!  ed  annittari  li  capitelli  de  le  colonne  dì  la  matre  desia  (in  varie  partite) 
on~e  2.10. — Dal  libro  V  degli  anni'  1533-34,  sotto  quest'ultimo  anno,  a  fog.  78:  A  mastro  Antonello  Gaggini 
tari  vj,  et  per  ipso  a  mastro  Fidili  Carona,  a  conplimento  di  tari  12.10  per  conto  di  quista  simana  a  tari  2.10 
lo  jorno  a  l'opera  di  la  cona;  et  per  noi  T).  Perotto  Tarongi  e  coup,  posto  on%e  ...  tari  vj.  —  A  lo  ditto  tari  vj, 
et  per  ipso  a  mastro  Petra  di  Battista,  a  conplimento  di  tari  12,  per  tante  giornate  avi  sconpntato  suo  fatto  al- 
l' opera  di  la  tribona.- — Molte  di  tali  partite,  che  sommavano  ad  onze  590.26.2,  seguivano  a  fog.  85  per  pa- 
gamenti fatti  in  conto  di  Antonello  Gagini  a'  detti  Fedele  Carona  e  Pietro  di  Battista.  E  vi  era  inoltre  que- 
st'altra: A  xvij  di  marxp  on%e  tre,  tari  xiiij,  per  isso  (Antonello)  a  mastro  Joanni  marmoraro,  et  sono  a  conpli- 
mento di  conto  fra  di  loro:  per  noi  D.  P erotta  e  conpagnia  posto  on%e  iij,  tari  xiiij. 

(2)  Vedi  sopra  nel  capitolo  III,  pag.  136  e  seg. 

(  5  )  Rilevasi  ciò  da  un  principio  dell'inventario  de'  suoi  beni,  fatto  pochi  di  dopo  avvenuta  la  morte  di  lui,. 
nel  registro  di  num.  1809  di  notar  Alfonso  Cavarretta  ,  an.  1550-52,  ind.  IX-X,  fog.  210,  nell'archivio  dei 
notai  defunti  in  Palermo  ,  dove  si  legge  :  Die  xxviij.'  novembris  viti]'.'  ind.  1 570.  Cimi  bis  novissimis  iiebus , 
sicut  "Domino  placuit ,  mortuus  et  defuntus  extiterit  hon.  magìster  Petrus  de  Abbattista  major  ab  intestato,  nullo 
per  eum  condito  testamento,  relittis  et  succedentibus  sibi  hon.  Paulo,  Bartholomeo  et  Vincentio  de  Abbattista,  eius 
filiis  legitimis  et  naturalibus,  ...  feccrunt  et  facilini  presentali  inventarium  hereditarium,  etc.  E  segue  soltanto  il 
principio  del  detto  inventario,  che  indi  rimane  in  tronco. 

(4)  "Die  xvj  novembris  vij  ini.  1518.  Magister  Vicencius  Carrara,  sculpitor ,  e.  p.,  presens  corani  nobis , 
sponte  se  obligavit  et  obligat  spect.  domino  Jacobo  ^Agiata,  regio  militi,  baroni  Castri  ad  mare  de  Gulfo  et  locum- 
lenenti  huius  regni  Sicilie,  presenti  et  stipulanti,    laborare  in  petra  marmorea  ponenda  per  ipsum  magistrum  Vi- 

32 


240  I    GAGIN1    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

vita,  fé'  testamento  addi  21  di  agosto  del  1529,  per  cui,  lasciati  eredi  i 
figliuoli  Franceschello ,  Baldassare  e  Bertuccia  sotto  tutela  della  moglie 
Agatuccia  Giamboi,  lor  madre,  dichiarò  fra'  suoi  vari  interessi  un  credito  di 
oncia  una  e  tari  dodici  (1.  17.  85)  a  saldo  di  maggior  somma  dovutagli 
già  dal  Gagini  per  servigi  allo  stesso  prestati  (!).  Ma  di  tutti  fu  al  certo 
con  Antonello  in  più  stretti  rapporti  Fedele  da  Carona,  poscia  suo  genero, 
nel  quale  egli  dovette  confidar  tanto  da  averlo  anche  lasciato  in  morte 
suo  fedecommessario  ed  esecutore  del  suo  testamento,  siccome  sarà  luogo 
a  vedere  appresso."  Costui,  che  dal  nome  paterno  trovasi  pure  alcuna  volta 
nomato  Fedele  di  Simone  da  Carona,  par  che  generalmente  non  venisse 
appellato  da  Carona  se  non  dalla  patria  ,  com'  era  costume  in  quel  tempo, 
essendo  a  credere  ,  che  fosse  oriundo  appunto  del  paese  di  tal  nome  nel 
cantone  Ticino  ,  a  sole  tre  miglia  da  Lugano ,  cioè  delle  stesse  contrade  , 
donde  già  con  Domenico  si  eran  da  mezzo  secolo  trapiantati  i  Gagini  in  Sici- 
lia (2).  Si  ha  intanto,  che,  dovendo  una  volta  Antonello  assentarsi  da  Pa- 
lermo ed  andarne  per  sue  faccende  in  Val  di  Noto ,   per   pubblico   atto  in 


cencium  quoddam  componimentum  seti  omamentum  ad  opus  viridarii  ipsius  domini  locuntenentis ,  siti  in  contratti 
di  Chambralingu,  erga  menta  porte  nove  huitis  felicis  urbis  Panarmi:  quod  quidem  opus  dictus  magister  Vicencius 
dare  et  consigliare  promisit  eidem  magnifico  domino  baroni  stipulanti  per  totum  mensem  decembris  anni  presentis 
proxime  venientis,  positum  in  domo  ipsius  magistri  Vicencii  :  ita  quod  dictum  opus  teneatur  facere  et  ìaborare  ... 
dictus  magister  Vicencius  juxta  modellimi  seti  designimi  per  eum  tradditum  et  consigliatimi  eidem  domino  baroni 
stipulanti  et  confitenti  penes  se  habere  :  prò  preccio  unciarum  quinque  et  tarenorimi  xv,  etc.  —  Testes  :  m.  Petrus 
Pullastra  et  Gerardus  Cappilleri. —  Dal  volume  di  registri  di  notar  Vincenzo  Sinatra,  an.  151 5-19,  ind.  IV- VII, 
num.   1603,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  '  )  Vedi  fra'  "Documenti  di  quest'opera,  num.  LX. 

(2)  Di  vari  lombardi  scultori  da  Carona,  che  tennero  dimora  e  lavorarono  in  Carrara  nel  secolo  XVI, 
reca  notizie  il  Campori  nel  suo  pregevol  volume  di  Memorie  biografiche  degli  scultori,  architetti,  pittori  ec,  na- 
tivi di  Carrara  e  di  altri  luoghi  della  provincia  di  Massa,  con  cenni  relativi  agli  artisti  italiani  ed  esteri,  che 
in  essa  dimorarono  ed  operarono  (Modena,  1873,  pag.  269  a  273).  Specialmente  ivi  è  contezza  di  Pietro  Aprili, 
detto  Pietro  da  Carona,  che  fu  parecchie  volte  in  Carrara  e  vi  si  trattenne  e  quindi  più  volte  è  rammemo- 
rato negli  atti  di  quei  notari  dal  1504  al  1558,  ma  di  cui  ordinaria  residenza  fu  Genova  sin  dalla  prima 
gioventù,  onde  in  un  rogito  stipulato  il  novembre  dell'anno  1507  vi  è  notato  qual  testimonio  nel  modo  se- 
guente: M.°  Tetro  M.'  Joannis  de  Carona  valle  Lugani,  lapicida  sive  sculptore,  habit.  Genuae.  Nel  15 14  egli  era 
in  Carrara  in  compagnia  di  un  suo  fratello  e  di  un  altro  maestro  suo  compaesano,  assistendo  tutti  in  qualità 
di  testimoni  ad  un  rogito  Lombardelli  del  3 1  ottobre,  nel  quale  si  vedono  nominati  M."  Andrea  de  Carona  M: 
Caroli,  M.°  Petro  AL'  Joannis  Aprilis  de  Carona  et  M.'  Jo.  Ant.°  de  Carona  fratre  dicti  M}  Petri.  Il  grave  im- 
pegno poscia  ivi  assunto  dal  detto  Pietro  di  terminare  insieme  a  Marco  de'  Rossi  da  Fiesole  i  monumenti 
lasciati  imperfetti  da  Bartolomeo  Ordogncz  dove  trattenerlo  ben  lungamente  in  Carrara ,  ove  anco  apparisce 
nel  1522  siccome  agente  di  Michelangelo  Buonarroti,  e,  partitone  in  seguito  per  andare  a  collocar  quelli  in 
Ispagna,  vi  fece  indi  nuovamente  ritorno,  e  vi  era  in  fine  ancor  vivo  nel  1558.  Un  suo  figlio  scultore,  Bat- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.     CAP.  V.  24I 


data  del  22  di  ottobre  del  1522  lasciò  suo  procuratore  Fedele,  come  per- 
sona di  sua  bottega  e  dell'arte  (de  cjns  apoteca  et  arte  marmorea  ipsius  consti- 
tuentis) ,  perchè  assunto  avesse  la  cura  di  tutti  i  suoi  affari ,  delle  opere  e 
dell'amministrazione  dell'arte  stessa,  sia  ricevendo  in  sua  vece  ogni  maniera 
di  somme ,  che  gli  fosser  dovute ,  ovvero  obbligandosi  a  nuovi  lavori  da 
farsi  in  Palermo  od  altrove,  o  comparendo  in  qualunque  causa  o  litigio  per 
conto  e  interesse  di  lui ,  datogli  all'  uopo  ampio  potere  e  piena  libertà  di 
azione  (r).  Crebbe  anzi  talmente  col  tempo  l'affetto  del  sommo  scultore 
per  questo  suo  discepolo  fino  ad  avergli  dato  più  tardi  in  isposa  Giovannella, 
sua  figlia  naturale,  onde  per  atto  del  14  di  gennaio  IX  ind.  1535  (1536) 
Fedele  e  la  sua  sposa  dichiararon  ricevere  dal  loro  suocero  e  padre  alquanti 
oggetti  della  dote,  già  loro  assegnata,  in  valore  di  once  settanta  (1.  892.  50), 


tista  Aprili  da  Carona,  si  obbligò  inoltre  in  Carrara  pel  lavoro  di  un  Crocifisso  in  legno  alla  marchesa  Ma- 
laspina  il  14  marzo  del  1524;  e  di  Giovanni  Antonio,  fratello  di  Pietro,  è  noto  finalmente,  che  lavorò  in  Car- 
rara intorno  al  monumento  del  vescovo  d'Avila,  lasciato  poco  più  che  incominciato  dall'Ordognez,  e  ch'ebbe 
compagni  all'  opera  Pietro  stesso  e  un  altro  suo  compaesano  ,  Pietro  Angelo  delle  Scale  :  oltreché  stima  il 
Campori,  che  il  detto  Giovanni  Antonio  sia  lo  stesso  che  quell'Antonio  Maria  da  Carona,  che  pose  il  nome 
suo  al  monumento  di  don  Pedro  Enrique,  esistente  nella  Certosa  di  Siviglia,  di  questa  maniera:  Antonius  Maria 
de  Aprili  de  Charona  hoc  opus  faciebat  in  Janna  (Passavant,  T>ie  Christliche  Kunst  in  Spanien,  pag.  38).  Non 
si  sa  intanto  se  all'anzidetta  famiglia  di  scultori  d'Aprile  da  Carona  sia  stato  pure  legato  con  vincoli  di  sangue 
Fedele,  prediletto  discepolo  di  Antonello  Gagini  in  Sicilia,  ma  di  cui  fin  adesso  è  affatto  ignoto  il  cognome. 
Rilevasi  però  inoltre  in  Palermo  più  tardi  da  un  atto  di  notar  Andrea  Sinaldi  de'  19  di  settembre  del  1597, 
che  un  marmoraio  Giambattista  Aprili  obbligavasi  alla  detta  città  per  racconciar  tutte  le  cantine  della  mede- 
sima; ed  indi  a  tre  anni,  per  atto  in  notar  Andrea  De  Biasio  addi  11  di  aprile  dell'anno  1600,  un  altro  mar- 
moraio Raffaele  Li  Rapi  accoglieva  pure  in  Palermo  per  socii  il  detto  Battista  ed  un  Pietro  d'Aprile,  suo 
nipote,  marmorai  entrambi,  per  la  vendita  o  consegna  di  centoventi  trogoli  o  grandi  recipienti  per  conservar 
le  provviste  dell'  olio  al  senato  palermitano.  Dichiarasi  intanto  nel  cennato  atto ,  che  per  la  collocazione  di 
tali  trogoli,  che  venivan  di  fuori  e  si  vendevan  ciascuno  al  senato  il  prezzo  dionee  sei  (1.  76.50),  costando  ai 
soci  once  tre  e  tari  dodici  (1.  43.  35),  il  detto  Raffaele  avea  portato  da  Genova  due  maestri,  che  ivi  gli  si  eran 
per  pubblico  atto  obbligati;  e  quindi  ciò  veniva  accettato  da'  due  Aprile.  Non  è  dunque  fuor  di  ragione  il 
supporre,  che  costoro  insieme  al  Li  Rapi  sieno  stati  oriundi  Genovesi  e  discendenti  degli  Aprili  suddetti  da 
Carona,  che  avevan  fermato  in  Genova  il  loro  ordinario  soggiorno,  essendo  poi  facile  che  da  que'  loro  nepoti, 
stabilitisi  poscia  in  Sicilia  ,  abbia  potuto  trarre  sua  origine  Carlo  d'Aprile,  insigne  scultore  palermitano  del 
decimosettimq  secolo. 

(')  Eodem  (22  di  ottobre  X  ind.  1522).  Honorabilis  ni.'  Antonius  Gaginij,  scultor  mannoreus,  e.  pa.,  pre- 
sens  corani  nobis ,  omnibus  melioribus  modo,  via,  jure  et  forma,  quibus  meìius  potuit  et  debuit ,  et  justa  formavi 
juris,  sponte  fecit ,  consti  tuit,  creavit  et  sellanniter  ordinavi t  suum  veruni  et  indubitatum  procuratorem ,  nuncium 
specialem  et  ad  infrascripta  generatevi,  Fideìem  de  Carona,  de  eius  apoteca  et  arte  marmorea  ipsius  constituentis, 
presentem  et  acceptantem,  in  omnibus  et  siugulis  eius  negociis,  operibus  et  administracionibus  sue  artis  predicte,  et 
specialiter  recipientem  et  habentem  ac  recepisse  confitentem,  vice,  nomine  et  prò  parte  ipsius  constituentis,  ...  toturn 
et  quidquid  eidem  costituenti  debetur  et  debebitur  eique  apportabitur,  apocam  ve!  apocas  de  recepto  /adendo;  item 
ad  obligandum  se  et  faciendum  opera,  figuras  et  alia,  que  forte  occurrebunt  (sic)  faci end 'a ,  tatn  in  hac  urbe  Pa- 


242  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

cioè  trenta  in  danaro  ,  da  loro  avute,  e  quaranta  in  masserizie  (').  Ma  di 
notevoli  opere  del  detto  artista ,  perchè  si  possa  ben  rilevarne  il  merito  , 
non  è  alcuna  contezza.  S'ignora  qual  fosse  un  Crocifìsso,  in  cui  lavorò  egli 
poco  pria  della 'morte  di  Antonello  e  per  cui  qualche  somma  aveva  già  ri- 
cevuto da  un  magnifico  Antonio  Mezzavilla,  come  dal  testamento  dello  stesso 
Gagini  apparisce.  Di  altri  suoi  lavori  del  resto  non  vien  ricordato  che  un  fonte 
o  pila  d'acqua  santa,  che  per  pubblico  atto  de'  21  di  novembre  del  1533 
si  obbligò  egli  scolpire,  ben  ornato  e  ben  fatto,  col  piede  in  forma  di  balau- 
stro, ad  un  Bartolomeo  Gianconti,  qual  marammiero  o  fabbriciere  della  chiesa 
del  Carmine  in  Palermo,  promettendo  bensì  racconciare  in  essa  un  altro  simil 
fonte  più  antico  (2).  In  seguito,  agli  11  di  luglio  del  1536,  convenne  con 


nonni,  quatti  alibi,  accordando  et  quietando  ac  se  obligando  nomine  et  prò  parte  dicli  constituentis;  item  ad  com- 
parendum  prò  eo  prò  quacunque  causa,  lite  et  questione  ipsius  constituentis  et  respondeiiduin,  etc:  dans  et  concedens 
dictus  constituens  eidem  procuratori  suo  plenam  liceticiam  et  liberam  potestatem  et  administracionem  in  omnibus  et 
singulis  supradictis,  ...  dum  ipse  constituens  non  venerit  et  redierii  ad  urbetn  isto  primo  viagio,  in  quo  recedit  prò 
actendendo  ad  Valletti  Noti  prò  certis  eius  negoctiis  occurrentibus,  et  non  ultra.  Sub  ypotheca,  etc.  —  Testes  :  Sal- 
vator Bulgarella  et  Vicencius  Rochia.  —  Dal  volume  di  registri  di  notar  Niccolò  Bruno,  an.  1519-22,  ind.  VIII-X, 
num.  560,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo,  e  segnatamente  nell'anno  1522,  ind.  X,  fog.  108  retro 
a  fog.  109. 

(  '  )  Il  cennato  atto  è  a  fog.  473  retro  a  474  nel  volume  di  num.  1788  de'  registri  di  notar  Francesco 
Cavarretta  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo;  e  vi  è  citato  un  precedente  atto  di  assegnazione  di  dote 
in  notar  Giacomo  Lucido,  ma  senza  data. 

(2)  Die  xxj.°  novembri!  vij.'  ind.  1533.  Magister  Fidelis  de  Corona,  ìuarmorarius  et  e.  p.,  corani  nóbis 
sponte  promisi!,  se  convenit  et  sollemniter  obligavit  no.  'Bartolomeo  Jauconti,  tanquam  maragmario  ecclesie  Sancte 
diarie  Montis  Cannelli  Panormi,  presenti  et  stipulanti,  tatti  prò  eo  quo  supra  nomine,  quam  prò  dicto  conventi!, 
facere  fontein  unum  aque  beneditte  seu  sancte,  mannoreum,  cum  eius  pede  a  badagusta,  ...  ornatimi  et  bene  fattum 
et  guarnutum  in  bianco,  jam  inceptum,  bene  et  magistralità;  ad  servicium  revidendum,  ponendum  prope  unum  ex 
columpnis  existentibus  intus  dìttam  ecclesia»/,  intraudo  per  portam  magnani  ditte  ecclesie.  Et  teneatur  ipse.  magister 
Fidelis,  ut  dicitut;  inplumbari  hi  pedi  di  ditta  fonti  cum  plutnbo  ditte  ecclesie,  ncc  non  et  teneatur  conciare  alium 
fontem  aque  beneditte  vetcrem,  existentem  prope  portam  sept entri onis  ipsius  ecclesie,  bene  et  prout  videbitur  ipsi  ma- 
gistro  obligalo.  Et  hoc  prò  mercede  et  magisterio  ducatorum  sex  aureorum  et  unius  balate  marmoree  existentis  in 
terra  prope  dictum  fontem:  quam  balatam  dittus  magister  obligatus  confitetur  Imbuisse  et  recepisse  a  ditta  ecclesia; 
et  de  dittis  ducatis  sex  prò  arra  etc.  dittus  magister  obligatus  Imbuii  et  recepit  presencialiter  a  ditto  no.  'Barto- 
lomeo presente  et  sibi  solvente  ducutimi  unum  in  argento;  et  reliquos  ducatos  quiuque  dittus  no.  maragmarius,  qui- 
bus  supra  nominibus,  solvere  promisit  ipsi  magistro ,  expedito  et  posilo  ditto  fonte  novo  incontinenti  :  promitteus 
dittus  magister  obligatus  expedisse  et  posuisse  in  ditto  loco  dittimi  fontem  novuni  bine  per  totum  dominicum  ulti- 
mum  Adventus  anni  presentii,  et  dittimi  veterem  per  totum  xv  diem  mensis  januarii  anni  presentisi  alias  teneatur 
ai  omnia  dampna,  interesse  et  expensas,  et  in  casa  cotitraventionis  liceat  ipsi  no.  maragmario  et  priori  dicti  con- 
lentus  fieri  facere  seu  emere  ad  interesse  ipsius  obligati ,  pini  grandi  oy  plui  pichulu,  predo  quo  invenerint  et  in 
casu  verificacionis  dampnorum.  Que  omnia,  etc.  —  Dal  registro  di  num.  1959  di  notar  Giovanni  Catania,  an. 
153 5-34,  ind.  VII,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  sono  aggiunte  in  margine  del  riportato  stru- 
mento  due   apoche,   1' una  in  data  del  21  dicembre  e  l'altra  de'  7  di  gennaio  VII  ind.  1533  (1534)»  per  le 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.    V.  243 


Giovanni  dì  Blasco,  fratcl  della  prima  moglie  defunta  di  Antonello  e  teso- 
riere allora  della  confraternita  di  S.  Maria  di  Portosalvo  ,  pel  lavoro  di  sci 
colonne  con  loro  basi  e  capitelli  per  la  chiesa  di  essa  in  Palermo,  al  prezzo 
di  once  dieci  ad  ogni  colonna  (1.  127.50)  (').  Ma  di  lui  e  di  un  suo  figlio 
Scipione  torneremo  a  dire  in  appresso,  giacché  morì  egli  più  tardi  nel  1547, 
siccome  rilevavasi  da'  conti  di  spese  in  detto  anno  nell'archivio  della  mammina 
del  duomo  in  ragione  di  suoi  precedenti  lavori. 

E  non  pochi  altri  aiuti  ebbe  inoltre  il  Gagini  dalla  penisola,  specialmente 
di  giovani  marmorai  carraresi,  che,  traendo  partito  dal  continuo  commercio 
de'  marmi,  che  si  cavavano  e  si  spedivano  senza  posa  dalle  lor  patrie  con- 
trade per  la  Sicilia,  facilmente  invogliaronsi  e  si  determinarono  a  trasferirsi 
in  paese,  dove  per  la  gran  copia  di  lavoro  era  tanto  bisogno  di  braccia  ed 
ove  sotto  un  maestro  di  si  gran  merito  avevan  certezza  di  apprender  l'arte 
e  di  trovar  pane  e  fatica.  Quindi  per  pubblico  atto  del  30  dicembre  del  15 12 
si  allogarono  col  Gagini  in  Palermo  i  giovani  carraresi  Matteo  di  Giangiacomo 
del  Ferraro,  Giacomo  del  Cassone,  Bernardino  di  Lucco  di  Gulpi  ed  Andrea 
di  Lazzaro  del  Moneta  ,  il  primo  per  tre  anni ,  il  secondo  per  quattro  e 
mezzo,  e  per  sei  gli  altri  due,  a  star  col  medesimo  a  tutti  servigi  dell'arte 
e  di  bottega  non  meno,  che  di  tutt'altro  gli  avesse  potuto  occorrere,  non  solo 
in  città  che  altrove,  a  suo  piacimento.  Del  che  in  compenso  il  maestro  pro- 
metteva dar  loro  il  vitto  cotidiano,  calzarli,  vestirli  e  fornir  loro  il  letto  per 
dormire,  e  poi  vestirli  di  nuovo  e  provvederli  de'  ferri  dell'arte  alla  fine  del 
loro  tempo  :  oltreché  1'  arte  stessa  ei  si  obbligava  insegnargli  nel  miglior 
modo,  secondo  il  proprio  potere  e  la  capacità  del  loro  intelletto.  Di  essi  a 
lui  si  rendeva  mallevadore  quel  maestro  Santino  di  Chicco  di  Petrincione  da 
Carrara,  il  quale  pel  traffico  de'  marmi  fu  in  continui  rapporti  con  gli  scul- 
tori, e  specialmente  col  Gagini ,  in  Palermo  :  e  rimaneva  fermo  per  patto, 
che  se  alcun  di  coloro  lasciasse  il  servizio  e  senza  licenza  si  partisse,  do- 
vrebbe venir  sostituito  da  un  altro  a  tutto  suo  danno  e  interesse;  e  se  in 


quali  l'artista  dichiarò  in  prima  aver  ricevuto  quattro  ducati  d'oro  e  poi  tari  tredici  a  compimento  del  prezzo 
già  stabilito. 

(')  Eodem  (11  luglio  IX  ind.  1536).  Magister  Fidel  de  Simone  di  Carena,  presens  corani  nobis,  sponte  se 
obìigavit  et  obligat  magnifico  Joanni  di  Blasco,  presenti  et  stipulanti,  tamquam  tbesaurario  ecclesie  confraternitatis 
Sancte  DvCarie  de  Tortosalvo,  sibi  laborare  colonnas  sex,  existentes  in  peciis  duodecim,  cum  cius  basis  et  capitellis, 
prò  solido  et  salario  ad  racionem  unciarum  decem  prò  singula  colonna,  laborata  cum-eius  baso  et  capitello,  etc. — 
Testes:  m.'  Antoninus  de  Gaginis  et  m.'  Tetrus  de  Arena.—  Dal  registro  di  num.  1887  di  notar  Giovanni  An- 
drea Lucido,  an.   1535-36,  ind.  IX,  fog.  900  retro  a  901,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


244  l    GAGINI    E    LA   SCULTURA    IN    SICILIA 


quel  mezzo  quelli  togliesser  moglie,  avrebbero  nondimanco  a  continuare  a  ser- 
vire nel  modo  istesso  (J).  Il  che  ad  evidenza  dimostra  quanto  continuo  biso- 
gno si  avesse  di  operai  e  come  non  fosse  bastato  al  grande  scultore  giovarsi 
dell'  opera  sola  di  quelli,  che  già  rinvenne  in  Palermo  stabiliti,  quand'  egli 
fermamente  vi  tramutò  il  suo  soggiorno. 

Di  altri  di  costoro,  di  Carrara  o  di  quelle  parti,  é  anche  certezza,  che  in 
Palermo  coltivassero  la  scultura,  benché  non  risulti  fin  ora  da  documenti,  che 
col  Gagini  abbiano  pur  lavorato,  com'  è  probabile.  Viveva  ancora  nel  15 14  il 
mentovato  carrarese  Antonio  Vanelli,  il  cui  nome  pure  apparisce  ne'  capitoli 
dell'arte  del  1487,  e  la  cui  morte  poi  certamente  avvenne  innanzi  al  1523  (2). 
Un  maestro  Battista  Palumbo,  marmoraio  di  Carrara,  per  atto  de'  28  di 
settembre  del  1507,  istituisce  suo  procuratore  un  Antonio  di  Perico,  pa- 
lermitano ,  a  riscuotere    quanto  in  Palermo    ed  altrove  gli  si   dovesse  (3). 


(  ')  'Die  xxx."  mensis  eitisdem  decembris  prime  ina.  IJI2.  Matheus  de  Jo.  Jacobo  del  Ferraro  de  Carrara, 
Jacobus  de  Caxone  de  Carrara,  "Bernardinus  de  Lacco  de  Gulpi  de  Carrara  et  Andreas  de  Lac\aro  del  Moneta 
de  Carrara,  corani  nobis,  sponte  quiìibet  per  se,  se  obligaverunt  et  obligant  honorabili  magistro  Antonello  de  Ga- 
genis,  scultori,  civi  panormilano,  presenti  et  conducenti,  moraturos  cttih  eodem,  videlicet,  dictus  Matheus  prò  annis 
Iribtis ,  Jacobus  de  Caxone  prò  annis  quatuor  cum  di  ni  id  io,  'Bernardinus  de  Lucco  prò  annis  sex  et  ^Andreas  de 
Lacyiro  prò  aliis  annis  sex  continuis  et  completis,  numerando  ab  hodie  in  anlea,  ad  facienda  omnia  et  singula  ser- 
vicia  artis  apotece  et  donec  necesserit  ipsius  necessaria,  tam  hic  Panormi ,  guani  alibi,  si  opus  erit,  ad  electionem 
per  eum  committenda.  Pro  qua  causa  dictus  honorabilis  Antonellus  (promisit)  dare  esum  et  potum,  calciamenta  et 
vestimento,  necessaria  et  lectum  prò  donniendo,  et  in  fine  temporis  illos  induere  de  novo  et  dare  firramenta  neces- 
saria artis.  Dictusque  magister  Antonellus  promisit  docere  eisdem  artem  bene,  diligente!  et  magistralità;  secundum 
eius  possibilitatem ,  et  capacitare  intellectus  dictorum  obligatorum.  Et  de  serviendo  tempore  predicto,  prout  dietimi 
est,  magistcr  Santinus  de  Chicco  de  Pitrinchonc  de  Carrara  corani  nobis  sponte  fideiussit  et  se  fideiussorem  et  prin- 
cipalem  servitorem,  alias  debitorem  et  pagalorem,  constituit,  etiam  de  damnis  et  interesse,  r enunciando,  etc.  Tro- 
mittentes  dicti  obligati  bene  et  dilige/iter  servire  et  a  dictis  serviciis  non  deficere,  nec  inliceuciatos  discedere:  alias 
teneantur  ad  omnia  damna ,  interesse  et  expensas  et  ad  restitucionem  indumentorum,  perdendu  lu  tempii  servicii  ex 
pacto  ;  et  in  tali  casu  possi!  alium  conducere  a  quanto  più  trovassiro.  Et  casti  quo  dicti  obligati  uxores  duxerint, 
edam  teneantur  servite,  non  obstanti  ductione  dictarum  uxorum.  Et  si  fussiro  malati  dicti  obligati,  dictus  magister 
Antonellus  teneatur  facere  expensas;  et  exinde  teneantur  dicti  obligati  reficere  temporis.  Que  omnia  etc.  promiserunt 
rata  habere  etc.  et  in  omnem  eventum  etc.  in  pace  etc.  Sub  ypotheca,  etc.  —  Testes  :  hon.  Matheus  Faylla  bianca  de 
Florencia  et  Andreas  La  T{_osa. —  Dal  registro  di  num.  2264  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  an.  1512-13,  ind.  I, 
fog.  319-20,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  di  uno  de'  detti  quattro  Carraresi,  cioè  di  Bernar- 
dino, è  poi  certezza,  ch'era  maestro  dell'arte  stessa  in  Palermo  quindici  anni  più  tardi,  essendone  ricordo  nel 
testamento  di  maestro  Vincenzo  Carrara  o  da  Carrara  in  data  del  2t  di  agosto  del  1  529,  riportato  fra'  Do- 
cunnuti  di  quest'opera  al  num.  LX,  dove  si  legge:  Item  dixit  habere  loco  depositi  docatos  novem  ve!  decem,  de 
quibus  dislincte  non  recordatnr,  magistri  'Bernardini  Gulpi,  alias  Carrara;  qui  docati  sunt  restitueudi  dieta  ma- 
gistro Bernardino. 

(2)  Vedi  sopra  nel  capitolo  II,  pag.  65-68. 

(>)  A  fog.  94  del  registro  di  num.  2259  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  an.  1507,  ind.  XI,  nell'archivio 
de'  notai  defunti  in  Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  V.  245 


Un  altro  mormoralo  carrarese,  maestro  Domenico  di  Fracazzo,  in  data  dei 
16  di  aprile  del  15 12,  crea  parimente  suo  procuratore  notar  Marcò  de  Pa- 
risio  a  difenderlo  in  non  so  qual  lite  nella  corte  pretoriana  contro  il  Va- 
nelli  (').  Ne'  libri  poi  della  parrocchia  di  S.  Niccolò  la  Kalsa  in  Palermo, 
dove  non  poche  notizie  di  marmorai  di  quel  tempo  è  dato  raccogliere,  insin 
dal  1499  appare  il  nome  di  un  maestro  Giuliano  di  Massa,  che  indi  a  19 
di  marzo  del  1503  toglie  in  isposa  un'Antonella  (2);  e  sembra  che  costui 
non  sia  stato  se  non  il  medesimo,  che  poi  a  4  dicembre  del  1530  si  ob- 
bligò ad  un  de'  rettori  della  confraternita  di  S.  Maria  la  Catena  per  rac- 
conciare una  colonna  per  essi  comprata  da'  ìnarammieri  del  duomo  (3):  ol- 
treché trovasi  poscia,  che  a  27  di  maggio  del  1541  egli  attendeva  al  lavoro  di 
otto  capitelli  in  marmo  per  la  confraternita  di  S.  Vincenzo  (-*),  ed  a  7  di  aprile 
del  seguente  anno  conveniva  con  un  reverendo  Guglielmo  Pitir,  procuratore 
dell'arcivescovo  Giovanni  Carandolet,  a  scolpirgli  per  onze  cinque  (1.  63.75) 
un  fonte  pel  monastero  suburbano  di  S.  Maria  della  Grazia  (5).  Né  si  può 


(  '  )  Il  detto  artista  propriamente  vien  nominato  M.'  Dominicus  de  Fracac^u  ,  marmorarìus  de  Carraria 
parcium  Pisarum;  e  la  procura  è  agli  atti  di  notar  Gerardo  La  Rocca,  nel  registro  di  num.  2503  dell'anno 
1511-12,  ind.  XV,  fog.  526,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

( 2  )  Neil'  indice  di  nomi  per  battesimi ,  sponsali  e  morti,  premesso  al  Quaternus  introytus  Sancii  Nicolai 
de  Chaìcia,  constitutus  per  me  presbiterum  Mattheum  Zuppardum  a  die  primo  septembris  iij."  ind.  1499 ,  trovasi 
il  nome  di  Giulianu  di  Massa  per  nota  di  battesimo  di  alcun  suo  figlio  o  figlia,  o  naturale,  o  di  prime  sue 
nozze ,  a  fog.  3  :  ma  poscia  in  tal  foglio  è  rasa  interamente  la  detta  nota  in  modo  da  non  potersi  più  leg- 
gere, e  non  so  per  qual  causa.  Ciò  stesso  però  basta  a  provare,  che  il  mentovato  Giuliano  era  già  in  Palermo 
in  tale  anno.  E  di  lui  poscia  si  legge  a  fog.  59  retro  del  seguente  quaderno  per  gli  anni  1 501-1 503:  Die  xviiiì 
(marzo  VII  ind.    1503).   "Per  inguaiar:  (sposare)  a  m.u  Juliauu  di  Massa  cimi  Antonella,  gr.  xj. 

(5)  Dal  volume  di  num.  1783  de'  registri  di  notar  Francesco  Cavarretta,  an.  1530-31,  ind.  IV,  nell'ar- 
chivio de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(4)  Da  un  volume  de'  registri  di  notar  Francesco  Sabato  degli  anni  1539-41,  fog.  41 3,  nell'archivio  dei 
notai  defunti  in  Palermo.  E  con  diverse  apoche  all'oggetto  medesimo  in  margine  vi  è  pure  aggiunta  una  nota 
in  data  de'  20  di  aprile  XV  ind.  1 542,  onde  il  detto  Giuliano  ricevette  once  undici  e  cinque  pezzi  di  marmi 
pel  lavoro  de'  detti  capitelli. 

(  >  )  Eodem  xvij."  aprilis  xv."  ind.  1 542.  Hon.  magister  Juliantis  de  Massa,  marmorarìus,  corani  nvbis  spoute 
vcudidit  ac  etiam  se  obligavit  et  obligat  facerc  magnìfico  et  reverendo  Guiglielmo  Pitir ,  utriiisqu:  juris  doctori 
procuratori  generali  reverendissimi  domini  archiepiscopi  panormitani,  presenti  et  stipulanti,  unum  fonlem  tnarmo- 
rcum  prò  nwnasterio  Sancte  Marie  de  la  Grada  extra  menia ,  instar  designi  per  dittimi  dominavi  Guiglielmum 
tradditi  ditto  magistro  Juliano,  et  ultra  cum  capite  liouis  in  medio,  ubi  in  ditto  designo  est  chirabrinus  (sic),  et 
cum  certis  litteris,  cum  àuobus  candelabris  in  cantoneriis  ditti  foutis,  et  in  scutis  ditti  fontis  dipingere  arma  ipsius 
reverendissimi.  Quem  fonlem  diltus  venditor  de  botto  et  optimo  marmore  dare  et  compiere  promisit  in  eius  apotbeca 
Ine  Panormi  per  totum  presentem  mensem:  aliter  etc:  prò  prettio  unciarum  quinque,  etc.  Sub  ypotheca,  etc. —  Te- 
stes:  veti,  presbiter  Tetrus  Frisata,  ...  Spina.  —  Dal  registro  di  num.  1794  di  notar  Francesco  Cavarretta,  an. 
I54I-42.  i»d.  XV,  fog.  712  retro,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  E  di  due  fonti  con  le  armi  del 


246  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


a  men  fra  costoro  di  tornare  a  far  menzione  del  sopraddetto  scultor  carra- 
rese Francesco  li  Mastri  o  del  Mastro,  che  vedemmo  avere  assunto  lavori  in 
Termini  Imerese  nel  151 3  e  nel  15 16,  e  che  sarebbe  a  tenere  in  conto  di 
abilissimo  artefice,  se  veramente,  siccome  sembra,  fosser  di  lui  le  tre  men- 
tovate statue  della  cappella  de'  Notarbartolo  in  San  Francesco  in  Polizzi.  Ol- 
treché non  fu  egli  solo  di  tal  famiglia  ad  esser  venuto  nell'  isola,  giacché  un 
architetto  ed  un  altro  scultore  sen  trovarono  in  Messina  più  tardi  (:). 

Sorprende  in  vero  una  tanta  affluenza  di  artisti,  che  da  lontane  con- 
trade della  penisola  si  trasferivano  senza  posa  in  Sicilia  ,  non  avendo  sgo- 
mento de'  lunghi  e  penosi  viaggi ,  quand'  era  "tanto  difetto  di  spedite  co- 
municazioni, quasi  che  il  navigar  di  molti  giorni,  se  non  di  più  che  qual- 
che mese  talvolta,  su  legni  a  vela  da  carico,  fosse  all'attività  loro  un  mezzo 
altrettanto  agevole  ed  opportuno,  come  per  noi  son  oggi  i  vapori  e  le  fer- 
rovie. Ma  quel  grande  sviluppo  e  quell'artistica  operosità  incomparabile,  che 
sin  dalla  metà  del  precedente  secolo  si  dispiegaron  nell'isola  soprattutto 
nella  scultura  ,  crescendo  poi  al  massimo  segno  mercé  il  sommo  genio  di 
Antonello  e  la  straordinaria  sua  fama,  recarono  ancora  ciò  specialmente  di 
utile  all'arte,  che,  come  dissi  ,  dal  continuo  commercio  de'  marmi ,  aperto 
con  Carrara,  fu  agevolato  il  passaggio  ad  artisti  ed  a  lavoranti  in  gran  nu- 
mero. Ed  il  Gagini ,  che  dopo  il  ritorno  da  Messina  ed  il  suo  diffinitivo 
fermarsi  in  patria  assunse  in  essa  la  sovranità  e  il  primato  dell'  arte ,  che 
non  fu  alcuno  a  disputargli ,  dovè  in  tanta  copia  di  lavori ,  che  gli  veni- 
vano da  ogni  dove  affidati  e  che  sempre  più  crescevano  quanto  più  si  e- 
stendeva  la  celebrità  del  suo  nome ,  essersi  giovato  di  tutti ,  che  gli  potè 
riuscir  di  trovare  ovunque,  abili  in  qualsivoglia  modo  a  maneggiar  lo  scal- 
pello. Abbiamo  altronde,  che  nel  15 17  egli  era  già  console  dell'arte  in  Pa- 
lermo, siccome  quegli,  che  in  tal  qualità  dichiarava,  per  pubblico  strumento 
de'  7  di  marzo  di  detto  anno,  ricever  da  Lotto  di  Guido  da  Carrara  per 
mano  dello  scultore  Giuliano  Mancino  la  somma  di  due  once  (1.  25.  50), 
legata  per  suo  testamento  da  un  Pietro  Angelo  di  Lorenza  all'  altare  de'  Santi 


detto  arcivescovo  Giovanni  Carandolet ,  i  quali  esistevano  in  un  proporzionato  cortile  dinanzi  la  chiesa  di 
quell'antico  cenobio  insino  al  tempo  del  Mongitore,  fa  menzione  il  medesimo  nella  prima  parte  della  sua  ine- 
dita opera  Le  chiese  e  case  de'  regolari  di  Talamo,  a  fog.  765,  fra'  manoscritti  della  Biblioteca  Comunale  Pa- 
lermitana, a'  segni  Q.q  E  5.  Ma  indi,  abbandonati  quella  chiesa  e  il  cenobio  nel  1767,  non  più  di  que'  fonti 
rimane  oggi  vestigio. 

(  '  )  Vedi  sopra  nel  capitolo  III,  pag.  144  a   149. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.     CAP.  V.  247 


Quattro  Coronati,  ossia  alla  cappella  de'  marmorai  o  scultori,  nel  convento 
di  S.  Francesco  (').  E  pare  del  resto,  che  per  tutta  la  vita  avesse  indi  pro- 
seguito a  tener  quella  carica,  che  a  niun  altro  per  fermo  poteva  competer 
meglio,  avendosi  poscia  da  un  atto  de'  13  di  giugno  del  1534,  che  nella  qualità 
stessa  di  console,  insieme  a'  maestri  Santino  e  Sebastiano  da  Carrara,  esa- 
minò egli  la  condizione  di  alcuni  marmi  venduti  in  Palermo  da  un  ligure 
Ambrogio  di  Riccobaldo  da  Mannarola  e  da  un  trapanese  Bartolo  di  Ben- 
mintendi  al  marmoraio  Giuliano  di  Massa  (2).  Perloché  all'eccellenza  del 
suo  merito  ed  alla  gran  rinomanza  cosi  degnamente  acquistata  si  aggiunsero 
l'autorità  e  la  dignità  di  quel  sommo  suo  grado  nell'arte,  per  cui,  essendo 
egli  in  essa  di  tutti  a  capo,  ben  di  leggieri  potea  di  tutti  disporre  ed  a  tutti 


(')  vii  marcii  v.'  ind.  ijió.'Hori.  magiiter  Antanius  de  Gaginis,  scalpito);  e.  p.,  presens  corani  uobis,  tam- 
(jaam  consul  eius  artis,  sponte  est  confessus  se  qao  sapra  nomine  Imbuisse  et  recepisse  ab  boti.  Lodo  de  Guido  de 
Carrara  parcinm  Tuscane,  presente  et  stipulante,  uncias  duas  per  mauus  hon.  magistri  Juliani  Manchimi,  scultoris, 
rcuuncians  ctc.  Et  sunt  per  totidem  legatas  altari  santorum  quatuor  Incoronatorum ,  exislenti  in  ven.  convellili 
Sancii  Francisci  Tanormi ,  per  quondam  Petrum  Angelini!  di  Laureitela,  virtute  testamenti  conditi  per  dietimi 
quondam  "Petrum  ^-ingclum,  celebratimi  maini  quondam  notarti  Jo.  Bernardi  Tabbuui.  Ouas  quidem  pecunias  d'ictus 
hon.  Loctus  solvi!  et  pagat  nomine  et  prò  parte  Josep  Jo.  Michaelis  de  Santarenio,  beredis  predicti  quondam  Vetri 
Angeli.  Et  ultra  d'ictus  magisler  Jiiltanus  Manchimi,  quoque  scalpitar,  presens,  est  confessus,  tam  per  se,  quam 
nomine  et  prò  parte  magistri  'Bartolomei  Birrietaru,  quoque  scultoris,  eius  sodi,  Imbuisse  et  recepisse  ab  eodem pre- 
dicto  Lodo  de  Guido,  presenti  et  stipulanti,  iinciam  imam  et  tarenos  sex,  compensatos  in  computo  Inter  cos.  Ouas 
pecunias  dictus  Loctus  solvit  et  pagat  nomine  et  prò  parte  predicti  Josep  Jo.  MicbaAis  de  Cantaremp,  beredis,  ut 
supra,  predicti  quondam  Tetri  ^Angeli,  prò  predo  duarum  gramagli,  legato  per  dicium  quondam  Petrum  Angelina 
cisdem  predidis  magistro  Juliauo  Manchimi  et  prefato  magistro  Bartolomeo  Birrittaro ,  eius  socio,  ut  appare!  in 
dido  testamento.  Uude,  et  e.  —  Tresentibus  Stepbano  Massuccu  et  magistro  Tboma  Sirichola  januensi.  —  Dal  vo- 
lume di  mini.  1603  de'  registri  di  notar  Vincenzo  Sinatra,  an.  151 5-19,  ind.  IV-VII,  fog.  184  retro  a  185,  nel- 
l'archivio de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Jhus.  T>ie  xiij  juiiii  vij.'  ind.  1534.  Cam  Ambroxius  de  %iccdbaldo  de  terra  Mannarole ,  rive  civitatis 
lamie,  nec  non  Baitholus  de  Bemuinteudi  de  civitate  Drepanì  vendiderint  magistro  Juliano  de  Massa,  marmorario, 
tuuc  presenti  et  ab  eis  ementi,  totani  Ulani  quanti tatem  carraio/ imi  marmorum  prò  quanto  dìcti  venditores  potuerini 
apportare,  prò  pretto  ad  rationem  docatorum  quiiique  prò  qualibet  carrata,  in  vini  cujusdam  public!  coutradus  ce- 
lebrati in  attis  meis  notarti  infrascripti  die,  ctc;  linde  supradicti  de  %iccobaldo  et  de  "Benmintendi  venditores  as- 
signaverunt  ipsi  de  Massa  hujusmodi  quantitatem  carratorum,  adscendentem  ad  suminam  carratorum  sexdecim  mar- 
morum, tantum  et  non  ultra,  et  non  aliter  nec  alio  modo,  proni  et  quemadmodiim  huiusmodi  quanti tas  carratorum 
marmorum  fuerit  examinata  per  no.  magistrum  Aiitouel/uiii,  consulem  eiusdem  artis,  nec  non  per  magistrata  San- 
clinum  et  magistrum  Scbastiauum  de  Carrara,  de  voluntate  et  mandato  supradittarum  partium;  et  quia  medietas 
pretti  dictorinu  carratorum  marmorum  spedat  et  pertinet  ad  Bartholum  de  Benmintendi  juxta  formam  huiusmodi 
coutradus  veuditionis,  celebrati  marni  viea  predicti  notarti  die  ut  supra,  et  premissa  omnia  vera  esse  cimi  soilempni 
jur amento  dille  partes  dixerunt  et  affirniantnt,  renunciantes  exceptionì  eie;  propterea  bodie,  presenti  die.  preti/alato, 
supradiltus  Bartbolus  de  'Ben  mi  intendi ...  sponte  dixit  cum  sollempni  jurameuto  hujusmodi  quantitatem  carratorum 
sexdecim  marmorum  fore  et  esse  emptam  per  dittimi  Ambroxiinu  de  'RJccobaldo,  etc.  —  Dal  volume  di  minute  di 
notar  Gerardo  La  Rocca,  an.  1533-34,  ind.  VII,  num.  2523,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

33 


248  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


divider  lavoro,  traendone  il  suo  maggior  prò  ad  adempire  le  continue  ri- 
chieste di  ogni  maniera  di  sculture  con  adoprarvi  gran  numero  di  suoi  aiuti 
ed  allievi  e  garzoni  allo  sgrossamento  ed  alla  men  che  finita  esecuzione  di 
esse ,  le  quali ,  da  lui  modellate  e  dirette ,  spesso  egli  non  avea  tempo 
che  a  fornire  di  ultima  mano.  Né  pur  bastatigli  in  seguito  que'  suoi  lavo- 
ranti, per  quanto  fossero  numerosi,  all'esecuzione  delle  minori  opere  da  scar- 
pellini,  delle  quali  era  specialmente  mestieri  pel  duomo  palermitano,  consenti 
fossero  eseguite  in  Carrara,  resosi  anch'egli  garante  del  mentovato  carrarese 
scultore  o  marmoraio  Santino  di  Chicco  di  Petrincone  o.  Petrincione,  cui  ne 
veniva  affidato  l' incarico.  E  costui,  del  quale  è  certezza  aver  da  lungo  tempo 
tenuto  il  principal  traffico  de'  marmi  in  Palermo,  siccome  quegli,  che  sin 
dal  1504  appare  anco  da  testimonio  nel  contratto  di  Antonello  per  l'arco  e 
la  coìta  della  tribuna  di  S.  Cita,  obbligavasi  quindi  a'  marammkri  Blasco 
de'  Branciforti  e  canonico  Tomaso  di  Bellorosso,  in  data  del  29  di  luglio  del 
1525,  dare  scolpito  un  gran  cancello  di  marmo  pel  detto  duomo,  con  tutti  gli 
analoghi  suoi  balaustri  e  cornici,  e  mandar  tutto  fornito  e  consegnato  alla 
spiaggia  di  Palermo,  ad  ogni  suo  rischio  e  pericolo,  di  li  a  tutto  aprile  del 
seguente  anno  (').  Né  questa   sola    notizia  si  ha  di  lavori  secondari  ,  fatti 


(  '  )  Die  xviiij.'  julii  xiij."  ind.  1 525. — Houorabilis  magister  Sanctinus  di  Chicco  di  Pitrincuni  di  Carrara,  scul- 
ptor,  presens  corani  nóbìs,  sponte  promisit  et  convenit  et  se  soìlemniter  oblìgavit  et  obligat  sp.  doni,  don  Blasco  de 
Branchiis  fortibus  et  rev."'  doni.  Thome  de  Beilo  russo,  canonaco  panormitano,  tanquam  prepositis  et  maragmeriis 
maragmatis  majoris  panonnitane  ecclesie,  prescntibus ,  stipitlantibus  et  condii centibus ,  portare  facere  et  consigliare 
scuìptani  modo  infrascripto  infrascriptam  quantitatem  marmoris,  modo,  forma,  qualitatis,  predi  juxta  formatti  in- 
fras cripto rum  capitulornm  factorum  de  accordio  Inter  eos  manti  spect.  d.  Blasci  conservatoris,  in  posse  mei  infra- 
scripti  notarli,  tenoris  sequentis,  videlicet  : 

Memoriali  di  la  opera  si  obligli  di  fari  mastro  Sanctino  di  Chicco  di  Titrinchuni  di  Carrara,  marmoraro, 
a  lì  Spectabili  et  reverendo  don  Blascho  Branchi/orti  et  don  Thoma  di  Belio  russo,  marammeri  di  la  majuri  pa- 
normitana  ecclesia;  videlicet:  Un  canchello  facto  di  certi  cornicili,  cussi  di  supra,  comu  di  supta,  cuni  certi  balau- 
sti  in  men^o,  coniti  si  narrirà  infra. 

In  primis  diclo  mastro  Sanctino  prometti  fari  la  cornicili  di  supra  di  marmura  nigra,  rinata  tt  lixa,  chi  non  chi 
para  nixuno  colpo  di  ferro,  di  mesitra  et  lavuri  sccundo  uno  modello  di  carta,  di  lo  quali  uno  indi  è  stato  dato  a 
ditto  mastro  et  uno  resta  in  putir!  nostro,  cum  la  mano  di  lo  nataro,  chi  farrà  fidi  esseri  quisto  tali  modello,  se- 
cando lo  quali  ditto  mastro  si  havi  obligato  fari  la  opera.  Et  ditta  cornicili,  lavorata  et  bona,  portata  in  terra  i{à 
a  la  marina  di  quista  chità,  si  chi  havi  di  pagati  ad  prexp  di  unù  dui  lari  sei  la  canna. 

Et  più  diclo  mastro  prometti  fari  la  cornicili  di  supra,  lavitrala  secando  lo  modello  facto  in  carta,  di  lo  quali 
sindi  duna  uno  a  dicto  mastro  et  uno  indi  tenimo  tini  cani  la  fidi  di  lo  notavo  a  lo  molo  supradicto  ;  la  quali 
cornicili  havi  di  essiri  ben  lavorata  al  modo  supraditto,  secundo  lo  suo  modello;  et  portata  in  terra  i\à  a  la  marina 
di  'Palermo,  si  chi  paghirà  ad  raxuni  di  unifi  una  et  tari  vintiquattru  la  canna,  di  lo  preditto  m.irmoro  nigro , 
corno  la  cornicili  di  supra. 

Jtem  li  longhi~e  di  ditte  comiche,  cussi  di  la  suprana  comu  di  la  suplana  ,  hanno  di  < ssiri  tanto  longhi,  chi 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.    V.  249 


eseguire  in  Carrara  a  risparmio  di  tempo  e  fatica,  essendo  ancor  certo  di 
colonne  con  capitelli  e  basi,  che  per  la  chiesa  di  Portosalvo,  come  vedremo, 
furon  più  tardi  al  detto  Santino  commesse. 

Tutto  ciò  spiega  quell'  infinito  numero  di  ogni  maniera  di  lavori,  che 
assunse  ed  in  gran  parte  potè  fornire  il  Gagini  durante  il  non  lungo  corso 
della  sua  vita,  dando  argomento  di  tanta  fecondità  di  genio  e  di  cotal  fa- 
cilità di  eseguire,  che  non  han  fin  ora  riscontro  in  altro  scultore  al  mondo. 
Non  siamo  più  certo  al  caso  di  prestar  fede  al  falsissimo  elenco  di  opere 
del  sommo  artefice,  quale  fu  dato  nel  1821  dal  signor  Agostino  Gallo  nel- 
l' Elogio  storico  di  lui,  onde,  confusevi  con  le  sculture  del  medesimo  quelle 
de'  figli  e  viceversa ,  e  datone  il  più  scompigliato  ed  erroneo  ragguaglio 
della  vita,  dove  fra  le  altre  stranezze  è  quella,  che  in  tre  anni  egli  avesse 
condotto  a  termine  tutto  il  prim' ordine  della  tribuna  del  duomo  di  Paler- 
mo, fu  ben  a  ragione  chiesto  per  lettera  dal  Cicognara  all'autore  quale  specie 
di  marmo  impiegasse  mai,  che  ammetter  potesse  una  sì  strana  celerità  di  lavoro, 
non  pur  trasandando  notare  la  farragine  estrema  delle  opere  attribuite  a  questo  ca- 


piglano  di  la  banda  di  la  tribolici  pichula  et  vegliano  cum  la  sua  volta  poi  ad  ventri  siuu  davanti  la  autaro  ma- 
juri,  cussi  di  l'ima  parti  di  la  triboua  conni  di  l'autra;  solamenti  chi  restirà  di  vacanti  quanto  serra  una  bella  porta. 

Item  dicto  mastro  prometti  fari  a  la  cornicili  di  supta  uno  soglo,  facto  a  proportioni  chi  tacchini  in  terra,  midi 
poi  havirà  di  battiri  la  porta,  chi  si  havirà  di  fari  o  di  Ugnami  oy  di  brinilo,  per  potiri  chiùditi  ditta  cancel- 
lala per  non  chi  potiri  ìntrari  nixuno  :  lo  quali  suglo  ditto  mastro  prometti  darilo  sen^a  nixuna  paga  per  essiri 
cosa  minima. 

Item  dicto  mastro  prometti  fari  certi  pileri  per  haviri  a  serviti  a  li  cantone  ti  et  ad  altri  lochi  lindi  havirà  di 
posari  ditta  cornicili  di  marmoro  nigro,  li  quali  ser ranno  lavurati  di  l'ima  parti  davanti  ad  intavulalo,  li  quali, 
ultra  di  la  antica  Inveiranno  di  essiri  di  quillo  havirà  a  pariri,  si  volino  fari  un  palmo  e  me^o  chìui  longhi  per 
andari  in  terra,  pri  stari  forti;  lo  quali  palmo  e  mè\o  non  è  bisogno  essiri  lavurato  :  et  ditti  pileri  si  chi  hanno 
a  pagari  ad  raxuni  di  unxj  dui  la  canna  per  quanto  serra  la  lavorato,  et  non  quillo,  chi  andirà  in  terra,  portati 
similmenti  i%à  a  la  marina,  posto  in  terra. 

Item  dicto  mastro  prometti  fari  li  balausti  secundo  la  forma  facta  in  carta,  cussi  di  lavati,  conni  di  antica 
et  grossi^a;  di  la  quali  forma  si  fa  corno  è  ditto  a  li  altri  cornicili  et  di  quillo  tnodu;  et  ditti  balausti  hanno  di 
essiri  di  marmoro  russo,  ben  lavurati  et  rinati,  chi  non  chi  para  colpo  di  ferro  ;  et  serranno  ditti  balausti  ben 
fatti  cum  li  soi  ingast attiri  per  trasiri  intro  li  cornicili,  cussi  di  la  suprana,  coma  di  la  subtana,  pri  stari  forti; 
et  la  quantitati  serra  ad  judicio  di  lo  mastro,  chi  vegliano  misi  intro  l'uno  et  l'antro  chi  sia  spacio  di  quanto  serrò 
grosso  lo  blausto  :  et  ditti  blausti  si  chi  paghi  ranno  ad  tari  xij  l'uno,  portati  ì%à  a  la  marina  in  terra. 

Item  tutti  ditti  cosi  hanno  di  veniri  ad  risico,  periculo  et  fortuna  di  ditto  mastro,  fina  chi  dicti  assignirà  iifl 
a  la  marina  in  terra. 

Item,  pìrchì  quista  è  ecclesia,  ditto  mastru  si  contenta,  chi  poy  chi  serra  venuta  dieta  opera  i%à  in  terra,  et  li 
marammerii  di  dieta  ecclesia  volissiro  fari  precari  tutta  ditta  opera,  chi  sia  in  electioni  di  ditti  marammeri  fa- 
tila precari  ;  et  si  vorranno  stari  ad  quillo  serra  predata,  staya  in  electioni  loro,  oy  puro  stari  a  dicto  pre^o  sit- 
praditto  accordato. 

Item  quando  ditta  opera  si  havissi  di  precari,  chi  si  digia  fari  per  dui  mastri  marmorari,  uno  electo  per  parti 


2  SO  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


poscuoìa,  che  fa  sbalordire  (').  Ma  non  rimetterebbe  anche  oggi  al  certo  dallo 
stupore  chiunque  abbia  menoma  pratica  di  cose  di  scultura  e  sappia  quanto 
si  richieda  di  tempo  ad  eseguire  statue  ,  ornati  e  composizioni  di  storie 
sul  marmo  ,  quando  dalla  gran  copia  di  contratti  ora  rinvenuti  provasi  dal 
Gagini  prodotto  un  maggior  numero  di  opere ,  che  non  gli  era  dinanzi 
attribuito,  se  si  volesse  pretendere,  eh'  egli  le  avesse  in  gran  parte  scolpite 
di  propria  mano.  Laonde,  a  togliere  ogni  dubbio,  giovano  le  memorie  con- 
temporaneamente trovate  di  quel  notevole  numero  di  minori  artisti,  di  alcuni 
de'  quali  e  sicuro  e  di  altri  assai  probabile,  che  abbian  con  lui  lavorato,  a 
non  contarne  i  molti,  de'  quali  non  è  più  notizia.  E  di  ciò  dà  ragione  anche 
il  considerare  ,  che  se  oggi  in  Palermo  (comunque  per  grave  sciagura  dei 
tempi  siavi  a  lamentare  perduto  ogni  centro  di  artistica  attività)  1'  officina 
di  uno  de'  più  valenti  e  riputati  scultori  di  ornati  non  conta  spesso  da 
men  di  sessanta  lavoranti ,  assai  maggior  numero  al  certo  dovè  contarne 
quella  del  Gagini,  allorché  la  singolarità  del  suo  merito,  per  ogni  dove  nota 
nell'isola,  ingenerò  universal  brama  di  possederne  le  famose  sculture,  e 
quindi  la  sua  patria,  mercè  il  gran  genio  di  lui,  dischiuse  all'arte  un  campo 
di  straordinaria  e    stupenda  operosità,    di  cui  non    fu    mai  veduto  né    dato 


di  ditti  ìnarammeri  et  uno  per  parti  di  ditto  mastro,  et  starisi  a  la  decisioni  et  pre~o,  chi  dicti  si  accordiranno: 
et  quando  non  si  potissiro  accordar!  loro,  si  chi  duglia  uno  tenuti  non  suspecto  ad  nixuua  di  li  parti. 

Item  dieta  opera  dicto  mastro  prometti  mandarila  facta  i^à  in  'Palermo  al  modo  snpraditto  per  tutto  lo  misi  di 
aprili  proximo  da  veniri  di  lo  anno  xiiij.'  imi.  IJ26:  et  non  dieta  mandando  in  dicto  tempo,  sia  tenuto  lo  plegio 
infrascripto  tamarindi  li  dinari,  chi  havirà  havnto  de  nui,  et  staya  in  nostra  eie  et  ioni  circa  stari  chini  a  lo  partito 
supraditto,  oy  no. 

Item  aiti  promettimo  pagari  ditta  opera  ad  ditto  mastro,  oy  ad  altra  persuna  legitima  per  ipso  \à  in  Palermo, 
in  li  banchi  puhlìci  di  quista  cinta,  in  quisto  modo,  videi icet:  un\i  dechi  incontanenti  per  lo  banco  de  Sanches  ogi, 
renunciantcs  etc;  un^i  dechi  per  tutto  septenbro  proximo  futuro ,  et  umf  dechi  per  tutto  dichenbro  proximo  futuro; 
et  tutto  lo  resto  ad  conplitnento  di  lo  pre\o  di  dieta  opera,  venuta  et  assignata  chi  ndi  havirà  dieta  opera. 

Item  ditto  mastro  prometti  mandarindi  una  tavula  di  mannaro  pri  lo  altari  mayuri ,  la  quali  serra  longa 
canna  una  et  palmi  tri ,  et  larga  palmi  sei ,  et  grossa  un  palmo  sin/plichi  ;  la  quali  tavula  bari  di  veniri  a  spisi 
soi,  portata  i\à  in  la  marina  in  terra;  et  havi  di  essiri  ben  quatrata  et  non  spuntata;  pri  prexp  di  unji  sei:  dico 
un%i  sei. 

Et  per  tutti  li  cosi  predicli  mastro  Antonello  de  Gagini,  presenti ,  plegia  a  lo  ditto  mastro ,  in  easu  cantra- 
ventionis,  di  tamarindi  tutti  denari,  chi  ditto  mastro  havissi  havuto,  incontinenti,  .  .  oy  puro  staya  ad  electioni  no- 
stra compensa  ricbilli  cum  la  opera  di  la  ycoua  fa  in  ditta  mayuri  ecclesia  dicto  mastro  Antonello.  Que  omnia,  etc. — 
Tesles .'  veu.  presbiter  Aloysius  la  'I{osa,  no  Petrus  lo  Chomiso,  Alexander  "KMpoliuiii.  —  Dal  volume  di  minute 
di  notar  Giovan  Francesco  La  Panittera ,  an.  1522-25,  ind.  XI-XIII,  num.  2703,  nell'archivio  de'  notai  de- 
funti in  Palermo. 

(  '  )  La  lettera  del  Cicognara  al  Gallo,  in  data  di  Venezia,  15  luglio  1822,  e  pubblicata  nel  giornale 
L'Idea  (Palermo,   1858,  an.  I,  voi.  I,  pag.  31   e  seg.). 


xi:i  secoli  xv  e  xvi.   cap.  v.  251 

sperare  altro  esempio.  Perloché,  non  essendo  affatto  da  ammettere  ,  che  il 
gran  caposcuola,  inteso  all'alte  invenzioni  ed  alle  ispirate  fantasie  dell'arte, 
si  fosse  generalmente  piegato  a  sottili  industrie  di  scalpello,  stimo  col  Ga- 
leotti, che  gli  accessori  ed  ogni  altro  lavoro  ,  anche  delle  migliori  statue, 
non  son  che  ad  attribuire  a  quella  folla  di  aiuti ,  di  non  pochi  de'  quali 
già  vengon  fuori  i  nomi  e  le  memorie  mercè  le  indagini  su'  documenti 
del  tempo;  e  tengo  in  vece  non  sia  del  Gagini  altro  lavoro  su'  marmi  da 
quello  di  finitura  ne'  simulacri  di  maggiore  importanza  ,  quel  tocco  ,  onde 
1'  evidenza  dell'  espressione  potentemente  è  impressa  da  chi  nanne  avuto, 
ripensato  e  modellato  il  concetto  della  figura  e  del  componimento  (r).  Cosi, 
rimanendo  a  lui  totalmente  il  merito  delle  invenzioni,  ossia  di  avere  ideato 
e  prodotto  i  modelli  di  cosi  prodigioso  numero  di  opere  ,  che  fanno  in 
lui  prova  della  più  singolare  ed  inesausta  vena  d'ingegno,  si  dà  luogo  a 
spiegare  ad  un  tempo  com'egli  abbia  potuto  arrivare  in  tanta  copia  a  for- 
nirne, ed  anche  come  in  alcune  talvolta  sia  da  notare  alcun  manco  dell'or- 
dinaria perfezione  ed  eleganza,  il  qual  non  può  addebitarsi  che  ad  esecuzione 
meno  perita. 

Di  altri  aiuti,  oltre  a'  sopraddetti,  é  incerta  contezza  più  tardi,  laddove 
di  alcuni,  che  ben  poterono  essere  stati  in  servigio  di  Antonello  sulla  fine 
della  sua  vita  ed  aver  da  lui  attinto  il  pregio  di  abili  scultori,  non  altro  fin 
ora  è  certo,  se  non  che  fiorirono  e  collaborarono  co'  suoi  figli  dopo  la 
morte  di  lui,  e  quindi  sarà  luogo  a  parlarne  altrove.  Si  ha  però  evidente, 
che  molto  egli  ne'  suoi  ultimi  anni  giovossi  anche  dell'opera  de'  maggiori 
fra'  suoi  figli  stessi,  che,  da  lui  tutti  allevati  all'arte,  continuarono  a  lungo 
il  vanto  del  suo  nome  e  della  sua  scuola.  Due  maschi  n'  ebbe  (oltre  una 
femina  Giovannella,  poi  maritata  ad  un  nobile  Niccolò  Tranchida)  dalla  sua 
prima  moglie  la  messinese  Caterina  di  Blasco,  ii  primo  Giovan  Domenico, 
che,  natogli  già  nel  1503  ,  veniva  poi  da  lui  emancipato  in  età  di  venti- 
due anni  a  13  di  ottobre  del  1525,  ed  Antonino  il  secondo,  che,  dato  in 
luce  non  guari  dopo  di  quello,  non  si  sa  ancora  precisamente  in  che  anno, 
veniva  indi  assunto  dal  padre  a  compagno ,  non  men  che  1'  altro ,  all'  ese- 
cuzione di  segnalati  lavori.  Degli  altri  figli,  da  lui  generati  in  seguito  con 
Antonina  Valena,  seconda  moglie,  nascevano  poi  Giacomo  nel  15 17,  Bo- 
nifazio, comunemente  inteso  Fazio,  nel  1520,  Vincenzo  nel  1525  o  27,  Flo- 


(')  Galeotti,  Treliminari  eh.,  pag.  53. 


2\2  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


renza  o  Florenzella  nel  1530,  oltre  alcuni  altri  dell'una  moglie  e  dell'altra, 
maschi  e  femine,  che  poco  vissero  e  premorirono  tutti  al  padre,  come  sarà 
veduto  più  innanzi.  Aggiungi  Giovanna,  sua  figlia  naturale,  da  lui  data  in 
isposa  allo  scultore  Fedele  da  Carona,  e  da  cui  pare  indi  sia  nato  uno  Sci- 
pione ,  che  più  tardi  coltivò  l' arte  istessa.  Chiarita  dunque  da  ciò  mera- 
mente erronea  l'altrui  asserzione,  comunemente  indi  invalsa  per  lungo  tempo, 
che  il  Gagini  si  fosse  giovato  dell'  opera  de'  figli  infin  da  quando  fu  da  lui 
iniziata  la  gran  decorazione  della  tribuna  del  duomo  palermitano  ,  é  certo 
invece,  che  molto  ci  ne  trasse  partito  più  tardi,  non  appena  i  maggiori  fra 
essi  vennero  gradatamente  in  età  da  maneggiar  lo  scalpello  ed  il  maglio, 
cominciando  a  dar  buoni  frutti  non  men  de'  paterni  ammaestramenti ,  che 
del  loro  ingegno.  Perbene,  avuto  egli  per  avventura  non  poco  utile  dall'o- 
pera di  Giandomenico  e  di  Antonino  negli  ultimi  tre  lustri  della  sua  vita, 
non  potè  che  negli  ultimi  anni  essersi  anche  giovato  di  Giacomo,  che  di- 
ciottenne assunse  alla  morte  del  padre  per  conto  della  famiglia  l'obbligo  di 
finire  i  molti  paterni  lavori  rimasti  in  tronco,  quand'era  trilustre  Fazio  e 
più  tenero  ancora  Vincenzo.  Prima  di  allora  !a  numerosa  schiera  di  aiuti 
di  ogni  gradazione  di  merito,  che  gli  furon  cosi  necessari,  non  sol  si  com- 
pose di  quanti  potè  trovarne  in  Sicilia  ,  sia  nativi  di  essa ,  o  già  di  fuori 
venuti,  ma  ancor  de'  parecchi,  che  da  diverse  contrade  della  penisola,  e  spe- 
cialmente dalle  cave  carraresi,  gli  venne  fatto,  siccome  è  chiaro,  attirarne. 


? 


CAPITOLO  VI. 


ANTONELLO  GAGINI  E  SUE  OPERE  DAL  IjIO  AL  I524. 


a  È  luogo  ormai  di  espressamente  trattare  di  quell'  immensa 
operosità,  che  dispiegò  il  Gagini  in  Palermo  nelT  arte  per 
tutto  il  corso  della  sua  vita,  e  che  col  continuo  diffondersi 
della  celebrità  del  suo  nome  crebbe  incessantemente  al  più  ammirabil  segno, 
mercè  lo  straordinario  numero  di  sue  opere.  Cominciando  da'  primi  tempi, 
dacché  dopo  il  soggiorno  in  Messina  si  fu  egli  restituito  in  patria  ad  atten- 
dervi a'  grandi  lavori  assunti  della  decorazione  della  tribuna  del  duomo, 
non  è  dubbio  che  a  quelli  non  pochi  altri  se  ne  aggiunsero ,  per  cui  fin 
d'allora  a  lui  ed  al  gran  numero  di  suoi  lavoranti  convenne  dar  prova  di  atti- 
vità incomparabile.  Vivendo  infino  a  tutto  il  15  io  l'arcivescovo  Giovanni  Pa- 
terno, mecenate  del  giovine  artefice  e  principal  promotore  dell'opera  della  detta 
tribuna,  non  mancò  egli  per  fermo  di  avere  adibito  il  Gagini  in  quanto  potè 
di  meglio  a  decoro  della  sua  chiesa  e  ad  incremento  dell'arte,  siccome  quegli, 
il  quale  a  buon  dritto  il  tenne  in  tanta  estimazione.  Rimane  quindi  una  statua 
bellissima  in  marmo  del  Battista,  dappiè  segnata  dello  stemma  del  Paterno, 
nella  chiesa  di  Baida,  cenobio  allora  de'  monaci  Benedettini,  poi  de'  Minori 
Osservanti  Francescani,  sopra  una  pendice  del  monte  Cuccio,  presso  Palermo; 


2)4  l    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

e  comunque  fin  ora  niun  documento  assicuri,  ch'essa  sia  da  Antonello  scolpita 
{come  per  altro  generalmente  si  afferma),  non  può  dubitarsene  punto  a  tanta 
vita  di  sentimento  ed  eccellenza  di  arte,  che  in  vero  è  dato  ammirarvi.  Non  vi 
ha  naturalmente,  come  in  più  giovanile  opera,  quel  maggiore  sviluppo  di  sa- 
pienza di  artistico  magistero,  per  cui  fra'  capolavori  di  lui  va  degnamente 
enumerata  un'altra  statua  del  Precursore,  ch'egli  più  tardi  scolpì  per  Ca- 
stelvetrano:  ma  vi  han  quell'espressione  sentita,  quel  singoiar  gusto  di  model- 
lare e  quella  somma  eleganza  di  esecuzione,  onde  non  facilmente  si  scambia 
per  opera  di  altro  artefice  una  scultura  animata  dal  genio  del  Gagini.  Però 
ignorasi  affatto  quand'essa  sia  stata  eseguita,  se  subito  al  decisivo  ritorno  in 
Palermo  dell'artefice,  quand'egli  ad  un  tempo  intraprese  i  mentovati  lavori 
della  tribuna,  ovvero,  ch'è  più  probabile,  nella  sua  stessa  precedente  dimora  in 
Messina,  donde  ben  potè  quella  venire  in  Palermo  trasmessa,  o  dal  medesimo 
recata,  come  forse  la  statua  sopraddetta  di  Nostra  Donna  del  1503  nel  duomo 
palermitano.  Certo  é,  che  il  Paterno,  avendo  rivendicato  nel  1 499  alla  sua 
sede  arcivescovale  il  cenobio  e  la  chiesa  di  Baida ,  che  le  appartenevano 
per  antica  donazione  fattale  dell'omonimo  casale  in  quel  sito  da  re  Gugliel- 
mo il  Buono,  non  risparmiò  spese  a  restituire  in  decoro  la  chiesa  stessa , 
dove  sulla  porta  maggiore  quindi  si  legge  il  suo  nome  con  l'anno  1507  in 
memoria  di  averla  egli  fatto  fregiar  tutta  di  buoni  marmi,  lavorati,  siccome 
vedemmo,  dal  carrarese  scultore  Antonio  Vanello  (').  Perloché  non  è  a  dubi- 
tare, che  anche  in  quel  torno  abbia  il  Gagini  fornito  quel  bellissimo  San  Gio- 
vanni ,  che  fu  certamente  una  delle  opere  ,  che  valsero  in  Palermo  a  dare 
argomento  dell'altissimo  suo  valore  ed  a  stabilirgli  la  fama  di  ottimo  artefice. 
Altro  lavoro  di  lui,  affidatogli  dallo  stesso  arcivescovo,  vuoisi  poi  ancora 
sia  stato  in  duomo  l'antico  ciborio  nella  cappella  del  Sacramento,  siccome  il 
Baronio  e  l'Amato  asseriscono,  consentendovi  altresì  il  Galeotti,  ma  su  mere 
ipotesi  e  senza  prove  di  sorta  (2).  A  tal  ciborio  per  altro  fu  indi  sostituita 


(  '  )  Vedi  cap.  II,  pag.  66  e  seg. 

(2)  Ne  scrive  il  Baronio  (De  maj estate  panormitana.  Pan.,  1630,  lib.  Ili,  cap.  II,  pag.  103):  Antonius 
Gaginus,  scuìptor  egregius,  choreas  ducit;  cuius  piane  nomea,  immortalitati  cousecratum  ab  fornice  ilio  tum  Sanctae 
Christinae,  tum  ab  augustissimi  Sacramenti  tàbernaculo,  sic  in  orbe  terrarum  eluxit,  ut  eins  noir.inis  fama  alium 
ab  siculo  orbe  orbem  invenerit,  in  quo  liberius  stimma  cum  panormitana  e  urbis  eiusque  familiae  iignitate  divagati. 
VA  il  gesuita  Giovanni  Maria  Amato,  trattando  della  cappella  del  Sacramento  nella  sua  opera  De  principe  tem- 
pio panormitano  (Pan.,  1728,  lib.  X,  cap.  I,  pag.  290):  In  ara  marmoreum  statuii  ciborium,  ab  Antonio  Gagino  Pan. 
sculptùm,  Paternionius.  Ma  né  Pirri  né  Inveges,  pur  consentendo  che  fu  l'atto  eseguire  dal  Paterno,  lo  affermali 
lavoro  del  Gagini,  laddove  specialmente  cosi  ne  scrive  il  secondo  ('Palermo  nobile.  Ivi,  165 1,  pag.  451):  L'ai- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.  VI.  255 


la  sontuosa  odierna  custodia  di  lapislazzoli,  quale  ideò  e  vi  eresse  in  parte  l'ar- 
civescovo Martino  de  Leon  dopo  il  1653;  e,  benché  noti  l'Amato,  che  dietro 
di  essa  ancora  una  parte  del  ciborio  del  Paterno  rimanesse  insino  al  suo  tempo, 
non  ne  è  più  ora  vestigio  dopo  tanti  posteriori  devastamenti  (J).  Leva  inoltre 
a  cielo  il  Baronio,  siccome  anco  eseguite  da  Antonello,  le  sculture  colà  del- 
l'arco della  cappella  di  S.  Cristina,  di  cui  nulla  pur  oggi  resta:  ma  temo  forte, 
che  fra  tanti  enormi  sbagli ,  di  eh'  ci  ribocca  ,  sia  da  notare  ancor  questo , 
eh'  egli  attribuisca  al  figliuolo  le  opere  ivi  condotte  dal  suo  genitore  Do- 
menico, a  lui  afflitto  ignoto,  e  di  cui  fu  per  fermo  fra'  principali  lavori  la 
decorazione  marmorea  della  cappella  anzidetta  ,  come  ampiamente  fu  dato 
veder  di  sopra  (2).  Dell'autorità  somma  però,  naturalmente  allora  acquistata 
da  Antonello  su  quanto  era  da  farsi  di  ogni  maniera  di  artistiche  opere  in  quel 
duomo,  riman  fra'  tanti  anche  questo  argomento  di  fiuto,  che,  obbligatosi 
a  13  di  febbraio  XV  ind.  151 1  (15 12)  un  falegname  Salvatore  Pellinino  o 
Pellinito  ad  un  Pietro  Sapido,  governatore  dell'altare  di  S.  Maria  Maggiore 
nella  minor  tribuna  del  destro  lato  del  tempio,  a  decorar  di  un  cosi  detto 
cappello  in  legno  con  colonne ,  capitelli  e  cornicione  ad  intaglio  cotal  tri- 
buna, dove  aveva  allor  sede  la  statua  di  Nostra  Donna  scolpita  dal  veneto 
Francesco  di  Laurana,  venia  stabilito  per  patto,  che  il  tutto  si  facesse  con- 
forme a'  voleri  ed  agli  ordini  del  Gagini  (3).  Né  ad  altri  che  a  lui  per  fer- 


civescavo  Giovanni  Taternò  fra  1496  e  i$n  vi  dirigo  la  suntuosa  custodia  marmorea,  come  appare  ivi  dalle 
sue  anni.  Nondimeno  il  Galeotti,  fondandosi  nelT  idea,  che  né  il  detto  arcivescovo,  né  il  senato  palermitano 
adoperassero  (per  valoroso  che  il  predicasse  la  fama)  un  giovine  artefice  all'immensa  fatica  della  tribuna  senza 
un  previo  esperimento  del  valor  suo,  stima  che  in  detto  ciborio  ebbe  il  Gagini  a  lavorare  in  Palermo  nel  1 504 
(Preliminari  cit.,  pag.  56).  Ma  ciò  adesso  appare  improbabile  pe'  documenti  trovati  in  Messina,  che  provano 
il  soggiorno  colà  di  Antonello  sino  al  1 508,  non  essendo  egli  che  per  breve  tempo  venuto  dinanzi  in  patria 
più  d'una  volta. 

(  '  )  In  un  pregevol  volume  di  note  -di  atti  parrocchiali  riguardanti  diverse  antiche  famiglie  di  Palermo, 
fra  cui  ancor  quella  de'  Gagini,  compilato  da  ignota  mano  verso  la  metà  del  secolo  XVII  ed  esistente  nel- 
l'archivio della  parrocchia  di  S.  Giacomo  la  Marina  ,  oggi  in  S.  Cita  ,  si  legge  a  pag.  496 ,  dopo  riportate 
le  parole  del  Baronio  intorno  ad  Antonio  Gagini  :  «  Nota  che  il  sopradetto  autore  dice  che  il  detto  An- 
ce tonio  scolpi  il  ciborio  nella  cathedrale;  e  fu  errore,  perchè  l'opera  non  dimostra  esser  di  un  tal  maest.d, 
«  e  si  levò  a  mio  tempo  per  metterci  quella  di  lapis  lazaro ,  fatta  dall'  arcivescovo  palermitano  fra  Martino 
«  de  Leon,  etc.  » 

( 2  )  Vedi  cap.  II,  pag.  82  e  seg. 

(3)  L'originale  strumento  di  tale  convenzione  si  trova  nel  volume  di  num.  1926  de'  registri  di  notar 
Giovanni  Catania,  an.  1511-12,  ind.  XV,  fog.  786  retro  a  787,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo.  lì 
verrà  indi  pubblicato  in  quest'opera  nel  capitolo  degl'intagliatori  in  legno. 

34 


2j6  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

mo  potò  meglio  venire  affidato  il  mesto  incarico  di  ritrar  le  sembianze  del- 
l'arcivescovo Giovanni  Paterno,  che  fini  la  sua  vita  a  24  di  gennaio  del  151 1, 
volutasene  espressa  al  naturale  la  figura  giacente  sul  coperchio  del  suo  se- 
polcro. Questo,  che  in  marmo  pario  si  vede  al  presente  nel  sotterraneo  del 
duomo,  trasferitovi  dalla  parte  superiore  del  tempio,  dove  prima  era,  viene 
a  ragione  generalmente  stimato  antico  lavoro  di  pagana  scultura  ,  recando 
in  fronte  effigiati  in  bel  rilievo  due  funebri  riti  di  libagioni ,  celebrativi  da 
guerrieri,  e  due  genii  volanti  nel  centro,  che  recan  oggi  lo  stemma  de'  Pa- 
terno in  uno  scudo,  in  cui  doveva  esser  dinanzi  scolpita  l'effigie  di  tale,  a 
cui  la  tomba  primamente  appartenne.  Ma  soprattutto  ammirabile  al  di  sopra 
in  marmo  di  Carrara  vi  ha  giacente  supino  il  morto  arcivescovo,  pontefi- 
calmente  vestito,  col  capo  piegato  alquanto  su  due  guanciali  e  con  tale  un 
effetto  di  verità  e  naturalezza  incomparabile,  che  lui  par  proprio  vedere  in 
preda  all'estremo  sonno  (r).  Niun  documento,  è  pur  vero,  fin  ora  lo  attesta 
del  Gagini  :  ma  più  che  ogni  documento  riescono  ad  evidenza  a  chiarirlo 
tale  il  merito  e  la  bellezza  stessa  dell'opera,  e  non  meno  l'affetto  e  la  gra- 
titudine, ch'ebbe  a  sentir  l'artefice  per  così  insigne  prelato,  da  cui  principal- 
mente nell'  arte  riconoscer  dovea  la  sua  gloria. 

Da'  primi  tempi  del  suo  nuovo  soggiorno  in  Palermo  cominciavano  in- 
tanto a  venirgli  allogate  per  vari  luoghi  altre  opere,  facendogli  strada  la  cele- 
brità del  suo  nome.  Stando  all'asserzione  dell' Auria  (2),  addi  14  di  maggio  del 
1509,  per  gli  atti  di  notar  Stellino  Torneri  (erroneamente  da  lui  detto  Temerà) 
di  Alcamo,  si  obbligò  quivi  il  nostro  scultore  ad  un  Sebastiano  Romano  di 
fargli  la  scultura  del  Transito  di  Maria  Vergine,  qual  tuttavia  si  vede  in  quella 
maggior  chiesa,  pel  prezzo  di  onze  cinquanta  (1.  637.50).  Il  che,  seguendo 
l'Auria,  ma  senz'aver  veduto  il  contratto,  pure  indi  affermarono  1'  alcamese 
Ignazio  De  Blasi  (3)  ed  il  Galeotti  (4).  È  un  alto  rilievo  in  marmo, 
alto  m.  1.  io  e  largo  m.  1.  51  e  con  le  figure  della  maggiore  altezza  di 
m.  o.  79,  rappresentando  la  Diva  giacente  supina  sul  feretro,  attorniata  dai 
dolenti   apostoli    in  vari  atti  di  pietà  e  di  preghiera    e  con  sul  davanti  un 


(')  Ne  è  un  disegno  nella  pregevole  memoria  del  canonico  Alessandro  Casano,  'Del  sotterraneo  della 
chiesa  cattedrale  di  Palermo.  Ivi,  1849,  tav.  C,  num.   1,  pag.   36  e  seg. 

(')  //  Gavino  redivivo.  Palermo,   1698,  cap.  Ili,  pag.   11. 

(  3  )  Dell'opulenta  città  di  Alcamo,  discorso  storico,  fog.  269  retro:  ms.  esistente  nella  Biblioteca  Comunale 
Alcamese  a'  segni   1,  E,  io. 

(*)  Preliminari  alla  storia  di  Antonio  Gagini.  Palermo,  1860,  pag.  127. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.  CAP.  VI.  2<}7 


arcangelo  con  la  spada  sguainata  contro  una  figura,  che  si  crede  il  demo- 
nio ,  ma  non  ne  ha  le  sembianze  :  conforme  il  tutto  alla  tipica  rappresen- 
tazione di  tale  argomento,  di  che  ancor  diede  ammirabile  esempio  il  dipin- 
tore Salvo  d'Antoni  nella  famosa  sua  tavola  di  Messina.  Ma  avendo  io  ben 
osservato  in  Alcamo  il  detto  lavoro,  stimo  (checche  l'Auria  si  dica),  ch'esso 
sia  stato  in  vece  allogato  al  Gagini    molti  anni  dopo  al  1509,  mostrando 
evidente  un  fare  più  risentito,  che  forse  non  men  proviene  dalla  più  adulta 
età  dell'artefice,  che  dalla  cooperazione  de'  suoi  figliuoli  od  allievi.    Certo 
che  un'altra  scultura  di  egual  soggetto,  che  da  lui  prima  è  da  credere  ese- 
guita per  la  tribuna  del  duomo  palermitano  ,  doveva   esser   opera    di  assai 
migliore  espressione  e  di  maggior  purezza  di  forme,  siccome  in  alcun  modo 
si  può  tuttavia  giudicarne    da  un  avanzo  con  varie  figure  di  apostoli  ,  che 
ne  rimane  all'Olivuzza  nella  villa  Serradifalco,  e  quindi  non  dubito,  ch'essa 
sia  stato  lavoro    anteriore  di   vari  anni   all'  anzidetto   alto   rilievo   alcamese. 
Non    sembra   altronde  ,  che  pel  medesimo  alto  rilievo   si  possa   ammettere 
1'  obbligo  assunto  da  Antonello   agli  atti  di  notar  Stefano  Torneri    o  Tor- 
nerio  a'   14  di  maggio  del  1509,  siccome  l'Auria  asserisce,  laddove  si  ha  dal 
mentovato  De  Blasi  in  una  Serte  di  notai  in  Alcamo,  compresa  nel  suo  ampio 
ed  erudito  lavoro  istorico  intorno  alla  città  stessa ,  che    il  notaio  anzidetto 
non  esercitò  ivi  il  suo  ufizio  se  non  dal   15 17  al   1548,  e  quindi  il  Gagini 
non    potè   aver  tolto  a  scolpire  quell'  opera  se  non  dopo  il  primo  de'  detti 
anni,  e  non  mai  dinanzi  (').  Duol  poi,  che  di  tutti  i  libri  dello  stesso  notaio 
non   rimangon  che  scarsi  e   disordinati  frammenti  nell'  archivio  notariale  di 
Alcamo,  e  che  per  quante  indagini  siansi  fatte  non  è  mai  riuscito  trovare  l'o- 
riginale strumento,  onde  Antonello  colà  obbligossi  al  Romano  per  eseguirgli 
quella  scultura.  Ma  non  perciò  men  certo  è  l'abbaglio  dell'Auria,  che  lo  as- 
serì rogato  nel  1509  da  notar  Torneri,  quando   costui    non  era  ancora  in 
ufizio;  e  ciò  quindi  è  da  aggiungere  all'  enorme  congerie  di  errori ,  di  che 
ridonda  l' indigesto  suo  opuscolo    sul  Gagini.  Sbaglia   in  fatti  il  medesimo 
pure  nell'anno,  scrivendo,  che  la  statua  di  S.  Oliva  nella  chiesa  della  me- 
desima Santa  in  Alcamo  fu  fatta    dal   nostro  scultore,   come  appare   nell'atti 
di  notar  Geronimo  lo  Jacono  di  Talcrmo   a  13  di  giugno  XIV  imi.   i)  14  (2). 


(')  Vedi  De  Blasi,  TftWopulenta  città  di  Alcamo,  discorso  storico,  fog.  831:  ms.  cit.  nella  Biblioteca  Co- 
munale Alcamese. 

(2)  Il  Gagino  redivivo  cit.,  cap.  VIII,  pag.   31   e  seg. 


2j8  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


Ma  da  una  copia  originale  del  contratto  per  tal  simulacro,  trovata  per  buona 
sorte  nell'archivio  della  confraternita  di  detta  chiesa,  rilevasi  in  vece,  che  quello 
fu  stipulato  a'  13  di  giugno  XIV  ind.  1511,  e  che  per  esso  il  Gagini  con- 
venne in  Palermo  con  un  maestro  Niccolò  Carnimolla ,  procuratore  della 
confraternita  stessa,  pel  lavoro  di  detta  statua  di  S.  Oliva  in  marmo,  da  ve- 
nire alta  sei  palmi  (m.  1.  55),  oltre  dappiè  il  piedistallo  storiato;  il  tutto 
pel  prezzo  di  once  ventiquattro  (1.  306),  da  pagarglisi  in  rate  diverse  in- 
sino  alla  fine  dell'opera,  la  quale  ei  prometteva  consegnar  finita  in  Palermo 
di  li  a  tutto  il  venturo  novembre  (').  Né  v'ha  dubbio  che  adempi  la  pro- 
messa, siccome  è  chiaro  dall'esistenza  colà  di  si  egregia  statua  da  annove- 
rarsi fra  le  più  belle  e  pregevoli,  che  abbia  prodotto  quel  sovrano  scalpello, 
comunque  più  che  del  carattere  di  religiosa  pietà  e  di  sacro  sentimento  sem- 
bri in  vero  ch'egli  abbia  voluto  animarvi  l'aspetto  della  ventenne  martire 
con  la  più  attraente  vaghezza,  cui  danno  anco  maggior  risalto  le  bellissime 
forme  del  verginal  seno  ,  che  la  leggera  veste  appena  asconde,  benché  poi 
essa  nel  resto  dia  luogo  a  mirabile  sfoggio  di  pieghe,  che,  sebben  caricate 
alquanto,  in  leggiadrissima  guisa  ne  compongono  la  persona.  E  con  vivo 
contrasto  vedesi  in  fine  espressa  in  picciole  figure  in  bassorilievo  la  decapi- 
tazione della  Santa  in  fronte  del  piedistallo,  tanto  più  pena  e  compassione 


(>)  Die  xiij."  junii  xiiij.'  imi.  et  in  anno  iju,  apud  Paiiormuui.  Magister  Antouellus  Gagini,  marmorarius, 
civis  Tanonni,  preseris  corani  nobis,  sponte  prontisti,  conventi  et  se  sollemniter  obligavit  magistro  Is^ìcolao  Carni- 
molla,  procuratori  confratemitatis  ecclesie  Sancte  Olive  terre  Alcami ,  ut  constitit  virtute  procuraci onis  sibi  /ade 
manti  egregii  notarti  Vetri  de  ZMagistro  xAndrea  die  viiij.°  junii  presentis,  presenti  et  stipulanti  (Lido  nomine,  la- 
borarc ,  facere  et  compiere  quamdam  ymaginem  sive  figuram  Sancte  Olive,  di  mormora  bona,  alba  et  necta,  et 
maxime  di  li  cosi  nudi  et  de  aliis  condecentibus  et  receptibilibus,  ad  opus  et  prò  ecclesia  predicte  Sancte  Olive  diete 
terre,  altitudinis  palmorum  vj  et  de  pitlcritudine  secundum  eius  videre  et  designacionem  ipsius  magìstri,  cum  eius 
scannello  laborato  pedi  unius  et  parum  plus,  cum  storia  Sancte  Olive,  di  lapida  edam  marmorea,  pio  predo  lin- 
ciarli»! xxiiij  p.  g.,  alba.  De  quo  predo  dictus  venditor  confessus  fidi  Imbuisse  et  recepisse  a  dido  procuratore  uu- 
das  iiij."  per  bancum  magnificorum  heredum  quondam  Baptistc  Lombardi ,  renuncians  exceplioni ,  etc.  Et  restans 
dictus  magister  Kicolaus,  procurato)-  quo  supra  nomine,  prontisti  dare  et  solvere  eidem  venditori  presenti  et  stipu- 
lanti,  ve!  persone  legitime  prò  eo ,  in  pecunia  numerata,  in  Paiiormo,  hoc  modo,  videlicet  :  uncias  ij  per  iotum 
menscin  juìii  proxitne  venturi,  et  uncias  vj  per  totum  inensem  septembris  proxime  venturi;  et  totum  restans  ad  com- 
plimentimi per  totum  mensem  novembris  nuper  venturi,  expedita  dieta  ymagine.  Quam  ymaginem  dictus  magister 
Antonius  promisti  dare  et  consigliare  in  Paiiormo,  in  eius  apotheca ,  per  totum  dietim  mensem  novembris  :  alias 
lenealur  ad  omnia  damptia  et  interesse,  et  liceat  eidem  procuratori,  nomine  quo  supra,  fieri  facere  dictam  ymagi- 
nem per  alios  magistros  ad  majus  precium,  ad  dampna  et  interesse  ipsius  magistri  Antoniì.  Et  processi!  ex  paclo, 
quod  dido  procuratori  confratres  sive  redores  non  possint  se  opponere,  defendere ,  excipere  oficium,  etc.  Sub  ypo- 
Iheca,  etc.  -  -  Testes:  n.  d.  Jo.  'Paulus  Truglari,  'Bernardinus  Guascu  et  notarius  Vicencius  Fontana.  —  Ex  adis 
mei':  notarti  Ilieronimi  de  Jacono  de  Tanormo.  Collii/ione  salva.  —  Da  un  volume  di  scritture  segnato  di  lettera 
A  nell'archivio   della  confraternita  di  S.  Oliva  in  Alcamo,  a  fog.   5.  ■'■■•■ 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  VI.  259 


destando  nell'  animo  di  chi  rimira,  quanto  più  si  é  rimasti  rapiti  dalla  sua 
ineffabil  bellezza  ('). 

Pure  alcun  poco  innanzi,  a  22  di  aprile  del  15 io,  per  pubblico  atto 
in  Palermo  avea  tolto  il  Gagini  incarico  da'  nicosiani  Giovanni  d' Alessi  e 
Benedetto  di  Calabria  ,  rettori  della  confraternita  di  S.  Maria  della  Miseri- 
cordia in  Nicosia,  di  far  loro  un'icona  in  marmo  con  in  mezzo  Cristo  in  trono 
fra  una  corona  di  serafini,  alto  sei  palmi  (m.  1.55)  e  tre  largo  nel  tutto 
(m.  0.77),  e  genuflesse  da'  lati  le  figure  di  Nostra  Donna  e  del  Battista,  di 
quattro  palmi  ciascuna  (m.  1.  03),  oltre  uno  scannello  alto  un  po'  più  di  un 
palmo  (m.  o.  26)  e  nove  largo  (m.  2.  32)  con  corrispondenti  lavori,  pel  total 
prezzo  di  once  ventotto  (1.  357).  La  quale  opera  fu  compiuta  in  un  anno, 
laddove  addì  8  di  aprile  del  1511,  ricevendo  il  Gagini  una  rata  del  prezzo  di 
essa,  che  i  procuratori  della  chiesa  di  detta  confraternita  dichiaravano  avere 
con  lor  gradimento  veduta  e  riveduta,  obbligavasi  a  farla  dorare  e  dipingere, 
giusta  il  vezzo  del  tempo,  con  che  gli  avrebbero  indi  essi  pagato  la  spesa 
di  tal  lavoro.  Perlochè  poi  egli,  a'  7  del  maggio  seguente,  dichiaravasi  total- 
mente già  soddisfatto  del  prezzo  ed  insiem  della  spesa  di  detta  doratura,  e 
promettea  spedir  tosto  1'  icona  a  suo  rischio  e  pericolo  alla  marina  di  Tusa, 
donde  i  detti  rettori  e  procuratori  avrebber  curato  consegnarsela  per  traspor- 
tarla di  poi  in  Nicosia  (2).  Il  che  certamente  non  passò  guari  ad  avere  ef- 
fetto, giacché  quella  pregevolissima  opera  esiste  quivi  fin  oggi  nella  chiesuola 
della  mentovata  confraternita,  dove  anche  a  me  fu  dato  poter  vederla  e  am- 
mirarla. Avendo  però  ivi  dovuto  adattarsi  l'artefice  alle  angustissime  dimen- 
sioni architettoniche  della  detta  chiesuola,  che  non  offre  sull'altare  se  non 
una  molto  ristretta  parete  a  cagion  della  volta  assai  bassa,  dispose  con  bello 
effetto  una  sua  nuova  invenzione,  per  cui,  locando  nella  parete  stessa  nel 
centro  in  alto  rilievo  la  figura  del  Cristo  sedente  in  trono  fra  un'  aureola  ri- 
cinta da  vaghissime  teste  di  serafini,  dispose  dall'una  banda  e  dall'altra  sul 
superiore  gradino  del  sottostante  altare  le  due  statuette  bellissime  di  Nostra 
Donna  e  del  San  Giovanni,  genuflesse  in  supplice  atto  verso  il  Redentore, 
e  del  gradino  dell'altare  fece  siccome  lo  scannello  o  base  dell'opera,  sto- 
riandolo in  bassorilievo  di  molte  figurine  de'  confrati  in  sacco  da  battuti 
con  le  lor  donne  e  famiglie,  pregando  per  le  anime  de'  trapassati,  le  quali  in 


(')  Vedi  un  disegno  di  tale  statua  nella  tavola  XIII  di  quest'opera. 
(  2)  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  LXI. 


2ÓO  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

purgatorio  si  vedono  espresse  nel  mezzo.  Che  se  poco  del  resto  è  da  pregiare 
un  tal  bassorilievo,  siccome  lavoro  ben  secondario  e  tirato  via  certamente  di 
pratica  dagli  allievi,  ne  fanno  alto  compenso  per  bellezza  di  espressione  e 
delicatezza  somma  di  magistero  quelle  due  principali  figure  della  Madre  di 
Dio  e  del  Battista,  le  quali,  benché  deturpate  dalle  dorature,  che  in  tempo 
non  lontano  si  volle  ancora  rinnovarvi,  senton  la  vita  del  genio  e  l' eccel- 
lenza del  sovrano  maestro  :  oltreché  nel  tutto  dell'opera  si  ammira  una  si 
bella  novità  di  concetto  in  tanto  semplice  e  ingenua  composizione  ,  qual 
rende  vivo  e  profondo  effetto  dell'ispirazion  della  fede  e  del  sentimento. 

Contemporaneamente  però  il  Gagini  a  più  segnalata  opera  attendeva 
per  la  medesima  terra  di  Nicosia,  cioè  a  quella  conti  sontuosa  per  la  chiesa 
di  S.  Maria,  già  primamente  allogatagli  per  pubblico  atto  in  Messina  infin 
del  di  8  novembre  del  1499,  e  che,  per  manco  di  mezzi  non  eseguita  al- 
lora, non  fu  in  vece  finita  e  consegnata  che  dopo  dodici  anni  in  Palermo. 
È  chiaro,  ch'essa  non  anco  aveva  avuto  principio  nel  1503,  comunque  ri- 
manesse ognor  vivo  il  proposito  di  costruirla  ,  avendosi  un  atto  viceregio 
de'  28  di  settembre  di  detto  anno,  onde  il  viceré  don  Giovanni  La  Nuza, 
scrivendo  da  Palermo  ai  giurati  di  Nicosia  e  condiscendendo  alle  suppliche 
avute  in  iscritto  dal  procuratore  ed  economo  di  quella  chiesa,  provvedeva, 
che,  volendosi  fare  in  essa  una  bella  conci  di  marino  e  due  organi,  già  cominciati, 
v' investissero  once  venti  (1.  255)  delle  rendite  del  comune,  la  qual  somma 
nel  general  parlamento  si  era  pria  stabilito  dare  per  una  grande  campana  , 
che  poscia  in  vece  con  altri  mezzi  fu  latta  (').  Pure  alla  detta  cona  non  fu 
ancor  data  opera,  e  solo  è  contezza,  che  più  tardi,  a  2  di  novembre  del  1506, 
per  pubblico  atto  rogato  da  notar  Giovanni  Sillitto  di  Nicosia  ,  si  obbligò 
nuovamente  il  Gagini  per  quella  ,  da  lavorarla  sempre  in  Messina  e  di  là 
mandarla.  Nondimeno  segui  tuttavia  qualche  indugio;  ed  avendo  poi  lo  scul- 
tore trasferito  in  Palermo  il  suo  soggiorno,  fu  ivi  essa  e  non  altrove  for- 
nita. Di  ciò  dà  certezza  in  prima  un'apoca  del  di  11  maggio  del  15 io,  onde 
l'artefice  dichiarò  aver  ricevuto  dal  nicosiano  Andrea  di  Bugliono  once  sedici 
(1.  204)  a  conto  dell'opera,  computatevi  alcune  spese  fatte  per  incassarne  vari 
pezzi  di  già  finiti  (2):  oltreché  poi  di  altre  once  dodici  all'uopo  fé'  parimente 


(  '  )  Vedi  fra'  'Documenti,  num.  LXII. 

( 2  )  Eodetti,  xj.°  mensis  eiusdem  (inadii)  xiij.'  imi.  ijio.  Honorabilis  magister  ^Antontllus  de  y4ngagìni,  scultor 

ci  hdbitator  Panarmi,  corani  nobis  dixit   et  fatetitr  Imbuisse  et  recepisse  ab  hon.  Andrea  de  Bugiano  de  terra  T^Li- 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  VI.  26 1 


quitanza  a  Leonardo  Mazzamuto,  tesoriere  di  quella  chiesa,  l'ultimo  di  del 
dicembre  dello  stess' anno  (').  Tuttavia  più  di  un  altro  ne  corse  perchè 
fosse  la  conci  interamente  compiuta  e  consegnata;  e  fu  a  18  di  marzo  XV  ind. 
1  5 1 1  (15 12),  che  il  prete  Giovanni  Menia,  tesoriere,  procuratore  e  cappellano 
della  maggior  chiesa  di  Nicosia,  richiamando  la  precedente  convenzione  colà 
stipulata  sei  anni  avanti  con  l'artefice,  attestò  in  fine  per  pubblico  strumento 
ricever  da  lui  del  tutto  finita  la  detta  corta  in  Palermo.  In  tale  strumento 
son  anzi  specificati  i  vari  pezzi  o  membri,  in  figure  e  composizioni  in  ri- 
lievo, che  il  prete  ne  ricevea  ,  cioè  S.  Stefano,  S.  Lorenzo,  S.  Palino,  S. 
Michele,  il  transito  di  Nostra  Donna,  la  natività  di  Gesù,  l'Annunziazione, 
i  quattro  evangelisti,  la  coronazione  della  Vergine  e  certe  altre  figure  e  fo- 
gliami di  già  incassati,  qua'  tutti,  essendo  piaciuti,  dovevansi  imbarcar  dal 
Gagini  e  spedirsi  alla  spiaggia  di  Tusa,  a  norma  dell'  atto  (2).  Il  che  non 
guari  dopo  fu  certamente  adempito,  essendo  chiaro,  che  nel  seguente  ottobre 
quella  mirabile  opera  fu  in  Nicosia  collocata,  siccome  appare  dalla  seguente 
iscrizione ,  che  dappiè  vi  fu  apposta  e  che  tuttavia  vi  si  legge  :  hoc.  opvs. 

EXCVSSVM.  PER.  CELEBERRIMVM.  ANTONIVM.  DE.  GAGENIS.  PROCVRATORIBVS.  V. 
PRESBITERO.  IOANNE.  MENIA.  NO.  IOANNE.  DE.  ALEXI.  ET.  NICOLAO.  CHANCARDO. 
M.°  CCCCC."  XII.°    DIE.    VERO.    XX. °    OCTOBRIS.    P.    IND. 

Ma  l'antica  chiesa  di  S.  Maria,  di  normanna  origine,  dove  quell'insigne 
opera  del  Gagini  in  prima  fu  eretta,  venne  poi  minando  per  una  frana,  che 
distrusse  intero  un  quartiere  superiore  di  Nicosia,  ov'essa  sorgeva,  nel  1757. 


coxìe,  presenti  et  stipulanti,  uncias  sexdecim  p.  g.  in  aquilis  argenteis  et  parvulis.  Et  sunt  infra  solili ionem  arti 
operis  facti  et  facietuli  per  dietimi  magistrum  Antonellum  prò  majore  ecclesia  diete  terre,  nominata  Santa  Maria. 
De  quibus  pecuniis  dictus  Andreas  dixit  magistrum  Antonellum  ìpsum  expèndisse  uncias  duas  et  tarenos  viti  et  gr. 
viiij,  facto  computo  inter  eos  prò  expensis,  ut  dicitur ,  di  li  caxi  per  ìncaxari  quilli  pec~i  di  opera  su'  facti  a  lu 
presenti,  intra  favuli,  chovi  e  mastria  et  aliis  expensis,  renuncians  exceptioni,  etc.  Unde  ad  cautelam  dicti  Andre, 
facta  est  presens  nota,  suis  loco  et  tempore  vali  tur  a.  —  Presentibus  hon.  Jacobo  La  %occa  et  Jo.  Butera  de  terra 
Ficarre.  —  Dal  volume  di  num.  2261  de'  registri  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  an.  1509-10,  ind.  XIII,  fog. 
717,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  «  )  Eodem,  ultimo  mensis  eiusdem  (decembris)  xiiij.'  ini.  i;io.  Honorabilis  magister  Antonellus  de  Angariai, 
scultor,  civis  Panormi,  corani  nobis  dixit  et  fatetur  ab  honor.  Leonardo  Mac^amuto  de  terra  *K,icoxie,  thesaurario 
majoris  ecclesie  diete  terre,  Imbuisse  et  recepisse  uncias  duodecim  contanti.  Et  sunt  infra  solucioneni  ycone  marmorle 
faciende  per  dictum  magistrum  ^Antonellum  diete  ma/ori  ecclesie  tene  predicte  'K.icoxie,  renuncians  exceptioni,  etc. 
Unde  ad  cautelam  dicti  Leonardi  thesaurarii  facta  est  presens  apoca  solucionis ,  suis  loco  et  tempore  valitura.  — 
Testes:  'Benediclus  Favaro ,  magister  ...  fMagru  et  ...  —  Dal  volume  di  num.  2262  de'  registri  di  notar  Anto- 
nino Lo  Verde,  an.   1510-11,  ind.  XIV,  fog.   315  retro,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(2)  Eodem,  xviij.'  mensis  eiusdem  marcii  xv.'  ind.  ijii  (1512).  Cam  hon.  m.'  Antonellus  de  Angnagini  (sic), 


262  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA     IX    SICILIA 

Avutosi  però  tempo  ed  accorgimento  di  salvare  quanto  più  fu  potuto  di 
opere  d' arte ,  che  ivi  erano  ,  iu  prima  fra  tutte  la  conti ,  che  poi  con  lo 
stess' ordine  fu  rialzata  nella  chiesa  del  medesimo  titolo,  indi  a  dieci  anni 
costruita  in  sito  vicino;  e  quivi  esiste  fin  ora.  Segna  intanto  così  pregevole 
e  sontuosa  decorazione  di  eletti  marmi  l'eccelso  grado,  in  che  dal  genio  di 
Antonello  era  l'arte  condotta  in  quel  tempo,  quand'egli,  non  pur  discostandosi 
dalle  sanissime  norme  de'  precedenti  maestri  ,  spingevasi  loro  innanzi  con 
l'altezza  del  concepire  ,  con  una  espressione  ammirabile  per  la  profondità 
del  sentimento,  con  una  purità  e  squisitezza  di  espressione  e  di  gusto  e  con 
tale  eccellenza  di  arte,  dove  altri  non  era,  che  gli  reggesse  al  confronto. 
Vedi  quel  prezioso  congegno  nella  parete  sovrastante  all'  aitar  maggiore 
sorgere  in  quattr'  ordini  o  scompartimenti ,  ov'  è  profusa  ogni  eleganza  di 
statue,  di  alti  rilievi  ed  ornati.  Ricorrono  nella  base,  di  buon  rilievo  ed  in 
sei  vaghi  gruppi  di  mezze  figure,  i  dodici  apostoli,  stando  da'  lati  del  cibo- 
rio, il  quale  è  nel  centro  fra  quattro  cherubini  composti  in  atto  di  prece. 
Poi  sopra  un'elegante  cornice  a  foglie  di  acanto  si  erge  il  prim'  ordine,  del 
più  bello  e  vago  corinzio  ,  con  sei  pilastrini  arabescati ,  formando  quattro 
nicchie  laterali  ad  un  quadro  di  centro ,  che  corrisponde  sopra  il  ciborio. 
Stanno  in  cotali  nicchie  quattro  statue  di  mezzana  grandezza  de'  Santi  Pietro 
e  Paolo ,  Lorenzo  e  Stellino  ,  delle  quali ,  e  specialmente  di  quelle  de'  due 
ultimi,  non  è  possibile  fare  concepir  con  parole  il  sentimento  ,  la  vita  ,  la 
bellezza  ed  il  magistero  stupendo  dell'arte,  che  vi  si  ammira  :  mentre  si  ha 


sculto r,  se  óbligaverit  cotistruere  et  facere  iu  mayori  ecclesia  tene  Kicoxie  quandam  ycoiuim  marmoream  prò  certo 
magisterio  seti  manifaclura ,  consignandam  in  no.  civiìate  Messane  et  apportandola  in  terra  Thuse ,  prout  patet 
virtute  contractits  facti  marni  notharii  Joannis  Siìlictu  diete  terre  Nicoxie  ij.°  mensis  novenbris  x.'  ini.  proxime 
preterite  1506,  propterea  ìiodie,  presenti  die  pretituìato,  ven.  presbiter  Joannes  Menia,  thesaurarius ,  procurato?  et 
cappellanus  diete  mayoris  ecclesie  terre  prediete  1>Licoxic ,  ut  dixit,  corani  nobis  dixit  et  fatetur  a  dicto  magistro 
Antonello  Imbuisse  et  recepisse  dictam  yconam  hic  'Panarmi,  videlicet  Sanctum  Stepìfanìmi ,  Sanctutn  Laurentium, 
Sanctum  'Palinum,  Sanctum  Michaélem,  trapassionem  intemerate  Virginis  'Marie  advocate  nostre,  uativitatem  domini 
nostri  Jesu  Christi ,  annuncialionem  beate  Marie  Virginis,  quatuor  Evangilistas ,  coronationem  beale  Marie  Vir- 
ginis  et  certas  alias  figurai  et  foglagias  incaxatas:  que  figure  et  foglagie  siint  pars  ''  ìeycone.  Quam  yconam  dictus 
venerabilis  dixit  et  fatetur  Imbuisse  et  recepisse  pio  bona,  piacila  et  aetalautata:  cum  pacto,  quod  de  altitudine  et 
longitudine  diete  ycone  sii  et  esse  debeat  juxla  formavi  dicti  contraclus  et  sub  ah.*  pactis  iu  dieto  contrada  ad- 
jeclis  de  delalura  vero  in  dieta  terra  Thuse  :  quem  coiilractuin  (sic)  stare  debeat  in  suo  robbore  et  /limitate.  In- 
SUper  dictus  magister  Anlonellus  dixit  et  fatetur  Imbuisse  et  recepisse  a  dicto  venerabili  Ulicìas  vj  contanti  infra 
soliictiouem  dicti  magisterii,  renuncians  exceptioni,  etc.  Unde,  eie. —  Testes:  Leonardus  l'aldina,  Antonius  de  Cha- 
faglono  et  ^Andreas  La  cRjna. —  Dal  volume  di  mini.  226;  de'  registri  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  an.  1511- 
-12,  ind.  XV,  fog.  763,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 


NEI    SECOLI    XV    I£    XVI.  GAP.  VI.  263 


poi  nel  centro  in  alto  rilievo  espressa  la  morte  di  Nostra  Donna,  cui  assiston 
gli  apostoli  dattorno  al  funebre  letto.  Ricorre  indi  sopra  quest'  ordine  un 
fregio  di  delicata  scultura,  che  fa  base  al  second'ordine,  distribuito  siccome 
il  primo,  ma  d'una  metà  più  basso,  con  piccoli  pilastrini  corinzi  egualmente 
adorni,  che  in  quattro  spazi  laterali  dan  luogo  agli  evangelisti  sedenti  in  atto 
di  scrivere  il  vangelo,  laddove  in  mezzo,  sotto  una  vaga  cornice  piegata  ad 
arco,  si  vede  1'  Eterno  ,  che  accoglie  in  cielo  la  Vergine  in  corrispondenza 
alla  sottostante  storia  in  rilievo  della  sua  morte.  Segue  un  ampio  fregio 
intrecciato  di  festoni  e  delfìni  con  ammirabil  vaghezza;  e  poi  ovoletti,  e  poi 
una  cornice,  su  cui  poggia  l'altr' ordine  con  quattro  pilastrini,  ove  da  una 
banda  è  Maria,  che  riceve  il  divino  annunzio,  dall'altra  il  Gabriello,  e  nella 
riquadratura  in  mezzo  la  nascita  di  Gesù  nel  presepe.  Da  qui  la  bellissima 
ama  si  va  restringendo  in  leggiadra  piramide,  e  due  nicchie,  dentrovi  le  figure 
di  S.  Paolino  (come  dall'atto  di  consegna  apparisce,  benché  comunemente 
or  venga  creduto  San  Niccolò)  e  di  non  so  qual  santa  vergine,  rimangon 
da'  lati  di  essa  esternamente,  poggiando  sull'ordine  inferiore  e  terminando 
di  sopra  in  un  vago  ornato  di  foglie,  mentre  agli  estremi  sorgon  due  can- 
delabri di  bel  lavoro,  corrispondendo  ad  altri  quattro,  che  ne  son  di  sopra 
più  piccoli  a  decorar  1'  esterna  linea  piramidale.  Perciò  l' ultim'  ordine  di 
pilastrini  non  si  compone  che  di  due  soli,  laterali  ad  un  bassorilievo  del 
nascimento  di  Nostra  Donna;  e  due  più  piccole  nicchie  vi  son  da'  lati  con 
le  figure  del  Battista  e  di  S.  Agata  e  negli  estremi  due  fregi.  Più  sopra  poi 
una  cornice  arcuata  poggia  sul  sottostante  ornato  a  guisa  di  frontispizio, 
dentrovi  in  picciol  rilievo  la  Triade,  che  corona  la  Vergine,  e  con  due  mi- 
nori candelabri  daccanto,  ricorrendo  poi  anco  al  di  sopra  un  fregio  a  foglia- 
mi,  che  sostiene  una  base,  su  cui  si  erge  la  statua  dell'arcangelo  Michele 
da  guerriero,  con  corazza,  clamide  e  scudo,  vibrando  con  la  destra  la  spada 
contro  P  infernal  drago,  che  gli  sta  sotto  i  piedi  in  catene  ('). 

E  che  dire  del  merito  delle  statue  e  di  ogni  altra  maniera  di  sculture 
di  cosi  segnalato  lavoro  ?  L'  opera ,  che  veniam  di  descrivere  ,  comprende 
tanta  varietà  di  soggetti  da  mostrar  come  la  natura  fosse  al  Gagini  libéra- 
lissima del  dono  più /raro  dell'arte,  cioè  di  una  vena  straordinariamente  fe- 
conda di  sentimento,',  di  espressione  e  di  gusto.  Domina   ivi    un    carattere 


(')  Vedi  un  picciol  disegno  del  tutt'insieme  di  detta  coita,  ricavato  da  una  fotografìa,  nella  tavola  VIII 
di  quest'opera. 

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264  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 

d' ideale  soavità,  il  quale  non  è  attinto  se  non  dalla  fede  ed  è  in  vero  principal 
dote  generalmente  di  tutti  i  suoi  marmi,  ov'egli  trasfonde  i  più  intellettuali 
concepimenti,  rendendo  in  variatissimc  forme  la  vita  dello  spirito  infino  a 
quanto  è  più  in  esso  di  oltrenaturale  e  divino.  Indi  la  più  bella  espressione, 
cosi  confacentc  alla  diversa  indole  de'  soggetti  e  delle  figure  ,  rivela  ogni 
gradazione  di  affetto  e  di  sentimento  in  tanta  spesso  perfezion  di  lavoro, 
che  dà  a  veder  come  l'arte  gli  fosse  debitrice  di  singolare  sviluppo  ,  non 
ostante  che  egli,  autore  di  tanta  opera,  non  contasse  che  trentadue  anni  e 
ancor  sentisse  la  giovani!  sua  maniera.  Ivi  di  fatti  generalmente  nelle  figure 
serba  Antonello  quella  si  cara  semplicità  de'  suoi  precedenti  lavori,  ma  sen- 
z'ombra di  timidezza.  La  sua  mente  creatrice  addentra  la  ragion  delle  forme, 
e  la  domina.  Un'eleganza  incomparabile  de'  contorni,  de'  panneggiamenti  e 
del  modellare  tien  luogo  di  ogni  altro  più  risoluto  artificio  ,  mentre  1'  in- 
genuità e  la  naturalezza  ascondon  quasi  l'arte  e  lo  studio,  e  la  squisita  de- 
licatezza dell'esecuzione  in  tanta  dovizia  di  ornamenti  rende  il  più  grato 
effetto  di  preziosità  e  di  vaghezza.  Che  se  dal  pregio  dell'  invenzione  con- 
siderar più  sen  voglia  l'invidiabile  genio,  appare  da  tale  opera,  come  una 
delle  migliori  da  lui  concepite  e  condotte,  ch'egli  per  lo  più  si  tenne  lontano 
da  quegli  antichi  tipi  convenzionali  di  figure  e  di  storie,  che  allor  valorosi 
artefici  non  isdegnavano  tuttavia  riprodurre.  Imperocché  generalmente  il 
Gagini  non  esprime  che  propri  concetti,  e  nulla  attinge  dalle  età  anteriori, 
che  nel  proprio  sentire  non  trasfonda.  Cosi  nella  storia  della  morte  di  Nostra 
Donna,  qual'è  in  uno  spartimento  centrale  della  cona  di  Nicosia,  egli  dà  luogo 
ad  una  tutta  propria  ed  originai  composizione,  mentre  l'antico  tipo  figura- 
tivo di  quel  soggetto,  proveniente  da'  musaici,  era  stato  insin  allora  tutt'altro, 
come  fu  generalmente  adoprato  in  marmi  e  dipinti  e  da  lui  stesso  anche 
altrove  seguito.  Il  che  parimente  si  dica  della  più  parte  delle  sculture  di  si 
stupenda  opera,  e  non  meno  di  tanta  varietà  ed  eleganza  di  fregiature,  ch'è 
dato  ammirarvi ,  create  tutte  ed  uscite  da  quel  genio  inarrivabile  ,  il  qual , 
sebbene  da  precedenti  ricordi  trasse  talvolta  norma  a'  suoi  felici  concetti , 
fé'  sempre  però  prevalere  e  risplendere  sopra  tutto  l'originalità  e  l'eccellenza 
del  suo  valore. 

Stimo  lavoro  del  medesimo  in  Nicosia  un  bellissimo  fonte  battesimale 
nella  chiesa  di  S.  Niccolò,  ossia  nel  duomo  :  scultura  di  somma  leggiadria  ed 
eleganza,  con  quattro  teste  di  serafini  nella  base  e  due  vaghissime  figurette 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    GAP.   VI.  26) 


in  piedi  di  Adamo  ed  Eva  col  fatale  serpente  nel  fusto,  mentre  nella  pila 
al  di  fuori  ricorrono  altri  più  grandi  e  bei  serafini  in  rilievo,  alternati  con 
tre  scudi  ,  ciascuno  con  una  stella.  E  vi  si  legge  in  fronte  :  don  iovanni 
mvcicatv  ARCHIPRESTI.  Il  quale  arciprete  Giovanni  Muzzicato  non  è  per 
termo  che  il  medesimo,  a  cui  già  gli  scultori  Gabriele  di  Battista  e  Gian- 
domenico Pellegrino  si  obbligarono  a  30  di  agosto  del  1497  a  scolpire  per 
quella  chiesa  una  custodia,  che  poi  fu  in  Palermo  per  superiore  volere  trat- 
tenuta, ed  il  medesimo  ancora,  che  per  mezzo  di  suoi  procuratori  a  17  di 
giugno  del  1499  apprestò  danaro  a'  soci  marmorai  Andrea  Mancino  ed 
Antonio  Vanello  per  alcun'opera  da  loro  colà  da  eseguirsi,  e  forse  a  mio 
credere,  come  notai,  per  un'altra  custodia,  ivi  di  poi  collocata  nel  1504  e 
che  ancora  vi  esiste  (').  Ala  né  il  Di  Battista,  né  il  Pellegrino,  né  il  Man- 
cino, né  il  Vanello  furono  affatto  artefici  di  tal  merito  da  potere  ideare  e 
scolpire  un  fonte  di  tanta  bellezza,  siccome  quello  dianzi  accennato  di  San 
Niccolò  in  Nicosia,  al  cui  paragone  le  storie  della  detta  custodia,  probabil- 
mente di  poi  scolpita  dagli  stessi  Mancino  e  Vanello  e  che  ora  si  vede  nella 
parete  dietro  lo  stesso  fonte,  non  son  che  lavori  da  scarpellini  in  riscon- 
tro al  perfetto  magistero  ed  alla  squisita  eleganza  di  quello.  Perloché  credo 
più  verisimile,  che  il  detto  arciprete,  il  quale  ad  altri  minori  artisti  avea 
già  commesso  altre  opere,  abbia  indi  al  Gagini  affidato  il  prezioso  lavoro 
del  medesimo,  comunque  per  manco  di  documenti  non  possa  con  preci- 
sione determinarsene  il  tempo.  Riman  però  inoltre  sicura  memoria  di  una 
fonte  di  marmo  ,  larga  due  palmi  e  mezzo  (in.  o.  6y)  ed  alta  sei  e  tre 
quarti  (m.  1.  71)  dal  suolo  fin  sopra  il  fiorone  di  compimento  ad  una  storia, 
che  dovea  sovrastarvi,  trovandosi  per  pubblico  atto  de'  28  di  gennaio  XV 
ind.  15 11  (15 12),  che  si  obbligò  Antonello  scolpirla  ad  un  maestro  Mi- 
chele Scaturro,  falegname  di  Corleonc ,  giusta  un  disegno  di  già  da  quello 
eseguito,  e  pel  prezzo  di  once  sei  (1.  76.  50)  ,  di  cui  allo  scultore  anlici- 
pavasi  un  terzo  (2).  Ma  una  tal  fonte,  ch'ei  prometteva  consegnare  fornita 


('  )  Vedi  sopra  in  quest'opera,  cap.  II,  pag.   50  a   55. 

(2)  Die  xxviij.'  mensis  ,'anuarii  xv.''  ini.  1511  (1^12).  Honor.  magister  Anlonelìus  de  Angagini,  scultor,  civis 
feìicis  urbis  Panbormi,  corani  nobis  sponte  promisii  et  sollemniter  convinti t  ac  se  bbligavit  et  óbligal  honor.  ma^istró 
Micaeli  Scaturro,  faberìignario  di'  terra  Corleonis,  presenti  et  stipulanti,  construere  et  face  re  bene,  diligi  n  ter  et 
mugistraliter  imam  fontem  marmoriam,  jitxta  designimi  presencialiter  eidem  magistro  Micaeli  per  dietimi  magistrum 
xAnlonellum  consigliatimi,  subscriptum  maini  mey  notarli  infrascripli,  altitudiuis  polmonari  sex  et  qùartorum  trium, 
rum  instoria  saprà  dittimi  fontem,  vide/ice!  di  in  terra  per  fina  supra  la  churiiiii  diete  storie,  largitudìnis  paini  ?rum 


266  1    GAG1NI    E    LA    SCULTURA    IN    SICILIA 


dentro  la  sua  bottega  il  di  11  del  seguente  febbraio,  non  è  certezza  qual 
sia  e  se  oggi  più  esista.  Mi  nasce  alcun  sospetto,  che  possa  essere  appunto 
una  bella  pila  d'  acqua  santa  del  sestodecimo  secolo,  storiata  del  Battesimo 
di  Gesù  Cristo,  qual  tuttavia  rimane  nella  maggior  chiesa  di  Corleone.  Ma, 
avendola  io  già  da  ben  molti  anni  veduta,  non  mi  fido  a  darne  un  giudizio 
se  possa  o  no  attribuirsi  al  Gagini,  e  molto  meno  ad  abbandonarmi  ad  altrui 
referti  e  pareri,  giovando  meglio  attendere  occasione  di  nuovamente  osser- 
varla e  farvi  studio  opportuno.  L'alta  fama  intanto  acquistatagli  dalle  insigni 
sculture  eseguite  per  Nicosia  fece  che  anco  nella  vicina  Agira,  l'antica  patria  del 
celebre  Diodoro,  fosse  ad  Antonello  affidata  una  statua,  di  cui  è  documento, 
che  già  fosse  scolpita  a  19  di  marzo  del  t  5 14.  Rimati  di  fotti  in  tal  data 
un'apoca,  ond'egli  dichiara  ricevere  una  somma  di  once  nove  e  tari  ven- 
titré (1.  124,  52)  da  un  Francesco  Cipro  a  nome  di  un  Domenico  Cardaci 
da  Ragalbuto  ,  debitore  di  un  Filippo  Caroniti  della  terra  di  San  Filippo, 
ossia  di  Agira,  a  conto  del  prezzo  di  un'  imagine  in  marmo  di  già  fatta  a 
quest'ultimo,  giusta  il  contratto  rogatone  da  notar  Niccolò  Bruno  in  Palermo 
a  primo  di  febbraio  XIV  ind.  151 1  (15 12)  (:).  Mancando  però  adesso  del 
tutto  il  cennato  contratto,  nient'altro  all'uopo  si  può  aggiunger  di  certo. 

Indi  anco,  a  22  di  febbraio  del  151 3,  una  signora  Margherita  di  Gi- 
liberto allogavagli  un  gruppo  della  Pietà,  ossia  di  Nostra  Donna  col  divin 
figlio  morto  fra  le  braccia  ,  per  la  cappella  di  quel  titolo  nella  chiesa  della 
Magione  in  Palermo  (2).  Doveva  esser  tal  gruppo  con  la  figura  della  Ver- 


duorum  cum  dimìdio:  et  hoc  prò  magisUrio  et  manifactura  unciartim  sex  />.  g.;  de  quo  presencialiter  dictus  magister 
thCicael  dedit  et  solvi!  eidem  magistro  Antonello  uncias  duas  in  parvidis:  restautes  vero  uncias  quatuor  dictus  ma- 
gister Mietici  solvere  promisit  hic  Panarmi,  expedito  dieta  opere:  promittens  dictus  magister  Antaneììns  obìigatus  dietimi 
fontem  consigliare  modo  prout  dietimi  est,  album,  intus  apothecam,  per  tatuili  decimimi  primum  mensìs  februarii 
proxime  vcnicnlis:  alias  tencatur  ad  omnia  dammi,  interesse  et  expensas;  et  in  tali  casti  possi!  alium  conducere,  et 
fieri  tacere  fontem  predictum.  Que  omnia,  eie. —  Testes:  Jacob us  de  Cursaleo  et  no.  Petrus  Cappe/Ieri. — Dal  vo- 
lume di  mini.  2263  de'  registri  di  notar  Antonino  Lo  Verde,  ari.  1511-12,  ind.  XV,  fog.  623,  nell'archivio 
de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(!)  Eodem  (19  marzo,  I  ind.  1513)  (1514).  Hon.  in.'  xAntoneìlus  de  Gagenis ,  scultor  marmorum,  presens 
cora*n  nobis,  sponte  dixit  et  confessus  est  se  imbuisse  et  recepisse  a  no.  Francisco  Chipro ,  presenti  et  stipulanti  tic 
solventi  nomine  et  pia  parte  hon.  'Dominici  de  Cardachi  de  terra  'Rjiyaibuti,  debiloris  no.  Phillppi  Caroniti  de  terra 
Sancii  Philippi,  micia';  novelli  et  tarems  xxiij  p.  g.  in  parvidis,  de  cantanti.  Et  sunt  infra  salucioncm  prec^ii  cu- 
iiisdam  inmagine  marmarle  per  dietimi  magistrum  Antanellum  fiele  dieta  no.  Philippe)  Caroniti,  emptori  diete  e- 
magine  (sic),  virtule  pub/ici  conlractus  facti  maini  notarli  Nicolai  de  Bruno  olim  die  primo  februarii  xiiij.* 
ind.  iju,  rcnuncians  exceplloni,  eie.  —  Dal  volume  di  num.  1880  de'  registri  di  notar  Giacomo  I  Lucido,, 
an.    1 512-13,  ind.  I,  fog.  448,  nell'archivio  de'  notai  defunti  in  Palermo. 

(  *  )  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  LXIII. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.   CAP.  VI.  267 


gine  dalle  ginocchia  in  su  al  naturale,  non  mica  in  marmo,  ma  di  mistura 
di  stucco,  essendo  a  colorirsi  di  buoni  e  perfetti  colori,  ma  con  marmorea 
base  con  sue  cornici  al  di  sotto  ;    e   stabilivasene    il   prezzo    in  once  ven- 
totto  (1.    357),  di  cui  otto  venivan  tosto  pagate  allo  scultore,  il  qua]  pro- 
metea da  sua  parte  dar  quello  in  tutto  finito  e  collocato   alla  vigilia  della 
vegnente  festività  del  Corpus  Domini  (qual  per  antica  sontuosità  di  rito  era 
celebre  in  quella  chiesa)  ,    con    che  non  fosse  egli  tenuto  a  far  eseguire  il 
vano,  dove  quello  si  era  a  riporre.  Ed  ivi  rimane  fino  al  presente  un  pre- 
gevole gruppo  della  Pietà  in  istucco  al  naturale  nella  prima  cappella  a  destra 
dal  principale  ingresso.    Ma  benché  sia  da  ammirarvi  espressione  profonda 
di  sentimento  e  non  commi  pregio    d'  arte  nelle  figure  ,    specialmente    nel 
nudo  del  morto  Redentore  ,    vi    mancali    pure  quell'  altezza  di  magistero  e 
quella  somma  delicatezza  del  modellare,  che  rivelano  il  tocco  del  massimo 
caposcuola.    Perlochè  sembra  non  esser  forse  priva    di  fondamento  l'asser- 
zione (non  so  per  altro  onde  attinta)  del  Mongitore  (r),  ch'esso,  anziché 
di  Antonello  ,  non  sia  che  posteriore  opera  di  Vincenzo  ,    ultimo  de'  suoi 
figliuoli,  sia  che  fosse  rimasto  per  qualsiasi  cagione  distrutto  quello  prece- 
dentemente ivi  eseguito  dal  padre,  o  che  non  sia  stato  mai  fatto.  Ne  più  è 
contezza  di  una  statua  dell'arcangelo  Michele,  da  alato  guerriero,  in  atto  di 
brandir  con  la  destra  la  spada  contro  il  demonio  a'  suoi  piedi  prosteso,  e 
col   globo  del  mondo  sormontato  da  una  piccola  croce  nella  sinistra ,  del- 
l'altezza totale  di  sette  palmi  (m.  i.  81),  compresovi  l'atteggiamento  alquanto 
inclinato  della  figura.  Il  qual  simulacro,  nel  medesimo  anno  151 3,  a   11   di 
aprile,   allogarono  al  Gagini  i  rettori  della' confraternita  di  San  Michele  de 
Induìciis  in  Palermo,  pel  prezzo  di  once  venticinque  (1.  318.  75),  inclusane 
la  spesa  della  doratura  e  dipintura,  ma  oltre  a  quella  della  costruzione  dello 
zoccolo  portatile,  su  cui  doveva  andar  collocato,  comunemente  detto  vara  o 
bara  in  Sicilia,  e  che  serviva  a  portare  attorno  le  statue  de'  Santi  nelle  sacre 
processioni  (2).   E  che  a  tal  uopo  sia  stato  ordinato  quel  San  Michele  dai 
detti  rettori  appare  evidente  dal  fatto  ,   che  ,    oltre    1'  espresso  ricordo  della 
cennata  vara  nello  strumento  di  convenzione,  si  ha  che  l'artefice  dovea  con- 
segnar quello  otto  di  avanti  la  festa  del  Corpus  Uomini  del  seguente  anno 


(  '  )  Monumenta  bistorica  sacrae  domns  Mansioni!  SS.  Triuitatis  militai  is   ordinis   Theutonicorum   urbis   Pa- 
narmi, etc.  Panormi,  MDCCXXI,  cap.  XII,  pag.  180. 

(2)  Vedi  fra'  'Documenti  di  quest'opera,  num.  LXIV. 


268  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 


1314,  quando,  siccome  è  noto,  era  costume  uscir  tutte  in  ogni  anno  alla 
solenne  processione  le  numerose  confraternite  e  maestranze  del  paese  ,  re- 
cando ognuna  la  vara  con  la  statua  del  suo  santo  patrono.  Ma  dell'anzidetta 
non  è  più  oggi  altro  indizio ,  e  non  ne  trovo  memoria  negli  scrittori  pa- 
lermitani de'  tempi  appresso,  laddove  accenna  in  vece  il  Mongitore,  che  la 
statua  di  legno  del  San  Michele,  colà  esistente  al  suo  tempo  (quale  or  si 
vede  trasferita  in  San  Francesco  Saverio  per  1'  abolizione  a'  di  nostri  av- 
venuta di  quella  chiesa),  non  è  che  opera  di  un  Antonino  Rallo  trapanese, 
che  si  obbligò  scolpirla  simile  ad  altra,  che  n'avea  Orazio  La  Torre,  prin- 
cipe della  Torre,  come  per  atto  in  notar  Gaspare  Gervasio  Filippone  a  8  di 
ottobre  del   1684  ('). 

Proseguivano  intanto  fervidamente  i  lavori  della  maggior  tribuna  del 
duomo  palermitano,  siccome  principalissima  opera,  a  cui  con  tutte  sue  forze 
intendeva  1'  insigne  artefice  ,  e  da  cui  traeva  il  suo  maggior  prò  mercè  la 
rinomanza  e  la  celebrità  ,  che  ne  veniva  più  sempre  acquistando.  Fornite 
ivi  pertanto  parecchie  statue  degli  apostoli,  e  fra  le  altre  quella  del  San  To- 
maso, riuscita  fra  le  più  belle  e  pregevoli  per  vivacità  di  espressione  e  ma- 
gnificenza di  posa  e  di  atteggiamento,  subito  gliene  fu  allogata  un'altra  af- 
fatto simile  per  la  città  di  Marsala  da  un  marsalcse  Pietro  di  Anello  ,  cui 
si  obbligò  egli  in  Palermo  per  pubblico  atto  in  data  del  9  di  maggio  del 
1513  (2).  Questa,  dell'altezza  di  sette  palmi  e  mezzo  (m.  1.94),  oltre 
uno  e  mezzo  di  piedistallo  storiato  (m.  o.  39).  era  per  espressa  condizione 
da  corrispondere  in  tutto  a  quella  già  posta  nel  detto  duomo,  dovendosi 
anco  nella  base  scolpirvi,  benché  in  minore  rilievo,  la  stessa  storia  sotto- 
stante all'altra,  con  aggiungervi  solo  da'  lati  le  figure  genuflesse  del  men- 
tovato commettitore  e  della  sua  moglie  e  le  sue  armi  al  di  sotto  :  il  tutto 
pel  prezzo  di  once  quaranta  (1.  510),  con  che  fosse  tenuto  l'artefice 
consegnare  incassata  la  statua  nel  porto  di  Palermo  di  li  ad  un  anno  ,  e 
recarsi  al  bisogno  anche  in  Marsala  egli  stesso  per  collocarla  in  quella  chiesa 
maggiore.  Ma  poscia ,  indugiatosi  tre  anni  oltre  il  tempo  prefisso  ,  e  ciò 
certo  a  causa  della  multiplicità  de'  lavori,  in  che  era  astretto  dividersi  l'in- 
faticabile artefice  ,    non  fu  essa  finita  e  consegnata  che  il  dì   io  di  maggio 


(  '  )  Ne  scrive  il  Mongitore  nella   notizia  di  detta  chiesa  nella  sua  opera    inedita    delle    Chiese  ili  coufra- 
■  mite  ec.  di  Palermo:  ms.  della  Biblioteca  Comunale  Palermitana  a'  segni  Clq  E  9,  pag.   249. 
(  2  )  Vedi  fra"  Documenti  di  quest'opera,  num.  LXV. 


NEI    SECOLI    XV    E    XVI.    CAP.  VI.  269 


del  1 5 1 6,  allorquando  per  pubblica  scrittura  un  maestro  Giovanni  Rallo  ed 
un  Antonio  l'Impastato,  marcatesi,  procuratori  dell'Anello,  dichiararon  ri- 
ceverla dal  Gagini,  conforme  in  tutto  al  precedente  contratto,  promettendo 
di  soddisfarlo  fra  un  mese  del  resto  del  prezzo  ,  che  puntualmente  gli  fu 
poi  corrisposto  ( l  ).  E  rimane  fin  ora  la  detta  statua  in  Marsala,  con  dappiè 
in  bassorilievo  bellissimo  quell'apostolo  in  atto  di  toccare  il  costato  del  Re- 
dentore alla  presenza  degli  altri  apostoli  nel  cenacolo,  aggiuntevi  appunto  dai 
lati  le  figurine  dell'Anello  e  della  sua  sposa,  ginocchione  entrambi  pregando, 
oltre  anco  uno  scudo  con  le  loro  armi.  Sebben  questa  intanto  fin  ora  non 
fu  mai  mentovata  come  opera  del  sommo  scultore,  al  certo  per  merito  d'arte 
ed  insigne  sviluppo  di  magistero  non  cede  alle  migliori  da  lui  eseguite  in 
quel  tempo.  Né  deesi  tralasciar  di  notare,  che,  benché  foss'  egli  in  obbligo 
di  condurre  la  statua  e  la  cennata  storia  della  base  conformi  in  tutto  a 
quelle  già  dette  del  duomo  di  Palermo,  rifuggì  poi  dalle  noie  di  una  sem- 
plice replica  1'  originalità  del  suo  genio  ,  e  quindi ,  pressoché  in  tutto  va- 
riando F  aspetto  della  principale  figura  e  non  men  anco  la  composizione 
sottostante,  die  prova  nell'una  e  nell'altra  della  sua  fecondissima  vena  nella 
varietà  de'  concepimenti. 

Non  é  poi  difetto  di  notizie  di  altre  opere  per  altri  atti  esistenti;  e  so- 
prattutto notevole  per  leggiadria  di  espressione  e  finita  eleganza  di  lavoro 
è  la  figura  in  mezzo  rilievo  di  una  Nostra  Donna  seduta  col  divin  figlio 
poppante  in  grembo  sopra  un  altare  della  maggior  chiesa  di  Pollina.  Di  si 
pregevole  figura  in  marmo,  la  quale  comunemente  vien  sotto  il  titolo  di 
Madonna  della  Grazia  ,  fu  richiesto  il  Gagini  da  un  Benedetto  Minneci  di 
detta  terra,  cui  egli  promise  scolpirla  per  pubblico  strumento  in  Palermo  a  5 
di  gennaio  del  1 5 1 5,  pel  prezzo  di  once  sedici  (1.  204),  dovendo  darla  fi- 
nita ed  anche  dorata  e  toccata  di  fine  azzuolo,  giusta  il  costume,  di  li  a 
tutto  il  seguente  maggio  (2).  Né  passò  guari,  che  venne  recata  a  termine, 
laddove  poi  per  altro  atto  in  data  del  4  di  maggio  del  15 17  un  prete  Gia- 
coma Minneci ,  della  terra  medesima  e  della  stessa  famiglia  per  fermo  del 
mentovato  Benedetto,  allogò  pure  al  Gagini  in  Palermo  un  tabernacolo  o  cu- 
stodia in  marmo,  senza  imagine  dentro,  dovendo  riporvisi  quella,  ch'egli  da 


(  '  )  Gò  è  chiaro  da  una  nota,  che  in  tal  data  trovasi  aggiunta  in  margine  del  contratto    stesso    e  vien 
col  medesimo  pubblicata  tra'  Documenti  di  quest'opera  al  num.  LXV. 
(2)  Vedi  fra'  Documenti  di  quest'opera,  num.  LXVI. 


27O  I    GAGINI    E    LA    SCULTURA    IX    SICILIA 

tempo  avea  fatta,  ma  co'  laterali  pilastri,  con  la  cornice  sovrastante  con  suo 
fregio  ed  architrave,  e  con  base  o  scannello  al  di  sotto,  storiatavi  la  natività 
di  Nostra  Donna  ,  oltre  due  angeli  nel  fregio  in  alto  con  una  corona  in 
mano,  pel  prezzo  in  tutto  altresì  di  once  sedici  quanto  era  costata  la  pre- 
cedente figura  (').  Questa  pertanto  riceve  oggi  ornamento  dalla  detta  cu- 
stodia, ove  fu  riposta  e  che  puntualmente  venne  eseguita;  ricorrendovi  nella 
base  F iscrizione  seguente:  benedictvs  minnechi  et  nora  eivs  vxor  fieri 
le.  (feccnint).  Ma  più  segnalata  opera  indi  fu  quella,  che  una  Margherita  Min - 
neri  per  la  chiesa  medesima  in  Pollina  fé'  pure  al  Gagini  scolpire  un  decennio 
appresso,  siccome  sarà  luogo  in  seguito  a  dire. 

Avvenne  intanto  in  Palermo  nel  151 5  la  morte  del  nobil  uomo  Fran- 
cesco Bologna,  il  quale  da  tutore  dell'  eredità  de'  Diana  avea  già  prescelto 
Antonello  a  decorar  sontuosamente  di  marmi  la  tribuna  maggiore  della  chiesa 
di  S.  Cita,  come  narrammo.  A  dargli  onorato  sepolcro  la  vedova  Elisabetta 
ne  affidò  anche  all'insigne  artefice  il  lavoro,  benché  del  resto  assai  semplice, 
con  le  armi  dell'estinto,  l'epitaffio,  alcun  fregio  ed  una  crocetta  sovrastante, 
da  doversi  riporre  nella  gentilizia  cappella  de'  Bologna  in  San  Francesco  , 
per  la  mercede  di  sole  once  quattordici  (1.  178.  50),  come  appare  per  atto 
del  di  11  luglio  di  detto  anno  (2).  Ma  né  un  tal  sepolcro  ivi  oggi  esiste, 
né  si  ha  memoria  che  vi  sia  mai  esistito,  non  mentovandolo  punto  il  Can- 
nizzaro,  né  il  Mongitore:  ond'é,  che  o  non  fu  fatto,  o  per  qualsiasi  evento 
indi  fu  tolto.  Importa  però  qui  più  che  altra  cosa  notare,  che  dopo  un  anno 
dalla  morte  del  Bologna  fu  dal  successore  di  lui  nella  tutela  degli  eredi  Diana 
immantinente  dato  opera  a  far  compire  al  Gagini  i  lavori  di  S.  Cita.  Era 
di  essi  in  vero,  cosi  dell'arco,  che  ddVicona,  di  già  eseguita  gran  parte,  ed 
anzi  F  artefice  ,  salvo  errore  di  conto  ,  ne  rimanea  creditore  sul  prezzo  in 
once  venticinque,  oltre  dieci  a  di  più  promessegli  dall'estinto  Bologna  :  ma 
premeva  dar  fine  al  restante  e  curarne  l' assetto.  Per  la  qual  cosa  il  magni- 
fico Guglielmo  Spatafora,  nuovo  tutore,  richiamando  il  primo  contratto  da 
dodici  anni  già  stipulato,  qual  volle  egli  altronde  rimanesse  in  pieno  vigore, 
aggiunse  un'altra  convenzione  in  data  del  7  febbraio  del  15 16,  onde  a  lui  si 
obbligò  il  Gagini  fornire  il  resto  dell'opera  ed  interamente  riporlo  in  luogo, 
talché  non  vi  abbisognasse  più  cosa  alcuna,  d